Rassegna Stampa

A cura della Cooperativa Sociale AltraCittà di Padova
via Montà 182, 35136 PD, tel 049-8901375
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CARCERE: cooperative sociali

aprile-maggio-giugno 2010

Nel sommario e negli articoli interni (inizio tabella) in rosso (corsivo) sono indicati i descrittori di ogni articolo, mentre in nero (corsivo) gli identificatori

Sommario

  1. 06/04/2010 Il Giornale - Bollate: "Liberi di vivere"; rassegna di teatro, fino all’1 maggio
    Teatro - Milano/Bollate, "Cooperativa Sociale e.s.t.i.a", "Liberi di vivere" (rassegna teatrale)

  2. 12/04/2010 La Nuova Ferrara - Ferrara: "Arti in Libertà"; nasce Coop. reinserimento detenuti
    Reinserimento lavorativo - Ferrara, "Arti in Libertà" (Cooperativa), "Legacoop", "Coperfidi Italia"

  3. 15/04/2010 Trani Informa - Trani: un corso di informatica per il reinserimento dei detenuti
    Riqualificazione professionale, informatica - Trani, "Informatica in Comunità", "Uno tra noi" (Cooperativa), "futuro@lfemminile" (progetto di responsabilità sociale di Microsoft Italia e Acer)

  4. 17/04/2010 AdnKronos - Aosta: attivata lavanderia, darà lavoro regolare a tre detenuti
    Lavoro inframurario - Aosta, "Les Jeunes Relieurs" (cooperativa del Consorzio Trait d’Union)

  5. 17/04/2010 Redattore sociale - Bologna: il carcere raccontato… attraverso pittura e fotografia
    Cultura, mostra - Bologna, "Dentro e fuori: scatti e pitture" (mostra pittorica-fotografica), "Dai Crocicchi" (cooperativa)

  6. 19/04/2010 Redattore sociale - Aosta: una lavanderia, nella Casa Circondariale di Brissogne
    Lavoro inframurario - Aosta, lavanderia, "Les Jeunes Relieurs" (cooperativa del Consorzio Trait d’Union)

  7. 23/04/2010 La Repubblica - Milano: il festival dei detenuti-attori entra nel carcere di Bollate
    Teatro - Milano, "Liberi di vivere" (festival teatrale), "e. s. t. i. a./Teatro In-Stabile" (cooperativa)

  8. 25/04/2010 Corriere Cesenate - Forlì-Cesena: lotta esclusione sociale passa attraverso il lavoro
    Reinserimento lavorativo - Forlì-Cesena, "Orogel Fresco" (struttura cooperativa cesenate)

  9. 03/05/2010 La Nuova Venezia - Venezia: la cooperativa delle detenute-sarte, in crisi di liquidità
    Lavoro inframurario, finanziamento - Venezia, "Il Cerchio" (Cooperativa sociale), “Banco del Lotto” (negozio della cooperativa "Il Cerchio"), Gianni Trevisan

  10. 26/05/2010 Vita - Firenze: presentato alla mostra Terra Futura il Progetto “Recuperiamoci!”
    Lavoro inframurario, reinserimento lavorativo - "Terra Futura" (mostra), “recuperiamoci!” (progetto di recupero lavorativo inframurario), “c’è del buono!” (emporio), www.recuperiamoci.org (portale informativo)

  11. 27/05/2010 Il Piccolo - Trieste: panificatori detenuti accanto ai professionisti producono il “Pane mezzo sale”
    Formazione professionale - Trieste, " Bread&Bar" (laboratorio di panificio), "Polis" (cooperativa), "Pane mezzo sale" (pane prodotto dai detenuti di Trieste)

  12. 30/05/2010 In Veneto - Notizie da Verona. Detenuti al lavoro per la città
    Reinserimento lavorativo - Verona, "Segni" (Coop sociale), "Speranza nel verde" (progetto di reinserimento lavorativo di ex detenuti della cooperativa "Segni")

  13. 04/06/2010 Redattore sociale - Giustizia: lavoro in carcere, una “finestra” sul mondo, ecco l’esperienza di Rebibbia -A-
    Formazione professionale, lavoro inframurario - Roma, "Panta coop" (cooperativa di infissi in alluminio), Mauro Pellegrini

  14. 04/06/2010 Redattore sociale - Giustizia: il direttore di Rebibbia; il carcere non deve essere luogo del nulla -B-
    Formazione professionale, lavoro inframurario - Roma, Stefano Ricca (direttore della Casa di Reclusione di Rebibbia), "Panta coop"(cooperativa di infissi in alluminio), "Syntax Error" (cooperativa di confezionamento pasti), "Spazio verde" (cooperativa di gestione agricola, rifiuti), "Coos" (cooperativa di carrozzeria)

  15. 09/06/2010 La Repubblica - Il ministero chiede infermieri all’Asl, ma l’appalto finisce alle cooperative
    Sanità, appalto pubblico - Genova, "Il Gabbiano" (cooperativa di servizi alla persona di Alessandria)

  16. 10/06/2010 Il Tirreno - Livorno: le orate di Gorgona in vendita sui banchi pescheria dei supermercati Unicoop
    Itticoltura - Livorno/Gorgona, "Supermercati Unicoop"

  17. 14/06/2010 Redattore sociale - Roma: minori “messi alla prova” realizzano un giardino romano nel cuore dell’Eur
    Storia, archeologia, formazione professionale - Roma, "Cecilia" (cooperativa)

  18. 17/06/2010 La Repubblica - Genova: panetteria “Marassi”; centoquaranta chili al giorno finiscono sulle tavole dei genovesi Formazione professionale, lavoro inframurario - Genova, “Italforno" (cooperativa di panificatori), "Coop Liguria"

  19. 18/06/2010 Comunicato stampa - Bologna: Garante; rischio di chiusura per la tipografia all’interno della Casa circondariale
    Lavoro inframurario - Bologna, “Il profumo delle parole” (tipografia), "Consorzio SIC" (consorzio di cooperative sociali), Avv. Desi Bruno (Garante dei diritti delle persone private della libertà personale)

  20. 25/06/2010 www.savonanews.it - Savona: “Detenuti al lavoro”, quarto anni di un progetto al servizio della comunità
    Lavori di pubblica utilità - Savona, “Detenuti al lavoro”, "Coop La Bitta"

  21. 25/06/2010 www.luceraweb.it - Foggia: progetto “Vale la pena”, per alleviare le difficoltà dei detenuti stranieri
    Reinserimento lavorativo, mediatore culturale - Foggia, “Vale la pena” (progetto per alleviare le difficoltà dei detenuti stranieri), "Arcobaleno" (cooperativa), "Emmaus" (cooperativa)

  22. 25/06/2010 Redattore sociale - Padova: i detenuti-pasticceri premiati dall’accademia italiana della cucina
    Lavoro inframurario, reinserimento lavorativo - Padova, “Dino Villani 2010” (premio gastronomico), Nicola Boscoletto, "Giotto" (cooperativa)

  23. 29/06/2010 www.gravinaonline.it - Trani (Ba): “Con gusto, solidali e consapevoli”, presentato progetto a favore dei detenuti
    Lavoro inframurario, reinserimento lavorativo - Trani (Ba), “Con gusto, solidali e consapevoli”, Cooperativa Campo dei Miracoli

  24. 29/06/2010 Redattore sociale - Milano: “Vestiti, usciamo!”, giovane detenuto crea marchio per linea d’abbigliamento
    Milano, “Vestiti, usciamo!” (concorso), "Angelservice" (cooperativa)

  25. 30/06/2010 Redattore sociale - Venezia: un convegno sul lavoro ai detenuti; dalle aziende ancora troppi pregiudizi
    Lavoro inframurario, reinserimento lavorativo - Venezia, "Rio Terà dei pensieri" (cooperativa)

  26. IL GRUPPO DI LAVORO DELLA RASSEGNA STAMPA

Teatro
Milano/Bollate, "Cooperativa Sociale e.s.t.i.a", "Liberi di vivere" (rassegna teatrale)

IL GIORNALE

martedì 6 aprile 2010
1

Bollate: "Liberi di vivere"; rassegna di teatro, fino all’1 maggio

di Marta Calcagno
Andare a teatro lasciando tutti gli oggetti personali in un armadio con lucchetto, passando attraverso un controllo elettronico, e camminando lungo corridoi pieni di ampie finestre, ma tutte sbarrate, prima di arrivare nella sala adibita a ospitare gli spettatori: siamo in carcere, nel carcere di Bollate, dove si apre domani la rassegna teatrale Liberi di vivere, terminerà il 1° maggio. All’interno della casa di reclusione i detenuti hanno realizzato, a partire dal gennaio 2001, uno spazio teatrale attrezzato che apre anche agli esterni.
In aprile, il teatro funzionerà come un vero e proprio stabile: a dare il via alle settimane di spettacolo è la compagnia residente, ovvero il Teatro In-stabile: nata nel 2001 grazie alla Cooperativa Sociale e.s.t.i.a, la compagnia è oggi costituita da attori detenuti e non. Dal 7 al 10 aprile, e poi dal 14 al 17, con un’ultima ripresa il 20, sarà in scena con Il rovescio e il diritto di Camus, un’opera giovanile degli anni 50. Si evocano storie di personaggi poveri, approdati su una riva sperduta lungo il mare di Algeria in cerca di qualche certezza, o storie di riscatti impossibili e amori confusi di una periferia francese.
"Quando iniziammo la nostra attività, qui non c’era niente che potesse somigliare a un teatro", spiega Michelina Capato, che ha fondato la cooperativa, da cui nasce la compagnia di Teatro Instabile, formata da attori professionisti e da detenuti: "Il progetto è stato quello di lavorare a ogni aspetto che riguarda la produzione di uno spettacolo. Dalle scenografie, ai costumi, alla recitazione". Infatti, in carcere, esiste una falegnameria vera e propria, in cui si formano tecnici e scenografi, oltre che attori. Oltre ad aprire la rassegna, la compagnia di Teatro Instabile sarà in scena anche con il secondo spettacolo in programma, Non sopporto più, dal 21 al 23 aprile: "si tratta di un lavoro di improvvisazione guidata" dice ancora Michelina Capato".
Il 22 aprile sarà la volta della Compagnia Evadere Teatro Sezione G8, del Carcere di Rebibbia con Viaggio all’Isola di Sakhalin, spettacolo liberamente ispirato al reportage che Cechov scrisse alla fine del 1800 visitando la colonia penale all’estremo oriente della Russia. Alla descrizione delle condizioni di detenzione degli ergastolani reclusi, si intreccia il racconto di una delle più sorprendenti esperienze dello scienziato Oliver Sacks.
E il 30 aprile il teatro lascerà il posto al video per la serata Videojail, la proiezione delle video lettere dalle carceri di tutt’Europa e i cortometraggi realizzati a partire dalle immagini d’archivio dell’Istituto Nazionale Audiovisuale Fr. La compagnia Instabile chiuderà con Psycopathia Sinpathica, che ha segnato l’inizio dell’attività di residenza. Info  331/5672144  331/5672144 , estiacultura@cooperativaestia.it; ingresso intero 15 (ridotto 10). Obbligatorio l’accredito preventivo di tutti gli spettatori in cooperativaestia.it

 

 

Reinserimento lavorativo
Ferrara, "Arti in Libertà" (Cooperativa), "Legacoop", "Coperfidi Italia"

LA NUOVA FERRARA

lunedì 12 aprile 2010
2

Ferrara: "Arti in Libertà"; nasce Coop. reinserimento detenuti

Un ponte fra il prima e il dopo carcere, un mezzo per restituire la dignità alle persone che pagheranno il loro debito verso la società attraverso il lavoro, una piccola realtà imprenditoriale in grado di abbattere i muri della diffidenza.
Tutto questo e molto altro ancora è la cooperativa "Arti in Libertà", inaugurata ieri in via Monteverdi 12 (zona via Bologna) dal sindaco Tiziano Tagliani, da rappresentanti delle istituzioni tra cui il vice prefetto Marchesiello, dal vicario monsignor Grandini, monsignor Bentivoglio, don Marco Bezzi, don Bedin e don Zerbini e dai suoi promotori.
Nata sotto il segno della solidarietà verso i reclusi della casa circondariale di via Arginone sin dal 1997 quando un gruppo di persone chiese di entrare in carcere per affiancarsi all’attività del cappellano don Bentivoglio, ottenendo l’autorizzazione, si costituì prima nell’associazione "Noi per loro" (sede in via Adelardi) e successivamente nel 2006 come cooperativa onlus con l’obiettivo di promuovere esperienze lavorative.
"Insieme a tre collaboratori - ha ricordato il presidente Luciano Fergnani - Dario Valentini, Mara Maietti e la straordinaria Paola Camerani che ci ha purtroppo lasciati solo pochi mesi fa senza vedere la realizzazione del nostro sogno, abbiamo fortemente creduto in questo progetto che si sta già sviluppando non solo attraverso questa ampia e spaziosa struttura, ma nell’attuazione di un primo corso di formazione per operatore grafico di stampa che qui lavorerà, ma con un secondo corso che darà le stesse opportunità ad altri detenuti in semilibertà o che hanno già scontato la pena". L’inserimento nel mondo del lavoro è infatti uno degli ostacoli più gravi che incontrano le persone quando escono dal carcere, verso le quali molti provano un sentimento di "giustificabile diffidenza".
La cooperativa invece dotata di moderne ed efficaci attrezzature, eco-compatibili con l’ambiente, acquistate grazie alla generosa donazione di 100 mila euro che l’avvocato Antonietti ha dato in ricordo della moglie Gina Castaldi, diventerà un importante luogo di formazione e integrazione sociale. "Quando mi presentarono il progetto che trovai molto interessante - ha ricordato il sindaco Tagliani - aveva però il difetto di basarsi su parecchi finanziamenti sui quali io non ci avrei scommesso molto. Invece qualcuno la chiama Provvidenza, altri fortuna ma è riuscito a decollare restituendo la speranza e la dignità a molte persone".
Non è mancata in verità la collaborazione da parte della Provincia, Comune, carcere, Uepe, Coperfidi Italia, Emilbanca, Legacoop e Cesvip ma la spinta determinante l’hanno data i fondatori e i volontari la cui umiltà e coraggio sono stati lodati dal direttore del carcere Francesco Cacciola. "È questa un’iniziativa carica di responsabilità per noi perché siamo chiamati ad una selezione dei detenuti, ma non per questo mancherà il nostro sostegno". Sono intervenuti Dario Valentini che ha sottolineato il senso di rispetto che si deve avere verso ogni individuo anche se ha sbagliato insieme all’opportunità di recuperare la propria dignità e Andrea Benini, vice presidente di Lega Coop, che ha definito Arti in Libertà un valore aggiunto e un’occasione di emancipazione.

 

 

Riqualificazione professionale, informatica
Trani, "Informatica in Comunità", "Uno tra noi" (Cooperativa), "futuro@lfemminile" (progetto di responsabilità sociale di Microsoft Italia e Acer)

TRANI INFORMA

 giovedì 15 aprile 2010
3

Trani: un corso di informatica per il reinserimento dei detenuti

Profit e no-profit sempre più uniti in nome di un progetto comune che ha obiettivi ambiziosi: la riqualificazione professionale e il reinserimento nel mondo del lavoro delle persone svantaggiate. Questo è quello che si propone Informatica in Comunità, una scommessa che dura da quattro anni e che vede come promotori Cnca - Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza, Microsoft Italia e Fondazione Adecco per le Pari Opportunità.
La quarta edizione del progetto, che a livello nazionale tocca in tutto otto regioni (Toscana, Trentino, Lombardia, Umbria, Calabria, Piemonte, Puglia, Emilia Romagna), coinvolge anche quest’anno la Puglia, dove in 6 centri Cnca si raggiungeranno circa 480 persone. Le strutture coinvolte, coordinate dalla Coop "Uno tra noi", sono la Casa Circondariale di Trani, l’Azienda Pubblica Servizi alla Persona "Maria Cristina di Savoia" di Bitonto, l’Associazione Micaela di Adelfia (Bari), l’Associazione Comunità sulla strada di Emmaus di Foggia, il Comitato Progetto Uomo e la biblioteca "Don Michele Cafagna" di Bisceglie. I corsi, articolati in moduli di 3 ore ciascuno a cui partecipano gruppi di 8 persone per volta, permettono ai partecipanti di apprendere in modo semplice e diretto come usare il pc, dai primi rudimenti ai programmi di videoscrittura e ai fogli di calcoli fino alla navigazione in Internet e all’utilizzo della posta elettronica.
Ma l’informatica può essere una via per la riqualificazione professionale e per il reinserimento nel mondo del lavoro di persone socialmente svantaggiate? È questa la domanda e l’obiettivo che si pone quest’anno il progetto. A dare la risposta sono i risultati della terza e ultima edizione, partita a gennaio 2009: dei 4.200 partecipanti a livello nazionale ben 500 hanno intrapreso un percorso di reinserimento lavorativo e oltre 90 a giugno avevano già trovato un impiego. Numeri molto alti, considerando che spesso le persone che frequentano i corsi stanno attraversando un percorso di riabilitazione molto lungo che non permette un immediato ingresso nel mondo del lavoro.
Partner e sostenitore dell’iniziativa è, anche quest’anno, futuro@lfemminile, il progetto di responsabilità sociale ideato da Microsoft Italia in collaborazione con Acer, che negli anni scorsi ha promosso i primi corsi gratuiti per le donne di alcune comunità di accoglienza. Il supporto di futuro@lfemminile nell’edizione 2010, come nelle precedenti, oltre a favorire l’alfabetizzazione informatica di base, sarà focalizzato sull’inserimento nel mondo del lavoro delle donne che hanno preso parte ai corsi.

 

 

Lavoro inframurario
Aosta, "Les Jeunes Relieurs" (cooperativa del Consorzio Trait d’Union)

ADNKRONOS

 sabato 17 aprile 2010
4

Aosta: attivata lavanderia, darà lavoro regolare a tre detenuti

La prima ed unica attività lavorativa presso la Casa Circondariale di Brissogne in Valle d’Aosta è una lavanderia nella quale presteranno servizio 3 detenuti con regolare rapporto di lavoro che sarà inaugurata lunedì prossimo. La nuova lavanderia interna affidata in convenzione alla cooperativa sociale Les Jeunes Relieurs erogherà servizi sia alla casa circondariale, per il lavaggio delle lenzuola, coperte, grembiuli da cucina, strofinacci e degli indumenti personali dei detenuti, sia a clienti pubblici e privati.
Tra le prime commesse esterne acquisite, il lavaggio degli indumenti degli anziani utenti del servizio di assistenza domiciliare del Comune di Aosta. Per Domenico Minervini, direttore della Casa Circondariale "l’affidamento di attività lavorative ad imprese e cooperative esterne in cui i detenuti debbano lavorare con condizioni molto simili a quelle delle realtà imprenditoriali esterne rappresenta un passo fondamentale per la formazione e rieducazione del detenuto". La fase di avvio dell’attività lavorativa è stata seguita ed accompagnata dall’Agenzia regionale del lavoro, in particolare attraverso il Programma di Iniziativa Comunitaria Equal ed un corso formativo cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo.

 

 

Cultura, mostra
Bologna, "Dentro e fuori: scatti e pitture" (mostra pittorica-fotografica), "Dai Crocicchi" (cooperativa)

REDATTORE SOCIALE

sabato 17 aprile 2010
5

Bologna: il carcere raccontato… attraverso pittura e fotografia

È l’obiettivo della mostra "Dentro e fuori: scatti e pitture" che viene presentata sabato 17 aprile alla biblioteca Casa di Khaoula. È il frutto di un laboratorio artistico realizzato all’interno del carcere della Dozza di Bologna.
Raccontare il carcere attraverso la pittura e la fotografia. È l’obiettivo della mostra "Dentro e fuori: scatti e pitture" che viene presentata sabato 17 aprile alla biblioteca Casa di Khaoula. È il frutto di un laboratorio artistico realizzato all’interno del carcere della Dozza di Bologna dai volontari dell’associazione "Il Poggeschi per il carcere".
"È una mostra itinerante - afferma Alessandro Sensini, volontario del Centro Poggeschi - per far conoscere alla cittadinanza bolognese il mondo della detenzione e del disagio adulto: storie di donne e uomini che, attraverso un’esperienza creativa, esprimono e interpretano ciò che sta dentro e fuori.
La nostra iniziativa, inoltre, rappresenta uno stimolo per riflettere sulle buone prassi e sugli strumenti che le istituzioni e il privato sociale hanno a disposizione per creare reti di collaborazione e favorire pratiche di solidarietà".
I quadri della mostra sono stati realizzati dai detenuti che negli ultimi anni hanno partecipato al corso di pittura. Da quest’anno, il laboratorio, a cui si sono iscritti circa 30 detenuti, ha coinvolto per la prima volta anche la sezione femminile. Le fotografie, invece, sono state realizzate dai soci e dagli ospiti della cooperativa "Dai Crocicchi", da dieci anni impegnata nel campo del disagio adulto e della detenzione. "I quadri sono anche in vendita - spiega Sensini - perché la nostra intenzione è quella di coniugare l’aspetto artistico e creativo a quello del riscatto sociale. Il ricavato andrà ai detenuti che hanno realizzato le opere".
L’appuntamento è per sabato 17 aprile alle 11 nella biblioteca Casa di Khaoula di via Corticella. A Bologna. Il programma della giornata prevede anche la presentazione, da parte dei bibliotecari di Sala Borsa e della Dozza, del servizio di prestito inter-bibliotecario istituito fra le biblioteche comunali e la casa circondariale di Bologna. Un’iniziativa che negli ultimi anni ha fatto registrare un vero e proprio boom di richieste. Secondo i dati di Sala Borsa, dalle 43 richieste del 2006 si è passati alle 1.431 del 2009. Alle 12 sarà proiettato il documentario "Il diario di Romeo e Giulietta: fare teatro in un carcere minorile" realizzato da Maria Chiara Patuelli e Silvia Storelli di Crossing Tv. Previsto anche un intervento di Valerio Varesi, scrittore e giornalista di Repubblica. Ai partecipanti verrà distribuita una copia della biblio-filmografia "Mondi ristretti" dedicata al tema del carcere e curata dalle biblioteche del quartiere Navile. Non è la prima volta che i lavori creativi dei detenuti vengono presentati al pubblico. La mostra è già stata allestita al Centro Poggeschi, alla biblioteca Lame e alla galleria dell’Arengo di Zola Predosa.
Nella Casa di Khaoula di via Corticella sarà possibile visitarla fino a sabato 24 aprile negli orari di apertura della biblioteca. L’iniziativa, promossa dal Centro Poggeschi e dalla cooperativa "Dai Crocicchi", è realizzata in collaborazione con il Comune di Bologna e il gruppo "Ausilio per la cultura" di Coop Adriatica.

 

 

Lavoro inframurario
Aosta, lavanderia, "Les Jeunes Relieurs" (cooperativa del Consorzio Trait d’Union)

REDATTORE SOCIALE

lunedì 19 aprile 2010
6

Aosta: una lavanderia, nella Casa Circondariale di Brissogne

L’attività sarà gestita dalla Cooperativa Sociale Les Jeunes Relieurs del Consorzio Trait d’Union e vi presteranno servizio 3 detenuti con regolare rapporto di lavoro. Un momento importante per lo "sviluppo" del carcere valdostano.
È stata inaugurata questa mattina alle 11 la nuova lavanderia interna alla Casa Circondariale di Brissogne. La lavanderia sarà gestita dalla Cooperativa Sociale Les Jeunes Relieurs del Consorzio Trait d’Union, e vi presteranno servizio tre detenuti con regolare rapporto di lavoro alle dipendenze della cooperativa. Si tratta di un momento importante per lo "sviluppo" del carcere valdostano: la lavanderia rappresenta infatti ad oggi la prima ed unica attività lavorativa presente all’interno di questo l’istituto di pena.
Lenzuola, coperte, grembiuli, strofinacci e indumenti dei detenuti saranno lavati e stirati dalla nuova lavanderia, che però non si limiterà al solo servizio interno al carcere, ma avrà anche qualche cliente oltre il perimetro della casa circondariale. Tra le prime commesse esterne acquisite vi è il lavaggio degli indumenti degli anziani utenti del servizio di assistenza domiciliare del Comune di Aosta.
"Riuscire a realizzare questo progetto - ha spiegato Domenico Minervini, direttore della Casa Circondariale - costituisce un importante risultato: ci consente di attuare anche in questo istituto quanto auspicato dal nuovo Regolamento Penitenziario del 2000, cioè l’affidamento di attività lavorative a imprese e cooperative esterne, in cui i detenuti debbano lavorare con condizioni molto simili a quelle delle realtà esterne al carcere. Questo è fondamentale per la formazione e la rieducazione del detenuto. Il progetto - continua Minervini - si inserisce in una progettualità più ampia che prevede anche l’impegno lavorativo di detenuti sul territorio. Siamo già partiti con l’inserimento in un’altra cooperativa sociale che opera nella manutenzione delle aree verdi, mentre sono in corso contatti per realizzare ulteriori inserimenti lavorativi esterni nel settore alberghiero e della ristorazione".
"Questa iniziativa - ha aggiunto Carlo Moro responsabile della lavanderia - è nata grazie alla collaborazione e alla fiducia che la Direzione ha voluto accordare alla cooperativa sociale Les Jeunes Relieurs e al Consorzio Trait d’Union e che ha promosso l’iniziativa all’interno del Progetto Equal Pari". Le fasi che hanno preceduto l’avvio dell’attività lavorativa infatti sono state seguite e accompagnate dall’Agenzia regionale del lavoro, in particolare attraverso il Programma di Iniziativa Comunitaria Equal e un corso formativo cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo".
Il Presidente della Regione, anche nel suo ruolo di Coordinatore dell’Osservatorio per la verifica dell’applicazione del Protocollo d’Intesa tra il Ministero di Giustizia e la Regione Autonoma Valle d’Aosta, ha espresso la sua soddisfazione per l’avvio di questa attività. Il progetto infatti è stato più volte oggetto di confronto e aggiornamento nell’ambito dei lavori dell’Osservatorio. La realizzazione di questo ambizioso obiettivo è stata possibile grazie a un impegno della Presidenza della Regione in stretta collaborazione con i responsabili territoriali dell’amministrazione penitenziaria.

 

 

Teatro
Milano, "Liberi di vivere" (festival teatrale), "e. s. t. i. a./Teatro In-Stabile" (cooperativa)

LA REPUBBLICA

venerdì 23 aprile 2010
7

Milano: il festival dei detenuti-attori entra nel carcere di Bollate

Lo spirito è quello di una vera e propria tournée. Ma anziché passare da teatri, ristoranti e alberghi, qui accade tutto in carcere: si fa spettacolo, si mangia, si dorme. Perché gli attori protagonisti del festival "Liberi di vivere", in programma nella casa di reclusione di Bollate, sono detenuti-attori in cerca di un pubblico vero, che infatti, per l’occasione, avrà accesso "dietro le sbarre". Avvantaggiato anche dallo snellimento della procedura di ingresso, per la quale viene richiesta semplicemente una prenotazione via mail con numero di documento di identità. Anima di questo articolato progetto che muove una sessantina di artisti dalle carceri di Rebibbia, Volterra, Padova e Saluzzo, la cooperativa e. s. t. i. a./Teatro In-Stabile, da anni attiva a Bollate dove non solo ha creato una compagnia, ma anche aperto un’attrezzatissima sala da 150 posti.
"È un’operazione che agisce su più livelli, creando connessioni e relazioni - spiega Michelina Capato Sartore, regista e guida di Teatro In-Stabile - Tra detenuti di carceri diverse che possono vedere i rispettivi lavori, e con il pubblico, invitato a condividere quest’esperienza. Fare un festival significa anche rispondere alla crescente domanda di professionalità da parte di chi opera in condizioni di reclusione, ricordando a tutti che il teatro-carcere sta dando risultati molto positivi, in termini economici, culturali e di reinserimento".
E se l’apertura e la chiusura del festival è affidata ai "padroni di casa" di Teatro In-Stabile (stasera con Non sopporto più, happening semiserio contro la noia ripetitiva del teatro e l’1 maggio con lo scanzonato Psycopathia Sinpathica ), per domani sono attesi i primi ospiti, ovvero la compagnia Evadere nata all’interno di Rebibbia e guidata da Fabio Cavalli. Ventinove i performer in scena per questo Viaggio all’isola di Sakhalin che, partendo dal reportage che Cechov scrisse alla fine dell’Ottocento dopo aver visitato la colonia penale del titolo e passando per gli scritti di Oliver Sacks, porta in scena l’esperienza della reclusione senza alcun pietismo.
Arriva invece da Volterra lo spettacolo della Compagnia della Fortezza, forse la più nota delle formazioni teatrali attive in carcere, fondata alla fine degli anni Ottanta da Armando Punzo e da allora fucina inesauribile di spettacoli di rara potenza visionaria, adorati da pubblico e critica (svariati i Premi Ubu). A Bollate sono in scena il 24 aprile con Il libro della Vita/Storia di Alì, scritto dall’ex detenuto Mimoun El Barouni e interpretato da Jamel Bin Salah Soltani. Una confessione autobiografica che comincia in Marocco e finisce nei porti di Marsiglia e Livorno, dove il sogno di una vita migliore naufraga dietro le sbarre di una prigione.
È nato invece nel carcere Due Palazzi di Padova lo spettacolo Annibale non l’ha mai fatto, viaggio sulle rotte illegali di disperati in fuga (28 aprile), mentre i detenuti della casa di reclusione Morandi di Saluzzo presentano Vita!, travolgente messa in scena di teatro fisico e di immagine diretta da Grazia Isoardi (29 aprile). Casa di reclusione di Bollate via Cristina Belgioioso 120, da stasera all’1 maggio.

 

 

Reinserimento lavorativo
Forlì-Cesena, "Orogel Fresco" (struttura cooperativa cesenate)

CORRIERE CESENATE

domenica 25 aprile 2010
8

L’inserimento lavorativo

Forlì-Cesena: lotta esclusione sociale passa attraverso il lavoro

di Michela Mosconi
La lotta all’esclusione sociale passa anche per l’avviamento professionale dei detenuti. A Cesena ci sono esempi positivi, ma restano problemi.
Nel mondo dell’imprenditoria locale ci sono realtà che si stanno muovendo bene in questo senso, dimostrando di essere guidati, nel loro operare, non solo dalla logica del profitto, ma anche da quella etica e morale.
La struttura cooperativa cesenate Orogel Fresco, per esempio, ha in forza presso la propria struttura un operaio ex detenuto con alle spalle problemi di droga, assunta con contratto a tempo determinato. Giuseppe Maldini, presidente della cooperativa, non manca, però, di precisare le difficoltà che si incontrano in questo senso. "L’esperienza di un detenuto o ex detenuto che vuole iniziare un percorso professionale deve inserirsi dentro un preciso cammino di reinserimento. Il carcere non può né deve rappresentare una corsia preferenziale per chi è in cerca di lavoro".
"Neanche - precisa - finito il periodo di prova (in genere 5 o 6 mesi, ndr) si può pensare che finisca anche l’esperienza lavorativa. Un semplice inserimento non è sufficiente. L’aspettativa è trattenere la persona in azienda, e in questo senso tutti dobbiamo compiere molti passi in avanti".
Un pensiero condiviso anche da Gigi Mondardini, imprenditore, tra i titolari della Mareco Luce con sede a Capocolle di Bertinoro. L’impresa, 55 dipendenti, da lavoro a 5 carcerati: 4 attraverso laboratori predisposti direttamente all’interno del carcere di Forlì (attivi da sette anni), mentre uno di loro è in forza all’azienda. "Lo si deve voler fare", attacca così l’imprenditore cesenate raccontando la propria esperienza a contatto coi detenuti.
Uno degli ostacoli maggiori sono le battaglie contro una burocrazia a tratti insormontabile e nella quasi totale assenza delle istituzioni. Ci sono casi limite, per esempio, come quello di chi, straniero educato, per anni, ad una professione, a detenzione conclusa si ritrova clandestino e quindi non avente diritto ad un impiego in regola.
"In questo modo, se lo assumo infrango la legge, e l’aspirante lavoratore è costretto a tornare nel suo paese d’origine, inciampando, ancora una volta, in una vita di stenti e a rischio nuovi reati. Il nostro obiettivo è invece quello dell’assunzione, sulla base della formazione impartita al lavoratore formato nel tempo".
L’appoggio politico alle iniziative delle aziende disposte ad assumere, poi, è pressoché nullo. "I nostri interlocutori collaborano poco - ammonisce Mondardini. Io non pretendo dei sì a tutte le mie richieste. Mi aspetterei invece che mi si dessero delle risposte precise, fatte di sì o di no".
Le istituzioni riunite nella Commissione paritetica (incaricata di occuparsi anche del reinserimento lavorativo dei detenuti), è stata più volte disertata dai rappresentanti di Provincia, comuni di Cesena e Forlì e dagli altri rappresentanti deputati all’elargizione di contributi, dopo tante parole spese e senza nessun risultato.
Luigi Dall’Ara, presidente della San Vincenzo de Paoli, lancia un appello a imprenditori e dirigenti per il reinserimento di chi ha avuto problemi con la giustizia: "Vedrete, i risultati non mancheranno".
La vicinanza, con visite a domicilio, rappresenta una delle mission della San Vincenzo de Paoli, che ne esprime carisma e modus operandi. Dal 2003 la "San Vincenzo" ha incominciato ad interessarsi al problema dei detenuti, andandoli direttamente ad incontrare in carcere. Dagli incontri col cappellano del carcere di Forlì, con gli assistenti sociali, con la stessa direttrice, è maturata la decisione della segnalazione delle famiglie dei carcerati di Cesena, che desiderano ricevere visite e che si trovano in stato di bisogno.
Riportiamo qui di seguito la lettera del presidente Luigi Dall’Ara, indirizzata agli imprenditori del territorio cesenate attraverso la quale li sollecita a una maggiore sensibilizzazione sul tema del reinserimento lavorativo dei detenuti.
"Chi firma questo messaggio è un gruppo di persone che, inserite nella storia feconda di bene, suscitata anche qui in Romagna, dall’esperienza evangelica della società di San Vincenzo de Paoli (fondata in Francia nel 1833 dal Beato Federico Ozanam e presente ininterrottamente a Cesena dal 1887 e sempre vissuta con uno spirito di autentica laicità) desidera dare volto e voce al dialogo che deve intercorrere fra la società civile, dove operiamo, e la drammatica realtà del carcere. Concretamente il carcere che ha sede nella città di Forlì.
Da qualche anno, grazie alla disponibilità e all’incoraggiamento della direttrice, del cappellano e di molti operatori, abbiamo cercato di renderci conto di cosa significhi, per l’esistenza di tante persone, il vivere la pesante esperienza della pena: isolati dal mondo, spesso lontani dalle loro famiglie. In obbedienza al comandamento del Signore che ci chiederà, nell’ultimo giorno (come ogni sera!) cosa hai fatto per il tuo fratello che ha bisogno del tuo aiuto? "ero in carcere e mi avete visitato".
Ci sentiamo coinvolti a portare a quanti incontriamo, oltrepassati i cancelli dell’antica rocca di Ravaldino il dono dell’amicizia, dell’interessamento per i loro grandi o meno grandi, mai andando a mani vuote (chi è in carcere ha bisogno di tutto!): un richiamo forte del Vangelo, un impegno che ci viene dalla carta costituzionale che vede nel carcere non soltanto il luogo dove scontare la pena inflitta dal tribunale, ma ancor più la possibilità concreta di ricostruire una vita devastata da esperienza dolorose e malvagità. Non intendiamo assolutamente affrontare i temi dibattuti della sicurezza, della certezza della pena, del come può o deve essere amministrata la giustizia e neanche, di per sé, della riforma della istituzione carceraria.
Quanti hanno questa responsabilità sono in grave ritardo! Soltanto (e non è poca cosa) desideriamo coinvolgere altri amici soprattutto per quanto riguarda il "dopo carcere"! se è necessario che il carcere si organizza in modo tale da offrire possibilità lavorative e di studio ancor più necessaria è l’assistenza a coloro che dimessi dal carcere, dopo aver scontato la pena rischiano di ricadere nella malavita se non sono accolti dalla famiglia, da una comunità che li può ospitare, soprattutto se non è data la possibilità di un lavoro che consenta di valorizzare la libertà recuperata, di intrecciare relazioni che riempiono la solitudine e ridono il gusto di vivere la vita buona.
Concretamente: è urgente che imprenditori e dirigenti delle aziende che operano nel nostro territorio, si rendano disponibili a questi inserimenti. È un rischio, siamo in tempi nei quali la disoccupazione, è una scommessa! Ei risultati non deluderanno. Fermo restando che noi della San Vincenzo, in collaborazione con i servizi sociali, rimarremo al fianco di questi amici che saranno accolti con fiducia e generosità nelle vostre aziende. Già alcuni imprenditori lo stanno verificando con soddisfazione". Chi fosse disponibile a collaborare a questa iniziativa può contattare il numero telefonico o mail del consiglio centrale: 0547.300741 e cesena@sanvincenzoitalia.it, o chiamare al cellulare: 338.2949685.

 

 

Lavoro inframurario, finanziamento
Venezia, "Il Cerchio" (Cooperativa sociale), “Banco del Lotto” (negozio della cooperativa "Il Cerchio"), Gianni Trevisan

LA NUOVA VENEZIA

lunedì 3 maggio 2010
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Venezia: la cooperativa delle detenute-sarte, in crisi di liquidità

Stoffe firmate Rubelli, taffetas, pizzi, velluti e le abili mani di quattro sarte detenute nel carcere della Giudecca per creare i costumi delle primedonne della Fenice: di Marina Comparato “Rosina” ne Il Barbiere di Siviglia e di “Santuzza” ne la Cavalcheria rusticana. Abiti che dal 5 maggio - insieme ad un’altra ventina di costumi, dieci dei quali verranno venduti - saranno in mostra nelle Sale Apollinee della Fenice, a testimonianza di un legame produttivo tra carcere e teatro, che sta moltiplicando in maniera sempre più strutturata i rapporti tra Fenice e cooperativa sociale Il Cerchio, tanto che le detenute-sarte hanno appena realizzato anche 25 camicie per l’orchestra del teatro e altri abiti di scena saranno messi in produzione per nuove collaborazioni.
Mentre parallelamente prende vita la nuova collezione 2010-2011 di abiti, giacche, borse - disegnate da giovani stilisti e cucite dalle detenute - in vendita al “Banco del Lotto”, il negozio della cooperativa a Sant’Antonin, segnalato ormai in tutte le più diffuse guide della città. Tra lavanderia industriale (con collaborazioni con Hilton e Cipriani), sartoria, guardiania dei pontili per conto di Actv, pulizie del verde per conto di Veritas, collaborazioni con Insula e Consorzio Venezia Nuova, Il Cerchio è una cooperativa-impresa con un fatturato di 3,5 milioni di euro, che impiega 120 tra detenuti, persone in semi-libertà e in difficoltà sociale: un’iniziativa con grande valore sociale, che patisce le difficoltà del mercato, perché gli enti spesso pagano fuori tempo massimo.
“Abbiamo chiuso il bilancio 2009 in sostanziale pareggio”, spiega il presidente Gianni Trevisan, “ma soffriamo di problemi di liquidità, perché i nostri creditori - in particolare enti pubblici - non pagano le fatture entro i termini previsti, mentre noi dobbiamo onorare con scadenze rigide gli oneri per quanto riguarda Inps e Iva, oltre agli impegni finanziari per l’acquisto dei macchinari della lavanderia. In questo modo iniziamo ad essere in affanno, perché avanziamo un milione di euro dai nostri “clienti”.
Questo mentre ci sono attività - come appunto la sartoria e, soprattutto, la lavanderia - che potrebbero ulteriormente espandersi coinvolgendo un maggior numero di detenute, formate e reinserite nella vita sociale e produttiva.

 

 

Lavoro inframurario, reinserimento lavorativo
"Terra Futura" (mostra), “recuperiamoci!” (progetto di recupero lavorativo inframurario), “c’è del buono!” (emporio), www.recuperiamoci.org (portale informativo)

VITA

martedì 26 maggio 2010
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Firenze: presentato alla mostra Terra Futura
il Progetto “Recuperiamoci!”

Si chiama “recuperiamoci!” il progetto dedicato al lavoro e alle attività produttive dei detenuti che verrà presentato in anteprima all’interno di Terra Futura, la mostra delle buone pratiche in programma a Firenze (Fortezza da Basso) dal 28 al 30 maggio. Lo stand di “recuperiamoci!”, interamente realizzato con materiali di recupero, sarà allestito nel Padiglione Spadolini al piano secondo (stand A5A), all’interno dell’area tematica “Azioni Globali - Welfare”.
Il progetto nasce da una idea di Paolo Massenzi, progettista e animatore dell’iniziativa, dalla collaborazione con Ruggero Russo di Binario Etico di Roma, Andrea Favati di Informatici Senza Frontiere Toscana, e dei tanti amici in sintonia con il progetto, sparsi in tutta Italia. Si propone di far conoscere a un vasto pubblico tutte le esperienze presenti all’interno delle carceri italiane che coinvolgono i detenuti in attività produttive. Tutto ciò partendo dall’idea che il lavoro, all’interno del carcere, è uno strumento fondamentale per il recupero della persona. Il tema del recupero è dunque al centro del progetto in varie forme: il recupero della persona, ma anche il recupero dei materiali. Infatti molte attività all’interno delle carceri si basano proprio sul recupero e il riutilizzo di materiali di scarto.
Fa parte integrante del progetto il portale www.recuperiamoci.org, contenente tutte le novità inerenti al lavoro carcerario: prodotti, aziende e cooperative coinvolte, numero di detenuti occupati dentro e fuori del carcere, punti vendita. Presso lo stand sarà presente “c’è del buono!”, un emporio, che diverrà poi itinerante, con esposizione e vendita prodotti del carcere, oltre che distribuzione di materiale informativo. Grande attenzione ai progetti a “chilometro zero” e all’esposizione di prototipi di trash design: oggetti e materiali destinati alla discarica si trasformano in elementi d’arredo; “recuperiamoci!” organizzerà anche l’internet trash point, (stand A247), sempre allestito con materiale di recupero.
Da segnalare infine che presso l’emporio “c’è del buono!” sarà possibile vedere realizzazioni e acquistare prodotti quali biscotti, oggetti in ferro battuto, vino, borse in pelle e materiale riciclato, libri, abbigliamento, computer, piante ornamentali, gioielleria, arnie per le api e molto altro, il tutto prodotto in carcere. Il ricavato delle vendite, pagato il lavoro dei detenuti, sarà investito nel progetto di mappatura delle buone attività carcerarie, che verrà presentato nei giorni della fiera.

 

 

Formazione professionale
Trieste, " Bread&Bar" (laboratorio di panificio), "Polis" (cooperativa), "Pane mezzo sale" (pane prodotto dai detenuti di Trieste)

IL PICCOLO

mercoledì 27 maggio 2010
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Trieste: panificatori detenuti
accanto ai professionisti producono il “Pane mezzo sale”

Debuttano lunedì prossimo a “Pane mezzo sale” in occasione della Festa Nazionale del Pane, fianco a fianco con i loro colleghi professionisti di lungo corso, i detenuti della casa circondariale cittadina che hanno preso parte al corso di qualifica professionale per panettieri e pasticceri promosso dal Centro di Formazione “Opera Villaggio del Fanciullo”, finanziato dal Ministero della Giustizia - Cassa Ammende. Dal 31 maggio al 3 giugno, infatti, nello stand di piazza Sant’Antonio Nuovo i novelli panettieri metteranno in pratica quanto appreso grazie al progetto “Bread & Bar” - tradotto letteralmente pane e sbarre - il percorso di avviamento professionale promosso dal centro di formazione di Opicina e la Casa Circondariale, in partnership con l’Associazione fra Panificatori della provincia di Trieste e un nutrito gruppo di soggetti del privato sociale, tra cui la Caritas diocesana, la Coopertiva Polis e il Consorzio Open. Obiettivo di “Bread & Bar”, insegnare un mestiere a chi è temporaneamente ospite della struttura di detenzione, in vista del futuro reinserimento nel mondo del lavoro e della società, come hanno spiegato alla presentazione di “Pane mezzo sale” il presidente dell’Opera Villaggio del Fanciullo Pier Giorgio Ragazzoni e il direttore del Coroneo Enrico Sbriglia, a cui hanno preso inoltre parte il direttore del centro di formazione Massimo Tierno e Edvino Jerian, presidente dell’Associazione fra Panificatori.
“Anche chi vive dietro alle spesse mura del carcere fa parte della collettività - ha puntualizzato don Ragazzoni - e poiché il Villaggio si propone di essere d’aiuto a chi attraversa un momento di transitoria difficoltà nella vita, come in questo caso, pensiamo che apprendere un nuovo mestiere sia la strada giusta per favorirne il rientro nella comunità, su basi concrete di equità sociale”.
In divisa da fornaio, dunque, alle prese con lievito, acqua e farina, i neo panettieri sforneranno baguettes e pagnotte per i visitatori, mettendo in bella vista il procedimento produttivo dall’a alla zeta: dalla preparazione della miscela con le macchine impastatrici fino alla fase di cottura con i forni presenti nello stand, riempiendo l’aria di piazza Sant’Antonio con il fragrante profumo del pane appena sfornato. Ma l’operazione d’inclusione sociale va anche di pari passo con la politica delle buone pratiche alimentari.
Infatti, “Pane mezzo Sale” è il titolo della campagna lanciata quest’anno dal Ministero della Salute nell’ambito di quella europea per promuovere stili di vita più salutari e ridurre il consumo di sale, nell’ottica della prevenzione delle malattie cardiovascolari. “Il pane è un alimento antico, la cui tradizione artigianale va senz’altro rafforzata. Un cibo semplice e genuino che possiede inoltre una forte connotazione quale simbolo di condivisione e socializzazione. La realizzazione del progetto “Bread & Bar” è la prova che quando c’è la reale volontà di lanciare un ponte tra il mondo che sta dietro le mura delle case circondariali e la società libera, alla teoria e alle parole, seguono i fatti”, ha commentato Sbriglia.

Patrizia Piccione

 

 

Reinserimento lavorativo
Verona, "Segni" (Coop sociale), "Speranza nel verde" (progetto di reinserimento lavorativo di ex detenuti della cooperativa "Segni")

IN VENETO

domenica 30 maggio 2010
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Notizie da Verona

Detenuti al lavoro per la città

Un parco giochi nuovo di zecca in villa Pullé al Chievo, risistemato - insieme a tutta l’area in cui è inserito - da un gruppo di ex detenuti. Due mesi, quelli tra aprile e maggio, che se per gli ex detenuti hanno rappresentato un periodo di formazione per reintegrarli nel mondo del lavoro, per la città significano la conquista di uno spazio in più completamente riqualificato di cui godere.
“Quando un ente come una cooperativa sociale viene messo nella condizione di operare secondo i suoi fini, i risultati arrivano. E di qualità”. Questo il commento di Giuseppe Ongaro, socio della cooperativa Segni a cui si deve il progetto “Speranza nel verde”, andato in porto grazie ai finanziamenti di Fondazione San Zeno, Banca Popolare e Comune di Verona. Finanziamenti necessari alla formazione, le borse lavoro e le attrezzature, nell’ottica - come detto - di far acquisire a chi è passato per il carcere competenze tecniche specifiche nel settore della cura e della manutenzione delle aree verdi, per favorirne il reinserimento nella società civile. Continua Ongaro: “Oltre ai complimenti di assessorato e Amia, quelli che più ci gratificano arrivano dalla stessa cittadinanza. Villa Pullé era in una situazione disastrosa e adesso mamme e bambini hanno ripreso a frequentarla serenamente”. E oltre alla villa il progetto ha pensato a migliorare anche la rotonda dello stadio, con le 28 nuove piante lì sistemate.
“Si è scelto di presentare l’iniziativa al suo termine - ha spiegato l’assessore alla promozione del lavoro Alberto Benetti - per rispettare e tutelare la privacy dei partecipanti, che hanno potuto così svolgere il loro lavoro serenamente e senza pregiudizi. I risultati sono stati brillanti sia dal punto di vista della professionalità acquisita, che per il servizio svolto a beneficio della comunità. Il parco giochi rimesso a nuovo potrà così tornare ad essere luogo di piacevole intrattenimento per l’estate”. Il lavoro ha riguardato la pulizia dell’area verde, la messa in sicurezza di alcune zone, la tinteggiatura dei muri di recinzione e delle casette al centro del parco, la pulizia e manutenzione di panchine, giochi e cestini e la sostituzione della rete di recinzione, per un totale di oltre 600 ore lavoro.
I risultati dal punto di vista dell’inserimento lavorativo sono poi eccellenti. Le cinque persone che hanno partecipato al progetto sono tutte già sistemate: uno di loro è stato assunto da un’azienda di idraulica, altri due dalla cooperativa stessa per impegnarli in lavori a servizio del verde tramite Amia. Sempre con Segni (che sta diventando un punto di riferimento anche per le aziende in cerca di determinati profili di lavoratori) anche un quarto ex detenuto, che svolgerà uno stage ancora per 2 mesi in attesa di una prossima assunzione, mentre un altro è stato inserito nel nuovo progetto Carter che offre lavoro e abitazione a persone in uscita dal carcere.
Un successo a tutto tondo, quindi, che lascia sperare la cooperativa anche in una futura apertura sul fronte del lavoro esterno di persone detenute attraverso la concessione degli articoli 21.

 

 

Formazione professionale, lavoro inframurario
Roma, "Panta coop" (cooperativa di infissi in alluminio), Mauro Pellegrini

REDATTORE SOCIALE

venerdì 4 giugno 2010
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Giustizia: lavoro in carcere,
una “finestra” sul mondo, ecco l’esperienza di Rebibbia

Una fabbrica di infissi con macchinari all’avanguardia dà lavoro a 2 lavoratori detenuti e a un capo d’arte. A gestirla è Panta coop, che per metterla su ha speso oltre 200 mila euro. Pellegrini: “Importanti le agevolazioni della legge Smuraglia”.
Il lavoro in carcere è una “finestra” sul mondo: è quello che accade, letteralmente, all’interno della Casa di reclusione di Roma Rebibbia, dove esiste un laboratorio che fabbrica infissi in alluminio. Dotato delle più moderne attrezzature e di macchinari all’avanguardia, il laboratorio è stato aperto nel 2008 dalla cooperativa Panta Coop e per il momento impiega due lavoratori e un capo d’arte. Allestita in un vecchio laboratorio da tempo fuori uso, la fabbrica è in grado di produrre portoni, finestre, grate ecc. a prezzi competitivi, grazie alle agevolazioni fiscali di cui la cooperativa gode in nome della legge 193 del 2000, meglio conosciuta come legge Smuraglia.
A dirigere l’impresa è Mauro Pellegrini, presidente di Panta Coop. “Abbiamo iniziato con la formazione di alcuni detenuti all’interno dell’istituto di Rebibbia: un percorso durato sei mesi, al termine del quale sono state assunte due persone, oltre al tecnico. L’obiettivo del progetto è dare una professione a queste persone e far sì che quando raggiungono i benefici di legge possano passare dalle attività della cooperativa all’interno del carcere a quelle esterne.
 Qual è la prima condizione necessaria perché un progetto come questo possa svolgersi?
La collaborazione di chi amministra l’istituto: se si trova un’ammirazione sensibile e aperta al tema della formazione e dell’inserimento dei detenuti, l’attività si porta avanti senza difficoltà. Noi dobbiamo rispettare esigenze di mercato: tempi di consegna e prezzi. Un’amministrazione non collaborativa ci impedisce di rispettare queste regole e quindi di portare avanti progetti come questo.
 Su quali criteri vi siete basati per la selezione dei lavoratori?
Il corso di formazione era aperto a tutti, abbiamo semplicemente pubblicato un avviso. Invece, in base a una prova d’arte, abbiamo proceduto alle assunzioni.
 Quali sono le condizioni contrattuali dei lavoratori detenuti?
Ci atteniamo completamente al contratto collettivo nazionale delle cooperative sociali.
 Di quali agevolazioni gode la cooperativa nello svolgimento di questa attività?
La Smuraglia ci concede di non pagare una quota di contributi: praticamente, risparmiamo 512 euro mensili per chi ogni lavoratore full time. Poi, va considerato che i locali sono messi a disposizione gratuitamente da amministrazione, dobbiamo pagare solo una quota dell’elettricità. I costi che abbiamo sostenuto riguardano invece la ristrutturazione dei locali, la messa a norma e i macchinari.
 Quanto vi è costato mettere su questo laboratorio?
Oltre 200 mila euro.
 Chi sono i vostri clienti?
Lavoriamo soprattutto per privati, ma anche per entri e costruttori. Adesso, per esempio, stiamo lavorando l’ordine di un grande centro sportivo.
  Chi compra i vostri infissi sa da dove arrivano?
Dipende: per ogni singolo caso, decidiamo se sia opportuno o meno rivelare la fonte. C’è chi non comprerebbe mai un prodotto, se sapesse che è fabbricato da detenuti; e chi invece, più sensibile, considera questo un valore aggiunto. Ad ogni modo, nel mercato vige una sola regola: il rapporto qualità/prezzo. E su questo noi siamo concorrenziali: grazie alle agevolazioni di cui godiamo, possiamo abbattere i prezzi.
 Un esempio? Quanto sono convenienti i vostri prodotti?
Un effetto legno sul mercato esterno, comprato, a un cliente privato arriva a 380 euro a metro quadro. Noi proponiamo lo stesso prodotto al 25% in meno. Per questo, anche nei mesi di maggiore crisi e nei momenti più difficili, abbiamo sempre lavorato e non abbiamo mandato via nessuno.
 L’esperienza lavorativa aiuta a non ricadere nel crimine?
Sì, anche se molto dipende dall’ambiente in cui il detenuto dimesso va a reinserirsi. Il lavoro mostra che esiste un’altra forma di società e che si può vivere dignitosamente senza delinquere. Molti non sapevano neanche di avere un interesse: proponendo queste attività, hanno scoperto interessi completamente diversi dal delinquere.

-A-

 

 

Formazione professionale, lavoro inframurario
Roma, Stefano Ricca (direttore della Casa di Reclusione di Rebibbia), "Panta coop" (cooperativa di infissi in alluminio), "Syntax Error" (cooperativa di confezionamento pasti), "Spazio verde" (cooperativa di gestione agricola, rifiuti), "Coos" (cooperativa di carrozzeria)

REDATTORE SOCIALE

venerdì 4 giugno 2010
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Giustizia: il direttore di Rebibbia;
il carcere non deve essere luogo del nulla

Parla il direttore della Casa di reclusione di Rebibbia: “Accanto ai servizi alle dipendenze dell’amministrazione, stiamo rilanciando le attività produttive, affidate a cooperative sociali. Così il detenuto lavorante diventa lavoratore detenuto”.
“Il carcere non deve essere luogo del nulla, una parentesi vuota: se parentesi è, va riempita di contenuti. E questo compito spetta soprattutto al lavoro”: Stefano Ricca, direttore della Casa di Reclusione di Rebibbia dal giugno del 2000, non ha dubbi: il lavoro “deve essere il perno intorno al quale ruota la vita penitenziaria: un diritto che, in base all’ordinamento penitenziario, diventa obbligo per tutti i detenuti con pena definitiva”
 Ma di cosa parliamo quando parliamo di lavoro in carcere?
Le attività lavorative in carcere si distinguono in due tipologie: da una parte, quelle tradizionali, che possiamo chiamare servizi, che sono legate al mantenimento della struttura (pulizia, facchinaggio, piccola manutenzione ecc.) e si svolgono alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria.
In questo caso, la retribuzione corrisposta dall’amministrazione è quella prevista dall’ordinamento ed è inferiore a quella del Ccnl. Personalmente, ritengo che queste attività siano insoddisfacenti dal punto di vista quantitativo, ma anche qualitativo, perché non richiedono competenze professionali. Per questo, ho deciso di incrementare l’altra tipologia di lavoro in carcere: le attività industriali e produttive, di cui si occupa le legge n. 193/2000, meglio nota come legge Smuraglia. Questa prevede l’affidamento a soggetti esterni, soprattutto cooperative sociali, di attività produttive, da attivare in laboratori che la stessa cooperativa si impegna ad allestire. In questo modo, alle dipendenze della cooperativa e con una retribuzione dettata dal Ccnl, cambia l’identità del detenuto: da detenuto lavorante si trasforma in lavoratore detenuto. E acquisisce competenze professionali, che potranno servirgli al momento della dimissione per un reinserimento nella società.
 A Rebibbia, quanti sono i detenuti che lavorano?
Su un totale di circa 230 detenuti (esclusi quelli semiliberi), una cinquantina lavorano nei servizi alle dipendenze dell’amministrazione, mentre circa 30 sono stati assunti dalle diverse cooperative a cui abbiamo affidato le attività produttive: tra queste, la Panta Coop per il laboratorio d’infissi in alluminio, la Syntax Error per il confezionamento dei pasti, la Spazio verde per la gestione dell’azienda agricola annessa all’Istituto e presto anche per la gestione della raccolta differenziata dei rifiuti, la Coos per la carrozzeria.
 Da cosa dipende lo scarto tra domanda e offerta di lavoro all’interno del carcere?
Il lavoro in carcere è poco in relazione alle poche attività che effettivamente possono svolgersi dentro un istituto. Sarebbe auspicabile che gli istituti avessero maggiori spazi per le attività lavorative, ma è necessaria anche una maggiore disponibilità da parte delle cooperative: ancora oggi, pochi imprenditori conoscono i vantaggi offerti dalla normativa. E comunque non tutti sono disposti a sperimentarsi in un carcere.
 Quale impatto ha l’esperienza lavorativa in carcere sulla possibilità di recidiva del detenuto?
Statistiche specifiche su questo non esistono. Sappiamo però che l’indice di recidiva è pari al 75% per i soggetti dimessi che abbiano espiato per intero la condanna, mentre si riduce al 25% per coloro che abbiano godute di misure alternative, quindi abbiano svolto lavoro all’esterno o in semilibertà.
 Perché allora si ricorre così poco alle misure alternative?
Uno dei presupposti per l’ammissione alla misura alternativa è che il soggetto abbia un’attività lavorativa stabile. Siccome non c’è questa disponibilità della società e delle imprese a dare queste opportunità lavorative, anche i soggetti con i requisiti previsti da norma restano in carcere fino alla scadenza della pena.
 Quanto costa all’amministrazione penitenziaria il lavoro in carcere?
Per quanto riguarda le attività produttive, il costo è pari a zero, ma serve un dispendio notevole di energie per tessere i rapporti con i soggetti esterni. L’impiego nei servi alle dipendenze dell’amministrazione ci costa invece circa 500.000 euro l’anno.
 Quanto pesa il sovraffollamento delle carceri sull’inadeguatezza dell’offerta di lavoro?
Poco, È vero che i detenuti sono in eccedenza rispetto alla capienza delle strutture. Qui a Rebibbia per fortuna non abbiamo questo problema. Ed è vero che organici e personale, come pure risorse finanziarie, sono inadeguati. Ma anche se i detenuti fosse in numero regolamentare, non riusciremmo a dar lavoro a tutti, perché sono poche le attività da svolgere in istituto.
 Come vede il futuro del sistema penitenziario italiano, rispetto ai nodi che in questi anni stanno venendo al pettine, primo fra tutti il sovraffollamento?  Come giudica le ipotesi di cui si sta discutendo in questi giorni?
Le prospettive per il futuro a medio termine credo siano positive: credo che buone soluzioni possano essere offerte dal piano carcere, con la costruzione di nuove sezioni detentive e l’assunzione di nuovo personale di polizia penitenziaria, come pure dal disegno di legge all’esame del Parlamento, che prevede la possibilità di ammissione alla detenzione domiciliare per i detenuti in espiazione dell’ultimo anno
 Non condivide quindi l’allarme di chi teme che possano uscire dal carcere elementi socialmente pericolosi?
I detenuti che espiano l’ultimo anno di pena, se non uscissero domani uscirebbero tra un anno più domani. Sarebbe quindi opportuno comunque creare percorsi per un graduale rientro, oltre naturalmente ai dovuti controlli.

-B-

 

 

Sanità, appalto pubblico
Genova, "Il Gabbiano" (cooperativa di servizi alla persona di Alessandria)

LA REPUBBLICA

mercoledì 9 giugno 2010
15

Il ministero chiede infermieri all’Asl,
ma l’appalto finisce alle cooperative

Una gara d’appalto vinta lo scorso anno e che consentirà di fornire assistenza infermieristica dentro il carcere di Marassi. Per ancora 36 mesi. Con questa procedura la Asl Tre ha affidato il servizio alla Cooperativa Sociale Il Gabbiano con sede legale ad Alessandria, ma ramificazioni in tutto il Basso Piemonte e in Liguria. In tutto cento dipendenti, che assicurano i servizi alla persona: forniscono personale per gli istituti per anziani, per minori, per malati psichici ed anche per le carceri. Tutti settori in forte crescita, tanto che sul sito Internet del “Gabbiano” si cercano infermieri a tempo pieno o a part-time: in particolare, cinque come zona di lavoro proprio Marassi. Venticinque operatori socio sanitari della cooperativa si alternano in tre turni e assicurano l’ assistenza infermieristica 24 ore su 24 al carcere genovese.
Tre anni fa, infatti, il Ministero di Grazia e Giustizia con una legge apposita ha deciso che l’ assistenza sanitaria non sia più gestita direttamente dall’amministrazione penitenziaria, ma dalle singole aziende sanitarie con competenza territoriale. La Asl 3 Genovese ha mantenuto nella sua gestione il servizio di guardia medica, attraverso la convenzione con alcuni medici di base, ma anche con specialisti e psicologi. Per quanto riguarda quello infermieristico, ha bandito la gara d’ appalto, vinta appunto dal “Gabbiano”.
I disordini di Marassi dell’altro ieri sera quantomeno avrebbero preso spunto da una disfunzione nell’ assistenza sanitaria, da un ritardo dovuto allo stato di agitazione da parte dei dipendenti della cooperativa sociale. Ai quali da due mesi non sarebbe pagato lo stipendio. “Non ci risulta che vi siano azioni dimostrative su questo”, assicura la Asl Tre. “Ho scritto una relazione, trasmessa ai vertici del servizio sanitario”, sostiene invece Salvatore Mazzeo, direttore della casa circondariale di Genova.
I responsabili del “Gabbiano” ammettono i ritardi nell’accredito in banca delle buste paga. Non solo. Spiegano anche il perché: “Si tratta di una serie di problemi dovuti alla crisi economica che comporta una ridotta liquidità finanziaria, alla quale stiamo cercando di provvedere - precisano - ma non si può parlare di ritardi di mesi, anche perché lo stipendio del mese corrente è pagato il 20 del mese successivo. Il personale, comunque, è al corrente dei problemi che stiamo affrontando e cercando di risolvere quanto prima”.
Roberto Martinelli del Sappe dice che la ritardata somministrazione dei farmaci sia stata un pretesto. I sette detenuti, tutti in carcere per problemi di droga, volevano aumentata la dose di psicofarmaci, mentre l’ infermiere è tenuto a somministrare la quantità prescritta in cartella. “Questo episodio evidenzia le gravi carenze che il carcere di Marassi soffre- ripete Martinelli -: in materia di sicurezza, insufficienza degli organici, incontenibile aumento della popolazione detenuta e conseguente sovraffollamento delle celle”. “Una polveriera pronta ad esplodere”, denuncia Patrizia Bellotto, della Cgil-Polizia Penitenziaria.

 

 

Itticoltura
Livorno/Gorgona, "Supermercati Unicoop"

IL TIRRENO

giovedì 10 giugno 2010
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Livorno: le orate di Gorgona in vendita
sui banchi pescheria dei supermercati Unicoop

La scorsa estate si sono guadagnate servizi sulla stampa, reportage fotografici, tanta curiosità e ottime vendite. Sono le orate di Gorgona, allevate a mare aperto dai detenuti della colonia agricola penitenziaria dell’isola di fronte a Livorno. Un progetto unico nel suo genere, nato con la collaborazione del Comune di Livorno e del dipartimento di biologia marina, che nel corso dell’estate 2009 ha portato sui banchi pescheria dei supermercati Unicoop Tirreno pesci allevati, ma con tutte le caratteristiche del pescato da altura.
Da questa settimana le orate saranno di nuovo disponibili presso dieci punti vendita Coop nelle province di Livorno e Grosseto. I supermercati dove si potranno acquistare i pesci della colonia penale sono quelli di Portoferraio, Livorno-La Rosa, Livorno-Ipercoop Fonti del Corallo, Piombino-Salivoli, Piombino-Via Gori, Venturina, Cecina, Rosignano, San Vincenzo, Follonica.
Pesci ottimi, provenienti dalle acque incontaminate dell’Isola - che fa parte del Parco Arcipelago Toscano - nutriti con mangimi biologici (di origine non animale, no Ogm e privi di antibiotici) pescati dai detenuti che hanno così l’occasione di svolgere una mansione e imparare un mestiere. Le orate di Gorgona (disponibili fino al mese di settembre e comunque sempre in relazione alle condizioni meteo) saranno accompagnate da pannelli informativi che, attraverso foto e testi in italiano e in inglese, faranno il giro dei punti vendita coinvolti, raccontando ai clienti la nascita e l’evoluzione del progetto. Un progetto che coniuga una funzione sociale con la buona e sana alimentazione legata al nostro mare.

 

 

Storia, archeologia, formazione professionale
Roma, "Cecilia" (cooperativa)

REDATTORE SOCIALE

lunedì 14 giugno 2010
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Roma: minori “messi alla prova”
realizzano un giardino romano nel cuore dell’Eur

Il progetto è della cooperativa sociale Cecilia che da quindici anni porta laboratori di storia e archeologia nelle carceri. Di Mauro: “In dieci anni abbiamo coinvolto circa 100 ragazzi sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria”.
Arbusti e fiori in uso nel periodo dell’Antica Roma, ma anche affreschi, statue e oscilla, cioè oggetti decorativi in marmo o in terracotta appesi ai colonnati dei giardini. In altre parole, un antico giardino romano in stile pompeiano nel cuore dell’Eur che, a partire da oggi, sarà possibile visitare presso il Museo della Civiltà romana di Piazza Giovanni Agnelli 10. Il progetto dell’hortus conclusus è nato nel 2000 ed è stato realizzato dalla cooperativa sociale Cecilia, in collaborazione con la Sovrintendenza ai Beni culturali e all’Assessorato alle Politiche culturali e della comunicazione del comune di Roma. Ma i veri protagonisti sono i minori sottoposti a provvedimento dell’autorità giudiziaria affidati al centro diurno “La Bulla”, i quali, grazi al progetto, hanno avuto modo di portare avanti un percorso di recupero e reinserimento sociale attraverso la cultura e la formazione professionale.
“Da quindici anni portiamo laboratori di storia e di archeologia nelle carceri - spiega Lillo Di Mauro, responsabile dell’area giustizia della cooperativa sociale Cecilia e ideatore del progetto -. Partendo da questo percorso, abbiamo proposto alla Sovrintendenza di ricostruire un antico giardino romano. Il che avrebbe permesso ai ragazzi ‘messi alla prova’ non solo di fare un lavoro di pubblica utilità, ma anche di usufruire di diversi tipi di formazione”. Nel corso di dieci anni circa 100 hanno così potuto usufruire di “formazione rispetto alla botanica e al giardinaggio, imparando al tempo stesso a fare copie delle statue, degli oscilla e degli affreschi sulle pareti”. Col tempo il giardino si è trasformato in un “laboratorio permanente”, dove i giovani sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria possono formarsi, svolgere attività di pubblica utilità e fare attività di manutenzione dell’area. Tra i progetti futuri della cooperativa sociale Cecilia anche la ricostruzione dell’antico ambiente floristico nel periodo pleistocenico intorno al “Museo pleistocenico” della Valle dell’Aniene. Il progetto è realizzato in collaborazione con la Sovrintendenza ai Beni culturali e all’Università La Sapienza di Roma.

 

 

Formazione professionale, lavoro inframurario
Genova, “Italforno" (cooperativa di panificatori), "Coop Liguria"

LA REPUBBLICA

giovedì 17 giugno 2010
18

Genova: panetteria “Marassi”;
centoquaranta chili al giorno finiscono sulle tavole dei genovesi

di Stefano Origone
Centoquaranta chili di pane e duecento di focaccia destinati ogni giorno a finire sui tavoli dei genovesi e delle mense scolastiche. L’esperimento del panificio dentro al carcere di Marassi compie quattro anni e va avanti con una nuova iniziativa per “formare i detenuti nel loro reinserimento nel mondo del lavoro”, sottolinea soddisfatto il direttore Salvatore Mazzeo. “L’obiettivo è quello di inserire in questo progetto più detenuti possibile. Ora sono in quattro, ma vogliamo salire ad almeno dieci panettieri”.
Nel laboratorio si lavora di notte, dalle 24 alle 7, per produrre rosette, papere, tartarughe e libretti artigianali, ma presto i carcerati-panettieri sforneranno anche pane senza glutine, con farine integrali lavorate con la macina di pietra come si faceva una volta. Un prodotto che ha l’obiettivo di proporre una cultura alimentare più sana. “Questa iniziativa è molto importante sotto il profilo trattamentale continua il direttore - per acquisire professionalità spendibili all’esterno e non rischiare di ritornare nel circuito criminale”. Il progetto del “Pane Etico”, quindi, va oltre. “Non ci fermeremo qui interviene Pietro Civello, amministratore della cooperativa Italforno che mette a disposizione gli impianti e ha assunto i quattro detenuti che lavorano nel panificio di Marassi perché sono allo studio altri due progetti. Passeremo dal pane al pesce e alla cioccolata. I detenuti puliranno il pesce che andrà alla grande distribuzione e apriremo un laboratorio per lavorare cacao di alta qualità”. Il direttore Salvatore Mazzeo addenta un pezzo di focaccia. “Qui abbiamo “sfornato”, è proprio il caso di dirlo, dei veri maestri!” I panetti preparati dai detenuti di Marassi si possono trovare tutti i giorni sugli scaffali della Coop. “È un grande successo sottolinea Luigi Pestarino della Coop Liguria e ora con il pane senza glutine affrontiamo una nuova sfida. Sarà un prodotto speciale, unico”. “Ma soprattutto diverso, buono aggiunge la nutrizionista e biologa Lucia Vignolo, un toccasana per chi soffre di intolleranze alimentari”.

 

 

Lavoro inframurario
Bologna, “Il profumo delle parole” (tipografia), "Consorzio SIC", (consorzio di cooperative sociali), Avv. Desi Bruno (Garante dei diritti delle persone private della libertà personale)

COMUNICATO STAMPA

venerdì 18 giugno 2010
19

Bologna: Garante; rischio di chiusura per la
tipografia all’interno della Casa circondariale

Nell’ambito dei compiti di promozione dei diritti, previsti dall’art. 13bis dello Statuto del comune di Bologna, che istituisce la figura del Garante delle persone private della libertà personale, sono a segnalare la situazione della tipografia “Il profumo delle parole” all’interno della Casa circondariale di Bologna.
All’interno della Casa Circondariale della Dozza già nel settembre 2004 è stata attivata la tipografia, frutto di un accordo tra Regione Emilia Romagna, Comune e Provincia di Bologna, Provveditorato Regionale dell’Amministrazione penitenziaria e Consorzio SIC (consorzio di cooperative sociali).
Dal primo anno di attività sono stati inseriti tre detenuti con iniziale percorso in borsa lavoro e formati all’interno della Casa circondariale nel corso per tipografi. Nel corso degli anni sono stati regolarizzati con contratto di lavoro subordinato due detenuti, mentre ad oggi viene segnalato l’impiego di una sola risorsa. Tale situazione è senz’altro data dall’evidente situazione di crisi, per quel che riguarda i clienti privati e da un grosso calo, nel corso degli anni, delle commesse da parte dei clienti pubblici.
Nella attuale inaccettabile situazione di sovraffollamento nel carcere di Bologna il mantenimento di questa attività assume ancor di più importanza vitale, soprattutto laddove il tema della solidarietà e della reintegrazione si uniscono ad effettiva professionalità spendibile sul mercato esterno.
 Come è noto, solo una minima percentuale di detenuti riesce a svolgere attività lavorativa, per periodi limitati, consistenti per lo più in prestazioni d’opera alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria, idonee a garantire il vivere quotidiano all’interno degli istituti, ma scarsamente spendibili all’esterno.
Se nel passato alcuni enti pubblici, hanno affidato commesse alla tipografia, oggi l’Ufficio del Garante segnala con preoccupazione il venir meno dell’attenzione da parte dei committenti pubblici, anche tra ì promotori della iniziativa.
Per questo l’Ufficio del Garante chiede agli enti locali territoriali in particolare di utilizzare la tipografia all’interno della Casa circondariale di Bologna destinando ad essa tutte le commesse tipiche di una pubblica amministrazione, ad esempio la modulistica, le carpette, le pubblicazioni, ecc., affinché questa attività produttiva, ma con forte connotazione sociale, possa continuare ad esistere e rimanere esperienza positiva e di esempio per le nostre comunità.

Avv. Desi Bruno
Garante dei diritti delle persone private della libertà personale

 

 

Lavori di pubblica utilità
Savona, “Detenuti al lavoro”, "Coop La Bitta"

WWW.SAVONANEWS.IT

venerdì 25 giugno 2010
20

Savona: “Detenuti al lavoro”,
quarto anni di un progetto al servizio della comunità

Dopo l’esperienza positiva del 2006, 2008 e 2009, si realizza anche quest’anno il progetto “Detenuti al lavoro”, l’iniziativa promossa dall’Assessorato ai Quartieri del Comune di Savona in collaborazione con la Casa Circondariale di Savona ed Ata e con il contributo della Fondazione A. De Mari Cassa di Risparmio di Savona. Il progetto è nato con l’intento di favorire il percorso di rieducazione, integrazione e recupero dei soggetti che stanno scontando una pena in carcere attraverso lo svolgimento di attività di pubblica utilità, volte a fornire supporto nel processo di conservazione e valorizzazione del territorio. I detenuti raggiungeranno i luoghi prescelti per svolgere, dalle 6 alle 9 del mattino, dal martedì al sabato, la pulizia delle spiagge cittadine: il pezzo di litorale interessato è quello della zona dello Scaletto, dove il Comune di Savona sta approntando una spiaggia fruibile per le persone disabili.
L’attività dei detenuti prescelti che saranno due, prenderà il via il 1 Luglio e terminerà il 31 Agosto, è svolta sotto il coordinamento di Ata, che opera attraverso gli operatori della Coop La Bitta.
“È la quarta volta per questo progetto al quale tengo molto che serve a dare ai detenuti la possibilità di lavorare fuori dalla Casa Circondariale cittadina. L’iniziativa ha molti aspetti positivi sia per l’Amministrazione Comunale, che dimostra ancora una volta la propria volontà di lavorare al servizio di tutti i cittadini, anche quelli più deboli, sia per L’Amministrazione Carceraria, che cerca di recuperare i suoi detenuti. Aspetti positivi anche per la Fondazione Carisa, che utilizza i propri fondi per una buona causa e per la città di Savona, oggi sempre più votata al turismo, che ha la possibilità di avvalersi di ulteriori operatori impegnati nella pulizia delle spiagge. É importante ricordare che i detenuti, due italiani i quali godranno di un parziale reinserimento, di una retribuzione, godranno di una copertura assicurativa e saranno a contatto di nuovo con una realtà al di fuori del carcere a contatto con le persone. I detenuti si sono sempre comportati al meglio dimostrando serietà e correttezza” ha dichiarato l’Assessore ai Quartieri Francesco Lirosi.
“Apprezzo molto l’interesse espresso dal Comune di Savona per queste tematiche ed è grazie alla Legge 75 che è stato possibile il reinserimento della popolazione detenuta nel tessuto sociale che è servita ad avvicinare le persone a vedere il carcere e i suoi detenuti come persone che possono riscattarsi. Spesso il carcere viene vissuto dal resto della città come un luogo che si vuole tenere distante; deve essere invece aperto al territorio, specialmente tenuto conto delle difficoltà della struttura e degli esigui spazi interni dedicati all’attività di recupero, ha sottolineato il Direttore della Casa Circondariale di Savona, Nicolò Mangraviti. È stato molto bello vedere questa grande collaborazione tra l’Amministrazione comunale e quella penitenziaria e la partecipazione delle istituzione pubbliche e delle singole persone che hanno dimostrato il loro interessamento al progetto come sindaco, assessori, la polizia penitenziaria e i volontari.
Questo progetto è importante anche perché aiuta i cittadini a vedere i detenuti come soggetti che possono svolgere servizi di pubblica utilità sociale.
Il progetto è stato realizzato grazie al contributo finanziario della Fondazione A. De Mari Cassa di Risparmio di Savona e dell’Assessorato comunale ai Quartieri, che ha fornito ai detenuti una retribuzione e la necessaria copertura assicurativa e previdenziale. Il Presidente della Fondazione Carisa Roberto Romani ha concluso dicendo: “La Fondazione è contenta di sostenere anche quest’anno il progetto, per diversi motivi, non solo perché risponde al nostro obiettivo di attenzione e sostegno verso le fasce più deboli della popolazione e a sostenerle ma anche perché l’iniziativa fa parte di un percorso di recupero e reinserimento sociale dei detenuti. Il nostro sostegno è poi un atto che sentiamo giusto ed in conformità con la nostra natura di fondazione bancaria che, come sappiamo, ha le sue basi nel patrimonio dato dalla collettività del territorio e quindi ad essa la Fondazione restituisce, nel concreto, risorse, facendolo tra l’altro in un periodo di grandi difficoltà finanziarie per gli Enti locali. La pena fine a se stessa senza un recupero non ha alcun senso perché la pena deve andare di pari passo con la rieducazione e noi è questo che cerchiamo di sostenere e che continueremo a sostenere anche nei prossimi anni”.
La Casa Circondariale di Savona attualmente ospita 89 detenuti che si sono responsabili per la maggior parte di reati verso il patrimonio (spaccio, rapine etc.). Il 50% dei detenuti presenti sono stranieri di origine africana/magrebina e le difficoltà culturali rendono la situazione carceraria ancora più complicata, ma progetti di rieducazione come questi che danno una speranza possono aiutare i detenuti e vedere un futuro diverso e migliore per loro.

 

 

Reinserimento lavorativo, mediatore culturale
Foggia, “Vale la pena” (progetto per alleviare le difficoltà dei detenuti stranieri), "Arcobaleno" (cooperativa), "Emmaus" (cooperativa)

WWW.LUCERAWEB.IT

venerdì 25 giugno 2010
21

Foggia: progetto “Vale la pena”,
per alleviare le difficoltà dei detenuti stranieri

di Enza Gagliardi
Si può alleviare la permanenza in carcere dei detenuti stranieri? Quali sono le loro difficoltà? Come favorire il loro reinserimento sociale e lavorativo? Da queste e altre domande partì nel 2009 in due carceri della Capitanata, quello di Foggia e quello di Lucera, un progetto unico nel suo genere dal titolo “Vale la pena”.
Un’iniziativa sperimentale, promossa dalla Cooperativa sociale Arcobaleno di Foggia, e finanziata dal ministero dell’Interno e cofinanziata dall’Unione Europea nell’ambito del Fondo Europeo per l’integrazione di Cittadini di Paesi Terzi, con il coinvolgimento dell’Assessorato alle Politiche Sociali della Provincia di Foggia, dell’Assessorato all’Immigrazione del Comune di Foggia, dell’Associazione “Comunità sulla strada di Emmaus”, del Consorzio Aranea, della Cooperativa Emmaus, di Cgil Smile Puglia e dell’Uepe (Ufficio per l’Esecuzione Penale Esterna) di Foggia, con l’intervento di organismi facenti parte del Consiglio territoriale per l’Immigrazione della Prefettura di Foggia.
Al centro di tutto c’è stata la figura del mediatore culturale, che sebbene prevista dal regolamento carcerario, di fatto la sua presenza è pressoché carente nelle strutture detentive, ma che si è confermata nell’esperienza foggiana e lucerina la chiave per aprire quella porta simbolica che impedisce una permanenza in carcere almeno accettabile per i detenuti stranieri. La scarsa o nulla conoscenza dell’italiano e del reato per il quale si sta scontando la pena, quindi delle norme giuridiche italiane e di quelle carcerarie, unita alla lontananza dai familiari, poiché a volte si tratta di detenuti trasferiti da sovraffollati carceri del Nord Italia, sono alcuni dei problemi che il mediatore culturale affronta con il carcerato. Affronta, sì, perché nonostante il progetto abbia avuto breve durata con l’ascolto di circa 130 detenuti stranieri in 350 colloqui, i risultati positivi hanno convinto gli operatori a proseguire la loro attività in entrambi gli istituti di detenzione, continuando a coordinarsi con il personale in loco: amministrazione carceraria, polizia penitenziaria, assistenti sociali, educatori, ecc.
Ed è proprio la grande collaborazione tra i vari soggetti coinvolti un elemento fondamentale del successo dello sportello informativo e di mediazione, di cui si è tornato a parlare non solo perché tuttora in corso il lunedì nel Capoluogo e il mercoledì a Lucera, anche se sotto forma di volontariato, ma anche per la valutazione a cui viene sottoposto il progetto in questi giorni da parte della Fondazione Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità), che ha ritenuto interessante approfondire la conoscenza di una iniziativa tanto particolare quanto utile a risolvere concretamente una serie di problemi che per un carcerato straniero possono diventare insormontabili e di conseguenza rendere la vita in cella ancora più amara.
“Vale la pena” prevedeva, oltre all’apertura degli sportelli informativi per facilitare la comunicazione tra culture diverse, anche la realizzazione di percorsi di formazione on the job, coinvolgendo 22 detenuti stranieri (11 a Foggia, 9 a Lucera e altri due che beneficiavano di misure di pena alternativa), con laboratori di animazione interculturali e professionalizzanti. Frutto del progetto è anche il primo Vademecum in dieci lingue “Vivere in carcere. Guida per detenuti stranieri”.
Tutti i soggetti principali coinvolti nell’iniziativa hanno evidenziato la rispondenza perfetta del nome dell’iniziativa con gli importanti risultati ottenuti, ciascuno per il proprio settore di intervento e poi in generale, a cominciare dal direttore del carcere di Lucera, Davide Di Florio, che ha sottolineato l’apertura verso l’esterno della struttura da lui diretta.
“Grazie anche alle borse lavoro, abbiamo dimostrato agli stessi detenuti - ha detto Di Florio - che, nonostante i problemi che ci sono nel nostro Paese, anche in Italia per loro c’è una speranza di futuro, e per questo, se loro ce la mettono tutta, alla fine ne vale davvero la pena”.
Il progetto, dunque, è stato anzitutto un’esperienza che ha cambiato in qualche modo l’orizzonte di diversi detenuti stranieri, tra cui molti i nordafricani e quelli provenienti dall’Europa dell’Est, ma che ha toccato anche gli stessi operatori, e coloro che con i carcerati convivono ogni giorno: gli agenti di polizia penitenziaria. Riuscire a superare l’ostacolo della lingua è stato per loro un estremo vantaggio per interagire coi i detenuti stranieri. “Per noi sono tutti uguali - ha sottolineato Giuseppe Di Terlizzi, comandante della polizia penitenziaria di Lucera - infatti quando arrivano non facciamo distinzioni nemmeno nell’assegnazione della cella”.
“Questo modo di operare, ovviamente con le dovute attenzioni - ha aggiunto Di Florio - fa sì che il primo livello di integrazione avvenga proprio in cella”. Tuttavia, non è sufficiente. “Uno strumento come lo sportello di mediazione - ha spiegato il direttore - ha fatto da vero ponte linguistico e culturale tra noi e i detenuti e quindi tra essi stessi”.
Altrettanto convinti della bontà del progetto sono gli altri soggetti coinvolti, tra cui gli operatori di Smile (Sistemi e Metodologie Innovativi per il Lavoro e l’Educazione) Puglia, che hanno tenuto a rimarcare il coinvolgimento umano durante la fase di formazione dei detenuti.
“Nel nostro lavoro operiamo con le realtà più diverse - ha raccontato Antonio De Maso, direttore della sede foggiana dell’associazione - ma questa volta l’esperienza ci ha colpiti in modo particolare, proprio perché di fronte a soggetti la cui vita è cambiata in modo così radicale. Siamo riusciti a instaurare con i carcerati un rapporto umano e loro ci hanno ricompensati con l’acquisita consapevolezza di aver usufruito di un servizio diverso e utile”.
Sì, perché l’esperienza lavorativa non soltanto ha comportato per i detenuti il conseguimento di una seppur limitata ma importante retribuzione, fondamentale per supportare le famiglie lontane, ma li ha calati in un contesto di “regolarità” che spesso era loro sconosciuto.
“Anche l’arrivo dell’assegno mensile - ha ricordato Di Florio - era vissuto in carcere quasi come un evento. E quando una volta uno si smarrì e non giunse in carcere, tutti ci mobilitammo per rintracciarlo”.
Ma ciò che si è toccato con mano è il clima più disteso che ha pervaso l’ambiente. A dirlo è sia il personale che Domenico Mascolo, il giudice di sorveglianza. “Il superamento dei tanti ostacoli comunicativi, i momenti formativi e lavorativi, l’ampliamento delle prospettive per un futuro all’esterno hanno permesso ai detenuti stranieri di acquisire maggiore serenità”.
Con effetti positivi su tutti. Il dato statistico parla di un netto abbassamento del numero degli atteggiamenti autolesionistici, che comunque si registrano in moltissime carceri italiane e che a volte sfociano in scioccanti suicidi, fattore che ha inciso positivamente sull’operato di tutti.
“Quelli che sono stati creati grazie a questo progetto - ha aggiunto il magistrato - sono i presupposti per un reinserimento sociale, ma proprio qui vanno evidenziate le criticità, perché il territorio foggiano non è aperto all’accoglienza di queste persone e, soprattutto, manca il supporto delle istituzioni esterne alla struttura carceraria”. È lo stesso giudice a spiegare che mentre nel Nord Italia sia le istituzioni che il contesto socio-lavorativo sono più disponibili alla collaborazione e all’accoglienza, qui “ci si scontra con l’aridità quasi totale del territorio”.
“L’esterno - ha spiegato Maria Arnau, assistente sociale responsabile del progetto per l’Uepe - non ha molto interesse a creare rapporti con l’ambiente carcerario. Spesso - ha rivelato - le aziende, pur potendo contare su fondi messi a disposizione, non sono disponibili ad assumere detenuti che godono di misure di pena alternativa o che aderiscono a progetti di questo tipo. Il rischio reale è che questi detenuti stranieri, una volta scontata la pena, non avendo la possibilità di crearsi qui una residenza, ed essendo in maggior parte destinatari di provvedimenti di espulsione, poi tornino a delinquere, non trovando altra via di sopravvivenza nella clandestinità”. La verità è anche che le aziende sarebbero costrette a mettere in regola la situazione lavorativa del nuovo assunto, altro ostacolo in una zona a forte incidenza di lavoro nero, specie per i lavoratori stranieri.
Insomma, nonostante gli sforzi e gli ottimi risultati dei progetti, il vero punto critico è il “dopo carcere”. Un problema che riguarda anche i detenuti di nazionalità italiana.
“Quello che manca è un servizio di accompagnamento per il dopo - ha sottolineato Di Florio - il che ci rammarica profondamente”. Fatto sta che quello intrapreso nelle due case circondariali è stato un percorso virtuoso di ascolto, di incontro, di integrazione socio-lavorativa che ha lasciato il segno. “C’è poca sensibilità verso la mediazione culturale - ha concluso Domenico La Marca, presidente della cooperativa Arcobaleno e coordinatore del progetto - e per questo ce la possiamo permettere soltanto nei progetti ed è un’esperienza che non può essere lasciata alla volontarietà. Le relazioni umane che si creano non possono finire con la scadenza di una iniziativa, tuttavia i nostri operatori non possono sopperire da soli a una mancanza del sistema”.

 

 

Lavoro inframurario, reinserimento lavorativo
Padova, “Dino Villani 2010” (premio gastronomico), Nicola Boscoletto, "Giotto" (cooperativa)

REDATTORE SOCIALE

venerdì 25 giugno 2010
22

Padova: i detenuti-pasticceri
premiati dall’accademia italiana della cucina

Domani sera nel corso della “Conviviale dell’equinozio d’estate” sarà consegnato ai reclusi del Due Palazzi di Padova il premio “Dino Villani 2010” per la Noce del Santo.
Continuano i successi e i riconoscimenti per i pasticceri del laboratorio attivo nel carcere Due Palazzi di Padova. Domani sera, nel corso della “Conviviale dell’equinozio d’estate”, l’Accademia italiana della cucina consegnerà ai detenuti il premio “Dino Villani 2010” per la Noce del Santo, il dolce che ormai si è affermato come la specialità antoniana per eccellenza. La serata sarà ospitata nella cornice del chiostro del Generale della Basilica del Santo e vedrà la partecipazione di una decina di detenuti che potranno uscire dal carcere in permesso. Il premio è riservato ai titolari delle aziende artigianali o piccolo-industriali che si distinguono nella valorizzazione dei prodotti alimentari italiani con alti livelli di qualità.
Sui tavoli per i circa cento invitati saranno a disposizione, per la presentazione ufficiale, i nuovi “Dolci di Antonio” che si affiancano alla Noce del Santo. I detenuti, infatti, hanno voluto omaggiare il santo di Padova con la produzione di alcuni dolci che riprendono ricette e ingredienti risalenti al 1200, epoca in cui visse sant’Antonio. Le lunghe sperimentazioni sugli ingredienti dell’epoca sono alla base delle ricette, che evocano sapori antichi e raffinati.
“La santa alleanza tra detenuti e basilica del Santo, quindi, continua - commenta Nicola Boscoletto, presidente della cooperativa Giotto che ha dato vita al laboratorio di pasticceria -. E d’altra parte è cominciata tanto tempo fa, con il Santo stesso che in vita mostrò tutta la sua attenzione nei confronti dei carcerati, ottenendo anche dal comune di Padova di modificare in loro favore lo statuto dall’epoca. Un rapporto che non si è mai interrotto e che anzi due anni fa si è rinvigorito con il pellegrinaggio delle reliquie cella per cella nelle carceri cittadine. È poi continuato anche quest’anno con due messe nella Casa di Reclusione e nella Casa Circondariale, animate dai frati della Basilica del Santo, cui hanno partecipato centinaia di detenuti”. Durante la serata sarà anche presentato in prima assoluta “Present Continuous”, il cortometraggio che racconta l’ostensione del corpo di sant’Antonio, evento che a metà febbraio 2010 ha portato in una settimana 200 mila pellegrini a Padova e in particolare nella serata di lunedì 15 trecento persone del mondo del carcere insieme a 20 detenuti, usciti in permesso per l’occasione.

 

 

Lavoro inframurario, reinserimento lavorativo
Trani (Ba), “Con gusto, solidali e consapevoli” (progetto di formazione e inserimento al lavoro) , "Campo dei Miracoli" (cooperativa)

WWW.GRAVINAONLINE.IT

martedì 29 giugno 2010
23

Trani (Ba): “Con gusto, solidali e consapevoli”,
presentato progetto a favore dei detenuti

Si è svolta questa mattina presso il Monastero di Colonna a Trani, la conferenza stampa di presentazione del progetto cofinanziato dal Ministero della Giustizia - Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Cassa Delle Ammende, intitolato “Con gusto, solidali e consapevoli”.
Sono intervenuti Francesco Ventola (Presidente Provincia BAT), Carmelinda Lombardi (Assessore alle politiche sociali, politiche per la famiglia, pari opportunità, Provincia BAT), Giuseppe Martone (Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria), Angela Anna Bruna Piarulli (Direttrice Casa Circondariale di Trani), Antonio Bonucci (Direttore area Puglia, Coop Estense), Vito Genco (Consorzio Meridia Bari), Pasquale Scarnera (Psicologo clinico, progettista) Salvatore Loglisci (Presidente Cooperativa Sociale Campo dei Miracoli).
A coordinare l’incontro sarà Don Raffaele Bruno, Responsabile per la Puglia di Libera associazioni, nomi e numeri contro le mafie. Alle ore 12.30 seguirà il buffet con i taralli prodotti dai detenuti della Casa Circondariale di Trani e le specialità della terra murgiana
Con gusto, solidali e consapevoli è un progetto di formazione e inserimento al lavoro destinato ai detenuti della Casa Circondariale maschile di Trani; è proposto e attuato dalla Cooperativa Sociale Campo dei Miracoli di Gravina in Puglia; è approvato e cofinanziato nel 2010 da Cassa delle Ammende che riconosce i risultati ottenuti dalla Cooperativa nell’inserimento lavorativo dei detenuti.
Il progetto si propone come ulteriore sviluppo di un percorso già intrapreso. La Campo dei Miracoli, infatti, avvia la collaborazione con la Direzione della Casa Circondariale di Trani nel 2003 quando sottoscrive una convenzione che prevede l’assunzione di un gruppo di detenuti per la preparazione dei pasti giornalieri destinati alla popolazione carceraria. Nel 2007, per aumentare il numero dei detenuti assunti, nelle cucine della Casa Circondariale parte la lavorazione, il confezionamento e la commercializzazione di taralli artigianali salati della tradizione pugliese - all’olio extra vergine di oliva, al seme di finocchio, al peperoncino, al pepe, alla cipolla e alla pizza.
La Campo dei Miracoli seleziona rigorosamente le materie prime e sottopone la produzione alle misure Haccp per la sicurezza e la salubrità degli alimenti a garanzia di un risultato monitorato dalla fonte alla distribuzione. L’arte del maestro cuoco, la passione e le competenze acquisite dai detenuti rendono questa produzione un esempio di eccellenza nel campo della gastronomia e della lavorazione artigianale. La Coop Estense attenta da sempre alla dignità del lavoro e alla qualità propone alla vendita i taralli prodotti dai detenuti negli Ipermercati di Puglia e Basilicata. L’Assessorato alle Politiche Agroalimentari riconosce nei prodotti manufatti in carcere il duplice valore di solidarietà e gusto e li ospita in un ampio spazio nel padiglione Agrimed della Fiera del Levante negli anni 2008 e 2009. Attualmente, nella preparazione dei pasti e nella produzione dei taralli sono coinvolti 12 lavoratori di cui 7 detenuti. Tutti sono regolarmente assunti e retribuiti secondo il Contratto Collettivo Nazionale delle Cooperative sociali.
“Con Gusto, Solidali e Consapevoli” prevede due fasi supervisionate e gestite dalla cooperativa:
- la prima fase di formazione professionale.
I detenuti acquisteranno competenze sui temi della sicurezza sui posti di lavoro, della corretta prassi e salubrità dei prodotti HACCP, delle norme e regolazione dei rapporti di lavoro.
- la seconda fase di inserimento al lavoro.
Secondo una graduatoria di merito, una parte dei partecipanti ai corsi di formazione troverà impiego nella preparazione dei pasti destinati alla Casa Circondariale e nella produzione dei taralli destinati alla vendita esterna. Saranno seguiti da un maestro cuoco.
I lavoratori saranno regolarmente assunti dalla Cooperativa Campo dei Miracoli e retribuiti secondo il Contratto Collettivo Nazionale delle Cooperative sociali.

 

 

Milano, “Vestiti, usciamo!” (concorso), "Angelservice" (cooperativa)

REDATTORE SOCIALE

martedì 29 giugno 2010
24

Milano: “Vestiti, usciamo!”, giovane detenuto
crea marchio per linea d’abbigliamento

Adrian, recluso a San Vittore in attesa di giudizio, vince il concorso “Vestiti, usciamo!”, promosso dalla cooperativa Angelservice. Ha ricevuto in premio un assegno di 500 euro
Per ora c’è solo il logo, ma è il frutto della creatività di Adrian, giovane detenuto di San Vittore in attesa di giudizio. Da gennaio 2011 sarà il marchio di una nuova linea di abbigliamento per ragazzi. È questo il risultato del concorso “Vestiti, usciamo!”, dedicato ai giovani detenuti del vecchio carcere milanese e promosso dalla cooperativa Angelservice in collaborazione con ContattoC, società specializza in comunicazione. “Nel 2009 sono stati ben 1840 i reclusi con meno di 25 anni transitati da questo istituto - spiega Gloria Manzella, direttrice della casa circondariale -. È evidente come sia necessario pensare progetti di sostegno per questi ragazzi”. Il logo riproduce la pianta a raggiera del carcere di San Vittore e si chiama “unkode”. Adrian, oltre alla soddisfazione per la vittoria, ha ricevuto in premio un assegno di 500 euro, che verrà versato sul suo conto corrente.
Nel vecchio carcere milanese ci sono oltre 1.500 detenuti su una capienza di 900 posti. “Nel 2009 abbiamo assistito ad un aumento del 10% dei reclusi - sottolinea Gloria Manzella -. Qui restano fino alla conclusione del processo di primo grado. Si tratta sempre più spesso di persone con problemi di emarginazione, che forse se fuori avessero avuto più sostegno non sarebbero finiti in cella”.

 

 

Lavoro inframurario, reinserimento lavorativo
Venezia, "Rio Terà dei pensieri" (cooperativa)

REDATTORE SOCIALE

mercoledì 30 giugno 2010
25

Venezia: un convegno sul lavoro ai detenuti;
dalle aziende ancora troppi pregiudizi

La cooperativa veneziana Rio Terà dei pensieri punta alla creazione di una rete territoriale e punta sul lavoro come arma alla recidiva. D’Errico: “Aziende restie ad abbandonare i pregiudizi e spesso la crisi è solo una scusante”.
Promuovere opportunità di lavoro all’interno e all’esterno del carcere significa abbattere la recidiva e trasformare il costo della detenzione in risorsa: è questa la filosofia di “Rio Terà dei pensieri”, cooperativa sociale attiva da 16 anni negli istituti di pena veneziani. Consapevole che per continuare in questa direzione è indispensabile la creazione di una rete di attori pubblici e privati, la cooperativa ha deciso di assumersene l’onere. L’obiettivo è di garantire occupazione e stabilità a 20 detenuti che beneficiano di misure alternative o che sono uscite dal carcere. L’idea, già in fase di attuazione, è stata presentata nel corso del convegno “Lavorare vale la pena” che si è svolto ieri mattina a Mestre.
La creazione di una rete territoriale ha lo scopo di aumentare le opportunità di occupazione e ridurre le discriminazioni nel mercato del lavoro. In questa sfida la cooperativa è accompagnata da tre partner operativi (società cooperativa Isfid, Quest Lab e Soggetto Venezia srl) e alcuni partner di rete, come il comune di Venezia, il ministero della Giustizia, Legaccop Veneto, Caritas e altre realtà locali. Tutti insieme per abbattere il muro che separa gli ex reclusi da un lavoro stabile, un muro fatto di solidi pregiudizi. “Spesso le aziende non si rendono disponibili facendosi scudo della crisi - riflette il presidente di Rio Terà, Giampietro D’Errico -, ma il più delle volte è una scusa dietro cui si nascondono i pregiudizi.
Solo alcune piccole aziende ci hanno aperto le loro porte, rassicurate dal fatto che noi garantiamo tutoraggio e accompagnamento. Anche le associazioni di categoria non ci danno troppe attenzioni”. Proprio da questi ostacoli è nata l’idea di una rete che riunisca tutti i soggetti impegnati nell’inserimento, per dare un segnale forte di credibilità e compattezza.
“Ogni giorno - conclude D’Errico - ci troviamo di fronte a grattacieli di difficoltà. Se passasse il messaggio che un detenuto che produce cessa di essere un peso per diventare una risorsa, forse il nostro compito sarebbe più facile”.
Il convegno mestrino ha offerto l’opportunità di presentare e condividere anche altre esperienze di inserimento: in questa sede il Dap ha riferito del progetto “Sigillo”, un marchio di qualità registrato lo scorso ottobre e apposto su una linea di moda realizzata in carcere. Augusta Roscioli, dell’Ufficio Osservazione e Trattamento - Dap del ministero della Giustizia, ha spiegato che è stato siglato un protocollo d’intesa con 4 cooperative: “Alla base c’è la convinzione che i prodotti realizzati dalle esperienze di formazione come i laboratori di sartoria o l’apicoltura non possono restare avulsi dalle logiche del mercato, ma devono diventare commerciabili ed essere valorizzati. Per questo abbiamo voluto creare un marchio e speriamo che l’esperienza venga replicata in altri settori e possa coinvolgere un numero maggiore di cooperative”.

 

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IL GRUPPO DI LAVORO DELLA RASSEGNA STAMPA

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Rossella Favero, Coop "AltraCittà"
Valentina Michelotto, Coop "AltraCittà"
Elisa Nicoletti, volontaria