Valentina Paronetto

 

Quando attorno a te ci sono solo muri e tu hai 16 o 17 anni

anche il semplice divertirsi un po’ è importantissimo

 

(Realizzata nel mese di febbraio 2003)

 

A cura di Graziano Scialpi

 

Storia di un laboratorio di videoteatro al Minorile di Treviso

 

Tante difficoltà, ma anche tempo di progetti all’istituto penale minorile di Treviso dove, nei mesi scorsi, si è tenuto il primo laboratorio di Videoteatro. Un’iniziativa che si è rivelata un’interessante esperienza non solo per i ragazzi che hanno partecipato, ma anche per gli operatori del carcere e per gli stessi organizzatori-insegnanti.

 

Valentina Paronetto, attrice, regista ed educatrice nel campo del teatro e dell’animazione, e Nicola Mattarollo, regista e operatore nel campo della formazione audiovisiva. Il corso-laboratorio ha avuto la durata di circa sei mesi ed è stato suddiviso in tre moduli, a ognuno dei quali ha partecipato un gruppo di cinque-sei ragazzi. I giovani ospiti dell’IPM si sono dovuti confrontare con l’apprendimento del linguaggio corporeo e vocale, hanno lavorato sulla consapevolezza del movimento e quindi hanno sperimentato l’uso e le tecniche di ripresa audiovisiva e del montaggio, fino alla produzione di "microfilm" nei quali i ragazzi hanno messo in scena loro stessi e le loro storie in una sorta di psicodrammi che hanno suscitato l’interesse anche degli psicologi dell’istituto. Altro aspetto importante, sembra che questi ragazzi "difficili", lavorando in gruppo, abbiano imparato ad autodisciplinarsi, vivendo l’esperienza della disciplina non come un’imposizione, ma come una regola autoprodotta in cui il gruppo si riconosce e grazie alla quale riesce a funzionare e a lavorare. Può sembrare una cosa facile, eppure questa consapevolezza è uno dei mattoni fondamentali sui quali si basano le società civili e democratiche. In ogni caso questa prima esperienza ha offerto spunti di riflessione e insegnamenti interessanti, che verranno messi a frutto nel prossimo corso, che inizierà a maggio.

Ce ne parlano Valentina Paronetto e Nicola Mattarollo.

 

Senza cadere in facili psicologismi, spesso gli adolescenti alla ricerca di una propria identità iniziano a "recitare dei ruoli", che di norma vengono determinati dall’ambiente in cui si trovano a crescere. Il problema è quando scatta il meccanismo di identificazione con il ruolo che il giovane ha scelto di recitare. Ritenete che in un carcere minorile il teatro possa aiutare il ragazzo detenuto a comprendere che il ruolo che ha scelto o si è ritrovato a impersonare nella vita è appunto solo un ruolo e che è possibile cambiarlo?

Purtroppo il tempo che noi trascorriamo con ciascun ragazzo non è assolutamente sufficiente a valutare se il teatro possa o meno incidere sulla consapevolezza del ruolo che un ragazzo ha scelto per la sua vita. Quello che sicuramente come operatori abbiamo notato è la naturalezza con la quale i ragazzi affrontano anche temi che a noi possono sembrare imbarazzanti o pericolosi. Per spiegarmi meglio vi dico che spesso nelle loro improvvisazioni simulavano i loro reati, i processi sostenuti e la convinzione che per quanto possa essere sbagliata la loro scelta è spesso l’unica che gli permette di vivere come degli adolescenti europei. Parlo naturalmente di extracomunitari, di fatto sono loro i ragazzi con i quali abbiamo lavorato. Speriamo in ogni caso un giorno di poter rispondere a questa domanda, per il momento possiamo dire che non abbiamo gli strumenti per farlo.

 

Abbiamo notato che, rispetto al vostro progetto iniziale, in seguito al confronto con i ragazzi vi siete resi conto della necessità di cambiare i tipi di approccio che vi eravate prefissati in quanto non riuscivano a coinvolgerli come vi aspettavate. Pensate che questa elasticità, questa prontezza a cambiare nell’approccio con i giovani in difficoltà sia specifica di esperienze come la vostra, oppure ritenete che dovrebbe essere un elemento caratterizzante di tutta l’attività trattamentale?

Noi riteniamo che programmare un percorso di qualsivoglia tipo, rendersi conto che non funziona e cambiarlo in corso d’opera debba essere caratteristica comune a tutti gli interventi che si svolgono all’interno di un IPM (e non solo!), questo perché non siamo di fronte a dei ragazzi che scelgono di fare un’attività piuttosto che un’altra, spesso le possibilità sono talmente ridotte che sono costretti a seguire determinati percorsi. Se poi questi percorsi non cercano di adattarsi a quelle che sono le loro esigenze e le loro voglie, noi avremmo perso in partenza e loro con molta facilità torneranno nelle loro camere a guardarsi la televisione, magari fingendosi malati o altro. Cercare di capire dove poteva concentrarsi il loro interesse è stato il nostro primo obiettivo.

 

Cosa avete imparato da questa esperienza? Pensate di ripeterla?

È già prevista la ripresa di questa attività verso maggio. Cosa abbiamo imparato? Molto. Abbiamo imparato che i ragazzi non hanno nessuna voglia di parlare di loro stessi, se non, come dicevamo sopra, dei loro reati o comunque della loro vita legata al carcere, tutto quello che c’è stato prima, luoghi, affetti, voglie, speranze non ci è dato sapere, lo custodiscono con molta gelosia e riservatezza. Quindi il nostro lavoro si è dovuto basare, contrariamente a quello che il teatro suggerisce, sulla superficie senza poter minimamente affrontare un qualsivoglia tentativo di introspezione.

Abbiamo imparato che percorsi troppo lunghi sono fallimentari, meglio proposte brevi e tangibili, quali ad esempio la realizzazione di video musicali, piuttosto che brevissimi cortometraggi.

Abbiamo imparato a dialogare senza usare la parola (non sempre i ragazzi capivano l’italiano) e a fare "di difficoltà virtù" sfruttando questa reciproca difficoltà.

Abbiamo imparato a gestire nazionalità diverse che non hanno molto in comune se non il fatto di trovarsi tutte obbligatoriamente rinchiuse. Abbiamo imparato a gestire, in parte, il nostro pregiudizio (non sempre i reati commessi dai ragazzi erano facilmente elaborabili).

E molto altro, non sempre facile da tradurre in parole.

 

Cosa hanno imparato i ragazzi? Arrivati alla fine del corso, qualcuno di loro ha mostrato evidenti segni di cambiamenti nell’atteggiamento?

Anche a questa domanda non è così semplice rispondere, sempre a causa dei tempi ristretti di cui abbiamo disposto. In tutta sincerità non ce la sentiamo di dire che ci sono stati dei cambiamenti di atteggiamento, siamo certi però che qualcuno di loro, e potremmo dire la maggioranza, si è probabilmente stupito della propria capacità di giocare con se stesso, con il teatro e con il video. Più di uno ha espresso la volontà di continuare anche in comunità, qualcuno ci ha anche chiesto dei testi da leggere (e assicuriamo che non è poco visto che si trattava quasi sempre di ragazzi arabi). Crediamo si possa parlare di un buon risultato. Forse il commento più significativo che abbiamo colto arriva da un ragazzo Rom: "Prima pensavo che fare teatro fosse noioso, ora mi diverto molto". Personalmente crediamo che il semplice divertirsi sia importantissimo quando attorno a te ci sono solo muri e tu hai 16 o 17 anni.

 

Alcuni dei video sono stati utilizzati dagli psicologi dell’istituto per approfondire le loro conoscenze sui ragazzi. Come è stata la collaborazione con gli operatori del carcere, educatori, psicologi etc.? Il video come strumento di analisi è stato utile solo per gli psicologi oppure è servito anche ai ragazzi?

La collaborazione con gli educatori è stata fantastica. Onestamente pensiamo che l’IPM di Treviso disponga di uno staff di tutto rispetto. Gli educatori non solo partecipavano ai nostri incontri, ma venivano personalmente coinvolti nell’attività senza mai tirarsi indietro, anzi collaborando se magari qualche ragazzo aveva la luna storta o poca voglia di fare. Anche con qualche agente ci siamo divertiti a giocare o quanto meno sono stati soggetti "positivamente passivi" della nostra attività

Sono poi innegabili le possibilità di analisi che l’utilizzo del video offre anche ai ragazzi. Attraverso le registrazioni hanno la possibilità di capire come si muovono, come parlano, quanto gesticolano, come si relazionano con gli altri, con gli educatori, con i mediatori, con gli oggetti. Riescono quindi a capire qualcosa di più della loro personalità e capacità di relazione. Come ultima considerazione, quello che ci viene in mente in questo momento è forse l’emozione che abbiamo provato rivedendo alcune registrazioni fatte, in particolare ce n’è una mentre i ragazzi in una piccolissima aula sono seduti attorno ad un tavolo e ognuno di loro (4 per la precisione) è concentratissimo a studiare un piccolo copione che poi dovranno riprodurre. È un piccolo pezzo comico, nessuno di loro è italiano, qualcuno sa a malapena leggere eppure la concentrazione è elevatissima ed anche il nostro orgoglio per essere arrivati a questo. È successo una volta sola, ma è stato sufficiente!

 

 

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