Rassegna Stampa

Infodigit 5 luglio 2010

A cura della Cooperativa Sociale AltraCittà di Padova
via Montà 182, 35136 PD, Tel. e fax: 049 890 1375,
www.altravetrina.it, altracittacoop@libero.it, P.IVA E.C.F. 03865710283

1) Fate attenzione all'iPad
2) Ma i libri di carta resisteranno
3) Se il nuovo Picasso sarà un deejay
4) Così e cambiata la nostra vita
5) All'e-book chiederemo qualità
6) Senza scrittori ma con i blogger

IL SOLE 24 ORE (Domenica)

lunedì 5 luglio 2010
1

Fate attenzione all'iPad

Il nuovo oggetto forse non è ancora adatto alla produzione di contenuti, come il pc.
Ma rivoluzionerà i palinsesti mentali: lo useremo sempre più per leggere e vedere

di Raberto Casati
Herbert Simon, il primo psicologo a ottenere il premio Nobel per l'economia, grande esploaratore dei limiti della ragione, si atteneva a una semplice ricetta: non leggeva i giornali, non ascoltava la radio e non guardava la televisione. Pura razionalità: tanto, diceva, se fosse successo qualcosa di veramente importante i suoi amici gli avrebbero telefonato per avvertirlo. Quandosi tratta di proteggere il silenzio interiore sembrerebbe che ogni arma sia lecita. Ma le esortazioni alla purezza e alla santità non sono veramente parte del gioco; anche perché, salvo ingenuità dell'ultima ora, non è per tenerci informati che ascoltiamo la radio e guardiamo la televisione.
È Ulisse che ci ha insegnato come difendersi dal richiamo delle sirene, a mettere in atto strategie più leggere per aiutare la razionalità periclitante tenendo per l'appunto conto dei suoi fragili limiti. Ci sono già sul mercato del programmi per la gestione dell'attenzione, bloccano gli aggiornamenti di Facebook, filtrano gli allarmi delle chat, scollegano la posta; quelli veramente radicali, tra cui uno dal nome assai eloquente di Freedom, chiedono per quante ore si vuole restare senza internet; e una volta deciso,se si cambia idea l'unico modo di ricollegarsi è assai costoso e scoraggiante, devi spegnere e riaccendere il computer. É stata anche misurata la produttività delle persone che sono in grado di tenersi alla larga dai potenti distrattori-attrattori della vita elettronica, e i risultati si vedono rispetto a chi tiene sempre protese tutte le antenne. Ma certo la questione si pone ormai in termini assai diversi di fronte alla nuova frontiera digitale, che ci propone un oggetto che non serve affatto a produrre.
La trasformazione concettuale che l'iPad porta sulla scena della tecnologia di massa è tanto semplice quanto radicale. Finora i computer erano prevalentemente se non esclusivamente strumenti di produzione intellettuale. Per la prima volta incontriamo un computer che è uno strumento prevalentemente di consumo intellettuale. Lo vediamo dalle immagini scelte per la campagna pubblicitaria soggettiva dell'utilizzatore, vestiti confortevoli, gambe accavallate, la tavoletta in grembo pregna di mille colorate promesse. Lo vediamo dall ergonomia dell'iPad, che per l'appunto è tutta orientata al consumo e ostenta scarso interesse per la produzione. La tastiera, tanto per fare un esempio. La si può invocare sullo schermo tattile e funziona certo a meraviglia, ma occupa una porzione rilevante dello schermo e lascia quindi poco spazio per controllate quello che si è scritto al di là di un orizzonte di poche righe. Questo va benissimo se si vuole comporre una mail di saluti o un tweet, ma per produzioni intellettuali di più ampio respiro ci si rittova con le difficoltà note a chi usava le prime video-scriventi negli anni 80 del secolo scorso.
La scrittura permette non solo di lasciar tracce del proprio pensiero, ma anche di organizzarlo visivamente e riproporlo a ispezioni successive che ci fanno scoprire quello che veramente vogliamo dire; la finestra di uno schermo piccolo è troppo angusta per questo esercizio; bisogna ricordarsi quanto si è scritt,. ma l'appello alla memoria vanifica il ricorso stesso all'ausilio grafico. Inoltre l'impossibilità per il momento di annotare i documenti separa l'iPad da altri prodotti orientati alla produzione, come i tablet in circolazione da qualche tempo, equipaggiati di una penna di applicazioni brillanti come l'annotatore di pdf, che offrono un corposo progresso ergononomico a chi lavora sui documenti scritti e disegnati, li edita, li corregge, li archivia e spedisce quotidianamente.
Frustrata la produzione, emerge potentemente nell'iPad il design rivolto all'intrattenimento. Non sbaglia chi lo descrive come un iPod ingigantito. Le maggiori dimensioni popolano lo schermo di interfacce tattili a misura di mano, come un simpatico pianoforte che vi permette di fare qualche esercizio se siete in viaggio. L'iPod gigante consente soprattutto di approfittare in modo piacevole di una biblioteca video, notevole passo in avanti rispetto alla riproduzione della sola musica. A questo punto si potrebbe osservare che l'iPad fa concorrenza non tanto al pc quanto alla televisione e al cinema, e non tarderanno a farsi sentire in questo settore gli effetti distruttivi che l'iPod aveva esercitatosul mercato discografico (non mi stupirebbe se divenisse comune acquistare non più film interi, ma compilation di scene madri pescate qua e là come quelle che troviamo su YouTube; Toni che parla con il vigile in piazza Duomo a Milano, il replicante di Blade Runner che racconta delle navi in fiamme al largo dei Bastioni di Orione, e via dicendo). E anche se non prosiamo(ancora) annotarli, possiamo leggere molti libri e giornali sull'iPad. che cerca quindi di scalzare Kindle, il lettore di Amazon, e probabilmente riuscirà laddove processioni di e-book abortiti hanno fallito; non per meriti intrinseci, direi, quanto piuttosto perché lo si comprerà comunque, e a quel punto non servirà comprare un altro tipo di e-book
Strumento d'intrattenimento, dunque. Il punto di svolta, la scelta di campo segnata dall'iPad è interessante allora per come prefigura il palinsesto della nostra vita mentale. Si tratta di una battaglia interessante per gli anni a venire, il cui trofeo, ambitissimo, è la nostra risorsa intellettuale primaria l'attenzione.
William James ha scritto che non sappiamo che cosa sia veramente l'attenzione, ma che è perfettamente chiaro che qualsiasi cosa essa sia, ve n'è assai poca in giro. Da questo assioma fondamentalissimo seguono semplici, prevedibili linee di attacco.Lo si è visto da come la televisione, per sua natura
monopolistica e accentratrice, ha dovuto lottare con l'attenzione; nella corsa agli armamenti i programmi si sono adattati all'invenzione del telecomando, che ha annichilito quel costo evidentemente insostenibile che è l'alzarsi dalla poltrona per cambiare canale. Lo zapping ha controllato implacabilmente la gestione dell'Auditel; a parità di preferenze di fondo, conta saper intercettare chi si sofferma per un momento nel passaggio da un canale all'altro, e pochi attrattori fondamentali (la rissa mediatica, sesso, esplosioni, un volume più alto, un Gianni Morandi che si mette in mutande eccetera) altro non sono che le armi per la conquista del Graal attenzionale custodito dagli inconsapevoli zappisti. Ed ecco che l'unico tasto fuori schermo dell'ipad è un piccolo telecomando, quello che permette di invocare la lista delle applicazioni. Ci ricorda, semmai ve ne fosse bisogno, che c'è sempre qualche altra simpatica attività che ci aspetta appena dietro l'angolo.

 

 

IL SOLE 24 ORE (Domenica)

domenica 11 luglio 2010
2

Ma i libri di carta resisteranno

di Rick Moody scrittore
L'iPad, il contributo della Apple al mercato delle tavolette digitali, è bello da vedere, non c'è che dire. Ho una bambina di sedici mesi e so che l'iPad è esattamente quel tipo di cosa per cui farebbe il diavolo a quattro, proprio come fa con lo smart phone di mia moglie o con i vari telecomandi della tivù e dei marchingegni connessi. Ma un bel design è davvero un importante contributo allo sviluppo culturale del mondo? A ogni gadget che ci delizia gli occhi deve sempre corrispondere un esborso di capitale?
L'iPad è al centro del dibattito sul futuro del libro e il timore è naturalmente che i libri di carta, - quegli oggetti che tappezzano le pareti di casa mia -,
verranno in qualche modo rimpiazzati da prodotti equivalenti all'iPad (o del Kindle di Amazon o del Nook di Barnes and Noble). Ma finora, di fatto, la percentuale di acquisti legati all'iPad direttamente correlati ai libri elettronici, è piuttosto bassa. Sono diverse le ragioni per cui molti bibliofili continuerebbero a scegliere la carta stampata. Innanzitutto l'iPad è più pesante di molti libri e anche più delicato (siamo proprio sicuri di volerlo portare in spiaggia?), dev'essere ricaricato e in aereo va spento durante il decollo e l'atterraggio. Inoltre il libro è già una tecnologia flessibile e centrata sul lettore: possiamo scorrerlo, sfogliarlo, scriverci sopra, in altre parole è più facile personalizzare l'oggetto, impadronirsene che con il seducente, ma alla fin fine inutile, iPad. Per il libro è stato così da qualcosa come cinquecento anni. E nel caso della letteratura, dove il coinvolgimento al testo è più complesso e meno legato all'intreccio narrativo, il rapporto con il libro è già dinamico e creativo di per sé. È un rapporto che si rinnova ogni giorno con l'avanzare del progresso nella storia della letteratura.
Ma, un momento, diranno i difensori dell'iPad, il testo potrà essere corredato da audio e video, e si potranno scegliere font, colori e immagini! E se un lettore non desiderasse tutto questo? Dopotutto sono solo ammennicoli e il testo letterario non è un film. È il cinema che si fagocita sempre altre forme per poi sputarle dopo averle parzialmente digerite.
Dall'avvento del cinema, il romanzo ha sfruttato quello che sa fare meglio (svariate angolature, interiorità, descrizione della consapevolezza) in un modo semplicissimo: attraverso le parole sulla pagina. .
Immagino che continuerà a farloe poiché la carta e ancora il mezzo più stabile e affidabile di immagazzinare un testo (basta paragonarla per esempio al floppy disk che non dura più di dieci o quindici anni, mentre i volumi stampati nel 1800 sono ancor a leggibili). E se il libro non è attraente come l'iPad, poco importa. Con i libri, come in amore, la bellezza esteriore non sempre conta.

(traduzione di Francesca Novajra)

 

 

IL SOLE 24 ORE (Domenica)

domenica 11 luglio 2010
3

Se il nuovo Picasso sarà un deejay

di Serena Danna
Come quasi tutte le idee che cambiano il mondo, anche The Creators Project è nato durante una cena. Seduti al tavolo di un ristorante di Brooklyn, il regista Spike Jonze, reduce dall'uscita di Nel paese delle creature selvagge, parla di lavoro insieme al fondatore della rivista «Vice», Shane Smith «È difficile trovare un'azienda che sia più interessata alle idee che al profitto», spiega il visionario direttore di alcuni dei video clip più belli degli ultimi vent'anni di storia della musica (dai Sonic Youth agli Yeah Yeah Yeah). «Quanti lo fanno oggi? Io te ne solo dire solo due: Apple e Pixar, per il resto è sempre un compromesso tra il tuo desiderio di esprimerti e il loro di fare quattrini» continua Jonze che, durante le riprese, ha cambiato in corsa casa di produzione proprio perché la prima considerava troppo "audaci" le sue scelte di regia.
A quel punto arriva la domanda: «Cosa faresti se non avessi nessun limite finanziario? Un budget illimitato e nessuna restrizione sui contenuti?». Smith non deve pensarci neanche un secondo: «Qualcosa di simile a quello che succedeva a Parigi negli anni 20 quando scrittori, pittori e musicisti si univano per scambiarsi idee e creare». Se Andrè Breton e compagni usavano «Il cadavere squisito» per dare sfogo all'ansia creativa collettiva (gioco surrealista che consisteva nel costruire frasi senza che i partecipanti conoscessero quelle scritte dagli altri), gli artisti contemporanei si affidano a internet.
The Creators Project nasce così. Da un lato l'avanguardia del gruppo Vice, dall'altro il know-how tecnologico di Intel, leader mondiale nel campo dei microprocessori. Al centro, capitanati dallo stesso Jonze, gli artisti più innovativi del mondo. «Da bambino adoravo il punk - racconta Smith -. A Ottawa negli anni 80 c'erano solo 11 band che lo suonavano. Quando i Clash o i Ramones venivano inconcerto a Montreal, realizzavo però che facevo parte di una comunità punk internazionale». The Creators Project non è lontano da quel sogno di bambino: dare spazio e visibilità a chi crede che oggi la tecnologià sia parte essenziale del processo di creazione artistica. Un grande contenitore online (www.thecreatorsproject.com) dove si riuniscono le menti più geniali della scena artistica mondiale.
Dal musicista e produttore Mark Ronson, che ha lavorato con star come Amy Winehouse e Lily Allei, agli United visual artist,autori delle videoproiezioni che ipnotizzano il pubblico durante i concerti dei Massive Attack E poi ancora il regista inglese Chris Cunningam, autore di videocip per Madonna, Aphex Twin e Bjórk, e di spot che hanno consacrato la pubblicità come settima arte (ricordate quella per Telecom Italia con Leonardo di Caprio?). Infine l'artista newyorkese Takeshi Murata, famoso per i suoi flussi di colore psichedelici realizzati al computer.
Il sito è stato lanciato a fine maggio e ospita già cento artisti internazionali (ma nessuno dall'Italia). «Vogliamo essere una casa di produzione virtuale e
diventare punto di riferimento della prossima generazione di innovatori del cinema, architettura, musica e design», spiega Smith. Il 26 giugno a New York si è svolta la prima di cinque conferenze per portare le idee dallo spazio virtuale a quello urbano.Così uno studio del Meatpacking District, nella Grande Mela, ospitava il video I'm here di Spike Jonze (storia d'amore tra due robot), il dj set di Mark Ronson, il concerto di M.I.A. e una conferenza sulla comunicazione virale di James Powderly, ingegnere elettronico che insegna al dipartimento di visual design communication di Seul.
Il prossimo appuntamento "dal vivo" è per il 17 luglio a Londra. Sarà poi la volta di San Paolo, Seul e infine Pechino. «Abbiamo selezionato le città dove il livello di ricerca e diffusione tecnologica è più avanzato - racconta Deborah Conrad, vicepresidente di Intel - e con i mercati più dinamici» .Inutile però contare i partecipanti per giudicare la riuscita dell'evento: «Il successo di un'installazione - spiega Ash Nehru, direttore software degli United visual artist - non dipende più dal numerodi visitatori, ma da quante foto vengono scattate e caricate dopo su Facebook o Flickr». La storia di Mark Ronson è significativa: «Ho suonato la chitarra per sei anni e poi ho capito che non mi bastava: per essere competitivo devi essere bravo con il video, produrre contenuti online e conoscere alla perfezione la Rete». Così Mark ha iniziato a giocare con mixer e schermi ed è diventato, oltre che produttore, un deejay di fama internazionale. «Chi ha detto che il Picasso del XXI secolo non possa essere un dj?», dice ridendo. «A volte hai un'idea e la tecnologia ti aiuta a realizzarla, altre volte è proprio dalla tecnologia che vengono le idee», afferma il pioniere della tecno music Richie Hawtin (meglio conosciuto come Plastic Man). Se l'origine di The Creators Project è stato un piatto di riso al curry, il suo futuro invece è ancora tutto da scoprire.

 

 

IL SOLE 24 ORE (Domenica)

domenica 11 luglio 2010
4

Le impressioni di chi ha (già) l'iPad

Così e cambiata la nostra vita

Più leggeri, sempre connessi, giornali, mail e video a portata di dito. Ecco cosa ne pensa chi inizia a usarlo

ESTENSIONE DEL CORPO
Nathan Englander

SCRITTORE
Uno scrittore non può vivere senza.
Oggi a New York in tutti i coffee shop ormai si vedono studenti, o scrittori come me, con l'iPad. Non posso credere quanto tempo passi la gente utilizzandolo. Io sonoun «Mac-obsessed».Ho un Macbook Air, l'ìPhone e un altro Mac fisso a casa. Le mie mani sono come artigli che negli ultimi quattro anni non hanno mai mollato la presa il mio smartphone è sempre con me. L'iPad è solo il passo successivo. È uno strumento sbalorditivo, una macchina perfetta. Ma non sono sicuro sia davvero così rivoluzionario rispetto all'iPhone. Insomma, è unaspecie di iPhone gigante. Come scrittore sicuramente lo userò per scrivere, ma non credo riuscirà a prendere il posto del mio laptop. Nel 1995 ho comprato il mio primoMac portatile e tutti i miei amici mi consigliavano di comprarne uno con lo schermo a colori. Nessuno ancora guardava le foto sul computer. Io ero sicuro e comprai l'ultimo modello in bianco e nero. Da allora ho imparato la lezione. Oggi avrei provato lo stesso tipo di imbarazzo nel dire: «Non ho ancora comprato l'iPad». Rispetto all'iPhone, la vera differenza sta nelle dimensioni. L'iPhone lo tengo in mano, cammino per strada utilizzando le mappe, osservando la pedina che si muove sullo schermo. Con l'iPad no, ma resta un'interfaccia che mi consente ovunque di comunicare in tempo reale con il mondo. Questi strumenti hanno aggiunto veramente qualcosa alle nostre vite, hanno integrato i nostri giorni. Accorciano i tempi, gli spazi. Non ci sentiamo mai persi. Sono diventati parte del nostro corpo. Ho quarant'anni e sicuramente amo ancora la carta. Ma da scrittore sarei cieco se non accettassi l'e-book, se non cercassi di immergermi in questo nuovo mercato.

COMPAGNO DI VIAGGIO
Ziyah Gafic

FOTOGRAFO
Leale amico elettronico necessario per lavorare
Da giramondo, sono sempre andato a caccia di un leale e affidable compagno di viaggio che mi seguisse durante i lunghi voli in aereo, nelle mie notti solitarie e che non avesse nulla da dire sulle condizioni spartane in cui spesso lavoro. Ho provato ogni sorta di accompagnatore, dal punto di vista tecnologico, ma tutti avevano qualcosa che mancava. Il loro periodo di vita era alquanto breve, l'interfaccia poco "friendly", le dimensioni troppo grandi o troppo piccole e, presto o tardi, mi avrebbero tutti deluso miseramente.
Quando Apple ha lanciato l'iPad ad aprile ho fatto di tutto per averlo subito. Il compagno iPad, fin dall'inizio, mí ha svelato la sua vera identità. È uno strumento fondamentale per lavorare: le fotografie e i video che faccio si vedono in modo davvero realistico sullo schermo Led ad alta risoluzione, che immediatamente prende il posto del portfolio cartaceo. Semi dimentico di "nutrire" il mio amico elettronico, la sua batteria mi assicura sempre qualche ora in più di vita, rispetto a quello che mi sarei aspettato. Se poi ho bisogno di accedere a un file ad alta risoluzione sul mio computer portatile, riconnette prontamente al desktop in ufficio e spedisce il file dove e quando serve. Come mi piacerebbe se il mio compagno iPad riuscisse pure a socializzare con i diversi formati video! Oppure se potesse sincronizzarsi facilmente con il cellulare: sarebbero una splendida coppia. E infine, adorerei se avessero previsto anche una porta Usb così potrei collegare la mia macchia fotografica: anche loro starebbero davvero bene insieme.

FUGA DALLA SCRIVANIA
Carlo Ratti

ARCHITETTO (MIT BOSTON)
Un grande iPhone che ci rende liberi
Da quando uso l'iPad (due settimane più ameno) mi sembra di essere dimagrito un paio di chili, ovvero la differenza di peso che c'è tra l'iPad e il mio laptop. Forse anche due chili e mezzo, dato che la batteria dura parecchie ore e quindi posso fare a meno del trasformatore. Anche se vedo l'iPad più come un grande iPhone che come un'alternativa al pc portatile. Lo uso per le email, il browsing, la lettura di documenti di vario tipo.
Non ha rivoluzionato la tecnologia: cambiano le interfacce, quelle che ci permettono di dialogare con il computer in modo nuovo. Una volta dovevamo perforare risme infinite di cartoncini, oggi basta una semplice carezza per mostrare e valutare i progetti... E poi è fantastico essere in contatto mentre si viaggia restandooperativi al 90%, ci consente un ulteriore passo verso l'affrancamento dalla schiavitù della scrivania.

INFORMAZIONE
Evgeny Morozov

BLOGGER (FOREIGN POLICY)
Leggere i giornali e guardare la tv online
Non vedo l'iPad come un oggetto davvero rivoluzionario. Credo sia piuttosto uno strumento di piacere, ideale per chi ha il tempo e la voglia di fare surfing online. Io uso il web principalmente per lavorare e ho spesso bisogno di strumenti e periferiche che poco si conciliano conl'iPad.
I libri e i giornali li leggo meglio su Kindle...
La "rassegna stampa" online ha migliorato la mia qualità della vita: mi informo molto più rapidamente, leggo almeno 6 quotidiani e 12 riviste ogni giorno. In questo modo riduco il tempo che impiegavo per fare caccia di news attraverso Twitter e i vari aggregatori di notizie in giro per il web.
Credo che l'iPad sia utile se si entra nel mondo delle applicazioni, ma io non le uso neanche sull'iPhone! L'unica che ho e che adoro davvero è il video player Arhcos 7, per vedere la televisione online.

RIVOLUZIONE CULTURALE
Zaha Hadid

ARCHITETTO E DESIGNER
L'architettura entra a pieno nell'era digitale
I ho ordinato subito! Mi è arrivato da circa una settimana e l'ho affidato nelle mani dei miei collaboratori. Volevo poterlo usare alla prima occasione utile, così ho fatto immediatamente caricare le immagini e il materiale di presentazione dei nostri progetti. La prima volta che mi è servito veramente è stato a Istanbul, qualche giorno fa, dove sono stata invitata per l'opening party di "Istancool", festival di arte, designe letteratura. Le prime applicazioni che ho fatto installare sono perlopiù siti di informazione, dalla Cnn a Wallgaper, per poter essere sempre aggiornata. E' raro che io riesca a fermarmi per più di due settimane a Londra, così, grazie all'iPad, riesco a leggere le ultime notizie in tempo reale anche quando sono in viaggio. Sms ed email per me sono una specie di ossessione, e a certi livelli può essere davvero fastidioso perché le persone si aspettano di potermi contattare ovunque e a qualunque ora. Da un altro punto di vista, però, l'iPad è uno strumento davvero unico per controllare la posta elettronica; navigare in rete, guardare un film o presentare le immagini dei miei progetti ai clienti. A volte, è vero, può far preoccupare. Alcune persone non riescono ad andare in giro senza avere la possibilità di accedere in ogni momento alle email. E a volte è veramente un po' folle: non riescono a pensare, o a mangiare, senza essere connessi. È un modo differente di organizzare la propria vita, di gestire il proprio tempo. Credo che il cambiamento che stiamo vivendo, per quanto riguarda il nostro approccio alle tecnologie, sia davvero straordinario. È anche vero però che esiste un effetto Grande Fratello, con tutto quello che comporta, esiste un maggiore controllo dei mass media sull'opinione pubblica, e le persone non sono davvero libere di pensare senza condizionamenti, come accadeva negli anni Settanta. Credo si possa parlare di disincanto, di perdita delle ideologie, e questo mi sembra abbastanza triste.
Per quanto riguarda l'architettura, si è affermato un modo diverso di operare, con un approccio psicologico differente. Prima che il nostro ufficio diventasse veramente digitale, ogni individuo era chiamato a fare praticamente tutto, in modo trasversale: ciascuno poteva costruire un modello, un disegno; poteva fare un progetto, rispondere al telefono oppure preparare le slide per una presentazione. Adesso le persone sono specializzate e sanno fare unicamente una cosa. Probabilmente possono anche farla dall'altro lato del mondo e alla fine inviare il lavoro concluso per email, o tramite internet. In ogni caso credo che perdere il controllo della manualità, dalla capacità di fare uno schizzo all'abilità di dipingere, ci privi di qualcosa di importante. Certamente, in questo modo, molto è stato aggiunto in termini di complessità al nostro lavoro, ma allo stesso tempo qualcosa ci é stato tolto, a partire dalla perdita di un tratto personale distintivo.
 

 

IL SOLE 24 ORE (Domenica)

domenica 11 luglio 2010
5

All'e-book chiederemo qualità

L'avanzata sempre più rapida dei libri elettronici e degli e-reader cambierà la filiera editoriale. Con vincitori e vinti

di Francesco M. Cataluccio
Nella biblioteca del Dipartimento di Fisica della Stanford University stanno allestendo, da alcuni mesi, la prima "biblioteca senza libri": i libri di carta verranno trasferiti in un magazzino a 38 miglia di distanza e nell'edificio rimarranno soltanto pochissimi volumi cartacei e molti tavoli con computer e Kindlez che garantiranno l'accesso a 28 database online e a oltre dodicimila riviste scientifiche. Non si tratta di un solerte adeguamento a una moda, ma della semplice soluzione a un problema ormai ingestibile: nella biblioteca, come ha affermato la responsabile Stella Ota, entrano ormai centomila libri all'anno (273 al giorno). Se tutte le biblioteche universitarie degli Stati Uniti adotteranno, come pare stia accadendo, questa soluzione, la produzione cartacea dei libri scientifici e in generale di studio, sparirà in una decina d'anni. E i libri di saggistica che continueranno a uscire in forma cartacea saranno sempre più costosi (e nelle biblioteche, e sui propri computer o lettori digitali, si potrà consultare, gratis o quasi gratis, la loro versione digitale).
Se questo è quello che accade nelle biblioteche, osserviamo cosa sta succedendo nelle librerie americane: la vendita dei libri elettronici si aggira tra il 3% e il 5% del mercato dei libri. Ma si prevede (fonte: Mike Shatzkin, di Idea Logical Co.) che, già nel 2012, la percentuale sarà tra il 20% e il 25% dei libri venduti, ai quali andrà aggiunto un 25% di vendita online. Se le cose andranno così, fra tre anni la metà dei libri venduti negli Stati Uniti sarà in formato digitale. Sembrano crederlo gli acquirenti di lettori digitali: alla fine del 2010 la Apple avrà venduto 5,5 milioni di iPad, Amazon 3 milioni di Kindle e la più grande catena libraria statunitense, la Barnes & Noble (che ha già 1,2 milioni di titoli nel suo eBookstore), un milione di Nook.
Questa situazione si ripeterà, prima o poi, anche da noi e la domanda che dovranno porsi tutti è: quanto ci metterà la gente a preferire i libri digitali ai libri di carta, così com'è accaduto per la musica (dove l'industria dei dischi e dei cd è stata sconfitta dalla vendita della musica online)?
Il passaggio dall'editoria analogica a quella digitale metterà in luce, con ancora maggior evidenza, i problemi dell'industria libraria. In Italia, vai bene ricordarlo, ci sono 2.900 case-editrici che pubblicano 61.000 titoli l'anno. Di questi, 6 titoli su 10 non vendono praticamente una copia. Come ho scritto in Che fine faranno i libri (Nottetempo, 2010), c'è anzitutto una crisi di sovrapproduzione: come nella maggior parte dei grandi paesi, si producono annualmente troppi libri e la maggior parte di essi non riesce a trovare nemmeno un canale distributivo. Anche perché le librerie, anquelle più grandi, non potrebbero mai esporre tutta quella quantità di volumi (e questo favorirà certamente lo sviluppo delle librerie online). L'editoria digitale, rendendo immateriali i libri, potrà proporre, a costi ridotti, tutti i libri che si vuole, senza limitazioni di spazio e di numero. Attraverso i vari motori di ricerca sarà possibile recuperare sul proprio computer o lettore digitale tutti i libri che ci interessano e scoprirne (come quando si scorrono le paginate di Google) di nuovi e insospettati. Tutto sarà disponibile, contemporaneamente. Non esisteranno più i libri esauriti e irrintracciabili. Chiunque potrà scriver quel che vuole e metterlo a disposizione della comunità dei potenziali lettori.
Questa nuova realtà arricchirà il sapere e le possibilità di accedervi, oltretutto a basso costo. Anche nel campo dei libri, la Rete si dimostrerà essere una grande rivoluzione democratica: tutto a disposizione di tutti, e a basso costo, quasi senza limitazioni (che non siano le barriere linguistiche o le complessità dei saperi). Ma, a parte l'utilità dei motori di ricerca, nessuno sarà in grado di selezionare e possedere la sterminata offerta che la Rete gli proporrà. Se chiunque, ad esempio, potrà scrivere un romanzo e metterlo a disposizione degli altri in Rete, verremo, ancor di più di quanto avviene oggi, subissati dalle storie: come scegliere?, come individuare nuovi autori interessanti?, come curare a colpo sicuro il genere di libro che fa per noi?
Fino a oggi la selezione è stata fatta (con criteri non sempre indiscutibili, ma tutto sommato efficaci) dagli editori: la loro funzione di ricerca, selezione, correzione e promozione è stata fondamentale. Qualcuno è rimasto fuori, ha dovuto sudare sette camicie per farsi notare e apprezzare, o è stato scoperto postumo, ma è indubitabile che la cultura è andata avanti proprio grazie agli editori che hanno saputo separare il grano dal loglio (zizzania). Anche se spesso mossi da autentica passione e gusto per le belle storie, non lo hanno fatto, è ovvio, disinteressatamente. Il possibile successo, e il conseguente ricavo economico, sono stati le loro molle. Ma in futuro chi opererà questa selezione? E che convenienza avrà a farlo?
Dinanzi al maremagnum della produzione digitale, nasceranno, nuove figure professionali. Come gli "aggregatori" per i giornali (che selezionano dalla Rete delle notizie su vari argomenti e le mettono assieme, proponendole in un blog personale o in un vero e proprio "giornale dei giornali" online), ci dovranno essere dei "selezionatori" per i libri: persone che leggono tutto e scelgono il meglio. Faranno dei rapporti periodici a pagamento indicando cosa val la pena di leggere e perché. Sarà tutto sommato più facile, che nell'editoria tradizionale odierna, smascherare coloro che sceglieranno per altri interessi che non siano la qualità. Si creeranno, come già oggi avviene con i blog, dei rapporti di fiducia che permetteranno di scegliere con una certa sicurezza. Come ci sono coloro che acquistano, ad esempio, un libro di una certa casa editrice, anche senza conoscerne l'autore e il contenuto, perché essa ha saputo conquistarsi la fiducia con la bontà delle proposte e con la cura della realizzazione editoriale, così ci si indirizzerà verso certi "selezionatori" che hanno dimostrato a noi (o a qualcuno che ce li consiglierà) di saper scegliere i buoni libri, magari motivando, in modo esaustivo e convincente, le proprie scelte (cosa che purtroppo i recensori sulle pagine culturali dei giornali non fanno quasi più). Tornerà in questo modo il ruolo essenziale della critica.
La grande sfida che l'editoria elettronica propone è quindi quella della «Qualità». Anche nel caso dei libri digitali la cura editoriale, la bontà dell'eventuale traduzione, la ricchezza e l'affidabilità degli apparati, saranno decisivi per la qualità di un libro. I puri testi sono infatti solo una parte dei libri. Il grande lavoro di trasformazione che c'è dietro, e che giustifica quasi sempre il loro prezzo, non sparirà e i veri lettori saranno sempre disposti a pagare per questo. I redattori e i correttori di bozze avranno un grande ruolo anche in un auspicabile futuro dove si premierà sempre più, dal momento che la possibilità di scelta è quasi infinita, la cura dei libri (seppur immateriali).
Nel periodo intermedio, che durerà ancora degli anni, in cui coesisteranno libri cartacei e libri elettronici, i librai (che insieme agli stampatori sono la categoria editoriale più a rischio) dovranno diventare sempre più dei fornitori di servizi e, soprattutto, operare delle scelte qualitative forti, selezionando per la propria clientela il meglio della produzione. Le librerie si salveranno se diventeranno dei punti di piacevole aggregazione, dove si possa anche bere e mangiare delle cose buone come buoni sono i libri che si offrono. Ma le librerie dovranno essere dei forum per gli autori. Infatti, dal momento che il copyright con i libri elettronici diverrà sempre più incerto e debole, gli autori torneranno a guadagnare con letture pubbliche (come guadagnavano Omero o Ariosto, che non hanno mai visto un soldo di diritti d'autore?), spettacoli, conferenze e lezioni pubbliche. Le librerie saranno degli "showroom" per lettori che cercano qualcosa di nuovo.

 

 

IL SOLE 24 ORE (Domenica)

domenica 11 luglio 2010
6

Critici digitali

Senza scrittori ma con i blogger

di Stefano Salis
Era già accaduto nella settimana tra Natale e Capodanno, con un post sul blog della giornalista di Repubblica Loredana Lipperini, Lipperatura (http://loredanatipperini.blog.kataweb.it) dedicato al tema del fantasy. Una discussione durata una settimana, con co-protagonista il critico letterario Andrea Cortellessa, solo contro tutti. (Con fior di conoscitori del fantasy...).
Si è ripetuta questa settimana, dopo il post dedicato al dvd, realizzato sempre da Cortellessa, intitolato Senza scrittori (ne riparleremo), sulla situazione della letteratura italiana e i meccanismi del mercato editoriale. È seguito un diluvio dicommenti, punti di vista, e, al solito, insulti e improperi: oltre 800 e si continua ancora. Tanto che, a un certo punto, per rendere più leggibile l'intera discussione si è deciso di trasporla - sotto gli auspici dei Wu Ming - in fonnatoPdf (l'effetto "carta" facilita la lettura, meglio del «rotolone schermaceo», come è stato definito lo scorrere sul video dei commenti): scatenando, manco a dirlo, altre polemiche. Stavolta non letterarie ma tra chi non voleva finire in un "simil-libro", chi non voleva che fosse manipolato o editato alcunché, chi riteneva arbitraria l'operazione. La controversia si è spostata così da «letteratura & mercato» a una metadiscussione su come (e cosa vuol dire) fare critica sul web.
Forse le due cose non sono così distanti. E occorre rifletterci, per verificare verso quali direzioni si muova la critica letteraria (o, meglio, la discussione pubblica sulla letteratura) e per capire come, per l'ennesima volta, questa disputa sui blog mostri insieme i limiti e le potenzialità della critica online.
Un passo indietro. Del film di Cortellessa si è parlato (quasi tutti) solo per sentito dire: pochissimi l'avevano visto. Il dibattito si è subito spostato su scenari più ampi. Una deviazione tipica - e piuttosto fastidiosa - del modo di parlare online: più che dell'oggetto in sé si commentano i commenti degli intervenuti e si agisce come se ogni volta si dovesse ricapitolare un'intera visione del mondo.
Tant'è. Il fatto però che, da subito, nel confronto si sia infilato lo stesso Cortellessa è uno dei tipici punti di forza del web sulla carta (è presente l'autore; che ha ribadito i suoi convincimenti da una posizione, fino a un certo punto, oggettivamente di forza).
Gli interlocutori del critico erano moltissimi, ma pochi di qualità: sicuramente i Wu Ming, il collettivo che da anni gestisce un altro dei blog letterari italiani più interessanti, molti altri - spesso celati da insulsi nickname (sì, lo sappiamo, è una regola della rete, ma resta il fatto che l'anonimato quando si prende la parola o, peggio, si insulta qualcuno è vigliacco) - non certo all'altezza di un dibattito sì - dice Cortellessa -. Intemet dà la possibilità di discutere, anche costruttivamente, e riempie un vuoto che su altri mezzi non si riesce più ad avere». Ma non ha, spesso, la stessa autorevolezza. Cortellessa è uno dei pochi critici abituati alla rete, pur avendo solida formazione "tradizionale" ed essendo accademico. Il pregevole volume di Giulia Iannuzzi, L'informazione letteraria nel web (Biblion edizioni) aveva fotografato i siti migliori (e concordiamo) sull'argomento: Nazione Indiana, Carmillaonline, Wu Ming Foundation, Il primo amore (collettivi e tutti contraddistinti da una forte spinta all'impegno civile), il citato Lipperatura e Vibrisse dello scrittore Giulio Mozzi.
La loro esistenza ha, di fatto, tolto forza alle riviste letterarie cartacee (e si veda l'ottimo spunto di Nazione Indiana sulla condizione di scrittore oggi in Italia): tanto che la neonata «alfabetaa» non avrebbe potuto fare ameno del sito (e se dovessimo scommettere sulla sopravvivenza di una delle due forme..) e la stessa «Riga», benemerita rivista-libro, con regia di MarcoBelpoliti, sta pensando a un allargamento online.
Gestire le discussioni sui blog è delicato. La stragrande maggioranza di chi interviene scambia il blog con il bancone del bar e, infatti, la legittimità all'intervento (Internet è sommamente democratica), anche nell'ultima discussione su Lipperatura, è stata messa in dubbio da qualcuno. È vero: molti commentatori sono dilettanti e si vede lontano un miglio che non sanno di cosa parlano (specie quando si avventurano in analisi dell'editoria): nel complesso rendono più debole l'insieme della discussione, anche se, ovviamente, hanno tutto il diritto di intervenire. Forse è per questo, mancanza di trasparenza nei nomi, impossibilità di editing degli interventi che i blog non hanno ancora trovato su questo terreno della critica letteraria l'autorevolezza di un giornale cartaceo. Peccato. Ma magari ci sbagliamo.
Eppure, convinti come siamo che sempre più su Internet vincerà la qualità dell'informazione, prima ci si libera del ronzio di fondo, meglio sarà. A meno che non si voglia ammettere che il discorso critico non sia solo una questione di «mi piace-non mi piace». Indietro non si torna, è evidente. Sarebbe bello, perciò, andare avanti. I critici, i giornalisti e i lettori più svegli ci stanno provando. Anche se la sensazione di perdere tempo ogni tanto si farà strada...