Intervista a Oreste Dominioni

 

Sicurezza vuol dire risanare il territorio

Le misure alternative non significano “indulgenza”

“Meno custodia cautelare e più misure alternative alla detenzione sono le uniche soluzioni al sovraffollamento delle carceri e al recupero delle persone detenute”. La “ricetta” di Oreste Dominioni, avvocato, presidente dell’Unione Camere Penali Italiane, per far uscire le carceri dal disastro

 

(Realizzata nel mese di ottobre 2009)

 

intervista di Marino Occhipinti e Paola Marchetti

 

Oreste Dominioni è professore ordinario di Diritto processuale penale all’Università di Milano, è stato presidente della Camera penale di Milano ed è attualmente presidente dell’Unione delle Camere Penali Italiane. Lo abbiamo intervistato sui temi “caldi” della giustizia, i pacchetti sicurezza, le misure alternative, la voglia che serpeggia in tanti settori della politica di ridurle ulteriormente fino a distruggere di fatto la legge Gozzini.

 

Professor Dominioni, la nostra naturalmente può sembrare una visione di parte, siamo detenuti, ma non crede che gli organi di informazione si concentrino esasperatamente sulla sicurezza, creando dei contesti allarmanti anche quando non è realmente così?

Direi che è un fenomeno generale, che è riscontrato ovunque, non solo in Italia: la percezione del problema sicurezza è amplificata rispetto alla sua dimensione reale. Questo per molti fattori, primo dei quali il comportamento della stampa, la reiterazione di notizie di un medesimo fatto, l’accentuazione di episodi che magari sono singoli e che vengono rappresentati come espressione di una realtà più vasta. È chiaro che poi i cittadini percepiscono questo fenomeno, che pure ha elementi di viva preoccupazione, in termini amplificati rispetto al reale. L’amplificazione esagerata da parte dei media è un dato che è registrato costantemente dalle ricerche condotte sul campo.

 

C’è quindi una “responsabilità” dei mass media su come viene poi percepita l’insicurezza?

C’è una responsabilità nel senso che c’è uno scarso controllo sul tipo di informazione che viene data in ordine a singoli determinati episodi e per come vengono presentati. Appunto come ho detto, posti come se fossero indicatori di una realtà generale quando invece sono episodi molto gravi, ma con una cadenza che non è quella che viene fatta percepire.

 

Cosa ne pensa del recente pacchetto sicurezza?

Il parere è in generale negativo in quanto il fulcro dell’intervento su questo problema della sicurezza sembra ancora una volta essere posto sull’intervento penale, che esperienze ampiamente e lungamente fatte hanno dimostrato che non ha un’efficacia particolare. Laddove invece il problema sicurezza va affrontato riapprezzando e risanando il territorio, rendendo il territorio sicuro con interventi logistici di bonifica ambientale e quant’altro

 

E quindi lo stesso discorso vale anche per quanto riguarda l’inasprimento delle pene?

Le pene più severe, e se ne ha la riprova ormai storica, non servono. E così anche la previsione di nuove figure di reato. Quando poi si interviene per limitare il potere in concreto dei giudici di valutare i singoli episodi nella loro dimensione reale, in effetti la legge fa un intervento che poi priva il giudice di una sua efficace attività nel dosaggio nell’esercizio della funzione penale.

 

Infatti ci si vuole ispirare all’esempio anglosassone, ma nella legislazione anglosassone il giudice ha un’ampia discrezionalità, mentre da noi si sta andando nella direzione contraria…

La discrezionalità del giudice anglosassone è molto più ampia. Egli ha un’ampia opportunità di manovra per dosare l’intervento penale rispetto alla situazione particolare del caso. C’è qui un tentativo invece di “generalizzare” come se l’emanazione di leggi severe potesse in qualche modo contenere un fenomeno, e invece si ottiene l’effetto contrario.

 

E rispetto ai benefici penitenziari, che si vogliono limitare in tutti i modi?

È un tipo di intervento del tutto sorprendente! Le statistiche dicono che le persone a cui sono state applicate le misure della legge Gozzini fanno registrare una recidiva quasi irrilevante, e questo vuol dire che le misure della Gozzini hanno una efficacia rieducativa e di recupero delle persone molto significativa. E questo è importante sia per i singoli che per la collettività. Si disincentivano parte delle cause criminogene.

 

Perciò cosa bisognerebbe rispondere a chi osteggia e critica la legge Gozzini e le misure alternative alla detenzione che, come diceva lei, tutte le statistiche indicano come il miglior antidoto alla recidiva, ben più alta in coloro che invece scontano tutta la pena in carcere?

Si deve rispondere che non bisogna eliminarle ma piuttosto si deve migliorarle nella loro operatività, innanzitutto destinando maggiori risorse alla loro attuazione con maggiore personale, con personale sempre più qualificato. Certo che, se la legge Gozzini viene abbandonata a se stessa senza troppi sostegni organizzativi e operativi, c’è il rischio che venga poi percepita come indulgenza anziché come misure a forte caratura rieducativa.

 

Il sovraffollamento delle nostre carceri consente alla pena di essere ancora rieducativa?

Assolutamente no, perché il sovraffollamento penitenziario vuol dire che i detenuti sono contenuti in condizioni di vita che non favoriscono il recupero ma semmai, al contrario, li spingono di nuovo all’interno di un circuito delinquenziale.

 

Un suo parere sul nuovo piano-carceri…

L’idea che il sovraffollamento possa essere contenuto con nuove carceri mi sembra una prospettiva non da praticare. Non è immaginabile che ci si avvii a carcerarizzare il paese. Bisogna invece eliminare le cause del sovraffollamento del carcere, e si fa in fretta ad elencarle perché sono state via via elencate da noi Unione Camere Penali, e dalle varie associazioni che si occupano di queste questioni: una forte riduzione della custodia cautelare prima e durante il processo che, come sappiamo, riguarda più del 50 per cento delle persone detenute, e poi si tratta di non prevedere il carcere per reati per i quali non è necessario – e qui si ritorna alle misure alternative che devono avere, oltre che una carica di rieducazione e di recupero, anche una carica punitiva, perché la persona deve avvertire la stigmatizzazione, da parte della società e da parte dello Stato, del suo comportamento, ma al tempo stesso innanzitutto devono essere rieducative. Questa è la strada che deve essere battuta.

 

Cosa vuol dire ai nostri lettori?

Ai vostri lettori dico che bisogna coltivare la cultura della legalità, la cultura della solidarietà sociale dentro la quale c’è la cultura della rieducazione per chi ha commesso reati, perché questa è la cultura vera che poi produce misure effettivamente di tutela anche della collettività.

 

 

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