Carcere ottobre 2001

 

Carceri che scoppiano, tre proposte di Rifondazione

 

Il Nuovo on line, 25 ottobre 2001

 

I penitenziari lombardi rischiano di diventare esclusivamente dei contenitori del disagio e della marginalità sociale. A lanciare l’allarme è il gruppo consiliare di Rifondazione Comunista in Regione, che stamattina ha tenuto una conferenza stampa per presentare tre proposte di legge, volte a migliorare la situazione nelle carceri lombarde che ospitano 8 mila detenuti.

Alla conferenza erano presenti il deputato Giuliano Pisapia, il responsabile delle tematiche carcerarie Saverio Ferrari, il capogruppo regionale Gianni Confalonieri ed il consigliere Giovanni Martina che ha elaborato i disegni di legge dopo un esame durato anni delle carceri lombarde.

"Rifondazione è l’unica forza politica ad occuparsi in Lombardia e in Parlamento dell’emergenza carceraria, mentre il centrodestra si limita a proporre dei disegni di leggi che sembrano mirare solo a scardinare il nostro malconcio sistema penale. - spiega Giuliano Pisapia - Nell’arco dell’ultimo anno e mezzo, sono aumentati i casi di violazioni dei diritti umani e/o dell’incolumità fisica di chi è stato privato della libertà personale".

Rifondazione con le tre proposte di legge presentate in Regione Lombardia chiede: di istituire il difensore civico anche per i detenuti; di tutelare adeguatamente la salute della popolazione carceraria, attraverso il passaggio delle competenze dall’amministrazione sanitaria al servizio sanitario nazionale; di tutelare il diritto al lavoro interno o esterno dei detenuti, considerando che degli attuali 8.000 soltanto 300 svolgono un’attività lavorativa.

Dai dati elaborati da Rifondazione emerge che in Lombardia vi sono 18 case circondariali e di reclusione, un carcere minorile, un ospedale psichiatrico e un centro di detenzione per extracomunitari in via Corelli a Milano. In queste strutture sono ospitati 8.000 detenuti, di cui 1.978 sono tossicodipendenti e circa 3.700 extracomunitari.

Le carceri lombarde sono sovraffollate, giacché ospitano 3000 detenuti in più rispetto all’effettiva capacità di contenimento. Nella sola provincia di Milano, con l’entrata a regime del quarto carcere (quello di Bollate), il totale dei detenuti sfiorerà quota 5.000, che corrisponde al 10% della popolazione carceraria italiana.

Nelle strutture lombarde si rilevano anche gravi carenze di organico, relativamente agli agenti di polizia penitenziaria (4.155 unità contro le necessarie 5.353) e agli educatori e assistenti (374 su 744).

"La maggior parte dei detenuti devono scontare pene inferiori ai tre anni e sono poveri. - rileva Saverio Ferrari - Solo il 12% è stato condannato per reati gravi. In carcere vi sono soltanto poveri cristi. Ecco perché queste strutture rischiano di trasformarsi in contenitori di marginalità sociale". Gianni Confalonieri e Giovanni Martina aggiungono: "Con le nostre tre proposte di legge vogliamo in parte rimediare alla drammatica situazione che caratterizza le carceri lombarde".

E in carcere finiscono i «soliti noti»

Nelle celle clandestini, tossicodipendenti e soprattutto recidivi

 

Alto Adige, 23 ottobre 2001

 

La metà della popolazione detenuta nella carceri di Trento e Rovereto è recidiva. Una parte consistente è affetta da problemi di tossicodipendenza o alcoldipendenza. La scolarizzazione è bassa e la disoccupazione elevata.

E' questo l'"identikit" - emerso dal Terzo rapporto sulla sicurezza - delle persone che stanno scontando una pena o sono in attesa di giudizio nelle carceri trentine (sono stati presi in esame i dati nel 1998 e del 1999).

Anche le case circondariali trentine (sono arcinoti i problemi strutturali di quella di Trento) soffrono - alla pari di quasi tutti gli istituti di pena italiani - di sovraffollamento, un problema che ha gravi conseguenze, in particolari l'impossibilità di tutela intramuraria dei soggetti alla prima esperienza detentiva (in teoria dovrebbero essere tenuti isolati dai recidivi).

Sono i reati legati alle legge sugli stupefacenti, i furti e le rapine le principali ragioni che portano nel carcere di Trento (le tre voci, insieme, raccolgono oltre il 50 per cento dei detenuti).
Una riflessione a parte meritano proprio le persone in carcere per reati legati alla droga: rappresentano una fetta importante della popolazione detenuta e la metà ha problemi di tossicodipendenza. La distinzione è importante poiché il tossicodipendente commette reati proprio per il suo stato di assuefazione: non c'è, quindi, la volontà di delinquere.

Molti anche i detenuti con problemi di alcolismo o sottoposti a terapia con psicofarmaci.
Il cinquanta per cento dei detenuti si trova in carcere in attesa di giudizio. L'altra metà sta scontando una pena definitiva.

Rilevante la presenza di stranieri, una diretta conseguenza del "boom" degli immigrati: il 32 per cento dei detenuti non è infatti italiano.

Come detto il livello di scolarizzazione dei detenuti è molto basso: il 6 per cento a Trento ed il 7 per cento a Rovereto sono analfabeti. Il 79 per cento a Rovereto e l'84 per cento a Trento hanno una scolarizzazione pari od inferiore alla scuola dell'obbligo.

Elevatissimo anche il livello di disoccupazione dichiarato dai detenuti al momento dell'entrata in carcere: 55 per cento nel carcere di Trento e 45 per cento in quello di Rovereto.

Carceri, Borghi attacca il governo

 

Gazzetta di Modena, 18 ottobre 2001

 

 

In Emilia Romagna deve partire la sperimentazione sulla sanità in carcere, ma la riforma non decolla. L'allarme è venuto da Gianluca Borghi, assessore regionale alle politiche sociali secondo il quale il governo sta affossando la riforma. Ma la Regione - ha assicurato - è intenzionata a completare questo percorso di civiltà. «Sono trascorsi ormai tre anni - ha ricordato Borghi - da quando il parlamento delegò al governo il riordino della medicina penitenziaria stabilendo un importante principio: il diritto alla salute anche delle persone in carcere, che devono potere usufruire delle medesime prestazioni garantite a tutti i cittadini. Sembra una cosa scontata ma non lo è. La sanità in carcere infatti è ancora oggi competenza del Ministero della Giustizia che ha alle sue dipendenze (o in convenzione) medici e infermieri e che ha i suoi ambulatori e centri clinici interni alle strutture penitenziarie». Ma il governo «sta sostanzialmente boicottando questa riforma, nessun atto è stato adottato per renderla praticabile».

Intervento accorato e polemico di Sergio Cusani 

al convegno su detenuti e occupazione

«Carcere, fucina di criminalità»

La Provincia propone uno sportello per l’avviamento al lavoro

 

Bresciaoggi, 13 ottobre 2001

 

«I cittadini hanno paura degli uomini che commettono reati e fanno bene. Dovrebbero avere però più paura degli uomini che escono dal carcere, perché il carcere, così come è oggi, è una struttura che produce criminalità. Dal carcere spesso si esce che si è delle canaglie». A parlare così esplicitamente è Sergio Cusani, presidente dell'Associazione Liberi di Milano. Chi non ha smarrito la memoria del passato prossimo ricorderà Cusani come uno degli imputati del processo di Tangentopoli, messo sotto torchio dall'allora PM Antonio Di Pietro. Oggi Cusani, dopo la parentesi carceraria, è cambiato anche nel look: veste casual, con una borsa etnica a tracolla, soprattutto non porta più gli stessi occhiali di una volta, con l'elegante montatura di tartaruga. Ieri pomeriggio, per testimoniare la sua esperienza, è intervenuto al San Carlino nell'ambito del convegno "Il detenuto: quale lavoro, in quale società", organizzato dall'Assessorato al lavoro, alle attività produttive e alla formazione professionale della Provincia di Brescia. Dietro il tavolo dei relatori, salutati dal presidente della Provincia Alberto Cavalli e coordinati dal suo vice Stefano Saglia, sedevano anche don Virginio Colmegna, direttore della Caritas Ambrosiana e presidente dell'Agenzia di Solidarietà per il lavoro di Milano, il sen. Antonino Caruso, presidente della Commissione Giustizia del senato e Mario Scotti, vice-presidente della 3^ Commissione Assistenza e Sanità della Regione Lombardia.
Quello del convegno è un tema importante, che riguarda il recupero e il riscatto del detenuto. Come ha ricordato Saglia, la nostra stessa Costituzione dichiara che "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". Ogni società civile punta al reinserimento del detenuto, non solo per ragioni di solidarietà ma anche perché tutto questo comporta un ritorno di sicurezza per il cittadino. Come operare, dunque? Don Colmegna ha ribadito che il lavoro (interno al carcere, a domicilio, successivo all'esaurimento della pena), «per quanto non sia una redenzione in assoluto, costituisce un antidoto alla recidività. Il lavoro rimane un elemento determinante per qualsiasi politica di prevenzione o di recupero del deviante. Purtroppo, nonostante la disponibilità a parole delle aziende o dei datori e qualche caso andato a buon fine, rimane uno scollamento tra domanda e offerta di lavoro».

«Se la legalità è un diritto - ha sostenuto Cusani - l'illegalità è un prodotto della società. Questo è il problema. Il carcere è una struttura di transito che dovrebbe proporsi come elemento creativo di positività. L'attuale sistema carcerario in Italia, con tutte le sue disfunzioni, costa ottomila miliardi all'anno, quasi metà finanziaria. Bisogna cercare delle soluzioni, magari ricorrendo alla fantasia. La proposta della mia associazione è quella di recuperare aree urbane abbandonate con il lavoro dei detenuti».
Quanto agli altri interventi, Mario Scotti e Antonino Caruso hanno illustrato il problema dal punto di vista istituzionale. Va detto che la Provincia di Brescia, sostenuta da molti altri enti, ha proposto un Protocollo di intesa per l'apertura di uno sportello esterno all'istituto penitenziario per favorire l'incontro delle domande e delle offerte di lavoro dei detenuti, nonché la formazione e la riqualificazione degli stessi.

Carceri in vendita: San Vittore è il primo

Il ministro Castelli: chiuderanno le prigioni obsolete, 

inadatte a ospitare detenuti

 

Corriere della Sera, 4 ottobre 2001

 

 

Il primo della lista è San Vittore: cinquantamila metri quadrati di un inferno chiamato prigione. Ottocento posti teorici, quasi 2 mila i detenuti effettivi. Verrà venduto il vecchio carcere nel cuore di Milano. Al miglior offerente, secondo le leggi del mercato. E sul mercato, considerando i parametri del piano regolatore e i prezzi della zona, il prezzo di San Vittore potrebbe arrivare anche a 300 miliardi di lire (154 milioni 937 mila euro). E’ il primo della lista il carcere milanese. Perché presto, a seguire, sul mercato arriveranno ad uno ad uno tutte le carceri storiche, costruite nei centri delle città: Poggio Reale, a Napoli, l’Ucciardone, a Palermo, Regina Coeli, a Roma. Il ministro della Giustizia Roberto Castelli sta lavorando concretamente a questo progetto: vendere le vecchie per costruire carceri nuove, moderne, lontane dal cuore delle città.

Castelli ci sta lavorando insieme al ministero dell’Economia: uno studio di fattibilità per la sdemanializzazione e la valutazione delle volumetrie degli edifici. Ovvero per rendere edificabili le carceri, appetibili al mercato immobiliare. Spiega il ministro della Giustizia: «L’obiettivo è di rendere più vivibili le carceri. Ho visitato diversi istituti nei mesi passati, penitenziari storici ormai obsoleti e inadatti ad ospitare il grande numero di detenuti che ci sono. Celle anguste, pochi spazi comuni, quasi totale assenza di strumenti idonei a mettere i detenuti nelle condizioni di lavorare».

La vendita dei penitenziari verrà discussa di volta in volta con le singole amministrazioni locali. A Milano la trattativa è già stata avviata. «Sono anni che chiedevamo di poter vendere questo carcere, un vero inferno nel cuore della città», dice Riccardo De Corato, vicesindaco di Milano. E spiega: «Adesso con il ministro Castelli siamo già arrivati a discutere di volumetrie e di piani urbanistici».

 

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