Inreviste per "Ristretti"

 

Un posto dove le mamme condannate

possono rimanere sempre con i propri figli

Si può evitare di separare il figlio dalla madre se il magistrato concede gli arresti domiciliari in una comunità di recupero, e soprattutto se si trova una comunità disposta ad ospitarli

 

(Realizzata nel mese di aprile 2004)

 

di Ilir Ceka

 

C’è una piccola comunità nell’hinterland milanese che oltre ai soliti problematici ospiti (emarginati, ragazzi con problemi di tossicodipendenza) ha pensato di accogliere le mamme detenute con bambini minori. La legge prevede che le condannate possono tenere in cella i propri figli fino al compimento dei tre anni, dopo di che il bambino viene affidato ai servizi sociali. Per evitare questo trauma sia per le madri che per i figli, la comunità "A Stefano Casati" si è offerta di creare un luogo dove le condannate possono espiare la pena in una forma paragonabile agli arresti domiciliari, ma con la possibilità di stare insieme ai propri figli, e non solo. Potranno seguire corsi di formazione professionale e attività di ricreazione e risocializzazione per facilitare il reinserimento nel modo più adeguato e civile. Chi gestisce la comunità ha pensato a tutto poiché, se la pena sarà mutata dal magistrato in altre misure alternative alla detenzione, le mamme detenute saranno in grado di trovare anche un vero contratto di lavoro e lentamente riguadagnare una vita indipendente.

Attualmente, nella comunità di Via Imbonati di Renate Brianza vengono ospitate due madri, assieme ai loro figli, che ogni mattina si recano all’asilo come tutti i loro coetanei. Un numero esiguo rispetto alle 150 donne attualmente detenute nelle carceri del capoluogo lombardo, ma che può diventare un ottimo esempio per tutte le comunità di recupero presenti nel territorio. Un esempio che, se adottato da altre realtà simili, sarà sicuramente un atto di civiltà e porterà soltanto giustizia per le donne che, oltre alla pena, si trovano a pagare (e far pagare ai propri figli) una condanna aggiuntiva sicuramente ingiustificata.

Abbiamo contattato la dottoressa Graziella Roveda, direttrice della comunità di Renate Brianza (Milano) dove sono ospitate le mamme detenute, che ci ha dato modo di intervistare lo psicologo del centro, Roberto Lombardi.

 

Quante mamme con bambini sono ospitate nella vostra comunità?

La comunità accoglie persone bisognose di varie categorie, prevalentemente minori e persone con problemi di dipendenza.

Ultimamente abbiamo ospitato anche sei mamme con i loro bambini, delle quali due sono detenute agli arresti domiciliari. Però ultimamente sono state introdotte delle modifiche sulle procedure di accreditamento. è molto probabile che, a seguito di queste modifiche, in futuro avremo la possibilità di ospitare solo quattro donne con i rispettivi figli.

 

Esiste un programma di trattamento per queste donne?

Ovviamente esiste un programma trattamentale. La permanenza delle ospiti in comunità ha come obiettivo il superamento di condizioni di disagio di natura psicologica e sociale. Le mamme pertanto svolgono, compatibilmente con le necessità dei loro bambini, tutte le attività previste dal programma, che hanno come obiettivo l’accompagnamento delle persone ad una autonomia concreta e psicologica. Tali attività si dividono in attività di formazione al lavoro nel laboratorio annesso alla comunità, attività ricreativo-culturali ed attività strettamente di natura educativo-psicologica.

Le attività ricreativo-culturali consistono in corsi di disegno, di computer, di lingua inglese, poi si praticano attività come la pallavolo, escursionismo/arrampicata sportiva in montagna e cineforum, mentre le attività educativo–psicologiche psicoterapia individuale e di gruppo, training autogeno, gruppi di discussione comunitaria, gruppi di mamme condotti da una pedagogista che le coinvolge in discussioni riguardanti i problemi dei loro bambini. Poi abbiamo colloqui individuali di verifica con la direzione in merito all’andamento del programma e un gruppo di introduzione alla psicoterapia.

 

Quanti educatori ci sono in comunità?

Oltre a Graziella Roveda, che è la direttrice, ci sono cinque educatori professionali, una obiettrice di coscienza, uno psicologo e circa dieci volontari.

 

Le mamme detenute hanno la possibilità di trovare anche un lavoro?

Abbiamo delle attività di formazione al lavoro che comprendono un gruppo di discussione sul proprio curriculum lavorativo e in generale sul mondo del lavoro. Nel quadro della formazione facciamo un corso di ricamo ed uno di lavorazioni artistiche. Inoltre, a turno, ciascuna ospite svolge un vero e proprio lavoro che consiste nella preparazione dei pasti oppure nella pulizia della casa. Tutte attività retribuite. Anche il servizio di cura ai bambini è svolto a turno dalle mamme, che quindi si occupano pure dei bambini delle loro colleghe che sono impegnate durante gli orari di attività. Di giorno, i bambini che abbiano l’età necessaria vengono inseriti al nido, alla materna o alla scuola.

 

Quindi le persone che ospitate lavorano tutte?

Tutte le persone all’interno della comunità partecipano ai lavori del laboratorio, fove si svolge la formazione al lavoro. Alcune persone possono essere responsabili di particolari compiti all’interno dell’organizzazione della vita comunitaria: lavanderia, stireria, lavori esterni e altro.

Quando le persone arrivano alla fase di reinserimento, che è la fase conclusiva del programma, possono essere assunte con un contratto a termine dalla cooperativa "Valore Lavoro", che è la cooperativa che gestisce il laboratorio interno alla comunità. Possono in tal modo accantonare una certa somma di denaro che servirà in seguito al loro reinserimento all’esterno. Se una persona ha già delle capacità che le permettono di accedere ad un lavoro esterno, può saltare il passaggio dell’assunzione interna.

Gli stipendi delle ospiti assunte dalla cooperativa vengono pagati con i ricavi del lavoro che viene svolto nel laboratorio di formazione. Purtroppo la resa economica di tale laboratorio è piuttosto modesta per una serie di fattori (scarsa presenza delle ospiti in laboratorio per altri impegni, scarsa produttività legata alla loro attitudine e condizione psicologica sono alcuni degli esempi) e così il numero delle persone che possono essere assunte è ridotto a due in uno stesso periodo di tempo.

 

Ci può raccontare qualcosa in più delle attività dei bambini?

Durante la giornata vanno all’asilo o a scuola. La sera, invece, la trascorrono con le loro mamme. Esiste uno spazio giochi attrezzato all’interno della comunità, e la domenica, se la mamma è nella fase di programma che lo consente, possono uscire con la mamma per recarsi al parco, all’oratorio e nelle altre uscite che vengono organizzate. I bambini molto piccoli, che ancora non possono andare al nido, passano invece molto più tempo con la loro mamma.

 

Che tipo di vita offre la comunità, e cosa viene fatto per il futuro delle ospiti?

La vita è abbastanza impegnata, non c’è molto tempo per l’ozio. Si tratta di una vita improntata all’affrontare le proprie responsabilità. Si discute molto: ogni persona è caldamente invitata a raccontare di sé, delle proprie esperienze, dei propri vissuti, dei propri pensieri. Tutto questo lavoro di confidenza ha come obiettivo il mobilitare energie che permettano alla persona di costruirsi un futuro che la veda inserita responsabilmente ed in modo adulto nella società. Insomma, un percorso orientato al proprio successo nella vita.

Una volta che una persona ha risolto o ha attenuato i propri conflitti interni, inizia a costruire il suo futuro concretamente, attraverso la ricerca di una casa e di un lavoro.

È un posto dove si fatica per crescere: ogni persona ci porta i suoi malesseri, i suoi conflitti, le sue parti infantili e pian piano impara a gestirli attraverso la confidenza fatta a qualcuno piuttosto che attraverso l’agito compulsivo, che genera sempre problemi.

 

Com’è strutturato il centro?

La comunità è una casa normale, organizzata però per accogliere una comunità: al piano terra c’è il salone, dove si mangia e si tengono le riunioni serali di organizzazione della giornata successiva, oltre allo spazio attrezzato per i bambini; ci sono la cucina, la lavanderia, il guardaroba, l’ufficio, la dispensa. Al primo piano ci sono le camere, i bagni ed il locale infermeria.

All’ultimo piano ancora una camera col bagno e la sala terapia dove si svolgono colloqui e gruppi.

Intorno alla casa, infine, c’è un giardino con cortiletto con alcuni giochi per i bambini.

 

 

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