Le discussioni di "Ristretti"

 

Mamme e figli detenuti insieme

Quei bambini sotto i tre anni "condannati per concorso in reato"

 

In questi primi giorni caldi ce ne sono dodici alla Giudecca, dodici bambini piccolissimi condannati alla galera. Una scelta difficile, quella di portarsi dietro il figlio in carcere, che non tutte le donne detenute con figli sotto i tre anni se la sentono di fare, al momento dell’arresto. E poi ci sono donne che il carcere non glielo vogliono proprio far vedere, ai loro figli, e preferiscono non farli andare neppure a colloquio. Insomma, c’è una specie di timore che la galera "contamini" altre vite, oltre alle loro, e poi resti impressa nella memoria condizionando il futuro dei loro bambini.

Ma ecco tutte le paure, le ansie, le incertezze che assalgono le donne al momento di prendere decisioni così pesanti.

 

Un figlio non lo porterei mai qui dentro

 

Silvia: Se io avessi avuto un figlio piccolo quando mi hanno arrestato, non l’avrei mai portato qui dentro. Avrei trovato un’altra maniera, perché secondo me non c’è molto rispetto per i bambini a farli venire qui.

Katharine: Io questa cosa qui l’ho vissuta sulla mia pelle, all’inizio del mio processo non potevo lasciare l’Italia e mio figlio era obbligato anche lui a rimanere qui, e così a sei anni è stato per forza adottato dai miei cognati. Io non sono mai più stata mamma. Sì, sei mamma, ma non hai potuto viverla quella maternità, io non l’ho vissuta.

Veronica: Oggi è andata ai domiciliari una donna rumena, che aveva con sé due gemelli di sette mesi, e aveva nove mesi di definitivo da scontare. E oggi scherzando prima di andare via ha detto: io quando sono andata a rubare ero incinta, forse hanno dato anche ai miei figli "concorso in furto"?

Giulia: Per me un bambino non si dovrebbe portarlo in galera neanche ai colloqui, una detenzione domiciliare è diversa, ma qui dentro i bambini non dovrebbero entrare.

Paola: Io un bambino piccolo non lo porterei mai, è una questione di egoismo: per il mio benessere, perché mio figlio non lo voglio staccare da me, me lo porto in galera. Certo se non ho nessuno a cui lasciarlo, piuttosto che in istituto è meglio in galera con la madre, ma se uno ha un parente disposto a prendersene cura è molto meglio lasciarlo a lui piuttosto che portarlo qui dentro.

Giulia: Va bene anche lasciarlo con una famiglia di fiducia, perché se una ha una pena definitiva da scontare, lo sapeva anche prima di dovere prima o poi andare in carcere, e poteva trovare una sistemazione migliore a suo figlio. Io ho dato in affidamento mio figlio, però è una cosa che ho fatto con lui, è una decisione che ho preso con lui e basta.

Silvia: Anch’io ho dato in affidamento mia figlia ai nonni paterni, perché ho riconosciuto che non ce la facevo più e prima che le cose andassero peggiorando ho preferito che restasse con loro, così almeno rimane sempre mia figlia.

Sonia: Se guardiamo bene chi ha dei figli qui dentro, sono tutte straniere o nomadi. Le italiane sono pochissime, qui ce n’era una con un bambino, ma solo perché sua madre le teneva gli altri cinque figli, e uno in meno a casa vuol dire. Li ho visti io tutti al colloquio.

 

Che cosa è meglio davvero per un bambino piccolo

 

Ornella: Io vorrei capire che cosa è meglio davvero per un bambino piccolo.

Paola: Sai cosa hanno detto a me delle madri tedesche, quando ero in carcere in Germania? Che gli restano per tutta la vita impressi il rumore delle chiavi e delle porte chiuse. Anche in Germania c’era il nido ed era molto bello, molto funzionale, avevano il loro giardino, ma comunque era sempre carcere, e le madri alla sera venivano sempre chiuse in cella, e anche durante la notte aprivano e chiudevano, quindi il rumore delle chiavi c’era in continuazione. E poi i bambini quando andavano a casa non riuscivano a dormire se non sentivano il rumore delle chiavi…

Silvia: Pensa che tristezza!!!

Slavica: Ma qui è lo stesso, quando chiamano per esempio "Apri, agente". L’altro giorno c’era un bambino di due anni e mezzo che diceva a sua madre di andare in matricola.

Silvia: Quando andavo a fare le pulizie su al nido i bambini mi chiamavano agente, fa molto male questo, io per loro ero un’agente.

Sonia: Io mi ricordo del figlio di Senad. I primi tempi era tutto bello per il bambino, però nell’ultimo periodo, quando ho vissuto quattro mesi al nido perché avevo il divieto di incontro con la mia coimputata, ho visto che era molto ma molto cambiato, perché era più grande e cominciava a capire tutto e diceva "Agente aria… agente… apri porta", un bambino se ha sette-otto mesi non capisce, ma quando è vicino ai due anni capisce proprio tutto.

Slavica: C’era un’altra zingara che aveva un bambino di due anni e mezzo, e prima di uscire a tre anni come prevede la legge il bambino andava fuori con le volontarie a fare qualche giro, ma quando ha compiuto i tre anni ed è stato "scarcerato", dopo quando veniva a colloquio non voleva più entrare, quindi capiva benissimo dov’era. La nonna gli ha dovuto promettere che non lo avrebbe lasciato lì dentro, che sarebbe ritornato a casa con lei, se no non entrava.

 

Mi faccio io dieci anni di galera, ma i miei figli no

 

Sonia: E poi sentire questi bambini che di notte piangono in continuazione è proprio straziante. Non è che puoi prenderli su e fare un giro per casa, quella è la cella e lì devi restare.

Giulia: Il carattere di un bambino si forma nei primi tre anni di vita, e tu cosa gli trasmetti in questa maniera, se stai con lui in carcere? Ansia, stress, nervosismo, privazioni di ogni genere. Già sei frustrata tu, cosa vuoi trasmettergli?

Simona: Piuttosto mi faccio io dieci anni di galera, ma i miei figli no.

Ornella: Facciamo l’esempio di una donna che ha un anno da farsi e poi può uscire con la legge sulle detenute madri, voi lo portereste qui dentro o no un bambino in questo caso?

Tutte insieme: No! Assolutamente no!

Ornella: Pensate che sia peggio la galera che l’abbandono della madre?

Paola: I primi anni sono i più importanti della vita. Io dico che se hai la possibilità di lasciarlo a qualcuno di cui ti fidi, a una famiglia di cui ti fidi, sarebbe la soluzione migliore.

Ornella: Voi pensate che un bambino noti la differenza della vita qui dentro rispetto a fuori?

Katharine: Quando io avevo l’obbligo di andare a firmare in questura ed ero con mio figlio che aveva sette anni, facevo giri e giri prima di fermarmi perché non capisse dove eravamo, ma quando mio figlio ha fatto i dodici, tredici anni mi ha detto "Mamma, sai che io mi accorgevo che andavi in un posto strano?". Io cercavo di nasconderglielo e mi fermavo in un negozio, ma lui se ne è accorto ugualmente e me lo ha detto dopo molti anni. I bambini non sono scemi, anche i bambini piccoli quando sono in galera se ne accorgono, solo che non possono farci niente.

Giulia: Certe volte io penso a come sarebbe stata la vita se mia madre fosse andata in carcere quando ero piccola e mi avesse portata con lei. Già sono nata disgraziata così, figuriamoci cosa veniva fuori. Dopo le avrei detto che mi aveva rovinato la vita appena nata. Io non ho mai voluto mio figlio qui dentro a colloquio, solo adesso che è grande entra, ma ha scelto lui di venire, ormai è adulto e fa quello che vuole e mi ha detto: "Io voglio venire a trovarti".

 

Ci sono delle esperienze che ti rimangono dentro per tutta la vita

 

Paola: Se un bambino va a vivere con una famiglia di fiducia o con un parente, una figura femminile o materna c’è comunque, anche se non è la madre naturale. Il legame di sangue, il cuore di mamma, se la figura femminile vuol bene al bambino e lo segue nelle sue cose, è uguale.

Ornella: Sì però... è molto difficile mettersi nei panni di un bambino di due anni, perché noi adesso stiamo parlando da adulti. Non sono sicura che un bambino di due anni viva peggio qui dentro con la mamma, che fuori, però staccato da lei.

Paola: Non bisogna pensare solo a cosa è meglio per il bambino subito, ma anche al dopo. Come rivivrà queste cose, ci sono delle esperienze che ti rimangono dentro per tutta la vita. Magari subito il distacco è un po’ più sofferto per il bambino, però a lungo andare può essere la scelta migliore.

Giulia: Si dovrebbe realizzare una struttura per le mamme detenute con i bambini, che assomigli ad una casa, dove non vengano gli agenti ad aprire e chiudere le porte. Sei chiusa in questa casa e non puoi uscire comunque.

Veronica: Per me se hai una pena corta, va bene anche tenere il bambino dentro. Io ho visto una zingara, che è stata arrestata e insieme a lei anche sua madre e suo marito, aveva un bambino di nove mesi, è normale che l’ha dovuto tenere con sé. Non aveva nessuno a cui lasciarlo. Ma se avesse avuto anche qualcuno fuori che glielo poteva tenere, lei lo avrebbe portato lo stesso in galera, perchè le zingare pensano di uscire prima, avendo i bambini con loro, e probabilmente è anche così. E poi voi vi ricordate di quando avevate uno o due anni?

Paola: Non è che ti ricordi, ma è una cosa che fa parte di te, della tua vita, è una cosa che ti resta dentro sempre.

 

Il mio unico pensiero era di "mettere in piedi" mio figlio

 

Francesca: Secondo me i bambini non devono entrare in carcere, se non per loro scelta. Dire la verità o non dirla ai figli è comunque una scelta terribile, la sofferenza c’è in ogni caso!

Sonia: Se la pena è corta puoi inventare qualcosa, che sei andata a lavorare all’estero o simili. Ma se la condanna è lunga dopo come fai?

Slavica: Io sapevo benissimo che avrei avuto una condanna lunga e il mio unico pensiero era di "mettere in piedi" mio figlio prima di entrare in carcere, in modo che potesse essere responsabile per se stesso. Solo questo pensavo. Perché in quel periodo aveva 13 anni e la mia speranza era che maturasse di più e potesse guadagnare e lavorare per se stesso. Volevo renderlo indipendente prima di andare in galera

Simona: Io all’inizio mia figlia non l’ho voluta far venire, perché l’avvocato mi aveva assicurato che era una questione di un paio di mesi, ma poi ho visto che le cose non stavano così. Dopo è stata lei ad insistere di venire a trovarmi, ma io non ero contenta che venisse qui dentro. Non era il posto ideale per lei. Poi lei mi ha scritto che le mancavo molto ed aveva bisogno di vedermi, e allora io le ho detto: Va bene vieni! Ed è venuta. All’inizio era un po’ timorosa, un po’ spaventata per la perquisa, ma poi le è passata. Quando è arrivata mi ha chiesto: "Ti posso abbracciare?". Mia figlia ha 13 anni ed è anche in un’età molto difficile. Poi dopo un paio di colloqui è andato tutto molto meglio, e sono stata contenta che sia venuta, però è stata una sua scelta.

Ornella: Una cosa che mi domando è se è così necessario perquisire i parenti, non potrebbero perquisire i detenuti prima e dopo il colloquio? Io ho sentito dei detenuti che dicevano "Preferisco che mi perquisiscano anche facendomi fare le flessioni, piuttosto che perquisiscano la mia famiglia e i miei figli".

 

È una sua scelta, io sono contenta che venga a trovarmi

 

Paola: In Germania quello che veniva al colloquio lo facevano passare sotto il metaldetector e poi la detenuta la spogliavano alla fine del colloquio.

Ornella: Mi sembra meglio, anche perchè la persona detenuta ci è abituata, i famigliari no.

Marta: Mia figlia a colloquio ci viene, io non sono contraria che venga, anche perché lei ha 15 anni e non è piccolina. E poi è una sua decisione. Io sono contenta che venga a trovarmi. Sai cosa penso su questo punto, metti che entrambi i genitori sono in galera e il figlio non ha mai avuto nessun contatto con queste cose, devi decidere se farglielo avere o no! Quindi farli venire vuol dire che vedranno questa realtà e che gli resterà per sempre. Sono ingenui i bambini, ma non sono stupidi e gli rimarrà anche questa cosa nel ricordo.

Ornella: è per questo che credo che bisogna dire la verità ai figli, tanto prima o poi verrebbero a saperla. Allora è meglio farli venire al colloquio e fargli conoscere la realtà del carcere.

Marta: Se decidi di lasciare da parte tuo figlio senza dirgli la verità della situazione, io penso che lui si senta peggio un domani che lo viene a sapere. Non si sente considerato e si sente peggio. Anche se un bambino ha 6 o 7 anni, secondo me è sempre meglio dirglielo. Le cose brutte fanno parte della nostra vita: una spiegazione ai bambini bisogna dargliela.

Francesca: È anche una questione di fiducia per un bambino. Se parli a tuo figlio in una certa maniera, lui ti stima, ma se gli tieni nascoste le cose, lui non avrà più fiducia in te. Perché si sentirà tradito.

 

Un figlio ha bisogno di vederlo, un genitore, anche se è una volta ogni tanto

 

Sonia: Io però ho visto mia figlia che all’inizio andava sempre a trovare suo padre in carcere, però dopo due o tre anni ha deciso di non andarci più. Io le dicevo: "Dai su vieni con me, che andiamo a trovare papà, è sempre il tuo papà", e lei mi rispondeva: "No mamma non vengo, vai tu da sola e non dirmelo mai più. Perché chi glielo ha detto a lui di andare in carcere? Se andava a lavorare in fabbrica come tutti i papà, adesso non era in galera, perché non ha pensato a me?".

Antonietta: Io ho sentito una psicoterapeuta dire che i bambini a cui viene detto che i genitori sono all’estero, o via per lavoro, poi lo vivono come un abbandono, non sono in grado di capire. Il bambino non ha questa possibilità di tollerare l’assenza per lungo tempo. Ha bisogno di vederlo, un genitore, anche se è una volta ogni tanto. Però sa che c’è.

Ornella: E poi, se tu dici ad un bambino che la madre è a lavorare all’estero, lui il lavoro lo ritiene un motivo molto debole per giustificare una lunga assenza. Come dire: come mai, se sei via per lavorare, non vieni mai a trovarmi e non mi telefoni ogni sera? È naturale che si senta abbandonato.

 

 

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