Alessandro Margara

 

Il "4 bis" è davvero legittimo e inattaccabile?

 

(Realizzata nel mese di luglio 2003)

 

A cura di Francesco Morelli

 

Le esclusioni e le limitazioni nell’accesso alle misure alternative, previste dall’articolo 4-bis O.P. (riguardanti i condannati per reati di maggiore gravità), sono davvero legittime? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Margara, uno dei padri della Riforma penitenziaria, oggi Presidente onorario della Corte di Cassazione

 

Gentile dottor Margara,

in redazione stiamo cercando di realizzare una Guida alle alternative al carcere (misure alternative, sanzioni sostitutive) e, raccogliendo i materiali per realizzare questo lavoro, ci siamo trovati di fronte ad un problema pesantemente sentito da molti detenuti e operatori della giustizia: le esclusioni e le limitazioni nell'accesso alle misure alternative, introdotte nel 1991 - 92 con l’art. 4 bis O.P.

Abbiamo anche trovato diverse sentenze della Corte Costituzionale e due della Corte di Cassazione che, sostanzialmente, affermano che le suddette limitazioni non avrebbero ragione di continuare ad esistere quando il percorso di risocializzazione della persona detenuta è bene avviato e non esistono (o non sono mai esistiti) legami con la criminalità organizzata o eversiva.

A questo punto vorremmo proporre al nostro Magistrato di Sorveglianza un caso-pilota (pensiamo a un compagno condannato a 21 anni di carcere, per omicidio, che ne ha già scontati circa 8, che non ha legami, né li ha mai avuti, con la criminalità organizzata o eversiva, e che ha un ottimo percorso intramurale, partecipando fin dall’inizio all’attività del nostro giornale), perché il Magistrato rinvii alla Corte Costituzionale gli atti relativi, basandosi sul "sospetto" che l’escluderlo dall’acceso ai permessi premio (fino all’espiazione dei 10 anni) sia incostituzionale.

A lei chiediamo un parere sulla fattibilità di questo progetto e, nel caso, qualche consiglio sulla maniera migliore di portarlo avanti.

 

Grazie, fin da ora, per la disponibilità.

 

Interventi della Corte Costituzionale sul 4-bis O.P.

 

La Corte costituzionale, con ben otto sentenze (n. 306/93, n. 357/94, n. 361/94, n. 68/95, n. 504/95, n. 445/97, n. 137/99 e n. 273/01), ha dichiarato incostituzionali vari contenuti dell’articolo 4 bis e degli articoli ad esso collegati; con la sua prima sentenza, ha ritenuto di ricordare e rifissare, quali limiti per il legislatore, due fondamentali criteri:

  1. ogni provvedimento negativo, incidente sul regime penitenziario del detenuto, deve derivare da una condotta addebitabile al condannato stesso;

  2. in nessun caso le finalità di prevenzione generale e di difesa sociale, proprie della pena, possono spingersi fino al punto di rendere lecito il pregiudicare la finalità rieducativa della stessa.

 

Interventi della Corte di Cassazione sul 4-bis O.P.

 

Prima sezione penale Corte di cassazione, 3 maggio 1999, n° 2211:

 

"Per ricostruire l’esatta portata della disposizione di cui all’art. 50 comma 2 dell’Ordinamento penitenziario, nella parte in cui prevede che, ai fini dell’ammissione alla semilibertà, qualora trattisi di condannato per taluno dei delitti indicati nell’art. 4-bis comma 1, dello stesso ordinamento, occorre che vi sia stata espiazione, di almeno due terzi della pena inflitta (e non soltanto della metà, come nei casi ordinari), il rinvio al citato art. 4-bis deve essere inteso non come limitato all’elencazione dei reati ivi nominatim specificati, ma come riferimento all’intera disciplina contenuta nella nonna richiamata. Conseguentemente, nel caso di condanna per reato relativamente al quale detta disciplina preveda la concedibilità dei benefici penitenziari solo a condizione che non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, la riscontrata assenza di tali elementi comporta che sia sufficiente l’espiazione della sola metà pena".

 

Prima sezione penale Corte di cassazione, 23 gennaio 1998, n° 6492:

 

"In tema di liberazione condizionale, quando si tratti di soggetti condannati per taluno dei delitti previsti nel comma 1 dell’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, il beneficio è concedibile, ai sensi dell’art. 2, comma 2, D.L. 13 maggio 1991 n. 152, conv. con modif. in L. 22 luglio 1991 n. 203, soltanto a condizione che siano stati scontati almeno due terzi della pena inflitta, salvo che i medesimi soggetti, come statuito dal successivo comma 3, rientrino nelle previsioni di cui all’art. 58-ter dell’ordinamento penitenziario, cioè abbiano proficuamente collaborato con la giustizia ovvero - in applicazione dei principi contenuti nella sentenza della Corte costituzionale n. 68 del 1995 - versino in situazioni in cui la collaborazione sia divenuta impossibile o irrilevante. In tali ipotesi trova applicazione la regola generale fissata dall’art. 176, comma 1, c.p., secondo cui la liberazione condizionale è concedibile, ferme le altre condizioni, quando sia stata espiata almeno la metà della pena".

La risposa di Alessandro Margara

 

Alla Redazione di "Ristretti Orizzonti"

 

Rispondo alla vostra relativa alla eventuale eccezione di incostituzionalità sulle restrizioni alla ammissibilità ai benefici penitenziari, introdotte con i d.l. 13/5/1991, n. 152, conv. nella L. 12/7/1991, n. 203 e 8/6/1992 n. 306, conv. nella L. 7/8/1992 n. 356.

 

Credo sia utile (per l’ordine delle osservazioni successive) distinguere fra gli interventi restrittivi:

  1. quelli del d.l. 1991, che non esclusero l’ammissibilità ai benefici, ma allungarono i periodi di detenzione necessari per l’ammissione (per i permessi, da un quarto alla metà; per la semilibertà, dalla metà a due terzi; per la liberazione condizionale, per i non recidivi, dalla metà a due terzi); queste restrizioni riguardarono, però, solo i delitti commessi dopo il 13/5/1991, data di entrata in vigore del decreto legge;

  2. quelli del d.l. 1992, che esclusero la ammissibilità (salvo che per la liberazione anticipata), limitatamente, però, ai reati più gravi, indicati nel primo periodo del comma 1 dell’art. 4 bis.

 

C’è da osservare che la giurisprudenza costituzionale che voi citate riguarda i casi di esclusioni dell’ammissibilità, di cui al d.l. 92. Sono incerto solo per l’ultima che indicate: sono fuori allenamento e aggiornamento e non la conosco.

Però, per questa materia c’è una novità, che può darsi vi sia sfuggita, come era sfuggita a me: ed è che la legge 23.12.2002, n° 279, famosa per avere reso permanente l’art. 41 bis, modificava anche l’art. 4 bis: per una parte aggravandone l’applicabilità, e, per l’altra, introducendo, nel terzo periodo del comma 1, due affermazioni rilevanti delle sentenze costituzionali che voi citate: la 68/95 e la (salvo errore) 357/94. Rinvio alla lettura del nuovo testo dell’art. 4 bis, comma 1.

Questa modifica è importante, sia perché non c’è più bisogno di fare riferimento alle sentenze costituzionali, le cui affermazioni sono ora integrate nella legge, sia perché vi era qualche dubbio che la sentenza costituzionale 68/95 valesse soltanto per i reati commessi prima della entrata in vigore del d.l. 92: credo si trattasse di dubbi non fondati; oggi, comunque, sono superati dal testo della legge.

Non è che tutte le questioni sono superate: la applicazione dei principi costituzionali (sia sulla limitata partecipazione, sia sull’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità), ora inseriti nella legge, continuerà ad essere problematica, come lo era in precedenza. Ma un passo in avanti è stato indubbiamente compiuto.

Restano, invece, affidati alle sentenze costituzionali 445/97 e 137/99 i principi relativi al "raggiungimento del grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto", che comunque riguardano detenzioni precedenti all’8.06.92 e, ancora, problemi di inammissibilità totale (salva collaborazione) ai benefici.

 

Vengo alla vostra domanda, che riguarda la possibilità di un’eccezione di incostituzionalità sulle restrizioni alla ammissibilità ai benefici, contenute nel d.l. del 1991.

Prendo visione delle due sentenze della Cassazione che allegate alla vostra lettera. Abbiate pazienza, ma non le conoscevo (si invecchia) e devo dire che la giurisprudenza del mio ufficio era in senso opposto: i termini di ammissibilità, sempre nel caso che ci si riferisse alle pene relative a reati commessi dopo il 13.5.1991, si consideravano quelli modificati dal decreto legge: se vi era ammissibilità secondo quelle regole, si passava all’accertamento sul punto: "se non vi sono elementi tali da fare ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica od eversiva".

Le sentenze della Cassazione mi sembrano persuasive. Devo aggiungere che, se leggete il testo nuovo del 4 bis (modificato appunto con la L. 23.12.2002, n° 279, citata sopra), vedrete che la frase che ho riportato è all’inizio del periodo del comma 1 che interessa i nostri casi (periodo che non è più il terzo, come era prima, ma è diventato il quarto, per l’inserimento di un altro periodo che riguarda i collaboratori di giustizia) e avvalora – mi sembra – la tesi della Cassazione, secondo cui resta l’applicazione dei vecchi termini di ammissibilità nel caso in cui non siano accertati i collegamenti con la criminalità.

A questo punto, ci sarebbe da verificare che la Cassazione non si sia pentita di quella giurisprudenza e purtroppo io non sono in grado di fare questa ricerca in tempi brevi, mentre credo che voi ci riusciate bene. Se la Cassazione non ha modificato indirizzo, mi sembra non ci sia bisogno di alcuna eccezione di incostituzionalità, perché il caso che segnalate troverebbe la sua soluzione nella giurisprudenza indicata.

Se così non fosse, nulla impedisce di richiedere di sollevare la eccezione, ma non credo che le prospettive di accoglimento siano brillanti. Qui non si discute sull’ammissibilità o meno ai benefici (salva collaborazione), esaminata nelle sentenze costituzionali che avete citato (e che pone in discussione il diritto del condannato a fruire degli strumenti che attuano la finalità rieducativa della pena), ma soltanto della variazione dei termini di ammissibilità per delitti che il legislatore ritiene più gravi di altri. Se mai un aspetto dubbio potrebbe essere quello della disparità di trattamento rispetto a chi si trova detenuto per reati commessi fino al 13.05.1991, ma la norma rappresenta il tentativo di conformarsi al principio di non retroattività.

Se mai ci sarebbe da chiedersi se la sentenza costituzionale 68/95 sia applicabile ai casi che stiamo esaminando: quelli cioè dell’ultimo periodo del primo comma. Per la verità la sentenza citata esaminava il caso della inammissibilità.

C’è da dire che l’art. 58 ter, sulla cui valutazione si sofferma in sostanza la sentenza costituzionale, è stato introdotto con il d.l. 91, che recava solo le restrizioni, e non le esclusioni, alla ammissibilità e che la sua efficacia, all’atto della introduzione, era proprio quella di superare le restrizioni stesse e di mantenere l’ammissibilità dopo i periodi di detenzione previsti dalla normativa precedente. Però, nel concreto del mio ufficio, la sentenza 68/95 non veniva applicata ai casi che stiamo esaminando (quelli dell’ultimo periodo del comma 1): il mantenimento dei termini precedenti, lo si riconosceva soltanto quando c’era la collaborazione processuale, come descritta dall’art. 58 ter. C’è da aggiungere, però (non so se serva al caso specifico che mi indicate), che tale collaborazione processuale era riconosciuta anche quando la confessione dell’interessato era stata decisiva per l’accertamento dei reati.

 

Mi sembra di avervi detto tutto quello che vi potevo dire.

 

Comunque, auguri.

 

(S. Margara)

 

 

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