Domenico Paonessa

 

Accompagnamento e assistenza ai non vedenti, libri parlati

 

(Realizzata nel mese di marzo 2003)

 

A cura di Marino Occhipinti

 

A Potenza, se ne occupano dei volontari "particolari": persone condannate che scontano la pena fuori del carcere. Intervista al dottor Domenico Paonessa, Direttore del Centro Servizio Sociale per Adulti di Potenza

 

Compiti di accompagnamento e assistenza ai non vedenti, ma anche di registrazione di "libri parlati": a Potenza queste attività vengono affidate a persone condannate in misura alternativa, sulla base di un protocollo d’intesa tra Centro Servizio Sociale per Adulti e Unione Italiana Ciechi. Ne abbiamo parlato con il dottor Domenico Paonessa, Direttore del Centro Servizio Sociale Adulti di Potenza.

 

Ci può spiegare come si è sviluppato il protocollo d’intesa che permette ai condannati che scontano la pena fuori del carcere di impegnarsi in forme di volontariato in favore dei non vedenti della provincia di Potenza?

La riflessione che stiamo facendo come centro è che, senza nulla togliere alla significatività del momento che è il lavoro e la formazione professionale, possano esserci altre questioni pur significative in grado di portare un soggetto a rivisitare criticamente il percorso che lo ha portato a delinquere. Quindi stiamo ragionando su questi due binari: uscire fuori dalla nostra sede fisica e provare a farci conoscere; differenziare l’offerta di servizi anche nei confronti di utenti che, a volte, sono utenti di serie B dal momento che oggi non hanno nemmeno qualcuno che li rappresenti o li tuteli in modo significativo. In tal senso siamo convinti che questo protocollo di intesa con l’Unione Italiana Ciechi possa essere una delle modalità per proporre questo qualcosa di diverso dal lavoro e dalla formazione professionale anche ai nostri utenti.

 

In che senso gli utenti in esecuzione penale esterna sono di serie B?

Il malato ha conquistato il tribunale dei malati, il consumatore è riuscito ad ottenere diverse associazioni a sua tutela, ma non ha preso piede nessuna iniziativa che porti a garantire questi soggetti svantaggiati che, tra l’altro, si ritrovano anche in una situazione in cui non possono decidere a chi rivolgersi perché, come Centro Servizio Sociale per Adulti, lavoriamo in regime di monopolio. Inoltre, nessuno finora, in modo significativo, ci chiede di migliorare o rendere conto degli standard di qualità dei prodotti che produciamo. Difatti, è da poco che i servizi pubblici si pongono il problema di un’attenzione alla qualità del servizio erogato. Per provare a rappresentarvi quello che abbiamo in mente, vi faccio quest’esempio: un utente oggi non saprebbe bene da chi farsi tutelare se dovesse attendere due ore in sala di attesa perché, probabilmente, nessun soggetto esterno al servizio sarebbe disposto ad ascoltarlo. Come Centro, stiamo provando a sottoporci anche ad una serie di progetti promossi dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dove l’ipotesi è di obbligarci volontariamente a questo tipo di riflessione critica su come lavoriamo per capire che tipo di possibilità in più offrire ai nostri utenti.

 

Quali sono le competenze del C.S.S.A.? Di chi e di cosa vi occupate?

Oltre alla detenzione esistono misure alternative per i condannati fino a tre anni di pena, come l’affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare e la semilibertà, di competenza del servizio sociale penitenziario. Ad oggi sono circa 300 i condannati sottoposti a misure alternative alla detenzione nella nostra regione.

Per noi è normale essere continuamente confusi con il carcere perché quando si parla di amministrazione penitenziaria viene subito in mente l’idea del carcere come unico luogo in cui si sconta una detenzione.

Il nostro è un ufficio periferico del Ministero della Giustizia ed il nostro Servizio da qualcuno viene denominato "carcere senza sbarre" perché, di fatto, il territorio diventa il luogo dove è possibile scontare una pena, senza entrare in istituto. Il nostro ufficio è competente prevalentemente, per seguire quei cittadini che, condannati, devono iniziare a scontare questo tipo di pena. Questi soggetti, quindi, possono chiedere di non entrare in carcere e di sottoscrivere un vero e proprio contratto con lo Stato che dovranno rispettare.

Le condizioni alle quali sono sottoposti i nostri affidati in prova al Servizio Sociale sono individualizzate (dedicarsi al lavoro, ad attività di formazione professionale, volontariato ed altro) e prevedono anche, in linea di massima, alcune restrizioni delle libertà personali (rientrare a casa ad una certa ora, non lasciare un determinato comune o provincia, etc…).

Il trattamento è personalizzato e mirato a far sì che questo soggetto condannato faccia qualcosa di socialmente utile e si attivi in un’ottica di risarcimento danni verso la società, rivisitando il suo modo di vivere. Oggi, rispetto al mondo del carcere ci sono più soggetti in esecuzione penale esterna, soprattutto se consideriamo che negli istituti non ci sono solo i definitivi ma anche cittadini sottoposti a misura cautelare. Quindi, se compariamo il dato dei condannati, appare significativo che oggi si abbiano più soggetti che scontano una pena in strada piuttosto che soggetti all’interno del carcere.

 

Ci spiega con quali modalità verranno svolti i "servizi di lettura dei testi da registrare per l’utilizzo dei non vedenti" e quali sono i soggetti coinvolti?

L’iniziativa messa in atto con l’Unione Italiana Ciechi consiste in una attività di volontariato volta a consolidare il cambiamento di stile di vita, sostenendo il reinserimento sociale di coloro che sono sottoposti a misure alternative, in base ai bisogni e all’organizzazione dei servizi dell’associazione.

Il servizio del "libro parlato" è la pagina che si fa voce, per trasferire e vivificare le parole scritte, per raccontare e per informare tutti coloro che per motivi diversi hanno difficoltà di lettura. Ad oggi alcuni dei nostri volontari in esecuzione penale esterna hanno in lavorazione alcuni libri, con l’ausilio di un semplice registratore da tavolo, quali "Tartarino di Tarascona" di Alphonse Daudet, già disponibile su audiocassetta, e la "Guida storico – artistica alla città di Potenza e dintorni".

Naturalmente provvederemo ad assegnare ai condannati che intendano aderire al progetto, a seconda del periodo di pena che dovranno scontare, un diverso servizio di attività di volontariato.

Per i servizi di accompagnamento e di assistenza ai non vedenti è prevista in questi giorni la programmazione di una attività seminariale mirata alla acquisizione di competenze per imparare a rapportarsi con loro in maniera adeguata al fine di avere dei volontari del Centro qualificati ad affiancarli anche in quelle ordinarie attività di vita sociale quali ad esempio l’andare a teatro, al cinema, presso gli uffici pubblici ecc… La terza attività di volontariato prevista è quella presso la sede provinciale dell’U.I.C. stessa.

 

Questo progetto può essere inteso come un modo per riavvicinare il condannato alla società, per farlo sentire nuovamente vitale, partecipe alla vita attiva e non soltanto un escluso?

L’idea del libro parlato, dell’accompagnamento a soggetti non vedenti, ed altre idee così come descritte nell’articolo 2 del protocollo d’intesa ci stimolano rispetto alla convinzione di poter fare qualcos’altro. Siamo certi del fatto che questo tipo di attività possa essere un’occasione anche per far sì che tra soggetti momentaneamente svantaggiati ci sia una rilettura che possa permettere ad entrambe le parti di far venir meno quello che da anni è il pregiudizio nei confronti del diverso. Ci piace pensare che possa essere, fra le altre, un’occasione per ripensare il proprio stile di vita.

 

C’è stato anche un coinvolgimento delle associazioni di volontariato?

Naturalmente, proprio perché questo tipo di iniziativa contribuisce a rafforzare ulteriormente la rete all’interno della quale il C.S.S.A. di Potenza opera, e le associazioni di volontariato rappresentano un anello fondamentale di questo processo.

Non basta solo il nostro impegno per ricucire gli strappi venutisi a creare in seguito ad un reato, la riabilitazione del condannato passa anche attraverso il coinvolgimento dei servizi sociali degli enti locali, dei servizi socio-sanitari ma anche e in particolare delle associazioni del privato sociale nelle quali è maturato un volontariato consapevole dell’insufficienza degli interventi sul piano strettamente socio-assistenziale, e spesso, con funzioni di supplenza delle carenze istituzionali, proiettato nella difesa dei diritti fondamentali disattesi.

Per il progetto specifico, pertanto, oltre al C.S.S.A. e all’Unione Italiana Ciechi sono coinvolte le altre due strutture collaterali dell’U.I.C. che sono l’U.N.I.V.O.C. e il Centro per il servizio del Libro Parlato.

 

Una rete di sostegno efficace è certamente determinante nella fase delle misure alternative e nel periodo immediatamente successivo alla scarcerazione: quali sono i vostri impegni ed i progetti sui quali puntate maggiormente e con quale impiego di risorse?

Se non è così automatico che un soggetto delinque perché disoccupato per cui basta offrirgli un lavoro per farlo smettere, stiamo provando a ragionare sul fatto che occorre dargli anche una ragione per non farlo più. Quindi la questione non è quella di dare un lavoro perché qualcuno smetta di delinquere, ma si tratta di capire con quali strumenti e modalità sia possibile avvicinare un soggetto in esecuzione di pena, approfittando della quota tempo che deve alla società, per offrirgli qualcosa che gli permetta una rivisitazione del proprio passato.

Per fare questo, nel nostro ufficio, c’è un piccolo gruppo di assistenti sociali che lavora in tutta la regione, fortemente orientato all’intervento di rete, ed opera non in maniera settoriale ma secondo un sistema di interrelazione costante, "un lavorare insieme" con continuità e sulla base di una programmazione unitaria, rafforzata da diversi protocolli d’intesa (Ser.T., Comuni, Agenzie di formazione e di inserimento lavorativo, partner nel Programma Equal dell’Unione Europea). Siamo convinti che all’unicità della persona deve corrispondere l’unicità del trattamento.

Il C.S.S.A., ormai, da circa un anno è impegnato in modo sistematico in un lavoro integrato con i servizi socio-sanitari del territorio, adottando la modalità operativa dell’incontro con gli operatori dei diversi servizi per costruire insieme agli individui in esecuzione penale esterna, progetti trattamentali che prevedano la continuità nel caso di fuoriuscita dal circuito penale.

La maggior risorsa impegnata per riuscire ad offrire un servizio di qualità resta sempre quella dell’impegno professionale profuso dai singoli assistenti sociali.

 

Può concludere definendo quelli che secondo lei sono gli elementi necessari al reinserimento e quindi utili a scongiurare la recidiva?

Vi è significativa letteratura sui vantaggi e gli svantaggi per la collettività di rinchiudere in carcere soggetti condannati. In Italia il carcere come luogo dove scontare una pena può essere evitato per i reati meno gravi. Non è un caso che anche in Italia vi sia una crescente attenzione alle misure alternative alla detenzione, utili non solo per evitare il sovraffollamento degli istituti penitenziari ma soprattutto come possibilità concreta di sperimentare percorsi di reinserimento sociale, con trattamenti realmente individualizzati.

Se ci è permessa una metafora, ci viene da dire che gli operatori del settore penitenziario sono come dei chirurghi costretti ad operare su pazienti per i quali altri interventi di prevenzione, in materia sanitaria, sono falliti. Considerato, quindi, che si opera perché altre agenzie socio-educative non sono riuscite a prevenire azioni criminali (fermo restando il libero arbitrio!), il nostro agire per evitare recidive può ottenere risultati significativi se il trattamento prevede un concreto coinvolgimento della persona destinataria dell’intervento: convinta adesione e motivazione a rimettersi in discussione; una volontà a riavvicinarsi e riappacificarsi con il mondo della normalità.

Ciò diventa possibile se si riuscirà ad individuare concrete azioni di sostegno ai soggetti in esecuzione di pena, in grado di colmare quel vuoto che si viene a creare nella delicata fase di passaggio, da stili di vita devianti, verso comportamenti socialmente accettati.

Per i condannati, quindi vi è il rischio concreto di ritrovarsi soli ed emarginati nel momento in cui avviene l’allontanamento da persone, luoghi, e cultura d’appartenenza "devianti", senza, però, ritrovarsi immediatamente accolti e vicino persone, luoghi e cultura di appartenenza "normale".

 

 

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