Discorso di Papa Francesco alla delegazione dell’Associazione internazionale di diritto penale

 

Sala dei Papi, 23 ottobre 2014

 

 

Illustri Signori e Signore! Vi saluto tutti cordialmente e desidero esprimervi il mio ringraziamento personale per il vostro servizio alla società e il prezioso contributo che rendete allo sviluppo di una giustizia che rispetti la dignità e i diritti della persona umana, senza discriminazioni. Vorrei condividere con voi alcuni spunti su certe questioni che, pur essendo in parte opinabili – in parte! – toccano direttamente la dignità della persona umana e dunque interpellano la Chiesa nella sua missione di evangelizzazione, di promozione umana, di servizio alla giustizia e alla pace. Lo farò in forma riassuntiva e per capitoli, con uno stile piuttosto espositivo e sintetico.

 

Introduzione

Prima di tutto vorrei porre due premesse di natura sociologica che riguardano l’incitazione alla vendetta e il populismo penale.

a) Incitazione alla vendetta

Nella mitologia, come nelle società primitive, la folla scopre i poteri malefici delle sue vittime sacrificali, accusati delle disgrazie che colpiscono la comunità. Questa dinamica non è assente nemmeno nelle società moderne. La realtà mostra che l’esistenza di strumenti legali e politici necessari ad affrontare e risolvere conflitti non offre garanzie sufficienti ad evitare che alcuni individui vengano incolpati per i problemi di tutti.

La vita in comune, strutturata intorno a comunità organizzate, ha bisogno di regole di convivenza la cui libera violazione richiede una risposta adeguata. Tuttavia, viviamo in tempi nei quali, tanto da alcuni settori della politica come da parte di alcuni mezzi di comunicazione, si incita talvolta alla violenza e alla vendetta, pubblica e privata, non solo contro quanti sono responsabili di aver commesso delitti, ma anche contro coloro sui quali ricade il sospetto, fondato o meno, di aver infranto la legge.

b) Populismo penale

In questo contesto, negli ultimi decenni si è diffusa la convinzione che attraverso la pena pubblica si possano risolvere i più disparati problemi sociali, come se per le più diverse malattie ci venisse raccomandata la medesima medicina. Non si tratta di fiducia in qualche funzione sociale tradizionalmente attribuita alla pena pubblica, quanto piuttosto della credenza che mediante tale pena si possano ottenere quei benefici che richiederebbero l’implementazione di un altro tipo di politica sociale, economica e di inclusione sociale.

Non si cercano soltanto capri espiatori che paghino con la loro libertà e con la loro vita per tutti i mali sociali, come era tipico nelle società primitive, ma oltre a ciò talvolta c’è la tendenza a costruire deliberatamente dei nemici: figure stereotipate, che concentrano in se stesse tutte le caratteristiche che la società percepisce o interpreta come minacciose. I meccanismi di formazione di queste immagini sono i medesimi che, a suo tempo, permisero l’espansione delle idee razziste.

 

I. Sistemi penali fuori controllo e la missione dei giuristi.

Il principio guida della cautela in poenam Stando così le cose, il sistema penale va oltre la sua funzione propriamente sanzionatoria e si pone sul terreno delle libertà e dei diritti delle persone, soprattutto di quelle più vulnerabili, in nome di una finalità preventiva la cui efficacia, fino ad ora, non si è potuto verificare, neppure per le pene più gravi, come la pena di morte. C’è il rischio di non conservare neppure la proporzionalità delle pene, che storicamente riflette la scala di valori tutelati dallo Stato. Si è affievolita la concezione del diritto penale come ultima ratio, come ultimo ricorso alla sanzione, limitato ai fatti più gravi contro gli interessi individuali e collettivi più degni di protezione. Si è anche affievolito il dibattito sulla sostituzione del carcere con altre sanzioni penali alternative.

In questo contesto, la missione dei giuristi non può essere altra che quella di limitare e di contenere tali tendenze. È un compito difficile, in tempi nei quali molti giudici e operatori del sistema penale devono svolgere la loro mansione sotto la pressione dei mezzi di comunicazione di massa, di alcuni politici senza scrupoli e delle pulsioni di vendetta che serpeggiano nella società.

Coloro che hanno una così grande responsabilità sono chiamati a compiere il loro dovere, dal momento che il non farlo pone in pericolo vite umane, che hanno bisogno di essere curate con maggior impegno di quanto a volte non si faccia nell’espletamento delle proprie funzioni.

 

II. Circa il primato della vita e la dignità della persona umana. Primatus principii pro homine

 

a) Circa la pena di morte

È impossibile immaginare che oggi gli Stati non possano disporre di un altro mezzo che non sia la pena capitale per difendere dall’aggressore ingiusto la vita di altre persone.

San Giovanni Paolo II ha condannato la pena di morte (cfr Lett. enc. Evangelium vitae, 56), come fa anche il Catechismo della Chiesa Cattolica (N. 2267).

Tuttavia, può verificarsi che gli Stati tolgano la vita non solo con la pena di morte e con le guerre, ma anche quando pubblici ufficiali si rifugiano all’ombra delle potestà statali per giustificare i loro crimini. Le cosiddette esecuzioni extragiudiziali o extralegali sono omicidi deliberati commessi da alcuni Stati e dai loro agenti, spesso fatti passare come scontri con delinquenti o presentati come conseguenze indesiderate dell’uso ragionevole, necessario e proporzionale della forza per far applicare la legge. In questo modo, anche se tra i 60 Paesi che mantengono la pena di morte, 35 non l’hanno applicata negli ultimi dieci anni, la pena di morte, illegalmente e in diversi gradi, si applica in tutto il pianeta.

Le stesse esecuzioni extragiudiziali vengono perpetrate in forma sistematica non solamente dagli Stati della comunità internazionale, ma anche da entità non riconosciute come tali, e rappresentano autentici crimini.

Gli argomenti contrari alla pena di morte sono molti e ben conosciuti. La Chiesa ne ha opportunamente sottolineato alcuni, come la possibilità dell’esistenza dell’errore giudiziale e l’uso che ne fanno i regimi totalitari e dittatoriali, che la utilizzano come strumento di soppressione della dissidenza politica o di persecuzione delle minoranze religiose e culturali, tutte vittime che per le loro rispettive legislazioni sono “delinquenti”.

Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà sono dunque chiamati oggi a lottare non solo per l’abolizione della pena di morte, legale o illegale che sia, e in tutte le sue forme, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà. E questo, io lo collego con l’ergastolo. In Vaticano, poco tempo fa, nel Codice penale del Vaticano, non c’è più, l’ergastolo. L’ergastolo è una pena di morte nascosta.

b) Sulle condizioni della carcerazione, i carcerati senza condanna e i condannati senza giudizio

Queste non sono favole: voi lo sapete bene - La carcerazione preventiva – quando in forma abusiva procura un anticipo della pena, previa alla condanna, o come misura che si applica di fronte al sospetto più o meno fondato di un delitto commesso – costituisce un’altra forma contemporanea di pena illecita occulta, al di là di una patina di legalità.

Questa situazione è particolarmente grave in alcuni Paesi e regioni del mondo, dove il numero dei detenuti senza condanna supera il 50% del totale. Questo fenomeno contribuisce al deterioramento ancora maggiore delle condizioni detentive, situazione che la costruzione di nuove carceri non riesce mai a risolvere, dal momento che ogni nuovo carcere esaurisce la sua capienza già prima di essere inaugurato. Inoltre è causa di un uso indebito di stazioni di polizia e militari come luoghi di detenzione. Il problema dei detenuti senza condanna va affrontato con la debita cautela, dal momento che si corre il rischio di creare un altro problema tanto grave quanto il primo se non peggiore: quello dei reclusi senza giudizio, condannati senza che si rispettino le regole del processo.

Le deplorevoli condizioni detentive che si  verificano in diverse parti del pianeta, costituiscono spesso un autentico tratto inumano e degradante, molte volte prodotto delle deficienze del sistema penale, altre volte della carenza di infrastrutture e di pianificazione, mentre in non pochi casi non sono altro che il risultato dell’esercizio arbitrario e spietato del potere sulle persone private della libertà.

c) Sulla tortura e altre misure e pene crudeli, inumane e degradanti.

L’aggettivo “crudele”; sotto queste figure che ho menzionato, c’è sempre quella radice: la capacità umana di crudeltà. Quella è una passione, una vera passione! - Una forma di tortura è a volte quella che si applica mediante la reclusione in carceri di massima sicurezza. Con il motivo di offrire una maggiore sicurezza alla società o un trattamento speciale per certe categorie di detenuti, la sua principale caratteristica non è altro che l’isolamento esterno. Come dimostrano gli studi realizzati da diversi organismi di difesa dei diritti umani, la mancanza di stimoli sensoriali, la completa impossibilità di comunicazione e la mancanza di contatti con altri esseri umani, provocano sofferenze psichiche e fisiche come la paranoia, l’ansietà, la depressione e la perdita di  peso e incrementano sensibilmente la tendenza al suicidio.

Questo fenomeno, caratteristico delle carceri di massima sicurezza, si verifica anche in altri generi di penitenziari, insieme ad altre forme di tortura fisica e psichica la cui pratica si è diffusa. Le torture ormai  non sono somministrate solamente come mezzo per ottenere un determinato fine, come la confessione o la delazione – pratiche caratteristiche della dottrina della sicurezza nazionale – ma costituiscono un autentico plus di dolore che si aggiunge ai mali propri della detenzione. In questo modo, si tortura non solo in centri clandestini di detenzione o in moderni campi di concentramento, ma anche in carceri, istituti per minori, ospedali psichiatrici, commissariati e altri centri e istituzioni di detenzione e pena. La stessa dottrina penale ha un’importante responsabilità in questo, con l’aver consentito in certi casi la legittimazione della tortura a certi presupposti, aprendo la via ad ulteriori e più estesi abusi.

Molti Stati sono anche responsabili per aver praticato o tollerato il sequestro di persona nel proprio territorio, incluso quello di cittadini dei loro rispettivi Paesi, o per aver autorizzato l’uso del loro spazio aereo per un trasporto illegale verso centri di detenzione in cui si pratica la tortura.

Questi abusi si potranno fermare unicamente con il fermo impegno della comunità internazionale a riconoscere il primato del principio pro homine, vale a dire della dignità della persona umana sopra ogni cosa.

d) Sull’applicazione delle sanzioni penali a bambini e vecchi e nei confronti di altre persone specialmente vulnerabili

Gli Stati devono astenersi dal castigare penalmente i bambini, che ancora non hanno completato il loro sviluppo verso la maturità e per tale motivo non possono essere imputabili. Essi invece devono essere i destinatari di tutti i privilegi che lo Stato è in grado di offrire, tanto per quanto riguarda politiche di inclusione quanto per pratiche orientate a far crescere in loro il rispetto per la vita e per i diritti degli altri.

Gli anziani, per parte loro, sono coloro che a partire dai propri errori possono offrire insegnamenti al resto della società. Non si apprende unicamente dalle virtù dei santi, ma anche dalle mancanze e dagli errori dei peccatori e, tra di essi, di coloro che, per qualsiasi ragione, siano caduti e abbiano commesso delitti. Inoltre, ragioni umanitarie impongono che, come si deve escludere o limitare il castigo di chi patisce infermità gravi  terminali, di donne incinte, di persone handicappate, di madri e padri che siano gli unici responsabili di minori o di disabili, così trattamenti particolari meritano gli adulti ormai avanzati in età.

 

III. Considerazioni su alcune forme di criminalità che ledono gravemente la dignità della persona e il bene comune

Alcune forme di criminalità, perpetrate da privati, ledono gravemente la dignità delle persone e il bene comune. Molte di tali forme di criminalità non potrebbero mai essere commesse senza la complicità, attiva od omissiva, delle pubbliche autorità.

a) Sul delitto della tratta delle persone

La schiavitù, inclusa la tratta delle persone, è riconosciuta come crimine contro l’umanità e come crimine di guerra, tanto dal diritto internazionale quanto da molte legislazioni nazionali. È un reato di lesa umanità. E, dal momento che non è possibile commettere un delitto tanto complesso come la tratta delle persone senza la complicità, con azione od omissione, degli Stati, è evidente che, quando gli sforzi per prevenire e combattere questo fenomeno non sono sufficienti, siamo di nuovo davanti ad un crimine contro l’umanità. Più ancora, se accade che chi è preposto a proteggere le persone e garantire la loro libertà, invece si rende complice di coloro che praticano il commercio di esseri umani, allora, in tali casi, gli Stati sono responsabili davanti ai loro cittadini e di fronte alla comunità internazionale.

Si può parlare di un miliardo di persone intrappolate nella povertà assoluta. Un miliardo e mezzo non hanno accesso ai servizi igienici, all’acqua potabile, all’elettricità, all’educazione elementare o al sistema sanitario e devono sopportare privazioni economiche incompatibili con una vita degna (2014 Human Development Report, UNPD).

Anche se il numero totale di persone in questa situazione è diminuito in questi ultimi anni, si è incrementata la loro vulnerabilità, a causa delle accresciute difficoltà che devono affrontare per uscire da tale situazione. Ciò è dovuto alla sempre crescente quantità di persone che vivono in Paesi in conflitto. Quarantacinque milioni di persone sono state costrette a fuggire a causa di situazioni di violenza o persecuzione solo nel 2012; di queste, quindici milioni sono rifugiati, la cifra più alta in diciotto anni. Il 70% di queste persone sono donne. Inoltre, si stima che nel mondo, sette su dieci tra coloro che muoiono di fame, sono donne e bambine (Fondo delle Nazioni Unite per le Donne, UNIFEM).

b) Circa il delitto di corruzione

La scandalosa concentrazione della ricchezza globale è possibile a causa della connivenza di responsabili della cosa pubblica con i poteri forti. La corruzione è essa stessa anche un processo di morte: quando la vita muore, c’è corruzione.

Ci sono poche cose più difficili che aprire una breccia in un cuore corrotto: «Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio» (Lc 12,21). Quando la situazione personale del corrotto diventa complicata, egli conosce tutte le scappatoie per sfuggirvi come fece l’amministratore disonesto del Vangelo (cfr Lc 16,1-8).

Il corrotto attraversa la vita con le scorciatoie dell’opportunismo, con l’aria di chi dice: “Non sono stato io”, arrivando a interiorizzare la sua maschera di uomo onesto.

E’ un processo di interiorizzazione. Il corrotto non può accettare la critica, squalifica chi la fa, cerca di sminuire qualsiasi autorità morale che possa metterlo in discussione, non valorizza gli altri e attacca con l’insulto chiunque pensa in modo diverso. Se i rapporti di forza lo permettono, perseguita chiunque lo contraddica.

La corruzione si esprime in un’atmosfera di trionfalismo perché il corrotto si crede un vincitore.  In quell’ambiente si pavoneggia per sminuire gli altri. Il corrotto non conosce la fraternità o l’amicizia, ma la complicità e l’inimicizia. Il corrotto non percepisce la sua corruzione. Accade un po’ quello che succede con l’alito cattivo: difficilmente chi lo ha se ne accorge; sono gli altri ad accorgersene e glielo devono dire. Per tale motivo difficilmente il corrotto potrà uscire dal suo stato per interno rimorso della coscienza.

La corruzione è un male più grande del peccato.  Più che perdonato, questo male deve essere curato. La corruzione è diventata naturale, al punto da arrivare a costituire uno stato personale e sociale legato al costume, una pratica abituale nelle transazioni commerciali e finanziarie, negli appalti pubblici, in ogni negoziazione che coinvolga agenti dello Stato. È la vittoria delle apparenze sulla realtà e della sfacciataggine impudica sulla discrezione onorevole.

Tuttavia, il Signore non si stanca di bussare alle porte dei corrotti. La corruzione non può nulla contro la speranza.

Che cosa può fare il diritto penale contro la corruzione? Sono ormai molte le convenzioni e i trattati internazionali in materia e hanno proliferato le ipotesi di reato orientate a proteggere non tanto i cittadini, che in definitiva sono le vittime ultime – in particolare i più vulnerabili – quanto a proteggere gli interessi degli operatori dei mercati economici e finanziari.

La sanzione penale è selettiva. È come una rete che cattura solo i pesci piccoli, mentre lascia i grandi liberi nel mare.

Le forme di corruzione che bisogna perseguire con la maggior severità sono quelle che causano gravi danni sociali, sia in materia economica e sociale come per esempio gravi frodi contro la pubblica amministrazione o l’esercizio sleale dell’amministrazione  come in qualsiasi sorta di ostacolo frapposto al funzionamento della giustizia con l’intenzione di procurare l’impunità per le proprie malefatte o per quelle di terzi.

 

Conclusione

La cautela nell’applicazione della pena dev’essere il principio che regge i sistemi penali, e la piena vigenza e operatività del principio pro homine deve garantire che gli Stati non vengano abilitati, giuridicamente o in via di fatto, a subordinare il rispetto della dignità della persona umana a qualsiasi altra finalità, anche quando si riesca a raggiungere una qualche sorta di utilità sociale. Il rispetto della dignità umana non solo deve operare come limite all’arbitrarietà e agli eccessi degli agenti dello Stato, ma come criterio di orientamento per il perseguimento e la repressione di quelle condotte che rappresentano i più gravi attacchi alla dignità e integrità della persona umana.

Cari amici, vi ringrazio nuovamente per questo incontro, e vi assicuro che continuerò ad essere vicino al vostro impegnativo lavoro al servizio dell’uomo nel campo della giustizia. Non c’è dubbio che, per quanti tra voi sono chiamati a vivere la vocazione cristiana del proprio Battesimo, questo è un campo privilegiato di animazione evangelica del mondo. Per tutti, anche quelli tra voi che non sono cristiani, in ogni caso, c’è bisogno dell’aiuto di Dio, fonte di ogni ragione e giustizia. Invoco pertanto per ciascuno di voi, con l’intercessione della Vergine Madre, la luce e la forza dello Spirito Santo. Vi benedico di cuore e per favore, vi chiedo di pregare per me. Grazie.

 

 

 

 

“La dignità della persona umana sopra ogni cosa”

È di questo che ha parlato il Papa a proposito delle pene e del carcere, e noi vogliamo dedicare un numero di Ristretti Orizzonti alla sua idea di Giustizia, perché nessuno se ne dimentichi

Parliamone

a cura della Redazione

 

 

Leggere quel discorso che Papa Francesco ha fatto alla delegazione dell’Associazione internazionale di diritto penale è stato come quando, in un luogo estraneo e ostile, improvvisamente si incontra un amico e ci si sente rassicurati.

Ecco, le sue parole, in una società sempre più incattivita e più tentata dal desiderio di “costruire deliberatamente dei nemici”, sono una boccata di ossigeno, che noi vogliamo continuare a respirare a lungo: per questo, per far durare di più le sue parole, abbiamo discusso in redazione del perché ha un senso dedicargli un numero del nostro giornale.

 

Ornella Favero (volontaria, direttore di Ristretti):  Partiamo allora dal perché ha senso dedicare un numero di Ristretti Orizzonti al Papa. Per me l’idea di dedicare  quest’ultimo numero dell’anno a Papa Francesco è nata per due motivi.

Il primo è perché quello del Papa non è stato semplicemente un discorso in cui ha parlato dell’ergastolo e delle carceri, no! è stato un programma politico come non ne sentivamo da anni sulla giustizia, su come dovrebbe essere la giustizia, quindi è molto più che un discorso sul carcere o un pietoso intervento di un Papa sulla condizione delle carceri, è veramente il manifesto di una giustizia diversa, che poi è l’idea di giustizia su cui da anni lavoriamo noi, la giustizia non cattiva, mite, una “giustizia dolce”. Il secondo motivo che ci spinge è che quando il Papa parla, tutti i cattolici danno sempre grande risalto e attenzione alle sue parole, ma quando ha parlato della giustizia e delle carceri, credo che ci sia stato, come dire?, un leggero fastidio, il suo è stato un discorso che la gente non ha apprezzato cosi tanto, perché è esattamente il contrario di quello che pensa una certa politica, e di quello che pensano tanti cittadini incattiviti: che la giustizia deve essere più cattiva, i detenuti devono “marcire in galera” e le pene devono essere più dure.

 Le parole del Papa hanno rovesciato le carte in tavola, quindi dedicare un numero interamente al suo intervento significa fare in modo che sia ricordato, e non dimenticato in fretta come forse in tanti vorrebbero.

 

Giorgio Fontana:  Prima di questo discorso del Papa, anche molti credenti vedevano negativamente il sistema della pena che ha come finalità principale quella di redimere, ora non dico che tutti abbiano accettato il discorso del Papa, però secondo me molti ci hanno creduto e sicuramente cambieranno idea sul sistema delle pene e del carcere.

 

Sandro Calderoni: Io credo che sia molto importante quello che ha dettocil Papa perché spiazza. E perché nessuno si immaginava una cosa del genere dalla chiesa, e secondo me bisognerebbe proprio fare risaltare questo, cioè far pesare nella coscienza del cristiano che le parole del Papa sono parole umane che dovrebbe dire ogni cristiano, perché la religione cristiana ammette questo, ammette la fallacità e l’errore dell’uomo, e per questo c’è il perdono e c’è l’attenzione a chi sbaglia. Ma come vi ponete voi cristiani, di fronte al capo della chiesa, che vi fa vedere effettivamente come dovrebbe essere un vero cristiano? In realtà si preferisce non dargli molto risalto, proprio perché sconvolge tutto il modo di pensare e la cultura che dominano in questo momento. All’informazione poi non piace questa idea di giustizia, perché certa informazione ci marcia, nel dolore e nel torbido. Allora noi dobbiamo cercare di far risaltare questo, tirar fuori la vergogna che tanti dovrebbero sentire nei comportamenti che magari hanno avuto fino ad oggi.

 

Erion Celaj: Secondo me noi non dovremmo limitarci a dire sì alle parole del Papa per convenienza, perché ha detto delle carceri quello che volevamo sentir dire. Il nostro è un sì al Papa per l’uomo che è Bergoglio, perché ha detto no ai pedofili, perché ha detto “chi sono io per giudicare gli omosessuali”, Papa si per tante cose, e anche alla faccia di tutti quelli che hanno fatto il muso lungo quando ha detto: “I mafiosi non hanno posto in chiesa, sono scomunicati”.

Perché non dimentichiamoci che un mese prima delle sue parole sulle pene e sull’ergastolo Papa Bergoglio aveva detto che i mafiosi sono scomunicati!, e tanti detenuti hanno fatto il muso lungo, poi è stato spiegato che essere scomunicato significa che uno che continua su quella via, non può essere accolto dal Signore, che però le porte della chiesa sono aperte per tutti, quello era il significato, e nessuno lo può negare. Papa Bergoglio si, perché veramente è un uomo avanti nei tempi.

 

Marcel Hoxa: Io sono d’accordo con il messaggio che ha lanciato il Papa sul carcere e sulla giustizia, ma vorrei sapere quei politici che fino ad oggi dicevano che l’ergastolo deve esistere, il carcere duro anche, quelli della Lega Nord che sono molto credenti, cosa ne pensano loro?

 

Clirim Bitri: Il Papa ha detto più o meno le cose che noi sosteniamo da sempre, però noi non ci ascoltano quasi mai. Lui ha detto in pratica che “non bisogna buttar via nessuno”, lui ha detto che bisogna imparare anche dagli errori e non si impara solo dai santi, ma si parla di errori dei peccatori, in questo caso i peccatori è chi è in galera, i peccatori siamo noi, e se non ci fossimo noi non si capirebbe chiè il buono, se non ci sono i cattivi come fai a capire qual è la buona azione? Poi lui sostiene il principio che noi abbiamo sostenuto sempre, che non si educa trattando male una persona, insomma che le carceri devono essere più umane e con la violenza non si rieduca nessuno, perché, dall’esperienza che abbiamo, la violenza porta altra violenza, non porta alla rieducazione.

Secondo me, il Papa ha fatto un discorso di giustizia umana più che giustizia dello Stato.

 

Roverto Cobertera: Io penso che questo Papa è un po’ particolare, perché sta aprendo le orecchie alle persone che ce le hanno chiuse e non vogliono sentire niente, sta tentando di sensibilizzare e coinvolgere il mondo su questioni complicate come le pene e il carcere.

 

Sofiane Madsiss: Io credo che il bello di questo intervento del Papa è che non ha chiesto una clemenza per i detenuti, ha chiesto di aprire una buona strada per quello che ha sbagliato, anche se uno ha peccato non è la fine, una persona può sbagliare ma è giusto darle una possibilità di reintegrarsi e poter rientrare nella società. Per questo anch’io dico “Papa si”!

 

Andrea Donaglio: Allora, in 50 anni della mia vita è cresciuta in me la convinzione che la chiesa fosse un centro di potere, che amministrasse più che le anime, il percorso delle anime sulla terra, masse economiche e finanziarie molto grandi.

Io mi ritengo credente, religioso a modo mio, non pratico i sacramenti, però comunque mi ritengo credente di una fede che mi ha dato la possibilità di superare delle avversità come l’esperienza del

carcere che sto affrontando ora. Per me tutti i messaggi dei Papi, per quanto abbia potuto ascoltarli, avevano sempre un certo fascino, ma non ho mai colto degli elementi particolarmente innovatori, degli elementi tali da scardinare un sistema che stava crescendo in un certo modo.

Le parole di questo Papa ho avvertite che si avvicinano molto al messaggio originale che Cristo dava, Cristo che anche lui ai suoi tempi è stato uno che ha veramente rivoluzionato il mondo.

 La forza morale di questo Papa è stata, a costo di perdere anche consensi, o comunque dare quel senso di fastidio che abbiamo rilevato in più interventi di commento alle sue parole, quella di riallinearsi a un pensiero originario dei cristiani.

Io provengo da una famiglia che è stata religiosa a modo suo, ma non sono stati mai cattolici praticanti, e apprezzo moltissimo le parole del Papa. Forse si può vedere una forma di convenienza da parte mia, perché sono dalla parte delle persone che dovrebbero da queste parole beneficiare, ma questo messaggio è molto importante perché va al di la del carcere, e spinge a riflettere su come intendere il senso di giustizia, perché davvero se c’è una giustizia di un certo livello ne guadagna moltissimo la qualità della vita della società che fa proprio quel tipo di principio.

 

Carmelo Musumeci: Io credo che un Papa non è un politico, ma Papa Francesco forse incredibilmente è un politico di primo piano e che fa la differenza.

Adesso dopo il suo intervento, quello che fa sorridere è che nessuno può dire “Io non lo sapevo”, lui è stato chiaro su molti punti, questo dà una possibilità a noi in generale che combattiamo sui diritti dei detenuti, di stanare quei politici che sulle scelte religiose si sono fatti eleggere. Ma perché adesso stanno tutti tacendo? Questo loro silenzio è un silenzio che fa rumore, perché aspettano che passi l’uragano delle parole che ha detto questo Papa. Adesso il compito spetta a noi di non farlo passare, dobbiamo ricordarcelo sempre. Vi rendete conto, quasi nessun politico ha commentato, ha fatto un semplice commento in rete o su qualche quotidiano, tutti zitti! Perché sono in grande difficoltà, perché questo Papa, fatemelo chiamare Francesco perché non sono un credente, questo Francesco è un capo popolo, cioè si prende le simpatie anche di chi non crede, ha carisma, con la sua semplicità. Per il nostro numero speciale, sarebbe interessante avere il parere di altri capi di altre religioni, dire cosa ne pensano loro, non ci sono in Italia solo cristiani, ci sono altre minoranze, sentire anche loro e capire se concordano anche loro, perché in carcere non ci sono solo i detenuti cristiani o cattolici, ci sono persone che appartengono ad altre religioni, che bene o male vorrebbero sapere dai loro referenti religiosi cosa ne pensano.

 

Donatella Erlati (volontaria, psicologa): Il Papa non ha detto “vogliamoci bene tutti”.

 Lui in Argentina, quando non era Papa e aveva decisamente meno potere, frequentava tantissimo il carcere, e le idee che lui ha, non è che lui le abbia raccattate sui libri, lui parla con cognizione di causa perché nelle carceri dell’Argentina, lui è sempre andato di persona, di persona andava a dire messa, andava ad ascoltare ed era dentro, c’era dentro, quindi è anche un esperto, e il suo messaggio è un messaggio che ha una base, non è solo così, di una persona buona, ha una base secondo me di grande conoscenza.

 

Giorgio Fontana: Io sto pensando che se il messaggio di Napolitano sulle carceri buona parte del mondo politico lo ha cestinato, il messaggio del Papa farà la stessa fine se non peggio. Secondo me il discorso da fare è come procedere, come fare una “guerra” per portarle avanti, le parole del Papa, più che parlare del Papa come uomo e come persona, perché se noi stiamo qui dieci giorni a parlare del Papa, tutti quanti ne parliamo bene, ci tiene in vita con i suoi discorsi, invece noi dobbiamo trovare una soluzione che vada oltre l’apprezzamento e che in qualche modo garantisca che quelle parole non vadano dimenticate, tanto più che il suo discorso è molto più “pesante” di quello di Napolitano, pesante nel senso che parlare di abolizione dell’ergastolo significa toccare uno dei temi più duri e spinosi, quindi la riflessione che dobbiamo fare è come far “durare” quelle parole nel tempo.

 

Ornella Favero: Il discorso del Papa poi non risparmia nessuno. Ai magistrati per esempio chiede la “cautela in poenam”, cioè il loro principio guida deve essere la cautela nel comminare le pene. Mi viene in mente che quando sono andata a fare una lezione alla Scuola della magistratura e ho detto che anche i magistrati a volte subiscono la pressione dell’informazione, ho trovato forti resistenze e la convinzione, troppo rigida a mio parere, che loro giudicano senza subire nessun condizionamento. Ma il Papa glielo ha detto molto chiaro: spesso giudici ed operatori del sistema penale devono svolgere le proprie mansioni sotto la pressione dei mezzi di informazione di massa. E ha parlato molto severamente anche del ruolo dell’informazione, questo è molto più di un discorso di un Papa in difesa di una categoria debole, come possono essere in certi momenti le persone detenute, le famiglie delle persone detenute, no questo va oltre, questo è veramente un programma per una giustizia diversa.

A noi che portiamo avanti le stesse battaglie, ha dato una grande forza, anche perché noi per certe nostre battaglie siamo considerati radicali, radicali nel senso che, per esempio, la nostra proposta rispetto all’abolizione dell’ergastolo è molto forte, ma il Papa ha dimostrato invece che queste sono delle proposte realiste per un’idea diversa di giustizia.

Poi ha detto altre cose molto significative: “C’è la tendenza a costruire deliberatamente dei nemici”, anche questo è un concetto importante, perché quello che noi rimproveriamo alla politica in questi anni è di aver costruito dei nemici, i nemici sono gli ALTRI, quindi contro questi nemici è lecito tutto, le pene senza speranza, il 41 Bis. La prima cosa che dobbiamo fare è rivolgere delle domande pubbliche ai politici cattolici: perché non rispondono a quello che ha detto il Papa?

Questo discorso dei cattolici è interessante da capire, perché viene fuori una cosa che a me ha sempre dato fastidio, che è la doppia morale di un certo cattolicesimo.

Io sarei curiosa di fare un sondaggio nel mondo cattolico su cosa condividono delle parole del Papa, perché sarebbe ora di “stanarli” i veri credenti, così come vanno stanati i detenuti che si sono scandalizzati quando il Papa ha scomunicato i mafiosi, sentendosi come la pecorella che è stata cacciata. Il Papa non ha detto “Tu mafioso sei fuori ed io non mi curerò di te per niente”, ha detto che non puoi pensare di restare mafioso e poi venire a prendere la comunione e fingere di essere un sincero credente.

A me, non credente, piace questo Papa perché fa emergere proprio le ipocrisie, quindi le ipocrisie del mafioso, come le ipocrisie del bravo credente o del cattolico, come quelle del politico. È questa secondo me la cosa più dirompente di questo messaggio, che non c’è spazio per le ipocrisie, perché non è un appello ai buoni sentimenti del bravo cattolico, no! È proprio un appello sui principii di cos’è la giustizia terrena e cos’è la giustizia divina, per cui anche per un non credente come me, questa è la forza di questo messaggio.

 

Roverto Cobertera: Credo che il Papa se la prenda con certe persone che vanno a messa, prendono l’ostia, magari danno mille euro di offerta e poi appena escono vanno a fare degli omicidi.

Io penso che il discorso del Papa sia rivoluzionario, tanti politici hanno sentito il discorso e hanno fatto finta di non aver sentito niente, ma invece noi lo abbiamo sentito bene e vorremmo fargli le domande proprio a loro, Giovanardi, Alfano, perché dobbiamo sempre tacere?

Io poi credo che con questo discorso il Papa ci abbia anche detto: vedete dovete avere coraggio, noi tutti dobbiamo avere il coraggio di dire le cose come stanno.

 

Carmelo Musumeci: Io penso comunque che sia inutile fare dei complimenti al Papa, non ci interessano tanto, né farli né riceverli.

 Come costringere piuttosto i politici a uscire allo scoperto? Allora, io direi innanzitutto di fare delle lettere da pubblicare sulla nostra Rassegna stampa, dove cominciare a porre una serie di domande tutti noi della redazione ai politici del mondo cattolico per inchiodarli alla loro responsabilità.

 

Ornella Favero: C’è un punto poi per cui secondo me bisognerebbe prendere i politici che hanno fatto certe leggi e chiedergliene ragione. È quando il Papa parlando dei regimi speciali afferma che “una forma di tortura è a volte quella che si applica mediante la reclusione in carcere di massima sicurezza, con il motivo di offrire una maggiore sicurezza alla società”, questo forse bisognerebbe dirlo ad Alfano che ha proposto di inasprire il 41 Bis.

Ma voglio sottolineare un altro concetto espresso da Papa Francesco che secondo me è veramente rivoluzionario: “La cautela nell’applicazione della pena dev’essere il principio che regge i sistemi penali, e la piena vigenza e operatività del principio pro homine deve garantire che gli Stati non vengano abilitati, giuridicamente o in via di fatto, a subordinare il rispetto della dignità della persona umana a qualsiasi altra finalità, anche quando si riesca a raggiungere una qualche sorta di utilità sociale”, quindi il Papa ribadisce che, se anche questi sistemi garantissero per esempio il successo della lotta alla mafia, anche se garantissero una utilità sociale, non basterebbe, perché se questo tipo di pena va contro l’uomo e subordina il rispetto della dignità della persona umana ad altre finalità, allora bisogna fermarsi.

Questo è un concetto rivoluzionario, perché sempre si è giustificato l’ergastolo, o il regime del 41 Bis, dicendo che servono alla lotta al terrorismo e alla lotta alla mafia. Il Papa invece ammonisce:

“Se voi violate la dignità della persona, voi state comunque compiendo un atto indifendibile”.