Marco Oprandi

 

I detenuti di Bergamo al lavoro nei paesi della zona

 

(Realizzata nel mese di settembre 2003)

 

A cura di Marino Occhipinti

 

Tanti comuni spesso definiti "chiusi e refrattari al nuovo" hanno dato una dimostrazione d'attenzione e sensibilità a un’esperienza tanto innovativa

 

Il progetto Albatros raddoppia. Dopo il successo dell’iniziativa che lo scorso anno ha visto l’assunzione sperimentale di sei detenuti da parte di altrettanti comuni della Val Seriana, nella provincia di Bergamo, un’analoga convenzione è stata stipulata da altri sei comuni.

Dal punto di vista della sfida del lavoro e del reinserimento per i detenuti, Bergamo sta vivendo un momento di grande fermento. La Casa Circondariale ha aperto un panificio-scuola in cui lavorano una ventina di carcerati, alcuni dei quali, non appena scontata la condanna, hanno già il posto assicurato in panetterie della provincia. Inoltre l’ospedale di Seriate sta valutando la possibilità di affidare ai detenuti le sue lavanderie, mentre la Caritas si sta impegnando per trovare nuovi alloggi per gli ex carcerati da aggiungere ai cinque appartamenti già gestiti dal Comitato Carcere e Territorio, che nel 2002 ha realizzato 52 inserimenti lavorativi tramite cooperative e 20 borse lavoro. In questo contesto il progetto Albatros si propone di promuovere e accompagnare i percorsi di reinserimento sociale e lavorativo di persone sottoposte a misure limitative della libertà personale sia all’esterno del carcere (arresti domiciliari e affidamento ai servizi sociali) sia all’interno (misure alternative e articolo 21), nonché gli ex detenuti nei sei mesi successivi al fine pena. Lo scorso anno i primi ad aderire all’iniziativa sono stati sei comuni della Val Seriana: Ardesio, Gandellino, Gromo, Valbondione, Valgoglio e Villa d’Ogna. Ogni mattina sei detenuti della Casa Circondariale di Bergamo uscivano per raggiungere le loro destinazioni dove svolgevano compiti che andavano dalla manutenzione del verde a incarichi negli uffici amministrativi. Visto il successo dell’esperienza, quest’anno hanno deciso di sperimentare questa forma di reinserimento sociale altri sei comuni: Castione della Presolana (3.300 abitanti), Cerete (1.400), Fino del Monte (1.100), Onore (750), Rovetta (3.400) e Songavazzo (650).

 

Marco Oprandi, presidente dell’Unione dei Comuni della Presolana, ha accettato di rispondere ad alcune nostre domande sull’argomento

 

Signor presidente, com’è iniziato e come si è sviluppato il progetto relativo alle assunzioni dei detenuti da parte dei comuni della Presolana?

La scelta di valutare la possibilità di aderire al progetto da parte nostra nasce concretamente da due elementi: innanzitutto dalla conoscenza dell’esperienza positiva dei comuni dell’alta Valle Seriana, che lo scorso anno lo hanno sperimentato, in secondo luogo dalla disponibilità delle autorità competenti ad allargarlo ad altri enti locali. La proposta d’adesione avanzata ai nostri comuni ha determinato un confronto fra i sindaci prima, le giunte ed i consigli comunali poi. Un momento decisionale articolato che ha richiesto un dibattito approfondito, perché l’adesione a questa esperienza richiede una condivisione culturale prima che pratica. L’elemento positivo del progetto è far sì che il detenuto non sia più considerato un corpo estraneo della società, ma un soggetto da reinserire attraverso l’avviamento ad attività lavorative. Ciò gli permette di ripagare concretamente il danno causato alla società.

Il progetto della durata di sei mesi prevede l’impiego dei detenuti per lavori nei comuni convenzionati. Lo scorso anno con questa iniziativa sono stati occupati sei detenuti nei comuni dell’alta Valle Seriana, per quest’anno è previsto un allargamento dell’esperienza a 12 comuni.

Nei comuni dell’Unione sono state individuate diverse occupazioni: a Cerete, Fino del Monte, Onore, Rovetta i detenuti affiancheranno i collaboratori tecnici nei lavori di manutenzione, nel comune di Songavazzo un detenuto svolgerà l’attività negli uffici amministrativi e nel comune di Castione della Presolana un detenuto sarà destinato a svolgere attività di tipo boschivo per il Consorzio Forestale della Presolana.

 

Quali sono i vostri partner nella realizzazione del progetto e come viene organizzata la gestione, anche dal punto di vista pratico?

Per avviare il progetto è stata stipulata una convenzione tra la direzione della Casa Circondariale, l’Associazione Carcere e Territorio ed i comuni. L’istituto e le autorità competenti individuano i detenuti ammissibili al progetto, quindi i comuni concordano con la direzione il programma di lavoro e si devono far carico delle spese di assicurazione INAIL e RC, delle spese di noleggio e carburante del mezzo necessario per recarsi sul posto di lavoro e per il rientro, della somministrazione dei pasti presso un ristorante convenzionato e degli indumenti di lavoro necessari.

I detenuti hanno a disposizione un mezzo per recarsi sul posto di lavoro, l’autista opera nel paese più distante, alle ore 13 terminata l’attività lavorativa sono ripresi nei singoli comuni, si recano presso un ristorante per il pranzo per poi rientrare in carcere nel pomeriggio.

I costi a carico degli enti sono di circa 2.700 € per ogni detenuto. Alla copertura delle spese hanno partecipato con un contributo anche la Provincia di Bergamo e la Comunità Montana Valle Seriana Superiore. L’Associazione Carcere e Territorio riconosce una borsa lavoro di 2 € all’ora.

Nei nostri comuni il progetto dovrebbe partire in questi giorni, pertanto non possiamo ancora esprimere giudizi diretti, ma l’esperienza dello scorso anno nei comuni dell’alta Valle Seriana si è rivelata positiva anche nei rapporti interpersonali fra amministrazioni, cittadini e lavoratori detenuti.

 

Quali sono state le reazioni da parte dei responsabili delle Amministrazioni locali e dei cittadini di fronte alla prospettiva di far lavorare dei carcerati?

Nel confronto sono emerse anche contrarietà che trovavano fondamento su forti convinzioni culturali. Di questi elementi in particolare si possono sottolineare i concetti di certezza della pena e severità della stessa. I cittadini che subiscono reati subiscono anche gravi contraccolpi psicologici, quali la paura, la percezione di vulnerabilità, e legittimamente chiedono che chi ha compiuto il reato espii fino in fondo la pena "meritata", concedetemi l’uso di questo termine tecnicamente improprio ma che ben rappresenta l’opinione comune. La diffidenza verso chi ha commesso reati e la relativa preoccupazione per il suo inserimento senza controlli nella comunità sono comprensibili.

Una risposta importante a queste riflessioni ed a questi dubbi è stata data dall’esperienza positiva dei comuni dell’alta Valle Seriana, che hanno avuto modo di dimostrare la validità del progetto, e di questo sento il dovere di ringraziare tutte le autorità e amministratori coinvolti, per le responsabilità che si sono assunte e la lungimiranza dimostrata. Ma perché questo progetto assuma una valenza culturale significativa è bene che sia sottolineata l’importanza che sia sperimentato in piccole realtà, dove l’operazione non è più un progetto da laboratorio di sociologia ma diventa momento di condivisione da parte delle comunità. Quei piccoli comuni, citati spesso per le loro problematiche, diventano in questo caso una ricchezza per sperimentare un progetto innovativo per il sistema carcerario odierno.

 

Quindi non sono solo i detenuti ad essere messi alla prova?

Non solamente l’esperienza dei detenuti deve essere elemento di valutazione, ma anche la comunità nelle sue reazioni deve essere momento di riflessione, e questi piccoli enti della provincia di Bergamo, che l’iconografia comune presenta come "chiusi e refrattari al nuovo", hanno dato una dimostrazione d’attenzione e sensibilità ad un’esperienza tanto innovativa.

È una scommessa che tutti, autorità competenti, amministrazioni locali e associazioni coinvolte hanno voluto giocare, convinti dell’importanza del progetto. La responsabilità maggiore ricade però sulle spalle dei detenuti coinvolti, poiché la buona riuscita del progetto ne permetterebbe ulteriori ampliamenti, rispondendo alle forti aspettative del mondo carcerario e dando notevole impulso alla strada intrapresa. A loro volta, le nostre Comunità sono chiamate ad una prova di rispetto e civiltà nei confronti di questi uomini, che stanno affrontando un esame per il loro riscatto.

 

 

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