Intervista Gianluca Borghi

 

Intervista a Gianluca Borghi

Assessore alle Politiche Sociali Emilia Romagna

 

(Realizzata nel mese di ottobre 2003)

 

Intervista a cura di Marino Occhipinti

 

Assessore Borghi, avremmo tante cose da chiederle ma, per dare continuità ad un argomento che ci sta molto a cuore e del quale abbiamo già diffusamente scritto nel precedente numero della nostra rivista, vorremmo che lei ci parlasse della sanità penitenziaria ed in particolare del decreto legislativo 230 del 1999, che ha stabilito il passaggio delle competenze sull’assistenza sanitaria in carcere dall’Amministrazione Penitenziaria alle ASL. In che misura sono state applicate le nuove norme nella "sua" Regione?

La Regione Emilia-Romagna, ritenendo questa riforma un passaggio fondamentale per il riconoscimento di parità di diritti e di trattamento a tutela della salute, si è attivata per essere inclusa tra le Regioni chiamate ad effettuare la sperimentazione prevista dal decreto legislativo 230/99, con una richiesta avanzata dallo stesso presidente della Regione, in totale accordo con il Provveditore dell’Amministrazione Penitenziaria dell’Emilia-Romagna.

A seguito di tale richiesta si è provveduto a nominare una Commissione paritetica con i dirigenti delle due Amministrazioni, che ha elaborato un documento sulla tutela e la promozione della salute in ambito penitenziario, base d’avvio per il passaggio di competenze dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale.

Il documento, licenziato nel luglio 2001, costituisce il protocollo operativo per la definizione a livello territoriale di appositi atti di intesa a carattere programmatico ed operativo, riguardanti le necessità sanitarie proprie del territorio locale, da stipularsi fra Direzioni delle Aziende USL e degli Istituti Penitenziari.

Il protocollo contiene ipotesi e proposte relative ai molteplici aspetti della sanità penitenziaria: dalla medicina generale a quella specialistica, dalla gestione delle urgenze all’approvvigionamento e utilizzo dei farmaci, dai problemi delle patologie infettive alla assistenza psichiatrica, ai problemi legati alla presenza di una forte percentuale di stranieri tra le persone detenute. E’ stata poi riservata un’attenzione particolare al personale sanitario presente in carcere attraverso convenzione con il Ministero di Giustizia e alla sua collocazione futura nel passaggio al Servizio Sanitario Nazionale.

Alla richiesta da noi avanzata nel settembre del 2001 alla direzione centrale del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (D.A.P.), per poter dare avvio alla fase operativa, non è mai stata data risposta, né sono stati adottati i decreti ministeriali attuativi del decreto legislativo 230/99 più volte richiesti e sollecitati dalle Regioni.

Di fatto, quindi, il passaggio alla fase operativa e applicativa del protocollo regionale è impedito.

La Commissione interministeriale, a cui partecipano oltre ai dirigenti dei Ministeri della salute e della giustizia, i rappresentanti delle Regioni incluse nella sperimentazione prevista dal decreto 230, è stata insediata solo nei primi mesi del 2002 ed al termine dei suoi lavori, nel giugno del 2002, pur valutando positivamente il lavoro svolto nelle Regioni sperimentatrici, non ha fornito indicazioni nazionali sul proseguo dell’esperienza.

Presupposti e volontà politiche di procedere nella riforma della medicina penitenziaria, con il passaggio dell’assistenza sanitaria dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale erano nel frattempo cambiati, e il Ministero della Giustizia tornava ad essere il pieno titolare di questo tipo di interventi, pur in presenza di un decreto legislativo, inatteso, che demandava alle Regioni la competenza determinando tra operatori e amministratori una confusione sui ruoli che tuttora permane.

 

Il passaggio delle competenze ha inoltre portato ad una drastica diminuzione dei fondi per la medicina penitenziaria. Come Amministrazione regionale avete cercato di porre rimedio alle carenze, magari con lo stanziamento di finanziamenti ad hoc così da far fronte alle problematiche relative ai farmaci, soprattutto per quanto riguarda i medicinali per patologie oncologiche e anti-hiv?

La contrazione dei finanziamenti destinati dal Ministero della Giustizia alla spesa per l’assistenza sanitaria negli Istituti penitenziari, anche di questa Regione, ha spinto il Provveditore regionale dell’Amministrazione Penitenziaria a richiedere a questa Amministrazione regionale un impegno per rispondere in maniera adeguata al fabbisogno sanitario, in particolare farmaceutico, espresso dagli Istituti penitenziari del territorio.

Si assiste infatti all’aumento del numero di soggetti ristretti nelle carceri, alla necessità di farmaci di costo elevato, destinati, ad esempio, a persone sieropositive o con patologie psichiatriche, alla necessità di potenziare la presenza di operatori sanitari. Problematiche che richiedono investimenti: noi assistiamo invece ad una contrazione di risorse.

Per cercare di rispondere quantomeno alle esigenze di assistenza farmaceutica e di assistenza specialistica, la Regione e l’Amministrazione Penitenziaria regionale hanno invitato le direzioni generali delle Aziende USL e degli Istituti penitenziari a stilare un accordo-convenzione a carattere temporaneo per la fornitura dei farmaci inclusi nel prontuario terapeutico regionale e per le prestazioni specialistiche da laboratorio erogate dal Servizio Sanitario Nazionale, regolando anche tutti gli aspetti relativi alle risorse economiche necessarie (le Aziende USL assicurano farmaci e prestazioni da laboratorio fatturando poi i costi agli Istituti penitenziari).

Nelle indicazioni per la stipula di questo accordo-convenzione temporaneo, abbiamo individuato alcune situazioni che presentano particolari difficoltà sanitarie e farmaceutiche, e per le quali si andrà a verifiche congiunte tra Regione e Provveditorato dell’Amministrazione Penitenziaria regionale: gli Istituti penitenziari di Parma in quanto sede di Centro clinico, l’Istituto penitenziario di Bologna per l’alto numero di soggetti ristretti (circa 1/3 del totale della regione), l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario (OPG) di Reggio Emilia, gli Istituti di Modena e Reggio Emilia per la presenza di un consistente numero di detenuti sieropositivi o affetti da AIDS. Regione e Provveditorato s’impegnano inoltre ad approntare un sistema regionale di rendicontazione delle forniture farmaceutiche, delle fatturazioni emesse a carico degli Istituti Penitenziari, e il monitoraggio del pagamento delle stesse fatture alle Aziende USL. Questo sistema di cooperazione/verifica/controllo permetterà di governare l’andamento della spesa, di promuovere eventuali interventi di contenimento/aggiustamento della stessa, e permetterà alla Regione Emilia-Romagna la puntuale rendicontazione delle spese sostenute per l’assistenza sanitaria alle persone detenute.

 

Ne approfittiamo per chiederle ulteriori informazioni sui detenuti tossicodipendenti e su quello che, come Regione, avete elaborato e messo in cantiere…

 

In Emilia-Romagna sono in corso da anni ottimi rapporti di collaborazione tra Amministrazione Penitenziaria regionale e Regione; molteplici sono le attività svolte in comune fra Aziende sanitarie e Istituti penali. Già alla fine del ‘99, in una lettera a firma congiunta Regione-Amministrazione Penitenziaria regionale inviata ai direttori generali delle Aziende Usl e degli Istituti penitenziari, si affermava la necessità di forme di collaborazione e di tavoli di lavoro per gestire assieme l’assetto operativo previsto dal decreto 230.

Il 3 marzo 2000 abbiamo sottoscritto un documento che ha fissato "Orientamenti ed indicazioni per la sanità penitenziaria in Emilia-Romagna", con il quale si dava l’avvio concreto al trasferimento al S.S.N. delle competenze sanitarie già attribuite alle Regioni su prevenzione primaria ed assistenza ai detenuti tossicodipendenti.

Con questo documento, frutto di un gruppo di lavoro composto da operatori dei due Enti, sono state fornite specifiche indicazioni ai direttori degli Istituti penitenziari e ai direttori generali e sanitari delle Aziende USL della regione in merito all’assistenza ai detenuti con tossicodipendenza, alla prevenzione, e alle modalità di ingresso nelle carceri degli operatori del SSN.

Per le persone con tossicodipendenza detenute sono stati fissati i criteri per un nuovo assetto organizzativo ed operativo, e sono state definite competenze e mansioni degli operatori sanitari e sociali dell’Istituto, del Presidio per le Tossicodipendenze e dei Ser.T.

Riguardo alla prevenzione sono state definite competenze e funzioni del Dipartimento di sanità pubblica del S.S.N., interventi diretti di profilassi, vaccinazioni, screening e l’esercizio delle funzioni di vigilanza.

Riguardo alle modalità di ingresso degli operatori sanitari sono stati definiti i criteri di accesso, l’individuazione dei locali a disposizione e la definizione degli orari.

 

Quali altre difficoltà avete riscontrato nel versante della sanità penitenziaria e cos’avete fatto per tamponare le falle, penso ad esempio alla carenza di personale infermieristico?

La sperimentazione della riforma contenuta nel decreto legislativo 230 nella nostra, come nelle altre Regioni, non ha avuto lo sviluppo operativo previsto, per i ritardi del livello nazionale che ho sottolineato poc’anzi.

Noi abbiamo comunque agito con due iniziative, che credo di particolare rilievo, tese a migliorare le funzioni della medicina penitenziaria all’interno degli Istituti.

La prima riguarda la carenza di personale infermieristico. Già dall’aprile 2001, grazie ad un verbale d’intesa siglato dalla Regione con le Organizzazioni sindacali CGIL, CISL, UIL, abbiamo regolamentato la possibilità degli infermieri professionali dipendenti dalle Aziende Sanitarie di effettuare prestazioni all’interno degli Istituti penali in regime di lavoro straordinario, con il contributo finanziario del D.A.P.

Ad oggi forme di collaborazione sono in essere in nove Istituti penitenziari e coinvolgono oltre 70 infermieri. In particolare nella Casa Circondariale di Ferrara il servizio infermieristico è assicurato da personale dell’Azienda sanitaria che svolge il proprio orario ordinario di lavoro all’interno dell’Istituto di Pena.

La seconda iniziativa riguarda un progetto di informatizzazione, finanziato dalla Regione e dal Provveditorato regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, che sta entrando a regime su tutto il territorio regionale, che permette di:

 

avere il quadro delle principali caratteristiche epidemiologiche presentate dalla popolazione detenuta (provenienza territoriale, con particolare riguardo alla popolazione straniera immigrata; patologie sanitarie, stato di tossico ed alcol dipendenza, patologie infettive, ...);

assicurare la necessaria continuità terapeutica, soprattutto nei casi di trasferimento di un detenuto ad altro Istituto penitenziario, o di invio ai Servizi territoriali alla scarcerazione del soggetto;

definire un quadro complessivo degli interventi espletati nell’universo penitenziario, del numero di prestazioni ed attività in esso effettuate dagli operatori sanitari e socio-sanitari, sia a livello della medicina di base che specialistica, per programmare e valutare gli stessi interventi;

disporre di una corretta ed immediata conoscenza dei costi sostenuti, per il trattamento e per la cura dei soggetti, con particolare riguardo all’acquisizione di farmaci e la spesa per questi sostenuta, alle prestazioni di laboratorio analisi, al volume delle attività del personale in convenzione.

è comunque opportuno precisare che le iniziative promosse – e le altre che abbiamo in fase di elaborazione proprio in queste settimane – costituiscono semplicemente delle risposte sì ineludibili, ma parziali, ai molti problemi connessi alla sanità penitenziaria.

Queste forme di collaborazione rivestono tutte carattere transitorio e non è pensabile che possano costituire la risposta locale alla riforma del Sistema Sanitario delle carceri.

È necessario quanto prima che gli organi centrali di Governo, in particolare il Ministro della Giustizia e della Salute, come più volte richiesto in questi mesi anche dall’Assemblea dei Presidenti e degli Assessori delle Regioni, e nel rispetto delle procedure previste, provvedano ad adottare le nuove direttive in merito al riordino della medicina penitenziaria, anche in applicazione del dettato Costituzionale.

 

Noi, però, pensiamo che la salute in carcere non dipenda solamente dal numero dei medicinali e degli infermieri, ma dalla qualità della vita in generale, che può avere diverse ripercussioni: vorremmo le sue riflessioni a ruota libera…

 

Certamente, e mi pare giusto parlarne perché, per quanto riguarda in generale la salute in carcere, ritengo che, a partire dal sovraffollamento, nei carceri sarebbe necessario affrontare in maniera più soddisfacente anche tematiche di tipo socio-ambientale-sanitario.

L’influenza del sovraffollamento sulla salute psichica e fisica delle persone è nota, non mi pare il caso di citare gli esperimenti sull’aumento dello stress dei topi in gabbia con l’aumento dell’affollamento, né la stretta connessione fra stress e salute.

Ritengo sia necessario mantenere alta l’attenzione verso l’alimentazione e il vitto dei detenuti, già oggetto d’intervento del Dipartimento alcuni anni fa, ma di nuovo oggetto di frequenti lamentele, inoltre sarebbe opportuno migliorare la situazione dei prezzi dei generi in sopravitto considerati troppo alti, e curare alcuni aspetti ambientali.

Altri elementi infatti entrano in gioco in quest’ambito, e mi chiedo per esempio perché i detenuti debbano essere vestiti (dalla biancheria alle maglie di lana) a spese del volontariato, mentre i budget dell’Amministrazione Penitenziaria al riguardo appaiono evidentemente insufficienti.

Se non ho la maglia d’inverno mi ammalo, e se ho la scabbia, senza biancheria di ricambio, non guarisco.

La diffusione delle malattie infettive è un altro tema pericolosamente trascurato, nonostante la consapevolezza della particolare pericolosità del carcere, e gli ostacoli che la prevenzione incontra in ambito penitenziario, diffusamente illustrati dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità).

La Regione ha realizzato progetti che, oltre a introdurre elementi informativi ormai del tutto inesistenti sulla diffusione dell’HIV (ma più che mai necessari, alla luce delle indagini fatte!) hanno distribuito oggetti di igiene e profilassi primari quali spazzolini da denti, perché tutto manca in carcere.

Sui temi della salute psichica derivante dall’ambiente di vita interveniamo da tempo con progetti di formazione alla relazione per operatori penitenziari, volontari e dall’anno prossimo anche detenuti, progetti i cui risultati sono in parte inficiati dalla scarsa partecipazione del personale penitenziario, che sconta anche in questo senso le carenze numeriche e qualitative.

Per quanto riguarda gli aspetti ambientali, la loro importanza per la salute fisica e mentale della popolazione che in carcere vive o lavora viene assolutamente sottovalutata. Alcune cose sono insanabili: le strutture "moderne" fatte di cemento e lunghi corridoi senza dubbio costituiscono un incubo per detenuti ma non contribuiscono certo alla serenità degli operatori; erano state costruite per terroristi e si ritrovano ad ospitare una maggioranza di persone psichicamente fragili. Il verde, praticamente assente per motivi di sicurezza (il che è opinabile, dati gli ospiti), anche laddove c’è, viene sotto utilizzato. I consigli o dettami dei Dipartimenti di Igiene Pubblica inascoltati rendono quasi inutili le visite ispettive.

Assistiamo a un progressivo decadimento di un ambiente, già di per sé naturalmente "difficile", allarmati quanto lo sono gli operatori stessi del penitenziario, e impotenti di fronte alla mancanza di ogni cosa: dai farmaci agli spazzolini da denti.

A testimonianza delle estreme difficoltà in cui si dibatte l’Amministrazione Penitenziaria si è persino verificato un caso in cui una Regione ha assunto a proprie spese educatori per comandarli nei penitenziari, come esempio paradossale di buona volontà che tenta di agevolare attraverso gli educatori un lavoro di sfoltimento (incremento di misure alterative) supplendo alle carenze dell’Amministrazione, i cui budget tuttavia continuano ad essere tagliati. La Regione Emilia-Romagna stessa e i suoi comuni finanziano da otto anni la formazione e la presenza in carcere di mediatori culturali, che dovrebbero esserci come norma, almeno per le funzioni di traduttori, ma che mancano totalmente.

 

 

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