Rassegna Stampa

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IL SOLE - 24 ORE

domenica 26 luglio 2009
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Povere biblioteche d'I-taglia

Penuria di soldi, personale ridotto e abulico, orari rigidi, tempi lunghi d'attesa.
Viaggio nelle miserie del patrimonio librario italiano.
Le eccezioni: Pistoia, Reggio Emilia, Napoli

di Roberto Coaloa

Provate a entrare in una biblioteca pubblica italiana, ad esempio la Sormani di Milano; si ha la sensazione che il bibliotecarioconsideri il lettore un nemico, un antipatico flàneur, un fannullone. Si rinlane sconcertati dai tempi di attesa per avere un libro in consultazione e spesso le sale sono troppo rumorose per dedicarsi alla lettura. E. sorprende ancora di più non trovare opere di autori viventi, ma già classici, come Alberto Arbasino. Nelle biblioteche italiane l'orario è assurdo: quasi impossibile per chi lavora durante il giorno trovarle aperte di sera (come succede in tutta Europa, dove sono accessibili fino a mezzanotte c anche di domenica). Aggiungiamo che il prestito è scoraggiato. Per lo studioso, l'unica chance di avere un libro in consultazione in tempi ragionevoli è affidata alla conoscenza personale del bibliotecario. Spesso biblioteche civiche di provincia, che contengono fondi appartenuti a studiosi insigni o conservano biblioteche di famiglie aristocratiche, sono "dirette" da segretari comunali (non esperti bibliotecari dal curriculum comune il faut), che trasformano la biblioteca in stanze di ricevimento penamici. Negli ultimi 25 anni. molte biblioteche pubbliche si sono "modernizzate" cercando di attirare nuovi utenti, adottando degli spazi più simili a quelli di librerie o di negozi. In qualche comune si pensa anche di realizzare una piscina per l'estate, assumendo dei bagnini perla distribuzione di libri. II miraggio è quello di alcune biblioteche americane o europee, come la Openbare Bibliotheek di Amsterdam, dove il settore tecnologico è al top, dove l'accesso a interne è libero e i lettori possono bere e mangiare, passeggiando tra comodi scaffali aperti nelle sale. In Italia, l'esistenza di biblioteche di conservazione rende difficile l'idea di una biblioteca più à lapage. Alcune hanno però saputo trasformarsi, diventando un luogo gradito allo studioso: a Pistoia si trova una delle biblioteche più moderne e frequentate della Toscana; in Emilia Romagna primeggiano la Panizzi di Reggio Emilia, la Delfini di Modena e soprattutto la Ariostea di Ferrara, luogo di forti emozioni per la storia che vi hanno illustrato personaggi come Ariosto e Paracelso. Accanto alle sale severe, in un andito buio si scopre l'altare profano dedicato al culto di Vincenzo Monti (è conservato il suo cuore in un'ampolla), ci sono giardini interni dove gli studenti possono mangiare e bere conversando con gli studiosi che cercano un momento di tregua dalle sudate carte. Lo studioso avvezzo a peregrinazioni e ricerche conosce al tri spazi di eccellenza. A Milano si trovano vere isole di cultura, come la Braidense o la Trivulziana. Quest'anno ricorre il quarto centenario dell'apertura al pubblico (1609) della Biblioteca Ambrosiana. Il responsabile, Monsignor Buzzi, annuncia che per festeggiare la ricorrenza dal 10 settembre e per sei anni consecutivi sarà esposto il Codice Atlantico di Leonardo. Nel 1816, Lord Byron andò in estasi per la collezione di manoscritti della Biblioteca Ambrosiana creata dal cardinale Federico Borromeo. Non solo: rubò anche una ciocca di capelli di Lucrezia Borgia. Oggi, assicura Buzzi, un fiuto del genere sarebbe impossibile. Quel che resta della ciocca di Lucrezia Borgia è ora visibile nelle sale della Pinacoteca. Il direttore della Biblioteca Nazionale di Napoli, Mauro Giancaspro, commenta sconsolato i magri o addirittura assenti fondi destinati al funzionamento delle biblioteche pubbliche italiane: «I tagli presenti nel Bilancio dello Stato sono un errore: la biblioteca ha un ruolo sociale di rilievo, inoltre non è solo un luogo per raccogliere informazioni, è anche un luogo di emozioni». A Napoli, infatti, la Biblioteca Nazionale conserva i capolavori dei Farnese, degli Aragonesi, dei Borbone (al direttore Giancaspro è capitata la sorte d'avere come ufficio la stanza dove è nato Vittorio Emanuele III...). Lo studioso che si avventuri negli spazi della Nazionale (l'entrata è gratuita) può godere di un'ebbrezza anamnestica, in cui tempi e luoghi lontani irrompono nell'attimo e nella contemplazione d'antiche pietre. Giancaspro è orgoglioso della "sua" biblioteca: «Le porte della Nazionale sono aperte a tutti, soprattutto ai napoletani, che quando varcano per la prima volta la soglia esprimono il loro stupore: "E chi andava all'idea?" (chi poteva immaginarlo?)». Il personale attuale della Biblioteca è di 280 unità. Si deve occupare di 20mila metri quadrati, con 2 milioni di libri. L'eccellenza della Nazionale, osserva Giancaspro, è frutto anche di «situazioni acrobatiche»: con grandi sacrifici e turni di lavoro, l'apertura della biblioteca è garantita anche ad agosto dalle 8.30 alle 19.30. A Torino, l'Accademia delle Scienze riceve dal ministero un contributo che è diminuito negli anni da 92mila (2002) a 69.320 euro (2008). Nella capitale sabauda, la Biblioteca Nazionale Universitaria vive una situazione drammatica: i magri fondi del ministero per i Beni e le Attività culturali non permettono più di aggiornare la cospicua e originale raccolta sul diritto, l'arte e il cinema. Le materie scientifiche sono le più penalizzate. Nel 2005 i fondi ministeriali per l'acquisto di libri erano stati di 390mila euro, scesi nel 2008 a 216mila euro. Nel 2009, il fondo annunciato è di 159mila euro. Negli anni Novanta nella biblioteca lavoravano 140 persone. Adesso sono rimasti in ottanta. L'ultimo concorso da bibliotecario risale al 1999 e ha fatto arrivare un solo nuovo addetto.
Questo il quadro. I tagli del ministero per i Beni e le Attività culturali pesano su molte delle biblioteche più importanti del Paese. E penalizzano il ricercatore, costretto a costruirsi un proprio fondo a casa (il filosofo, ad esempio, può trovare prime edizioni di Hobbes ma non studi recenti sul pensatore inglese). Per questo motivo l'abitazione di uno studioso italiano diventa un magazzino ingombro di libri che invadono spesso anche la cucina e il bagno. Come ha osservato in varie occasioni Tullio De Mauro, un professore americano o francese ha pochi libri in casa, per la semplice ragione che, a differenza dei colleghi italiani, può contare su ottime biblioteche nella città in cui vive.

 

 

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domenica 26 luglio 2009
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Mali culturali

La scure sui libri. E le auto blu?

di Tullio Gregory

E' probabile che i ragionieri preposti a redigere il Bilancio dello Stato italiano abbiano ottima conoscenza dei libri contabili, ma non sappiano, o abbiano dimenticato, che esistono altri libri, testimoni vivi della storia della civiltà, raccolti e conservati in biblioteche che costituiscono dei laboratori di ricerca e dei centri di sviluppo civile, oltre a rappresentare patrimoni identitari per ilpaese al quale appartengono. Se di questo i suddetti ragionieri avessero la pur minima consapevolezza, non avrebbero iscritto nel Bilancio dello Stato 2009 al capitolo 3.609, destinato al funzionamento della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, la somma di euro zero virgola zero zero (scrivo in lettere affinché non si pensi a un errore di stampa). Questa cifra straordinaria, iscritta a Bilancio, commentava in seduta un autorevole membro del Consiglio superiore del ministero per i Beni e le attività culturali, è indice della più desolante barbarie. Inutile osservare che un paese senza biblioteche funzionanti e aggiornate è destinato a un rapido declino e alla perdita della sua stessa memoria. Non basta: al capitolo 3.610, per il funzionamento della Biblioteca nazionale centrale di Roma, è iscritta la cifra di 1.558.456,00, precisamente il 49,70% rispetto a quanto stanziato per il 2001 (€ 3.098.741,39) in termini secchi, senza calcolare l'inflazione. Forse a parziale scusa dei ragionieri va ricordato che tutti i governi hanno sistematicamente ridotto questo capitolo di bilancio: le biblioteche nazionali non portano voti.
Per ulteriore taglio delle spese a danno della cultura - e delle sue istituzioni - alle biblioteche non si è permesso di rinnovare i1 personale, colmando i vuoti conseguenti ai pensionamenti: se la dotazione organica della Nazionale di Roma è di 392 unità, oggi il persona-le ne conta 270; alla Nazionale di Firenze rispetto a un organico di 334 unità, sono in servizio 208 dipendenti.
Ulteriore umiliazione anche per altre biblioteche statali: la Marucelliana di Firenze, l'Angelica e la Casanatense di Roma, fra le più importanti in Europa per tradizione e patrimonio, sono state declassate di rango affinché i direttori non siano più di ruolo dirigenziale, cioè dotati di quell'esperienza e cultura che deriva da una complessa carriera. Un modo per pagare meno i nuovi direttori.
Vorrei consigliare, di passaggio, ai predetti ragionieri, tanto rigorosi, di tagliare dello stesso 49,70% le spese per le macchine di servizio e le scorte: com'è noto l'Italia sopravanza tutti ipaesi europei in questo genere di spesa. Non minore sensibilità per la cultura e le sue tradizioni manifestano i vari anonimi «consiglieri del principe»: prova ne è l'omaggio offerto ai Grandi del G8.In un paese come l'Italia dalla grandissima tradizione grafica e tipografica (dagli Aldo e i Giunta, ai Tallone e Mardersteig) e per l'arte della legatura, è stato offerto un volume la cui eleganza - a giudicare dalle foto e dalla presentazione- è inversamente proporzionale al suo peso (diversi chilogrammi). Si tratta di un volume di grande formato (Antonio Canova. L'invenzione della bellezza), tirato in Io esemplari sulla cui copertina in marmo di Carrara (sic) è stato posto un bassorilievo raffigurante un particolare di un'opera di Canova, «incastonato in un broccato di velluto»; i testi sono stampati su «carta velata di puro cotone», con altre stampe in litoserigrafia e incisioni, e orpelli vari in seta e argento «patinato in oro anticato». Se non bastasse, su ogni copia è stato calligrafato il nome del dedicatario in caratteri gotici: quelli che solo le più arretrate tipografie di provincia usavano, considerandoli caratteri di particolare dignità; non sapendo che si tratta di caratteri "barbari" rifiutati da tutta la tradizione umanistica europea. Volumi realizzati per il G8 da una Fondazione la cui titolare è famosa negli ambienti editoriali italiani.

 

 

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domenica 26 luglio 2009
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Mi hanno vietato Rossini

di Philip Gossett

La situazione di cui vorrei parlare riguarda la biblioteca della Fondazione Rossini, un'istituzione pubblica finanziata dal Comune di Pesaro e dallo Stato italiano. 18 mesi fa ho fatto l'errore di annunciare alla Fondazione di voler andare a Pesaro per studiare tre manoscritti rossiniani che appartengono alla loro collezione, nel norma le orario ali apertura al pubblico. Sono andato, ma mi hanno informato di aver Inondato quattro manoscritti musicali di Rossini in "restauro", fra cui i tre che avevo richiesto. Tuttavia, mi ha:mo fatto portare altri manoscritti da consultare presso la biblioteca, nel Palazzo Antaldi (i manoscritti si trovano attualmente nel cosiddetto "Tempietto" presso il Conservatorio) e mi hanno assicurato che in futuro avrei potuto vedere quei manoscritti. Nel giugno 2009 ho scritto di nuovo alla Fondazione per dire che avevo intenzione di recarmi a studiare in biblioteca. Quando sono arrivato, ho scoperto che adesso è necessario avere un permesso scritto per vedere un manoscritto: una nuova regola, di cui non c'era nessuna indicazione. Certamente non era la regola 18 mesi fa e non è scritto da nessuna parte. Poi, i responsabili erano tutti fuori sede e irraggiungibili. Per fortuna, forse perché ho parlato pubblicamente di questi incidenti, adesso la Fondazione ha permesso a un mio studente di vedere i manoscritti (essendo cr Chicago in questo momento, non ho potuto tornare io stesso). E mi hanno assicurato che i problemi di questo tipo non succederanno di nuovo. Mi sembra che
un 'istituzione pubblica non abbia il diritto di fare una cosa del genere, e forse si dovrebbe dire chiaramente al pubblico, al governo italiano e alla città di Pesaro che dovrebbero verificare la gestione di un 'istituzione dar essi finanziata e che impedisce la ricerca. Forse la collezione della Fondazione Rossini dovrebbe essere depositata interamente alla Biblioteca Oliveriana di Pesaro, dove gli studiosi possono accedere normalmente senza esser coinvolti in una situazione politicamente difficile. O forse si
potrebbe semplicemente chiedere che - come biblioteca pubblica - la Fondazione Rossini agisca come le altre biblioteche di tutto il mondo, dalla Library of Congress alla British Library, dalla Bibliothèque Nationale all'Accademia Nazionale di Santa Cecilia, che hanno scritto i loro regolamenti con chiarezza e
trasparenza, regolamenti che sono uguali per tutti gli studiosi.

 

 

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domenica 26 luglio 2009
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Francoforte

La signora delle lettere tedesche

di Alessandro Melazzini

Francoforte è di nuovo in rivolta. Ma la battaglia è pacifica, e il vincitore ormai certo. E una donna, viene dall'Italia e per lei scrittori e premi Nobel han sollevato la penna. Nella città delle banche, un tempo culla del Sessantotto tedesco, Maria Gazzettida quindici anni è un'istituzione. Lo è a tal punto che, quando ha minacciato di andarsene, la stampa tedesca si è listata a lutto. Maria dirige la Casa della Letteratura di Francoforte, patria natale di Goethe. «Quella della Literaturhaus è una tradizione tipicamente tedesca, sebbene piuttosto recente» ci spiega la Gazzetti nel candido palazzo neo-classico sede dell'istituzione. Qui un tempo vi erano gli spazi della biblioteca civica, consultata da Schopenhauer. Distrutto nell'ultima guerra, ora l'edificio è risorto clonato. Quando vent'anni fa dei cittadini si associano per far nascere a Berlino la prima Casa della Letteratura, l'economia e la politica tedesca fanno a gara per investire nella cultura. Alla prima Literaturhaus sulla Sprea seguono poi tutte le altre città che non vogliono essere da meno in questa virtuosacompetizione. Oggi l'istituzione di Francoforte ospita con frequenza quasi giornaliera pubbliche letture di scrittori, mostre, congressi e corsi di scrittura creativa. Le sale vengono anche affittate a chi ama festeggiare circondato dai libri. Perché di ogni opera presentata la direttrice tiene una copia in esposizione. «Alla Grande Gazzetti» si legge vergato in italiano su un volume di Imre Kertész, invitato da Maria ben prima che vincesse il Nobel, secondo un programma che vede autori affermati e di grande richiamo alternarsi a scrittori promettenti ma ancora sconosciuti. Prima di assumere la direzione a Francoforte, Maria ha alle spalle un periodo di collaborazione nella medesima istituzione di Amburgo, dove arriva nel 1975. «Studiavo alla Sapienza ma era difficile apprendere con aule sovraffollate. Scelsi di andarmene anche per una situazione familiare molto chiusa, un po' a La Pianista di Elfriede Jelinek, sebbene meno drammatica. Tutti mi chiesero come fosse possibile lasciare volonttariamente Roma per la Germania, ma allora l'Italia per me era una prigione». Amburgo è un altro mondo. Maria impara velocemente la lingua, poi s'iscrive alla facoltà di storia medioevale, letteratura comparata e storia dell'arte, dove è assistente di Horst Bredekamp. Una biografia in tedesco su D'Annunzio le apre le porte per le collaborazioni con le riviste culturali. «Scelsi però di non proseguire né la carriera accademica né quella giornalistica e mi trasferii in una comunità di artisti. Si chiamavano i "Nuovi Selvaggi", con loro ho vissuto una bellissima bohème».
Maria organizza mostre, appende quadri, manda inviti e apprende l'arte dell'organizzazione culturale che gli tornerà utile poi. Oggi amministra un budget di circa 600mila euro annuali, finanziato per metà dal comune di Francoforte, che nel 2005 le "regala" il nuovo principesco palazzo, con grande amarezza del milieu intellettuale che amava ritrovarsi nel ristorante della vecchia sede, dove pranzavano Habermas, Martin Walser o Joschka Fischer. Quest'anno alcune tensioni con il consiglio di amministrazione portano la Gazzetti ad annunciare di non voler rinnovare il contratto in scadenza. Ma se alla notizia di un altro abbandono, quello della casa editrice Suhrkamp diretta a Berlino, i cittadini accolgono la perdita con una stizzita alzata di spalle, quando scoprono le intenzioni di Maria scoppia il finimondo. I quotidiani della Repubblica Federale inneggiano a suo favore, scrittori come la Jelinek, Ingo Schulze, Martin Mosebach, Imre Kertész, Péter Esterhàzy e altri pubblicano addirittura un appello affinché rimanga. Di fronte a simili dimostrazioni, il presidente della Casa in un'agitata assemblea viene sfiduciato e sostituito dai soci con Joachim Unseld, figlio del triarca di quella casa editrice per volere della nuova proprietà ha appena voltato le spalle alla città sul Meno. «Tutto ciò mi ha sorpreso e inorgoglito: come direttrice e
come italiana». Già, l'Italia. Maria l'ha proprio dimenticata? «In realtà coltivo un sogno. Quello di tornare per far conoscere al lettore italiano la moderna letteratura tedesca e dell'Est. E' un mondo affascinante, ancora quasi sconosciuto».
alessandro@melazzini.com