intervista padre e figli

 

  Quel bimbo a colloquio che non vuole staccarsi dal padre

Questa immagine - un figlio che piange, tendendo la mano verso il genitore detenuto - 

ha fatto nascere l’idea del progetto “Padri dentro e figli fuori” nella Casa circondariale di Rimini.

 Incontri con psico-pedagogisti, cineforum sul tema dei rapporti familiari, momenti di festa perché 

i piccoli possano passare del tempo sereno con i padri dietro le sbarre. E, soprattutto, 

conferenze in città perché anche chi sta fuori conosca il dramma delle famiglie divise dal carcere

(Realizzata nel gennaio 2005)

 

A cura di Marino Occhipinti

 

Scandagliare in profondità, con l’aiuto di esperti in psico-pedagogia, il difficile rapporto che le persone detenute si trovano ad affrontare con i loro figli. Per vivere questa lontananza in maniera più consapevole e meno dolorosa. È lo scopo del progetto “Padri dentro e figli fuori”, promosso nella Casa circondariale di Rimini. Ce lo racconta Vincenzo Di Pardo, responsabile dell’area educativa del carcere.

 

“Padri dentro e figli fuori” è uno slogan forte, che colpisce: di che cosa si tratta?

È un progetto incentrato sul rapporto tra il genitore detenuto e il proprio figlio. Si tratta, secondo la mia opinione, di un aspetto molto importante della condizione detentiva e del percorso riabilitativo a cui, sino a oggi, non è stata dedicata l’attenzione dovuta. L’iniziativa ha lo scopo di esaminare, con l’aiuto di esperti, le problematiche relative ai vissuti di privazione imposti sia al padre che al figlio come conseguenza della carcerazione, e di promuovere azioni di sensibilizzazione e valorizzazione del ruolo genitoriale.

 

Come si traduce, nella pratica, questa attenzione al rapporto genitoriale segnato dal carcere?

Con la collaborazione della sezione provinciale riminese dell’Unicef sono già stati realizzati con i detenuti tre incontri di approfondimento sul tema dei diritti dei bambini e della loro violazione in contesti e Paesi diversi. È da poco terminata, inoltre, una rassegna video che i detenuti hanno intitolato “I Bambini e noi: otto film per riflettere”. C’è stata molta partecipazione al dibattito che è seguito alla proiezione delle pellicole (tra cui La vita è bella di Roberto Benigni e Ladri di biciclette di Vittorio De Sica ed altri). Abbiamo poi promosso tre incontri tra operatori penitenziari ed esperti di psico-pedagogia con i detenuti, sempre sul tema della separazione e dei legami affettivi tra genitori detenuti e figli. Gli insegnanti dei corsi scolastici carcerari si sono presi l’impegno di sviluppare, insieme agli allievi, ricerche e approfondimenti, e la redazione del giornale dei detenuti Noi ha dedicato al tema un numero speciale. Infine, presso una sala del Comune di Rimini, è stata inaugurata una mostra dal titolo Dal carcere alla città: sono state esposte e vendute le opere realizzate dai detenuti nei laboratori di ceramica, cartonaggio e disegno su vetro. Il ricavato delle vendite andrà ai progetti dell’Unicef e servirà per acquistare libri e giocattoli. Il progetto si è concluso con una giornata ricca di eventi: un momento di festa con i detenuti coinvolti nell’iniziativa e i loro familiari in una sala predisposta all’interno dell’istituto, con libri e giochi, acquistati con il ricavato delle vendite della mostra, regalati ai bimbi presenti. L’iniziativa è stata estesa anche ai figli di detenuti in permesso premio o in misura alternativa. Nel pomeriggio è stato infine presentato il Cd audio e il numero speciale del giornale Noi dedicati al progetto, per concludere con un momento di festa, con animazione e musica a cura di un gruppo di volontari.

 

Chi ha proposto l’iniziativa e quali motivi vi hanno spinto alla sua elaborazione?

L’idea di definire un progetto su una tematica, così importante ma così poco dibattuta anche tra i diretti interessati, era presente da tempo. La sottoscrizione di “un patto di solidarietà per aver cura di ogni bambino”, avvenuta nell’aprile del 2003 tra il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e l’Unicef Italia, e l’invito rivolto alle direzioni a organizzare attività per il recupero del rapporto con l’infanzia, hanno dato una spinta decisiva alla realizzazione dell’iniziativa. Personalmente conservo nella memoria un’immagine che ha lasciato in me una certa inquietudine e che mi ha spinto a interrogarmi e confrontarmi, sia dal punto di vista umano che professionale, su ciò che quell’immagine evoca nel cuore degli uomini. Chi abita il carcere, anche come operatore, non è abituato a sentire bambini all’interno di un istituto maschile e quando una mattina di colloqui mi capitò di sentire l’urlo e il pianto disperato di un bambino, allertai subito l’udito e indirizzai lo sguardo. Era il momento della conclusione dei colloqui e, in fondo al corridoio, vidi un bimbo con la mano protesa verso il papà nel tentativo di stringersi ancora a lui. Dall’altra parte l’uomo, impotente, pian piano si allontanava cercando di nascondere le lacrime e un senso di rabbia e di dolore. In quella scena era racchiuso un dramma emotivo che dovrebbe colpire e interrogare chiunque. Rimasi quasi stordito, poi ricomposi i miei pensieri e man mano si rafforzò in me l’idea che quel momento, così drammatico e disperato, se pedagogicamente “accompagnato”, poteva sollecitare con forza la responsabilizzazione e la ricerca di un riscatto. La realizzazione del progetto “Padri dentro e figli fuori” è anche espressione di questo ricordo.

 

Generalmente come si svolgono i colloqui tra i padri detenuti e i loro figli nel carcere di Rimini?

Quando le condizioni meteorologiche lo permettono, si svolgono in un’area verde appositamente attrezzata: tre gazebo in legno con tavoli e sedie, oltre a scivoli e giochi per i bambini. Lo scorso anno sono stati realizzati, dagli stessi detenuti, dei murales sulle pareti che delimitano l’area. Sono state prodotte scene allegre di animazione infantile e disegni, dai colori vivaci, che riproducono l’immagine dei più noti personaggi dei cartoni animati. Nel complesso lo spazio, seppur non molto grande, si presenta abbastanza accogliente. La sala colloqui, invece, è arredata con tavoli e sedie, senza banconi divisori, ma c’è la possibilità di incontrare i bambini in salette attigue che garantiscono un clima di maggiore riservatezza.

 

Cosa prevedete di fare per sensibilizzare la società esterna a queste tematiche?

Al progetto collaborano alcuni volontari, enti e associazioni del territorio, che hanno raccolto l’invito mostrando interesse per le questioni sollevate dal progetto. A loro abbiamo chiesto, per quanto possibile, di pubblicizzare all’esterno i contenuti dell’iniziativa. Oltre alla mostra, abbiamo organizzato una tavola rotonda, in dicembre, presso la sala delle conferenze del Comune di Rimini. Il titolo era Dal carcere alla città: esperienze a confronto al termine del progetto padri dentro e figli fuori. Oltre agli operatori e ai funzionari dell’Amministrazione penitenziaria, vi hanno preso parte anche rappresentanti del volontariato e delle istituzioni locali.

 

Quali altre iniziative legate al reinserimento delle persone detenute si svolgono nella Casa circondariale di Rimini?

Nel nostro istituto sono presenti detenuti con condanne relativamente brevi, e c’è un alto turn-over. La media delle presenze di detenuti stranieri e di tossicodipendenti, inoltre, è molto al di sopra della media nazionale. Nonostante le difficoltà legate a tali condizioni, posso dire che l’attività trattamentale, rispetto alle risorse disponibili, è abbastanza articolata e ha permesso di dare risposte più mirate ai bisogni emergenti. C’è però ancora tanto da fare per migliorare, integrare e finalizzare meglio le azioni e i servizi. Per quanto concerne il reinserimento sociale, una particolare attenzione viene dedicata, per l’alto numero di presenze, ai detenuti che hanno problemi di tossicodipendenza. Per loro vengono previste diverse attività di sostegno e recupero, a partire dalla sezione a custodia attenuata “Andromeda” (ex Se.att.), attiva dal 1991. È un’esperienza aperta a quei detenuti tossicodipendenti o alcolisti che esprimono la volontà di seguire un percorso trattamentale volto a rafforzare le motivazioni al cambiamento, e a concordare un programma di recupero da portare a termine, ove possibile, in contesti riabilitativi esterni al carcere. La sezione, che può ospitare al massimo sedici detenuti, è collocata in un grazioso e accogliente fabbricato, nella parte esterna del muro di cinta del carcere. Lo scorso anno sono passati di qui cinquanta detenuti, dei quali trentuno sono usciti per svolgere un programma di recupero fuori dal carcere. Lo ritengo un risultato importante che dovrebbe incoraggiare l’estensione dell’esperienza delle custodie attenuate in maniera capillare sull’intero territorio nazionale.

 

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