Giorgio Vecchiani

 

Sbobinare le registrazioni dei consigli comunali e provinciali

Un lavoro di pazienza e precisione che a Pisa affidano ai detenuti

 

(Realizzata nel mese di gennaio 2003)

 

A cura di Marino Occhipinti

 

La Don Bosco è una Cooperativa che si prefigge di contrastare i fenomeni di emarginazione dei detenuti, favorendone l’inserimento nelle attività delle comunità locali e contribuendo a svilupparne l’autogestione e la solidarietà.

In un recente incontro pubblico, il presidente della Cooperativa, Benedetto Benedetti, ha ricordato che "l’impegno è quello di restituire libertà ai detenuti, non soltanto quella di tempo e spazio, ma soprattutto quella interiore, che consente ai reclusi di rientrare a far parte della società". Di questo ed altro abbiamo parlato con Giorgio Vecchiani, che della Don Bosco è il direttore.

 

Ci racconta quando è nata la Cooperativa, per volontà di chi e con quali scopi?

La Cooperativa è nata qui a Pisa il 22 dicembre 1997, quindi oltre 5 anni fa, grazie alla volontà di alcune associazioni di volontariato e di singole persone che sono sempre state vicine ai problemi degli ospiti della Casa Circondariale. Ispirandoci all’articolo 27 della nostra carta costituzionale, ed ai principi della solidarietà, abbiamo consentito a persone in detenzione o in affidamento di conseguire una qualificazione professionale e culturale adeguata, permettendo un proficuo reinserimento non solo nel lavoro, ma anche nella società esterna e nell’ambito familiare.

 

Quante persone cosiddette svantaggiate, mi riferisco in particolare a detenuti ed ex detenuti, lavorano alle vostre dipendenze?

Attualmente nella Cooperativa lavorano 14 fra detenuti (semiliberi ed ammessi al lavoro all’esterno con l’articolo 21), affidati ai Servizi sociali ed ex detenuti, e di questi 2 sono le donne e 3 gli extracomunitari.

 

In quali settori occupazionali sono incentrate le vostre attività? Sono solamente esterne al carcere oppure anche interne?

Al momento la Cooperativa opera, per quanto concerne il lavoro, esclusivamente fuori dall’ambito carcerario, attraverso la convenzione con l’ospedale di Pisa per la manutenzione del verde e la convenzione con l’Amministrazione provinciale di Pisa e i Comuni di Calcinaia e San Giuliano per gli sbobinamenti dei consigli provinciali e comunali: si tratta di un qualificatissimo lavoro di stenotipia, tanto che questo viene svolto anche in diretta. Abbiamo poi rapporti di lavoro anche con altri Comuni, come Vecchiano e Cascina, oltre che con privati, ed i detenuti svolgono lavori di giardinaggio, coltivazioni di piante, manutenzioni. Con il contributo del Comune di Pisa curiamo anche la manutenzione dei Giardini Solarino, situati proprio davanti alla Casa Circondariale, dove grazie al lavoro della Cooperativa fu, a suo tempo, inaugurato un monumento che interpreta il dramma di coloro che si trovano all’interno del carcere, ma anche la speranza del ritorno ad una vita civile.

 

Torniamo per un attimo allo sbobinamento dei consigli, attività abbastanza atipica per dei detenuti: sono stati effettuati corsi di formazione per coloro che svolgono questo genere di lavoro? E quali sono i criteri retributivi che applicate?

Naturalmente la sbobinatura delle cassette e la stenotipia in diretta sono state precedute da un corso della durata di sei mesi, il tempo necessario ad acquisire le conoscenze informatiche per l’utilizzo delle macchine. I criteri retributivi per questa mansione sono regolati dal contratto di collaborazione coordinata e continuativa, mentre per quanto riguarda la convenzione stipulata con l’ospedale di Pisa ci si attiene al contratto del C.C.N.L. per il Personale Dipendente da Imprese Esercenti Servizi di Pulizia e Servizi Integrati/Multiservizi.

 

Come sono i rapporti con gli Enti locali, riuscite a collaborare ed a lavorare assieme?

Sì, tanto che proprio recentemente il Comune di Pisa ci ha concesso un appezzamento di terreno situato in località Ospedaletto, all’interno del quale vi sono alcuni ruderi colonici, ed è nostra intenzione cercare di ristrutturarne almeno uno di 120 mq, oltre alla possibilità di far diventare agibili 4 stanze del fabbricato più grande. Se riuscissimo a portare a compimento questi lavori, potremmo permetterci di realizzare la "Fattoria Don Bosco", che ci consentirebbe di avviare al lavoro molti altri detenuti e di accogliere anche quei familiari che non hanno altra soluzione. Poi abbiamo ricevuto un generoso contributo dalla Cassa di Risparmio di Pisa, con il quale abbiamo acquistato un prefabbricato in legno di 35 mq e abbiamo ristrutturato un locale ora adibito a magazzino. Non solo, perché il contributo ci ha permesso l’installazione di due serre nelle quali sono stati messi a dimora semi per un vivaio di piante di alto fusto. A questo punto è giusto sottolineare che la qualifica professionale dei nostri lavoratori si deve sia ai corsi finanziati dal Centro di Ricerche e Documentazioni di Roma, sia alle borse lavoro concesse dal Centro Servizi Sociali Adulti di Pisa, e speriamo che tutto il nostro lavoro possa continuare ed anzi ampliarsi grazie ai progetti che abbiamo presentato alla Regione Toscana e anche attuando la legge Smuraglia, che prevede incentivi a favore di chi assume detenuti. Questa è una buona opportunità per dare lavoro a chi si trova nelle carceri, anche se i benefici previsti da questa normativa potranno vedersi a lungo termine e non nell’immediato.

 

Ci traccia il bilancio della Cooperativa don Bosco dopo i primi 5 anni?

Dal 1997 ad oggi, nella Cooperativa hanno lavorato 42 soggetti svantaggiati, dei quali solo 3 sono rientrati in carcere per non aver rispettato le regole. Ben al di sotto del 10%, che è una percentuale bassissima se si considera che la recidiva si attesta mediamente attorno al 70%.

 

Quindi, alla luce della vostra esperienza, le considerazioni sul lavoro non possono che essere positive…

Le considerazioni sono più che positive, almeno per i risultati che abbiamo avuto da noi. Però per ottenere buoni risultati non è sufficiente soltanto il lavoro, ma è importante che il detenuto o l’ex detenuto sia seguito, per quanto possibile, anche fuori dal lavoro e quando il rapporto con la Cooperativa viene a terminare, altrimenti si sente abbandonato e tutto quello che si è fatto a monte rischia di andare in fumo. In pratica, se vogliamo che le persone che hanno commesso reati ritornino con successo nella società, una volta scontata la pena, è necessario che sia nel lavoro che nei rapporti umani vi sia pari dignità, e non si dimentichi mai che anche loro sono cittadini, che hanno sì commesso errori, ma che se ne sono resi conto, hanno pagato e hanno diritto a essere riammessi nel mondo civile.

 

 

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