A.C.A.T. di Padova

 

Alcool e detenuti stranieri

Al Due Palazzi ora opera un gruppo di sensibilizzazione

 

(Realizzata nel mese di settembre 1999)

 

A cura della Redazione

 

Dall’inizio dell’anno, è stato avviato il Progetto Nadir, che coinvolge undici stranieri in una serie di incontri settimanali con gli operatori dell’Agenzia del Centro Alcologico Territoriale: l’iniziativa è importante, in quanto si tratta del primo intervento specifico rivolto agli stranieri.

Per saperne di più, abbiamo invitato in redazione tre operatori dell’ Agenzia: Nicoletta Regonati, psicologa, Pietro Boriotti e Francesca Santaterra, educatori, entrambi impegnati anche in attività di volontariato all’interno del carcere.

 

Come è stata avviata questa iniziativa e con quale scopo?

Il Progetto Nadir è soltanto una delle iniziative che, nel carcere, fanno capo all’A.C.A.T. (Associazione Club Alcoolisti in Trattamento): i suoi operatori svolgono, a titolo di volontariato, gli incontri individuali e l’organizzazione dei Club interni.

La presenza degli stranieri al Due Palazzi di Padova è in costante aumento da alcuni anni e rappresenta circa un terzo di tutta la popolazione carceraria. le loro condizioni di vita e la qualità delle relazioni all’interno del carcere sono tali da rendere difficile la convivenza ed appiattire ogni prospettiva di miglioramento futuro.

L’uso di alcool, accanto a quello di altre sostanze, è diventato una costante nel comportamento della maggior parte di loro, modificando gli stili di vita e le relazioni.

Per questo, all’interno della Convenzione tra l’U.S.S.L. 16 e l’Agenzia del Centro Alcoologico Territoriale (che prevede, tra l’altro, la presenza degli operatori A.C.A.T. a fianco del Ser.T. 2 nella Casa di Reclusione), ha avuto inizio un programma che ha lo scopo di aiutare gli immigrati detenuti a raggiungere la consapevolezza di un disagio legato all’uso di alcool e di droghe, ad attuare la rielaborazione culturale dello stesso e ad avviarsi sulla strada del miglioramento della qualità della propria vita, senza l’interferenza del comportamento alcoolico.

Le esperienze dei Club, dentro e fuori dal carcere, hanno fatto maturare la convinzione che le persone con problemi legati all’uso di alcool necessitano di un adeguato "accompagnamento" nel percorso di cambiamento verso la sobrietà.

 

Quali differenze esistono tra il vostro gruppo e quello dell’ACAT?

Con il Progetto Nadir abbiamo voluto coinvolgere delle persone che in precedenza non manifestavano interesse verso l’attività dei Club,tra gli italiani l’informazione circolava già, per mezzo del passaparola, mentre gli stranieri erano esclusi di fatto da queste iniziative,perciò abbiamo pensato proprio a loro.

I Club degli Alcoolisti in Trattamento rappresentano una opportunità di condivisione delle proprie esperienze, per le persone che hanno scelto di cambiare comportamenti e scegliere stili di vita liberi dagli effetti e dai condizionamenti che l’uso dì sostanze produce.

Il Gruppo invece rappresenta un momento di sensibilizzazione, nel quale trovano posto discussioni sulla integrazione culturale, visione di film, realizzazione di un opuscolo destinato anche all’esterno, con particolare attenzione alla realtà del carcere. Si tratta di un’esperienza che favorisce la rielaborazione dì gruppo del proprio vissuto e migliora le relazioni tra le persone, quindi la convivenza.

 

Che significato ha per voi il gruppo di sensibilizzazione riservato agli immigrati?

Il nostro approccio al lavoro non favorisce la nascita di programmi teorici, ci piace invece cercare di rispondere ai bisogni man mano che essi si presentano, condividendo idee e scelte con chiunque stia percorrendo il cammino con noi.

Il Gruppo è nato con questi presupposti, con in più il desiderio di far parlare gli immigrati detenuti delle loro esperienze e con le loro sensibilità, per evitare la cattiva abitudine di noi operatori di parlare a nome degli altri, spesso senza esserci confrontati con loro sulle cose da dire.

 

Quali difficoltà avete incontrato organizzando un gruppo di detenuti immigrati?

L’esperienza ha avuto un avvio sofferto per i problemi organizzativi che l’ambiente carcerario comporta. Per quanto riguarda il rapporto con le persone, ci aspettavamo forse maggiori difficoltà, perché non eravamo abituati ad attività di questo tipo, ma la naturale diffidenza reciproca e la poca abitudine al confronto vengono meno di riunione in riunione.

I partecipanti vorrebbero che il lavoro iniziato avesse degli sviluppi concreti, che permettessero loro di uscire dalla clandestinità, ma purtroppo la buona volontà degli operatori e dei volontari si scontra sempre con il muro della burocrazia e delle leggi, che non consentono agli irregolari di migliorare la loro condizione. Attualmente stiamo tentando di trovare una soluzione per due stranieri: riuscendoci, creeremmo un precedente al quale fare riferimento in futuro.

 

Il vostro rapporto con i componenti del gruppo si ferma all’interno del carcere o cercate di favorire in qualche modo il reinserimento sociale del detenuto immigrato e cercate di seguirlo anche all’esterno?

L’esperienza del Gruppo è parte integrante dell’attività dell’Agenzia del Centro Alcoologico Territoriale, che si rivolge a persone con problemi analoghi, italiane e straniere. Diversi detenuti italiani, tra quelli che erano entrati a far parte dei Club interni, hanno continuato a frequentarci anche fuori, ma per gli stranieri questo è più complicato, in quanto dopo le riunioni sarebbero costretti a ritornare alla vita di strada. Chi non ha famiglia, e sono la maggioranza, ha solo quella scelta e l’impossibilità di regola rizzarsi impedisce anche i ricongiungimenti familiari" Per il resto, ad ogni persona che voglia fare un percorso con noi, a partire da una riflessione e da alcune scelte possibili sui propri comportamenti e stili di vita, diamo la nostra completa disponibilità a camminare insieme, cercando percorsi, soluzioni, risorse, etc.

 

L’esperienza dei Club con i detenuti ha portato nuovi elementi di riflessione anche all’esterno?

L’attività dell’ACAT tiene sempre conto di tutte le esperienze maturate, quindi anche il contributo dei Club, presenti in diverse carceri italiane da oramai dieci anni, ha sicuramente permesso la crescita ed il miglioramento di tutto il sistema. A Padova vi sono stati alcuni momenti significativi di incontro delle diverse esperienze interne ed esterne al carcere. Interclub, feste analcooliche, corsi di formazione, convegni, etc.

 

Cosa pensate del Progetto Sperimentale, avviato in alcune carceri della Lombardia, per la formazione degli operatori penitenziari sui temi dell’alcoolismo e dei problemi legati ad esso? Avete intenzione di estendere il progetto anche alle carceri del Veneto?

I programmi alcoologici territoriali italiani costituiscono una fitta rete di esperienze, che si confrontano in diverse occasioni e collaborano strettamente: anche il progetto attuato in Lombardia, così come altri, è il frutto del lavoro di tutti. Per quanto riguarda Padova, stiamo collaborando con

l’ACAT per la stesura di una proposta formativa rivolta agli operatori penitenziari. Il 4 Ottobre si è tenuta a Treviso la prima giornata di studio su "Alcool e Immigrazione", realizzata in collaborazione con le U.S.S.L. e alcuni Istituti Universitari, e rivolta a tutti gli operatori sociali che si occupano di questi problemi.

 

L’uso di alcool e di sostanze stupefacenti è molto diffuso tra gli immigrati?

Esistono oramai numerose ricerche che forniscono informazioni in tal senso e la nostra esperienza non si discosta di molto da quelle già verificate.

Molti immigrati, così come del resto molti italiani, usano bevande alcooliche e sostanze stupefacenti. D’altra parte, l’uso delle bevande alcooliche nelle più diverse occasioni può rappresentare anche un comportamento che sancisce l’integrazione dello straniero nella cultura ospitante. Vorremmo sottolineare che non usiamo mai il termine abuso perché difficile da definire e spesso solo fonte di confusione. Una sostanza si usa o non si usa, questo permette una maggiore chiarezza anche nelle scelte.

 

Utilizzate anche la religione per convincere chi ha problemi di alcooldipendenza ad affrontare il problema o, come nell’ACAT, cercate di ottenere l’autoconvincimento facendo leva sul carattere delle persone?

Noi ci auguriamo di non dover mai convincere nessuno a fare qualcosa, semmai cerchiamo di creare migliori condizioni per delle scelte possibili, per esempio attraverso l’informazione e lo scambio di esperienze. Se non si conoscono alternative è difficile scegliere!

Se poi l’uso di alcool o di altre sostanze è fonte di sofferenza e accresce il disagio spirituale dell’uomo, le relazioni umane.

la condivisione, la solidarietà rappresentano sicuramente risorse per un cambiamento possibile nella direzione di un miglioramento della qualità della vita. In questo sta il senso del gruppo.

La religione è una dimensione troppo intima dell’uomo per essere "utilizzata".

L’autoconvincimento, eventualmente, ognuno lo costruisce da se e noi ci sforziamo di non far leva sul carattere di nessuno perché la manipolazione non ci piace. Invece mettiamo in gioco le nostre persone, le nostre risorse, le nostre scelte, per confrontarci e per condividere ad ognuno, poi. le proprie scelte.

Assistendo agli incontri dei Club, si nota spesso che i partecipanti usano un linguaggio particolare: parlano tutti allo stesso modo, esprimendo concetti molto simili, per non dire uguali...

In ogni esperienza di gruppo che aiuti le persone ad uscire da una situazione di disagio, succede che esse idealizzino quello che gli sta accadendo, avviene una sorta di innamoramento, per l’attività del gruppo e per gli operatori, che tuttavia si attenua con il passare del tempo.

Il trattamento realizzato nei Club A.C.A.T. è basato su un sistema terapeutico introdotto in Italia da lungo tempo, quindi ha un suo linguaggio, che diventa normale per le persone che sono coinvolte nella attività stessa.

 

Nel carcere riveste particolare gravità l’assunzione degli psicofarmaci, che sostituiscono le droghe illegali e servono per sfuggire alle angosce della detenzione. Non pensate che anche questo è un problema di dipendenza, di cui tutti dovrebbero occuparsi di più?

Quello dell’abuso degli psicofarmaci è senza dubbio un tema sul quale andrebbe fatta una campagna di sensibilizzazione, perché l’informazione in proposito è insufficiente. Noi consideriamo sullo stesso piano l’alcool, le droghe egli psicofarmaci.

 

 

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