Interviste di "Ristretti"

 

Nuovo Villaggio

Una cooperativa sociale di Padova che, tra le altre attività, si occupa di trovare alloggi a prezzi "calmierati" per persone disagiate

 

(Realizzata nel mese di marzo 2004)

 

A cura di Francesco Morelli

 

Quando è nata la vostra cooperativa e con quale finalità?

Nuovo Villaggio è nata nel 1993, perché Acli, Movi, Popoli Insieme e Unica Terra, che erano (e sono ancora) associazioni che si occupano di dare di dare accoglienza agli immigrati, hanno deciso di trasformare la loro opera volontaria in un esperimento di impresa sociale. Il motivo per cui nasce Nuovo Villaggio, quindi, è questo tentativo dell’azione volontaria di trasformarsi in impresa sociale. Il primo appartamento che Nuovo Villaggio ha messo in pista risale al luglio 1994, destinato a dei ragazzi senegalesi.

 

Come funziona il sistema del reperimento e della successiva assegnazione degli alloggi?

Nuovo Villaggio funziona come cooperativa di consumo: reperisce sul mercato un immobile e lo mette a disposizione dei suoi soci. Non facciamo sub-locazione ma un’attività di mediazione sociale, prendendo sul mercato gli alloggi alle migliori condizioni possibili e assegnandole in uso ai soci.

 

Quindi una persona che vuole avere un alloggio tramite voi deve diventare socio della cooperativa?

Certo, bisogna associarsi. Perché la nostra idea è che tutti devono darsi una mano per risolvere il problema alloggiativi e, siccome partiamo da un pregiudizio verso gli immigrati e da una riserva negativa verso l’affitto, l’idea che l’impresa cooperativa aiuta a superare questi due ostacoli alla fine si è rivelata giusta.

 

I vostri soci, quindi, sono tutte persone immigrate, oppure si associano anche degli italiani?

Eravamo partiti con l’intenzione di trovare un alloggio per gli stranieri, perché questo era e rimane un problema più sentito, poi, in realtà, ci siamo trovati a dover ospitare anche italiani, sia singoli, sia intere famiglie, sia padovani e sia provenienti da altre regioni.

 

In prevalenza, si tratta di persone con problemi di integrazione sociale?

Sono persone che, in genere, hanno un vissuto sociale assolutamente nella norma e che, per motivi diversi, da una separazione, o da un trasferimento per lavoro, si ritrovano senza casa e senza più le risorse per farcela da soli e trovare una.

 

Quanti sono i soci della cooperativa che alloggiano negli appartamenti reperiti da voi?

Ormai siamo arrivati ad avere 80 appartamenti, nei quali abitano circa 400 persone.

 

Quando contattate il proprietario di un appartamento gli spiegate che destinazione avrà?

Certo, e di solito i proprietari accettano questa procedura, anzi la prediligono. Perché la cooperativa, comunque, è un soggetto che non può scomparire dall’oggi al domani. Una persona, straniera o italiana che sia, può andarsene di punto in bianco, magari lasciando un appartamento con dei danni. La cooperativa, invece, rappresenta un riferimento sicuro, dà maggiori garanzie a chi ha immobile da affittare. Non per questo ci fanno degli sconti, però affittano più volentieri…

 

La casa viene assegnata in base a una graduatoria all’interno della cooperativa? C’è una sorta di "lista di attesa" in questo senso?

Una vera lista d’attesa non c’è, invece c’è una graduatoria che si basa sulla situazione personale dei soci. Mi spiego meglio: abbiamo capito che, tra il proprietario e la sua casa, esiste un legame affettivo, prima che economico. Perché il legame affettivo si estenda alla persona che deve andare ad abitare in quella casa bisogna che il proprietario gliela dia con un atto di fiducia, perché se non crea il rapporto fiduciario lui sarà sempre prevenuto nel confronto degli inquilini e loro dovranno essere sempre "protetti" dalla cooperativa, quindi limitati nell’accesso al mercato. Tentiamo di rispondere al bisogno di casa che c’è vedendo che si crei un legame, un qualche tipo di rapporto, tra il proprietario dell’alloggio e chi ci deve andare ad abitare.

 

Come fate ad ottenere questo? Organizzate un incontro conoscitivo?

Cerchiamo di cambiare la sensibilità, le disposizioni… se uno mi dice "non voglio negri a casa mia" ed io, nel mio modo di pensare egualitarista, che è assolutamente sano gli dico: "Ti mando una famiglia di nigeriani", probabilmente affermo un principio sacrosanto, ma non rispondo a un’esigenza di lungo periodo, che è quella di creare una situazione di fiducia reciproca. È inutile che io metto assieme delle persone che non vogliono stare assieme… allora, ad esempio, gli mando una famiglia rumena, e intanto rompo un mattone della sua diffidenza verso gli stranieri. È un tentativo, non è la ricetta per risolvere i problemi del mondo. Ma è un tentativo che dà dei risultati: in 25 dei casi, che abbiamo gestito in questi 10 anni, c’è stato poi il contratto direttamente tra il proprietario e l’inquilino.

 

Gli alloggi sono tutti di privati, oppure anche di enti pubblici?

C’è qualche parrocchia, che ci dà delle case, e qualcuna viene dal comune, ma la stragrande maggioranza sono dei privati. Questo perché l’ente pubblico ha i suoi canali di concessione degli alloggi, mentre la nostra cooperativa fa un lavoro diverso.

 

Una persona che diventa socia della cooperativa, mediamente quanto deve aspettare per avere un alloggio?

Anche anni… le nostre forze sono limitate, anche perché il margine di utilità che deriva all’impresa dalla fornitura di questo servizio è negativo: a fronte di un ricarico di 30.000 lire (parlo in lire perché siamo ancora fermi alle quote del 1993) sul canone mensile di affitto, che oggi quasi non bastano per la carta e la spedizione della fattura, c’è sempre qualche perdita sui crediti, perché qualcuno che non paga la sua mensilità c’è e noi siamo comunque impegnati per versarla al proprietario.

 

È più difficile alloggiare le famiglie, rispetto alle persone sole?

Certo, perché le persone sole le puoi anche mettere assieme, in uno stesso appartamento, e diventano un’unità plurireddito. La metà delle nostre case sono abitate da gruppi di singoli e la metà sono abitate da famiglie. Per queste si presentano situazioni più difficili, rigidità legate alla presenza di bambini, che hanno necessità di relazione con un territorio, con una scuola, un servizio sanitario, quindi è più difficile spostarle. E, normalmente, il reddito del nucleo famigliare è più debole, più instabile, anche.

 

Qual è l’età media dei vostri soci?

Sotto i quaranta anni, ma più vicina ai trenta che ai quaranta…

 

Da quello che ci ha detto sembra chiaro che ci sono più difficoltà nel trovare la casa per uno straniero, piuttosto che per un italiano. Ma tra gli stranieri, vi sono nazionalità particolarmente "indesiderate"?

Dipende dai periodi, ci sono stati dei momenti nei quali era molto difficile collocare gli albanesi. Sono le conseguenze di certe campagne di stampa…

 

A proposito di stampa… la vostra cooperativa è anche l’editore di Cittadini Dappertutto, un mensile che si occupa dei problemi degli immigrati. Come è organizzata la redazione e la diffusione del giornale?

Il direttore, Sergio Frigo, che è la vera anima del giornale, lavora a titolo di volontariato. Alcune collaborazioni esterne, invece, vengono pagate dalla cooperativa, che si fa carico anche delle spese di impaginazione, tipografia ecc. Abbiamo una tiratura di 4.000 copie e, ogni anno, un bilancio che è in rosso per alcune migliaia di euro…

 

Quindi, oltre al problema della casa, siete impegnati anche sul fronte dell’informazione…

Dell’informazione e della formazione, perché abbiamo tre operatori che seguono dei progetti di formazione all’intercultura, rivolti di solito al personale delle ASL, o delle scuole, ma anche ai genitori degli studenti. In qualche caso organizziamo l’accompagnamento scolastico dei ragazzi stranieri, in pratica fornendogli una sorte di insegnanti di sostegno che lo aiuti a superare il gap nei confronti dei compagni. Questi servizi li abbiamo attivati quando ci siamo resi conto che il "problema casa" in realtà è "il problema persona" e riguarda l’educazione, l’informazione, i servizi sociali, etc… Abbiamo anche un progetto per le ragazze vittime di tratta e ci siamo arrivati in un modo molto semplice: la questura, i carabinieri, la Caritas, ci chiedevano di alloggiare queste ragazze e non avevamo "situazioni" adatte in cui accoglierle. Così nel 1998 è nato il Progetto Miriam, in collaborazione con la Caritas e la diocesi: abbiamo un appartamento di "protezione", per i primi tempi, e altri tre, di "sgancio", per il periodo successivo, quando queste ragazze hanno recuperato abbastanza autonomia di vita.

 

Quindi avete anche progetti di lavoro in rete.

Nel 1997, con altre strutture che facevano (e fanno) il nostro lavoro, abbiamo costituito il Coordinamento Veneto Accoglienza, un’associazione di associazioni e cooperative che hanno come principale attività l’accoglienza abitativa. Ci incontriamo circa 6 volte all’anno per definire delle strategie comuni soprattutto nel rapporto con gli enti locali, la regione prima di tutto, che non è che ci ascoltano molto. Nel 1998, a fianco di Nuovo Villaggio, nasce Città So.La.Re., cooperativa di tipo B per l’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate. In realtà Città So.La.Re. non nasce da zero ma recupera una cooperativa delle Acli che si chiamava Agricola Nuova Venere, che negli anni 80 si occupava di tossicodipendenti e, ormai da alcuni anni, non aveva nessuna attività. Con la Caritas abbiamo iniziato a lavorare sulla raccolta differenziata degli indumenti occupando sia alcune persone che abitavano nelle nostre case, sia altre che frequentavano i loro centri: il progetto si chiamava appunto Città So.La.Re. (Solidarietà, Lavoro, Responsabilità) e da lì la Nuova Venere ha cambiato nome.

 

Quante sono le persone svantaggiate che lavorano in Città So.La.Re. e, tra queste, quante quelle che provengono dal carcere?

In tutto Città So.La.Re. ha una sessantina di dipendenti, dei quali più della metà è rappresentata da soggetti svantaggiati. La provenienza di questi è varia: dal carcere alla tossicodipendenza, alcolismo, disabilità psichica medio-lieve.

 

Che tipo di attività svolgete?

Abbiamo dei trasporti per conto terzi, la raccolta differenziata dei rifiuti, piccole manutenzioni del verde, un piccolo laboratorio di assemblaggio meccanico.

 

Le vostre commesse arrivano più dagli enti pubblici o da privati?

Prevalentemente dagli enti, anche se alcuni settori, come il trasporto per conto terzi e l’assemblaggio lavorano su commesse di privati. Alla fine il fatturato deriva per metà dal pubblico e per metà dal privato.

 

La cooperativa Città So.La.Re. si regge autonomamente, dal punto di vista economico, oppure deve essere sostenuta dalla Nuova Villaggio?

Città So.La.Re. è del gruppo Nuovo Villaggio, nel senso che tre quinti del Consiglio di amministrazione sono espressi da Nuovo Villaggio, che fornisce anche la sede il know-how, l’amministrazione i rapporti commerciali. Città So.La.Re. "dovrebbe" stare in piedi da sola: il problema è che spesso fa lavorare qualcuno anche se non ce ne sarebbe bisogno, nell’economia aziendale. Ma lo fa lavorare perché il lavoro è utile alla persona. Secondo, facciamo lavori a basso valore aggiunto, quindi il margine di utile è molto risicato: basta che ci incendiano tre camion nottetempo come è successo, e rischiamo il fallimento. Basta che facciamo tre incidenti stradali e che ci raddoppiano la polizza e andiamo in affanno… Basta che ci sia un po’ di congiuntura negativa nel settore dell’assemblaggio e ci troviamo in difficoltà.

 

 

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