Interviste di "Ristretti"

 

La rete di accoglienza del Comune di Roma apre anche alle detenute con figli piccoli

Un’intervista a Raffaela Milano, Assessore alle Politiche Sociali e Promozione della Salute, sul Centro di Accoglienza "Giaccone" per nuclei di madri con bambino

(Realizzata nel mese di febbraio 2004)

 

A cura di Marino Occhipinti

 

Roma è una delle città più accoglienti per i turisti, ma oggi ci sembra che abbia anche una ambizione che forse è un po’ "controcorrente", nel mondo di oggi così distratto e poco interessato ai soggetti più deboli: l’ambizione di saper accogliere anche loro, anche quelli che stanno ai

margini. Le detenute con figli piccoli sono spesso donne nomadi, o straniere che non hanno parenti che possano dar loro una mano, e trovare un posto per loro è difficile, è davvero un sollievo allora che i Comuni comincino ad accorgersi che esistono anche loro. Con l’Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Roma, Raffaela Milano, abbiamo parlato della nuova Casa di Accoglienza che è appena stata inaugurata nella capitale.

 

Assessore Milano, com’è nato e per volontà di chi il Centro di Accoglienza per madri detenute con figli e come avete avvertito il bisogno di realizzarlo?

Il Centro "Giaccone", inaugurato lo scorso 23 gennaio, è dedicato all’accoglienza di nuclei madre-bambino e in prevalenza a donne detenute che usufruiscono delle misure alternative, secondo la legge Finocchiaro. Nasce con l’obiettivo di consentire alle mamme in difficoltà e ai loro figli di poter usufruire di un ambiente sereno, accogliente e dignitoso. Si inserisce nella rete di accoglienza del Comune di Roma, che quest’anno conta circa 2600 posti (triplicati negli ultimi due anni). Di questi oltre 200 sono espressamente dedicati a nuclei madre-bambino. Risponde all’esigenza di offrire a queste donne e ai loro figli una casa e un aiuto concreto per un progetto di reinserimento sociale.

 

Oltre all’assessorato da lei diretto, all’esecuzione del progetto hanno collaborato altri Enti pubblici o privati?

Questo progetto è stato realizzato anche su proposta della Consulta cittadina permanente per il carcere, che raccoglie al suo interno tutte le associazioni, organizzazioni di volontariato e del privato sociale, esperti e personalità operanti nel settore. In essa è ampiamente rappresentata la realtà degli operatori e dei volontari che intervengono in ambito penitenziario.

 

Chi ha finanziato il Centro e soprattutto com’è strutturato – anche come spazi, visto che oltre alle donne detenute vi saranno ospitati bambini in tenera età – e quante persone può accogliere?

La casa, finanziata interamente dal Comune per una spesa di 180 mila euro, è costituita da sette camere, cinque singole e due doppie, ciascuna dotata di servizi propri, e potrà ospitare fino a sette nuclei familiari. Sono presenti inoltre una mensa ed una play-room, ossia una stanza dedicata interamente ai giochi dei bambini. Un’equipe di assistenti sociali e psicologi del Comune di Roma si occuperà nel corso della permanenza di nuclei familiari di sostenerli e favorire il reinserimento sociale.

 

Da chi è gestito e cosa dovranno fare le mamme detenute per accedervi?

Il centro è gestito direttamente dagli uffici del V Dipartimento Politiche Sociali del Comune di Roma. Per quanto riguarda l’accesso alla struttura, è il Centro Servizio Sociale del Carcere che inoltra la richiesta agli uffici del Dipartimento per chiedere la disponibilità ad accogliere un nucleo di madre con bambino.

 

Mamma e bambino potranno rimanere nel Centro per un periodo limitato, oppure i tempi saranno adeguati alle reali necessità?

Non è previsto un periodo di tempo limitato all’interno della casa. Si valuterà singolarmente, in base alle necessità e alle esigenze delle mamme e comunque in accordo con il Centro Servizio Sociale del Carcere.

 

Quali altri progetti a favore delle persone provenienti dall’area penale avete messo in cantiere in questi anni, che ritiene di doverci segnalare e che varrebbe la pena far conoscere?

Questo centro si inserisce in un più ampio insieme di azioni definite dal Comune di Roma assieme al mondo dell’associazionismo e alle istituzioni coinvolte nell’ambito del Piano regolatore sociale dedicato alla condizione carceraria. In ordine di tempo abbiamo avviato nel dicembre scorso un progetto sperimentale, chiamato "Kit delle 48 ore" con l’obiettivo primario di sostenere chi esce dal carcere. Negli istituti di pena romani infatti (Regina Coeli ed i 4 complessi di Rebibbia) sono detenute 3.203 persone (fonte: Dipartimento Amministrazione Penitenziaria al 30.06.2003). Molte di loro versano in condizioni di estremo disagio socio-economico e, una volta fuori dal carcere per fine pena, rischiano di trovarsi in uno stato di assoluta indigenza anche per affrontare questioni di primaria necessità (mangiare, vestirsi, dormire).

Per questo motivo l’Assessorato alle Politiche Sociali e Promozione della Salute con la Consulta penitenziaria cittadina, in collaborazione con le direzioni degli istituti di Pena, ha promosso il "Kit delle 48 ore", volto ad offrire un prima risposta attiva all’emergenza del detenuto rilasciato distribuendo appunto (direttamente nell’istituto di pena al momento dell’uscita) un "Kit" di prima necessità.

 

Ma cosa contiene esattamente questo Kit?

Dunque, l’elenco è abbastanza lungo ma abbiamo inserito: 4 buoni pasto da 5,25 euro l’uno; 5 biglietti giornalieri BIG Atac; una mappa di Roma (Atac); una brochure in 4 lingue (italiano, inglese, spagnolo e francese) con la localizzazione dei centri di prima accoglienza; i numeri di telefono "utili"; una scheda telefonica Telecom da 5 euro; una maglietta di cotone;1 kit per l’igiene personale; 1 portadocumenti, il tutto contenuto in un marsupio.

È significativa anche un’altra circostanza, e cioè che parte del materiale del Kit è stato realizzato dalla cooperativa "Made in Jail", formata da persone detenute ed ex detenute, quindi abbiamo coinvolto i diretti interessati. Rilevante è anche il contributo che molti sponsor hanno offerto alla realizzazione del Kit (Atac, Telecom, Comunità di S. Egidio, Ferrovie dello Stato, Ministero del Lavoro). Il Kit è inoltre un importante strumento informativo, rivolto sia a italiani che stranieri, e permette di avvicinarsi alla rete dei servizi contro il rischio di totale isolamento e di spaesamento. In questa prima fase sono stati realizzati 800 Kit, da distribuire in via sperimentale nell’arco dei prossimi mesi alle persone rilasciate per fine pena e con problemi socio-economici.

 

Vuol concludere con un messaggio ai nostri lettori?

Un grazie per avermi offerto la possibilità di illustrare sul vostro giornale dei progetti su cui la nostra amministrazione sta investendo. In particolare il Centro di accoglienza Giaccone che vuole offrire a queste donne e ai loro figli un tetto e un aiuto per il reinserimento sociale e che rappresenta un nuovo tassello della rete di accoglienza del Comune di Roma.

 

Anche a Padova, un Kit per sostenere chi esce dal carcere

Un giorno abbiamo visto un ragazzo che usciva dal carcere per fine pena; dall’ufficio matricola ritirava i suoi risparmi: 1 euro e 30 centesimi! Riflessione immediata: dove andrà a dormire stasera? E poi i presentimenti più pessimistici.

Abbiamo pensato allora che fosse quanto mai opportuno studiare qualcosa che permettesse di fornire un aiuto a persone che si trovano ad uscire dal carcere con scarsi riferimenti di parentela o di amicizia all’esterno, quindi soprattutto agli stranieri.

Abbiamo studiato ed allestito un kit che possa consentire una "sopravvivenza" nelle 48 ore successive alla scarcerazione. Lo abbiamo chiamato "un primo passo": un primo passo per una vita futura.

Il progetto è stato approvato dalla Direzione della Casa di Reclusione e reso operativo dal primo di gennaio 2004.

La consegna viene effettuata direttamente dall’Ufficio Matricola alle persone che ne abbiano effettivamente bisogno.

Abbiamo anche rilevato la mancanza di un telefono pubblico all’esterno del carcere ed inviato un appello alla Direzione per una richiesta di installazione da parte della Telecom.

Per l’ospitalità nell’albergo è necessario esibire un qualche documento, anche scaduto, oppure una dichiarazione di scarcerazione da parte dell’Istituto penitenziario.

Non siamo ancora in grado di valutare se l’iniziativa ha avuto il successo che ci eravamo proposti, ma lo stiamo monitorando e comunicheremo i risultati a Ristretti Orizzonti nei prossimi mesi.

 

Gruppo Operatori Carcerari Volontari di Padova

Vittorio Svegliado e Emanuela Colbertaldo

 

 

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