Papa Francesco e l’informazione

 

  “Viviamo in tempi nei quali si incita talvolta alla violenza e alla vendetta”

 

“Viviamo in tempi nei quali, tanto da alcuni settori della politica come da parte di alcuni mezzi di comunicazione, si incita talvolta alla violenza e alla vendetta, pubblica e privata, non solo contro quanti sono responsabili di aver commesso delitti, ma anche contro coloro sui quali ricade il sospetto, fondato o meno, di aver infranto la legge”.

“Non si cercano soltanto capri espiatori che paghino con la loro libertà e con la loro vita per tutti i mali sociali, come era tipico nelle società primitive, ma oltre a ciò talvolta c’è la tendenza a costruire deliberatamente dei nemici: figure stereotipate, che concentrano in se stesse tutte le caratteristiche che la società percepisce o interpreta come minacciose. I meccanismi di formazione di queste immagini sono i medesimi che, a suo tempo, permisero l’espansione delle idee razziste”.

“Si è affievolita la concezione del diritto penale come ultima ratio, come ultimo ricorso alla sanzione, limitato ai fatti più gravi contro gli interessi individuali e collettivi più degni di protezione. Si è anche affievolito il dibattito sulla sostituzione del carcere con altre sanzioni penali alternative.

In questo contesto, la missione dei giuristi non può essere altra che quella di limitare e di contenere tali tendenze. È un compito difficile, in tempi nei quali molti giudici e operatori del sistema penale devono svolgere la loro mansione sotto la pressione dei mezzi di comunicazione di massa, di alcuni politici senza scrupoli e delle pulsioni di vendetta che serpeggiano nella società”.

 

a cura della Redazione

 

 

 

Il mondo dell’informazione ha paura delle parole del Papa?

 

di Bruno Turci, Ristretti Orizzonti

 

Papa Francesco ha fatto un discorso che è un autentico programma politico sui temi della giustizia, delle pene e del carcere. Ha parlato in maniera articolata di ogni singolo argomento,

trattando in particolare questi punti:

Di fronte alla forza dei richiami e delle accuse rivolti alle istituzioni di tutti i Paesi del pianeta, non abbiamo ascoltato nessuna risposta. Non dai cristiani. Non dagli uomini di buona volontà. L’informazione si è per lo più defilata. Ma perché nessuna testata giornalistica, a oltre un mese dell’appello lanciato dal Papa, ha denunciato il silenzio assordante della comunità cristiana e della politica? Nessuno vuole parlare di questi argomenti scomodi. Sono scomodi perché tutti (fatta eccezione per i soliti pochissimi) sono corresponsabili della desertificazione socioculturale attuata nel nostro Paese da oltre vent’anni di politiche tese alla creazione del diverso, del nemico. Una strategia tesa soprattutto a identificare i nemici della società nelle categorie sociali più deboli, allo scopo di raccogliere voti facili da una società, in verità, maltrattata da questa stessa politica.

Noi detenuti della redazione di Ristretti Orizzonti ci occupiamo di sensibilizzare la società su questi temi e conosciamo bene l’argomento trattato da Papa Francesco. E abbiamo accolto le parole del Papa con un ritrovato entusiasmo. Quando incontriamo, più volte alla settimana, gli studenti delle scuole superiori di Padova e di tutto il Veneto, con loro affrontiamo le tematiche sociali a partire dalle nostre esperienze e ci adoperiamo per una sorta di prevenzione, come un esercizio a “pensarci prima”. Per noi, questa è una forma di restituzione che ci riscatta da un passato critico. Tuttavia, ci rendiamo conto che i giovani studenti, la maggior parte appena maggiorenni, hanno una formazione sui temi della giustizia completamente lontana dalla realtà e loro stessi se ne rendono conto durante i nostri incontri. Da tutto ciò ne ricavo che hanno ricevuto un’informazione davvero distorta rispetto a ciò che accade nella società.

Esiste infatti un’informazione che tende a fornire una sorta di messaggio tranquillizzante alla cosiddetta società civile, facendo credere che nelle galere ci finiscono i “mostri”, i “diversi”, gli “stranieri” tutti quelli che non ci piacciono. Così la società si sente al sicuro, pensando che a loro non accadrà mai di finire qui dentro o di avere problemi di quel tipo in famiglia. Per questo motivo l’atteggiamento più diffuso è quello che pensa che i problemi di sicurezza si risolvono con una serie di stereotipi del tipo: “facciamoli marcire in galera”, “buttiamo via le chiavi”. Nessuno pensa che potrebbe capitare a loro stessi o a qualche loro amico, o parente, a figli o fratelli. A sostegno di queste affermazioni posso citare i reati legati al consumo degli stupefacenti o i reati in famiglia, come del resto i reati legati al Codice della strada. Qui dentro, in carcere, sono rappresentati tutti i ceti sociali, tuttavia la legge non è sempre uguale per tutti.

Un’informazione corretta potrebbe essere davvero utile affinché la cosiddetta società civile riesca a considerare questi temi più vicini e a capire che comunque la riguardano e non le sono estranei.

Questa sarebbe un’ottima maniera per realizzare finalmente una concreta riforma delle pene, rivolta a prevenire il disagio sociale piuttosto che doverlo curare quando è troppo tardi.

 

 

 

 

“C’è la tendenza a costruire deliberatamente dei nemici”

Prima c’erano i terroni, a seguire gli albanesi, poi gli zingari, i romeni, e così via

 

di Çlirim Bitri, Ristretti Orizzonti

 

Nella discussione che abbiamo fatto nella nostra redazione su chi era il personaggio dell’anno rispetto ai temi della giustizia in Italia, la scelta è caduta su Papa Francesco e sul suo discorso alla delegazione dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale.

Leggendolo sembrava che Papa Francesco avesse partecipato alle nostre riunioni e fosse diventato il nostro messaggero.

Da molti anni la redazione di Ristretti Orizzonti cerca di far riflettere sul fatto che una giustizia mite sarebbe più efficace, ma ho sempre pensato che se detto da noi (persone condannate), il messaggio fosse recepito con molta diffidenza.

Questo ho creduto fino a quando ho visto che anche il discorso del Papa sulla pena e la giustizia ha avuto poco spazio nei mass media nazionali, rispetto invece allo spazio che il Papa ha avuto quando ha scomunicato delle persone che conducono un certo stile di vita (i mafiosi).

Papa Francesco, per me sei l’Uomo dell’anno perché dici “viviamo in tempi nei quali, tanto da alcuni settori della politica come da parte di alcuni mezzi di comunicazione, si incita talvolta alla violenza e alla vendetta”. Io sono albanese e non è un segreto che in certe zone del mio Paese esistano le faide che sono delle vecchie regole per cui “occhio per occhio, dente per dente”. Dico questo perché mi viene in mente che ogni volta che succede qualche reato di particolare importanza, ci sono sempre alcuni giornalisti che chiedono a chi ha appena subito un lutto “cosa faresti al colpevole?”.

Trovano il “colpevole” e trovano le cause, molte volte sconosciute anche a chi realmente ha commesso il delitto, e credetemi in questi casi è “fortunato” l’indiziato che è veramente colpevole. Alcuni settori della politica che hanno a cuore più la rielezione al Parlamento che il bene della comunità, a furia di vendetta approvano nuovi provvedimenti che diverse volte sono stati dichiarati anticostituzionali.

Sei l’Uomo dell’anno perché dici “negli ultimi decenni si è diffusa la convinzione che attraverso la pena pubblica si possano risolvere i più disparati problemi sociali, come se per le più diverse malattie ci venisse raccomandata la medesima medicina”. Mettiamo tutti in galera, mettiamo in galera i tossici perché fumano uno spinello, mettiamo in galera lo straniero perché è diverso, mettiamo in galera chi guida ubriaco… e così via, leggi più severe, più carcere e tutto è risolto. Non è così! il tossico dev’essere curato perché è malato (circa il 30% dei detenuti è tossicodipendente), lo straniero dev’essere identificato e aiutato a mettersi in regola almeno per poter pagare le tasse, perché se lo si lascia in stato di clandestinità o in carcere è più  facile che prenda la strada sbagliata.

Chi guida ubriaco o commette un incidente cosa può imparare in carcere? Non sarebbe meglio e più rieducativo mandarlo a svolgere lavori di pubblica utilità in un Pronto Soccorso dove vedrebbe gli effetti drammatici degli incidenti stradali spesso causati da leggerezze e irresponsabilità? Raccomandando il carcere per queste categorie di persone ed altre ancora, l’effetto rieducativo è quasi zero, anzi a volte è addirittura controproducente. Quindi più carcere e più pena NON è la soluzione.

Sei l’Uomo dell’anno perché dici “talvolta c’è la tendenza a costruire deliberatamente dei nemici: figure stereotipate, che concentrano in se stesse tutte le caratteristiche che la società percepisce o interpreta come minacciose”. Prima c’erano i terroni, a seguire gli albanesi, poi gli zingari, i romeni, e così via. Tutte categorie classificate come pericolose in un determinato tempo. Credo che all’inizio gli “adulti” abbiano usato queste categorie per spaventare i bambini, ma glielo hanno ripetuto così spesso che ci hanno creduto anche loro. Questo ha portato ad avere nella società una paura percepita sempre maggiore, anche quando nel tempo i reati sono diminuiti.

Per il Tuo discorso, fatto in un tempo dove si gareggia a chi è più “cattivo” con i “cattivi”, e con la speranza che “tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà” accolgano il Tuo appello per una giustizia più mite, per noi, Papa Francesco, sei l’Uomo dell’anno. Non possiamo offrirti chissà che cosa come premio ma quello che è certo è che nella nostra Redazione hai sempre una sedia libera che ti aspetta.

 

 

 

 

Una trasmissione di approfondimento sul messaggio del Papa?

E chi l’ha vista? Forse più che ricordare le sue parole si vorrebbe dimenticarle in fretta

 

di Giovanni Donatiello, Sezione Alta Sicurezza Casa di reclusione di Padova

 

Papa Francesco, nel discorso tenuto davanti all’associazione internazionale di diritto penale, ha messo al centro del suo intervento il rispetto della dignità umana e i diritti della persona.

In questa sede, e in particolare, condannando chi pratica la pena di morte in tutte le sue forme, non ha mancato di denunciare che l’ergastolo è una pena di morte nascosta e come la pena di morte

deve essere abolito!

Che l’ergastolo sia una vera e propria condanna a morte lo sanno tutti, ma quasi nessuno prima aveva mai avuto il coraggio di asserirlo pubblicamente. Se si parla di carcere e carcerati, il giustizialismo viene spesso fuori in pompa magna, a volte adducendo argomentazioni paradossali.

L’intervento di Papa Francesco è stato tanto forte quanto inatteso, c’è voluto un Papa, un Papa “rivoluzionario” per denunciare che l’ergastolo è una pena di morte nascosta.

Mi sono chiesto quale sarà il seguito di questo discorso del Papa.

Ammetto che per un attimo mi sono entusiasmato, poi col trascorrere dei giorni il mio pessimismo-realismo ha prevalso, in quanto i mezzi di comunicazione, proprio gli stessi che il Papa ha individuato come responsabili dell’incitazione alla vendetta, hanno limitato lo spazio della notizia, mi pare non ci sia stata una sola emittente che abbia promosso un programma di approfondimento, un dibattito, un incontro, nulla di tutto questo. “All’opinione pubblica questo messaggio non deve passare”: questa mi pare essere stata la parola d’ordine!

Nello stesso giorno, in altra sede, Berlusconi apriva al riconoscimento dell‘unioni civili per persone dello stesso sesso. La notizia è balzata su tutti i titoli dei giornali e nelle aperture di tutti i telegiornali, inoltre tutte le reti televisive nei vari talk show hanno approfondito il tema, se n’è parlato per giorni e tuttora vi è una dialettica aperta tra le varie posizioni politiche.

Il raffronto tra le due notizie e lo spazio ricevuto è sconfortante, voglio solo augurarmi che nei Palazzi e nelle sedi di discussioni politiche questo rapporto sia sovvertito e che una volta per tutte la classe politica italiana abbia il coraggio di fare scelte impopolari, ma di grande civiltà, discostandosi una volta tanto da quel populismo che gli è stato finora tanto caro.

Vorrei tanto crederci e spero di essere smentito nel più breve tempo possibile sul mio pessimismo, ma… non c’è da scandalizzarsi, in questa Italia, se la ricerca del consenso prevale anche sull’importanza della vita umana!

 

 

 

 

Il Papa non ha chiesto un atto di clemenza “eccezionale”

No! il Papa ha invece voluto affrontare il tema del senso che la pena deve avere

 

di Sofiane Madsiss, Ristretti Orizzonti

 

Non è la prima volta che un Papa parla di giustizia e dei problemi legati al carcere, ma l’intervento davanti all’Associazione Internazionale di Diritto Penale è stato speciale, perché in tutto il suo discorso il Papa non ha mai pronunciato la parola “clemenza” ed è questo che lo rende speciale. Quello che mi è piaciuto di Papa Francesco è che ha cercato di spiegare il significato della giustizia e della pena come cerchiamo di fare anche noi della redazione di Ristretti Orizzonti con il progetto “Il carcere entra a scuola.  Le scuole entrano in carcere”, incontrando gli studenti e confrontandoci con loro, cercando di fargli capire che la giustizia non è vendetta e il carcere non è il posto dove consumarla, e che è importante invece evitare ogni pena che possa comportare maggiore sofferenza di quella che la pena stessa intende riparare.

È un piacere sentire una persona come il Papa che manifesta propriamente il suo pensiero sulla giustizia umana e non su quella divina, perché tutti possiamo sbagliare, ma quando una persona sbaglia e viene giudicata e condannata a scontare una pena, la pena deve essere giusta, rispettando i diritti della persona, perché la dignità umana viene prima di tutto, indipendentemente dalla gravità del reato.

Il Papa non ha chiesto un atto di clemenza “eccezionale” per sanare il problema attuale del sovraffollamento carcerario e la condizione disumana in cui vivono i detenuti; ha invece voluto affrontare il tema del senso che la pena deve avere, ribadendo che il carcere non deve essere solo una misura punitiva, ma un posto di riabilitazione e recupero, e dovrebbe essere un punto di partenza per chi ha sbagliato e ha commesso dei reati.

Mi permetto di aggiungere un’altra cosa, la parola “penitenziario” viene da penitenza, vuol dire riflessione, pentimento e dolore per il male commesso, allora io credo che il carcere sia fatto non per torturare la persona che ha sbagliato ma per farla riflettere, allo scopo preciso di educare e aiutare le persone in un percorso di reinserimento nella società, perché la vera giustizia è la giustizia che s’interessa di quello che può diventare un uomo colpevole, perché un detenuto cambiato e reinserito è un bene per sé, ma soprattutto può diventare una risorsa utile per la società.

Spero che il messaggio del Papa continui a risuonare nella testa di chi si occupa dei problemi della giustizia e delle carceri, e mi auguro che abbia fatto breccia nell’anima, nel cuore e nei pensieri di tutti quelli che credono in una giustizia giusta, non nella vendetta e nella tortura fisica e psichica, come sta invece succedendo in Italia con il sovraffollamento e con il carcere duro.

 

 

 

 

Un Papa che potrebbe dare a tutti lezioni di “comunicazione”

 

di Lorenzo Sciacca, Ristretti Orizzonti

 

È strabiliante la capacità che ha l’essere umano di non voler vedere le cose che lo circondano.

Non volerle vedere per paura di aprire un vaso di Pandora che non lo lascerebbe indifferente a tutte quelle sofferenze che esso contiene.

 

Il Papa,

Papa Francesco ha un dono, che gli è stato riconosciuto da tutti quelli che hanno “ascoltato” e non solo sentito le sue parole. Dico che ha un dono perché so quanto è difficile la comunicazione, ancora di più nel caso di persone come me, che sono, per alcuni, solo un detenuto recluso al carcere di Padova, e fatico a comunicare che posso essere qualcosa di diverso dal mio reato. È per questo che dico che il Papa ha un grande dono, la sua straordinaria capacità comunicativa anche su temi spinosi come il carcere. Una comunicazione che arriva a tutti, in un linguaggio chiaro e senza equivoci, senza quelle frasi che a volte possono lasciarti indifferente per la loro mancanza di profondità.

Mi chiamo Lorenzo Sciacca e faccio parte della redazione di Ristretti Orizzonti. È stata una forte emozione sentire dal Papa le stesse frasi che noi della redazione pronunciamo molto spesso: “l’ergastolo è una pena di morte nascosta”.

Io non ritengo di essere un buon fedele. Lo ero. Io sono uno di quei ragazzi che sono cresciuti in una famiglia molto cattolica, una famiglia del sud. La mia era una famiglia che vedeva sempre mia madre darmi delle monetine alla domenica per andare ad accendere le candele alla Madonna. Poi la vita mi ha portato a “dimenticarla”, la fede. Diciamo che ho iniziato a farmi delle domande più profonde senza trovare mai risposte, e io oggi ho bisogno di risposte. Oggi ho bisogno di cose reali.

 Ecco l’ergastolo è una realtà! Una realtà che vede, ancora oggi, gente convinta che l’ergastolo non se lo fa nessuno, che tutti prima o poi escono. No! L’ergastolo significa morire in quella tomba che ti hanno consegnato in anticipo anche anni e anni prima.

Questo significa che l’essere umano detenuto vivrà con questa consapevolezza i suoi anni a venire.

Ammiro molto Papa Francesco e credo che sia stupefacente come abbia saputo usare le parole.

 Lui è stato in grado di unire due parole importantissime “passione” e “crudeltà” cit.: “Sulla tortura e altre misure e pene crudeli, inumane e degradanti. - L’aggettivo “crudele”; sotto queste figure che ho menzionato, c’è sempre quella radice: la capacità umana di crudeltà. Quella è una passione, una vera passione!”

Io ho sempre pensato alla passione come una cosa bella. Mi viene più facile associare una parola bella al termine passione. Invece Papa Francesco l’associa anche alla crudeltà. Allora questo mi fa riflettere un attimo… inizio a pensare a tutta la bontà che ho messo sempre dietro alla parola passione. Rimango sconcertato immaginando quanto può essere dannosa, quanto male può fare una persona che nutre una passione così “povera” come è quella citata dal Papa, la “capacità umana di crudeltà”. Cavolo la passione deve essere nutrita per le cose belle della vita. Mi chiedo costantemente cosa succederebbe se le persone si fermassero a riflettere sull’ergastolo, invece di appassionarsi a questa parola, con l’idea che una pena come l’ergastolo può rendere più sicura la società. Se riflettessero anche per pochi minuti, credo che questo aiuterebbe tutti a comprendere il dolore che reca un fine pena mai. È un dolore che si protrae per anni e che coinvolge anche la famiglia.

“La famiglia” … ma Dio protegge le famiglie. Lo so che a volte si mette tutto in discussione nella vita, anche la fede può essere oggetto di discussione, ma la famiglia è la cosa più importante per qualsiasi essere umano. La nostra famiglia può essere la cura dei nostri animi.

Papa Francesco, con il suo messaggio, ha cercato di aprire gli occhi delle persone che non vogliono vedere che la pena di morte è una realtà.

È stato un messaggio forte, un messaggio chiaro e senza equivoci.

Mi chiedo in quanti saranno in grado di non far finta di avere ascoltato le sue parole, ma di ascoltarle davvero in profondità. In me nutro la speranza che tutte quelle persone che hanno il potere di decidere, di emanare leggi capiscano che nel nostro Paese, che definiamo civile, esiste la pena di morte, solamente che la si nasconde dietro a un fine pena mostruosamente assurdo: 9999.

 

 

 

Il Papa che ci salverà dai codardi della politica

E soprattutto il Papa di tutti, dei buoni e dei cattivi

 

di Marsel Hoxha, Ristretti Orizzonti

 

Mi chiamo Marsel, sono un ragazzo di 26 anni nato in Albania. Da tre anni sono rinchiuso in carcere, da due anni mi trovo a Padova. Da anni frequento il carcere, ho cominciato dal minorile e fino a oggi ho fatto varie detenzioni nelle carceri italiane, ho sempre commesso furti e ora mi trovo a essere processato per tutte le denunce che negli anni si sono accumulate.  Insomma ho incominciato presto a conoscere questi luoghi e ne ho anche vissute tante, di ingiustizie.

In questi ultimi anni si parla molto delle pessime condizioni di vita all’interno delle carceri, ma le leggi che sono state fatte non sono servite a nulla, anzi hanno peggiorato la situazione, proprio perché quelle leggi erano come dare un’aspirina a un malato grave. Appena il Governo decideva di approntare una riforma o una legge per migliorare la vita ai reclusi i giornali cominciavano a scrivere che si stava preparando una legge svuota  carceri. Con questi chiari di luna c’è poco da sperare. I politici non hanno mai avuto il coraggio di prendersi le responsabilità necessarie per dare una risposta concreta al problema, perché questo non porterebbe voti. Con la propaganda che imperversa da anni sui temi della sicurezza, l’opinione pubblica si è orientata a individuare nel carcerato, italiano o straniero, il colpevole di tutti i problemi dell’Italia.

Adesso sono rinchiuso dal 2011 e sento che tutti parlano delle carceri che sono invivibili e dicono che ora siamo di meno, certo un po’ siamo diminuiti, ma di poche migliaia, non perché siano usciti tanti detenuti, ma perché ne sono entrati di meno. Se non si decidono a eliminare quelle leggi come la ex Cirielli e il 4 bis, il problema non si risolverà mai.

Non hanno ascoltato gli appelli del Presidente della Repubblica, delle associazioni di volontariato e del Partito Radicale che hanno mandato messaggi forti al parlamento. Hanno dimenticato che pure noi siamo persone umane anche se abbiamo sbagliato. Ma in questi giorni ha parlato Papa Francesco. Con parole semplici e sincere ha parlato del dramma che stanno ancora vivendo i detenuti. Ha parlato della macchina della Giustizia che travolge tutti, innocenti e colpevoli. Il Papa ha anche cancellato l‘ergastolo dal Codice penale del Vaticano e ha lanciato un appello richiamando i cristiani di tutto il mondo a considerare che l’ergastolo è una pena di morte nascosta e bisogna abolirlo dai codici. Ha “messo all’indice” la custodia cautelare che spesso non rispetta i diritti dei tanti innocenti che devono aspettare anni per vedersi riconoscere l’estraneità alle accuse.

 Si tenga presente che circa il 50 per cento delle persone indagate e incarcerate in Italia alla fine viene assolto. Immaginiamo quanti altri vengono, invece, condannati ingiustamente perché non hanno risorse per pagarsi gli avvocati migliori. Questa ingiustizia la conoscono tutti, ma mi rendo conto che la gente comune ha così tanti problemi che non gli viene nemmeno in mente di pensare ai disagi e alle ingiustizie che travolgono i più sfortunati.

Le famiglie dei detenuti sono anch’esse vittime, in parte per responsabilità nostra e in parte perché le leggi non le tutelano, oltre che vittime dell’ignoranza e della miseria umana che attraversa in maniera trasversale una società malata con un’informazione malata, e una politica che non riesce a mettersi d’accordo per trovare la maniera di rimettere in piedi questo Paese martoriato da tutti questi guasti.

Doveva arrivare un UOMO che si è rivelato un Papa semplice, il Papa di tutti: dei buoni e dei cattivi. Speriamo che i Cattolici italiani lo abbiano ascoltato… per ora si sente un silenzio assordante come un’esplosione nucleare.

 

 

 

 

 

La paranoia, l’ansietà, la depressione provocati dalla galera

 

di Ulderico Galassini, Ristretti Orizzonti

 

“La mancanza di stimoli sensoriali, la completa impossibilità di comunicazione e la mancanza di contatti con altri esseri umani, provocano sofferenze psichiche e fisiche come la paranoia, l’ansietà, la depressione e la perdita di peso e incrementano sensibilmente la tendenza al suicidio” (Papa Francesco).

 

Ogni cittadino dovrebbe ascoltare le parole del Papa sulle pene e sulle carceri e porsi alcune domande utili a sviluppare delle riflessioni, che  potrebbero avvicinare due parti spesso contrapposte: chi vive nella “società libera”, e chi sta scontando una pena e quindi è rinchiuso dentro delle mura, solitamente lontane dalla città, dove non ti vedono e non ti sentono.

Con la detenzione si interrompe ogni dialogo con il mondo esterno, e viene così a mancare la conoscenza da parte della società di quella che è davvero la privazione della libertà, del sovraffollamento nelle carceri, del tempo vuoto, trascorso senza essere impegnati, senza un lavoro, senza alcuna possibilità di prendere anche la minima decisione. E se ti viene tolta anche ogni responsabilità, che tipo di persona ne uscirà a fine pena? Un disadattato, uno che si troverà sbattuto in un mondo che per molti aspetti non riconoscerà più, perché da detenuti si rimane fermi al momento del reato, e solo su questo si viene giudicati. E chi vive fuori, nel “mondo libero”, non percepisce più che chi ha sbagliato resta comunque una “persona”, e si lascia facilmente condizionare da un’informazione che spesso è costruita in modo ossessivo attorno al tema della sicurezza.

Nessuno di noi pensa che chi sbaglia non debba pagare, ma la pena non dovrebbe condannare anche

i famigliari, è un “di più” di dolore che si aggiunge ai mali della detenzione.

Infatti quando la persona è privata della libertà non solo è isolata dalla società, ma anche dal proprio nucleo familiare, di per sé quasi sempre già abbandonato dalla società e dalle istituzioni che invece

dovrebbero tutelare il mantenimento dei contatti.

Non chiediamo molto, la pena la stiamo scontando, ma vorremmo che fosse dignitosa, quella prevista dalla Costituzione e dall’Ordinamento Penitenziario. Il sovraffollamento oggi invece la dignità la distrugge, ed è la causa prima dell’illegalità del carcere italiano, nonostante i tanti provvedimenti cosiddetti “svuota carceri”, presentati dall’informazione come “tutti fuori”.

Per questo siamo stati condannati dall’Europa e addirittura certi Paesi non accettano di estradare in Italia alcuni detenuti, perché le condizioni delle nostre galere non sono considerate umane.

Sarebbe auspicabile che almeno si prendesse posizione su alcuni interventi a costo “zero”, che potrebbero ridurre la situazioni di tensione che vive molta parte dei detenuti.

Noi detenuti in tanti stiamo chiedendo un diverso approccio al tema degli affetti, che si potrebbe concretizzare con due iniziative: 

Sono due semplici interventi che renderebbero la situazione meno tesa, meno pesante e ci aiuterebbero a continuare una carcerazione in modo dignitoso. Forse calerebbe anche il numero dei suicidi. Basta poco, ma è un poco che da anni non trova soluzioni. Più proposte parlamentari si sono dimostrate vane; fuori, nel mondo “libero”, l’informazione, se parli di intimità per i detenuti, riduce tutto a “celle a luci rosse”.

È necessario che il cittadino abbia la possibilità di confrontarsi con i detenuti, capire, saper ascoltare e quindi conoscere. Nella redazione di Ristretti Orizzonti, da anni riusciamo a incontrare migliaia di ragazzi di scuole superiori (circa 6.000 ogni anno) e con loro ci confrontiamo, cerchiamo di fare prevenzione attraverso le testimonianze di alcuni di noi detenuti, c’è dialogo, curiosità e alle loro domande, anche cattive, ci sentiamo in obbligo di rispondere con sincerità, è come rispondere ai nostri figli. Loro hanno la possibilità di parlare con noi e non vedono più solo “il detenuto”, ma una persona che ha sbagliato e che sta cercando di fare qualcosa per loro, loro che saranno il futuro, la nuova società. Dopo questi incontri, dopo le loro domande che a volte sono dure, sembrano cattive, ma a cui noi dobbiamo rispondere, alcuni loro pregiudizi crollano.

Forse grazie a questi incontri, in futuro si arriverà ad una detenzione come quella di cui parla il Papa e ad un vero recupero della persona privata della libertà. Il carcere potrebbe così essere garanzia di reinserimento effettivo, in un percorso che includa le famiglie proprio per rafforzare il rientro nella società delle persone detenute, che a loro volta si devono sentire persone responsabili e coinvolte.

Un grazie a Papa Francesco che ci sta sostenendo, speriamo che parte della politica lo ascolti e possa fare propria la nostra campagna per cambiare la legge sugli affetti delle persone private della libertà.