Dalle carceri, un appello al Sindaco

Al Sindaco di Padova abbiamo anche chiesto, nella sua veste di delegato alla Sicurezza per l’Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani), di farsi promotore dell’avvio di un confronto con gli amministratori dei Comuni sedi di strutture carcerarie, per contrastare il degrado delle condizioni di vita della popolazione carceraria italiana

 

A Padova di carceri ce ne sono due, uno è quello dove stanno le persone appena arrestate, oggi 250 invece delle 98 previste, l’altro è conosciuto in positivo, per i panettoni che producono i detenuti, per la rivista Ristretti Orizzonti, la possibilità di studiare fino all’università, la biblioteca, le cooperative che offrono lavoro, per tante iniziative che danno un senso alla carcerazione, solo che a essere impegnati in queste attività sono poco più di 300 detenuti, per gli altri il carcere è un parcheggio, devastato dal sovraffollamento, dalla mancanza di risorse, la poca igiene, la sanità in difficoltà. È per questo che molte associazioni hanno deciso di mettersi insieme per chiedere un cambiamento della condizione delle carceri, e per invitare il Sindaco a intervenire.

E il Sindaco ha accolto l’invito, è entrato in carcere, ha incontrato detenuti, associazioni, operatori, ha preso degli impegni.

Una lettera aperta delle associazioni al Comune di Padova

 

La popolazione carceraria reclusa a Padova rappresenta una realtà importante della vita cittadina. Per questo siamo convinti che alla privazione della libertà dell’individuo non debba corrispondere alcuna limitazione della dignità dell’essere umano, in ossequio ai principi costituzionali che tutelano i diritti inviolabili dell’uomo, l’uguaglianza e la rieducazione dei condannati.

A fronte di una situazione di emergenza, che va aggravandosi, facciamo appello al Sindaco, in quanto Autorità garante della Salute Pubblica di questa città, affinché intervenga avviando procedure di controllo delle condizioni carcerarie.

In considerazione di una situazione che vede la legalità sempre meno rispettata e i diritti in pericolo, chiediamo all’Amministrazione comunale l’istituzione anche a Padova del Garante dei Diritti delle Persone private della libertà personale.

Al Sindaco chiediamo anche, nella sua veste di delegato alla Sicurezza per l’Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani), di farsi promotore dell’avvio di un confronto con gli amministratori dei Comuni sedi di strutture carcerarie per concordare azioni comuni, per contrastare il degrado delle condizioni di vita della popolazione carceraria italiana. Perché nessuno più possa ignorare che il carcere come è oggi produce solo insicurezza.

 

Acli, Antigone, Beati i costruttori di pace, Camera penale “Francesco De Castello”,

 Conferenza regionale Volontariato Giustizia, Cgil Padova, Funzione pubblica Cgil Padova, Cooperativa AltraCittà, Giuristi democratici, Magistratura democratica, Ristretti Orizzonti

 

Ornella Favero, redazione di Ristretti Orizzonti

L’aspetto più drammatica del sovraffollamento è il fatto che i detenuti impegnati in attività sono un numero limitato, tutti gli altri passano la carcerazione in branda.

Questo significa che un carcere così non crea sicurezza, non reinserisce le persone che, quando escono dopo essere state “parcheggiate” per anni senza far niente, non sono inserite nel territorio e costituiscono un reale pericolo.

Noi vorremmo sottolineare il ruolo che può avere il Sindaco rispetto alle condizioni nelle quali versano le carceri, il sovraffollamento, i gravissimi problemi legati al diritto alla salute, la mancanza di opportunità per le persone detenute di accedere a misure alternativa al carcere.

Pensiamo infatti che i Sindaci possano fare molto per lo stato di totale illegalità delle carceri delle città che amministrano, e chiediamo che il Sindaco di Padova si faccia promotore di una iniziativa di altri Sindaci di Comuni sedi di carceri per riportare all’attenzione della cittadinanza la questione del rispetto della legalità nelle carceri.

 

Anna Maria Alborghetti, avvocato, Presidente della Camera penale

Il carcere è una parte della città, i detenuti sono persone che vivono in questa città con una serie di problemi che, se si verificassero in un quartiere, certamente avrebbero un’attenzione maggiore da parte della cittadinanza e dell’amministrazione. Il primo problema è quello dell’igiene e della salute, dal momento che un numero di persone molto superiore alla capienza consentita è costretto a vivere, a farsi da mangiare, a occuparsi di tutte le incombenze quotidiane in uno spazio così ristretto.

L’obiettivo delle nostre associazioni è proprio quello di interagire con gli amministratori locali, per cercare a livello normativo, ciascuno con le proprie competenze, le possibili soluzioni.

L’altro aspetto che ci preme è il problema del Garante, per il quale auspichiamo che anche Padova si muova nella direzione di istituire questa figura, che ha la finalità di interagire tra le istituzioni per migliorare le condizioni di vita e di inserimento sociale delle persone private della libertà e monitorare le condizioni dell’esercizio dei loro diritti.

 

 

Il sovraffollamento raccontato al sindaco da un detenuto

 

Elton Kalica

 

Siamo contenti di vedere il Sindaco e una rappresentanza della società civile che si incontrano in carcere per discutere della situazione carceraria. Ecco signor Sindaco, noi siamo stati messi qui e nessuno di noi dice che non vogliamo espiare questa pena, il punto è che vorremmo farlo in modo più dignitoso. Perché vivere anni e anni in condizioni di questo tipo significa soprattutto non riuscire nemmeno per un attimo a riflettere sulle proprie responsabilità, significa combattere per la sopravvivenza ogni giorno, in sezioni che erano state pensate per 25 detenuti, e oggi ne ospitano 75. Per fare un esempio, ora ci ritroviamo in 75 ad usare le stesse docce, che si rompono continuamente, e qualcuno dice che per il presepe il muschio si può venire a prenderlo qui. Ma anche le stanze per i colloqui con i nostri famigliari sono sempre le stesse, solo che adesso il numero delle persone è triplicato, e noi dobbiamo convivere tutti i giorni con queste situazioni in cui a volte non ci vengono garantiti nemmeno i servizi minimi. E si può immaginare come nella quotidianità è facile che la persona detenuta venga schiacciata, da questa macchina mal funzionante per mancanza di risorse che è l’amministrazione penitenziaria.

Ecco perché abbiamo un bisogno urgente di un Garante, poiché, per quanto qui vi sia una direzione attenta, il carcere è una macchina composta da talmente tante complesse problematiche, che una persona detenuta si trova spesso ad affrontare difficoltà che nulla hanno a che fare con lo scontare dignitosamente la propria condanna. E un Garante può diventare un presidio costante affinché anche le carceri padovane mantengano il livello di civiltà che tutti i cittadini vorrebbero avere garantito.

 

 

Il Sindaco Flavio Zanonato, Padova e le sue carceri

 

Parto dal fatto che non bisogna commettere l’errore di immaginare che tutte le soluzioni dipendano dal Comune. Non è così, ho visto alcune ordinanze di Sindaci di altre città sul sovraffollamento, ma i dispositivi delle ordinanze sono una specie di documento di solidarietà, però contano zero, non è che se io ordino che sia scarcerata una persona, chi la detiene la scarcera. Non ho questa facoltà, e se ordino di limitare a 350 i detenuti in questo carcere, è naturalmente un desiderio, non un ordine. È una forma per, in qualche modo, manifestare la comprensione e la condivisione di un problema.

È un tema molto delicato quello delle carceri, si stima che l’ultimo indulto abbia fatto perdere alle forze che l’hanno votato un consenso significativo, anche perché è stato attribuito quasi interamente al centrosinistra. È diffusa la convinzione che, sui temi della sicurezza, la risposta giusta sia solo la repressione, aumentare le pene, avere più carceri, un apparato repressivo che risponda in modo più violento ed efficiente… Ed è faticosissimo smontare quest’opinione.

Però siccome non mi muovo solo sulle cose che convengono, ma anche sulle cose che sono giuste e mi convincono, mi impegno in modo più netto a occuparmi di queste questioni e a riflettere su alcune iniziative che possiamo fare, anche se dobbiamo tenere conto che abbiamo avuto un crollo drammatico di risorse.

Come ANCI, mi avete dato uno spunto e penso che si potrebbe fare un incontro nazionale sull’argomento carceri, condizioni di vita, edilizia carceraria, leggi che oggi sovrintendono alle misure alternative e tutto questo complesso di temi.

Come Comune di Padova, il primo impegno è organizzare un incontro con la Commissione Consigliare in modo da porre il problema della situazione delle carceri e la questione del Garante al Consiglio comunale.

 

Subito dopo la visita del Sindaco in carcere, si è svolta una riunione della Commissione consigliare con l’intervento del Sindaco e dell’assessore alle Politiche sociali, Fabio Verlato, con all’ordine del giorno il tema delle carceri. Le Associazioni intervenute hanno sottolineato che è importante che le carceri restino al centro dell’attenzione della città, con nuove iniziative contro il sovraffollamento e un confronto aperto sull’istituzione del Garante delle persone private della libertà personale.

 

 

Il diritto alla salute

Viaggio tra quelle norme che riguardano la tutela della salute dei detenuti, e che

troppo spesso restano solo sulla carta

 

di Antonio Floris

 

L’art. 32 della Costituzione stabilisce che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Il diritto alla salute da una parte implica che lo Stato tuteli gli individui dalle aggressioni che possono subire alla loro integrità psicofisica, dall’altra invece esso crea in capo ai cittadini l’interesse a che lo Stato finanzi programmi e servizi pubblici sanitari nonché il diritto ad ottenerne l’accesso una volta che siano costituiti.

L’Organizzazione mondiale della sanità ha stabilito che la salute non consiste soltanto nell’assenza di malattie, ma è piuttosto uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale.

Parlando della salute in carcere, il nostro Ordinamento Penitenziario prevede un complesso di norme che si occupano della salute intesa soprattutto nella sua dimensione minima, ovvero nell’assenza di malattie. Si tratta di norme che tendono a garantire il diritto di cura in caso di malattia, il diritto all’assistenza sanitaria e l’accesso ai servizi sanitari.

Questi diritti sono stabiliti nelle norme contenute nelle European Prison Rules e nell’Ordinamento Penitenziario italiano, e tendono a garantire condizioni di detenzione dignitose come ad esempio l’accesso alla luce, ai servizi igienici, all’aria aperta, ma anche il diritto al trattamento, dal momento che la loro “ratio” è quella di offrire occasioni di socialità e di svago che migliorino la qualità della vita dei detenuti.

 

L’integrità psicofisica come assenza di malattia

 

I detenuti alla stregua degli individui liberi sono tutelati dalle ordinarie norme di diritto civile e penale, nel caso di lesioni all’integrità psicofisica arrecata da terzi. Si tenga presente che in carcere il rischio di essere vittima di aggressioni fisiche e morali è più alto che nel mondo libero, e le violenze sono nella realtà più ricorrenti di quanto comunemente si sappia. Di queste violenze si parla poco perché raramente le notizie fuoriescono dai confini del carcere e quasi mai i detenuti che subiscono qualche maltrattamento ne fanno denuncia, sia per paura di subire ritorsioni, sia per la difficoltà di documentare i fatti.

Le violenze non avvengono solo tra compagni di detenzione ma si possono subire anche da parte di agenti, e in tali casi sono ancora più difficili da provare. Anche qualora il detenuto possegga un referto medico dal quale risultano le lesioni, è raro che riesca a provare che siano causate da maltrattamenti subiti dal personale penitenziario. Difficilmente infatti si riesce a rompere quel muro di omertà e paura, che impedisce agli altri detenuti di testimoniare contro il personale, e anzi può succedere che il personale di polizia redige un rapporto in cui dichiara di aver subito un’aggressione dal detenuto, anche quando è avvenuto il contrario. A questo rapporto fa seguito un Consiglio di disciplina nel corso del quale il detenuto viene ascoltato, ma raramente viene creduto, dal momento che di solito non è in grado di portare testimoni a suo favore. Se il detenuto decidesse di fare denuncia, dovrebbe farla non solo senza poterla provare su prove documentali, ma dovendo anche dimostrare la falsità di un rapporto di polizia, e va a finire che viene pure denunciato per calunnia.

 

Il diritto al trattamento sanitario

 

L’Ordinamento Penitenziario prevede due casi di visita medica obbligatoria: all’ingresso in Istituto “allo scopo di accertare eventuali malattie fisiche o psichiche”, e nel corso della permanenza in istituto “con periodici e frequenti riscontri, indipendentemente dalle richieste degli interessati” (art.11 O.P.)

Esiste ancora un’altra ipotesi ed è quella prevista dall’art. 83 del Regolamento di Esecuzione che dice: “Il detenuto, prima di essere trasferito da un Istituto a un altro, è visitato dal medico, che ne certifica lo stato psicofisico allo scopo di stabilire se le condizioni di salute sono idonee per sopportare il viaggio”.

L’Ordinamento Penitenziario prevede inoltre che “ogni Istituto Penitenziario sia dotato di servizio medico e di servizio farmaceutico rispondenti alle esigenze profilattiche e di cura della salute dei detenuti e degli internati; dispone, inoltre, dell’opera di almeno uno specialista in psichiatria.

Nel caso in cui siano necessari cure e accertamenti diagnostici che non possono essere approntati dai servizi sanitari degli Istituti, i condannati e gli internati sono trasferiti (…) in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura” (art.11, comma 2 O.P.).

Ma la disciplina contenuta nell’O.P. comprime fortemente il diritto del detenuto all’autodeterminazione sanitaria, ovvero la sua possibilità di scegliere i sanitari e la struttura di cura.

Il detenuto, non potendosi recare liberamente nelle strutture esterne di sua preferenza, dovrà per forza di cose accettare di essere curato in carcere e, nel caso in cui si renda necessario il ricorso a strutture esterne, non sarà lui ad effettuare la scelta, ma il personale medico penitenziario. L’unico caso in cui il detenuto conserva la libertà di scelta è quello previsto dall’art.17 del Regolamento Esecutivo, il quale stabilisce che il detenuto possa farsi visitare dal proprio medico di fiducia, ma a proprie spese e nell’infermeria del carcere.

 

Il decreto legislativo N° 230 del 1999 ha introdotto delle importanti novità in materia di assistenza sanitaria ai detenuti.

All’art.1 viene sancito un importante principio secondo il quale “i detenuti e gli internati hanno diritto, al pari dei cittadini in stato di libertà, all’erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, efficaci ed appropriate, sulla base degli obiettivi generali e speciali di salute e dei livelli essenziali ed uniformi di assistenza individuati nel Piano sanitario nazionale, nei piani sanitari regionali e in quelli locali”. Inoltre i detenuti sono esonerati dal sistema di compartecipazione alle spese sanitarie, il cosiddetto ticket.

La maggiore novità introdotta dal decreto 230 è il passaggio del Sistema Sanitario Penitenziario al Servizio Sanitario Nazionale. Questo cambiamento ha determinato importanti conseguenze nell’organizzazione della sanità carceraria. È il Ministero della Salute e non più quello della Giustizia ad essere competente oggi in materia di programmazione, indirizzo e coordinamento del Servizio Sanitario Nazionale negli Istituti Penitenziari.

Le Regioni sono competenti per la programmazione ed organizzazione dei servizi sanitari regionali negli istituti penitenziari e per il controllo del funzionamento dei servizi medesimi.

Le Aziende Sanitarie Locali hanno la gestione e il controllo dei servizi sanitari negli istituti penitenziari. Il Direttore Generale della struttura penitenziaria deve farsi carico di segnalare la mancata applicazione o i ritardi nell’attuazione del nuovo sistema di assistenza sanitaria penitenziaria (“L’amministrazione penitenziaria segnala alle Aziende unità sanitarie locali e, ai fini dell’esercizio dei poteri sostitutivi, alle Regioni e al Ministero della sanità, la mancata osservanza delle disposizioni del presente decreto legislativo”).

La legge inoltre mette fine alle discussioni sul diritto degli stranieri detenuti alle prestazioni sanitarie. L’art. 1 al quinto comma stabilisce infatti che: “Sono iscritti al Servizio Sanitario Nazionale gli stranieri, limitatamente al periodo in cui sono detenuti o internati negli istituti penitenziari. Tali soggetti hanno parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai cittadini liberi, a prescindere dal regolare titolo di permesso di soggiorno in Italia”.

 

L’integrità psicofisica come diritto ad una qualità di vita dignitosa

 

Il diritto alla salute dei detenuti presuppone anche il diritto del detenuto a pretendere condizioni materiali di detenzione che assicurino una qualità di vita dignitosa. L’integrità psicofisica dei detenuti può essere menomata anche solo per il fatto di essere costretti a vivere in strutture sovraffollate e insalubri.

Il CPT (Comitato per la Prevenzione della Tortura) nei suoi standard di valutazione della qualità del sistema penitenziario tiene in alta considerazione la salubrità degli ambienti in cui si svolge la detenzione, con particolare riguardo alle condizioni igieniche, del riscaldamento, dell’illuminazione, della aerazione delle celle e dello spazio in cui si è costretti a vivere.

Agli occhi del Comitato la mancanza di spazio adeguato è di per sé costitutiva di un trattamento disumano e degradante e il sovraffollamento costituisce un fattore di maltrattamento, perché mette il detenuto in condizioni di vivibilità estremamente degradanti ed afflittive.

Il nostro Ordinamento Penitenziario contiene importanti norme, che se rispettate dovrebbero garantire il diritto alla vita in un ambiente salubre, ma dà però delle indicazioni molto generiche, dal momento che non indica neanche le dimensioni delle celle (si limita a dire che devono essere di ampiezza sufficiente).

Soprattutto negli ultimi tempi, con il sovraffollamento più alto in assoluto nella storia del nostro Paese, tali norme sullo spazio pro-capite sono state così spesso violate da provocare l’intervento, con conseguente condanna dell’Italia, da parte della Corte Europea. In varie sentenze al riguardo la Corte ha rimarcato che ogni detenuto deve avere uno spazio minimo di 7 m2, mentre invece questo parametro non viene rispettato ormai più quasi in nessun carcere d’Italia. Celle progettate per una persona ormai ne contengono tre e anche di più. Talvolta lo spazio pro capite si riduce a meno di tre m2.

La privazione della libertà personale è già di per sé una dura punizione, ma tale punizione non deve comportare anche un deterioramento delle condizioni di salute degli individui.

 

 

Cosa dice il Consiglio d’Europa sulla salute in carcere?

Il punto di partenza è la consapevolezza che un livello inadeguato di assistenza sanitaria può portare a situazioni che ricadono nella sfera dei “trattamenti inumani e degradanti”

 

a cura di Elton Kalica

 

Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o dei trattamenti inumani o degradanti, nel corso del suo lavoro ventennale, ha stabilito alcuni parametri sull’assistenza sanitaria in carcere. Ne elenco solo quelli che ritengo fondamentali.

Il Comitato parte dalla consapevolezza che un livello inadeguato di assistenza sanitaria può portare a situazioni che ricadono nella sfera dei “trattamenti inumani e degradanti”. Questo significa che il Servizio Sanitario carcerario dovrebbe essere in grado di fornire assistenza medica e infermieristica, in condizioni paragonabili a quelle di cui usufruiscono i pazienti nella società esterna.

Ogni detenuto, al momento dell’entrata in carcere, deve essere visitato senza ritardo da un medico dell’istituto. È anche auspicabile che ai nuovi giunti venga dato un volantino o un opuscolo che li informi dell’esistenza e del funzionamento del Servizio di assistenza sanitaria e che rammenti loro alcune basilari regole igieniche.

Il Comitato raccomanda sempre alle autorità di organizzare il Servizio di assistenza sanitaria in modo tale, da accogliere tempestivamente ogni richiesta di visita medica proveniente da detenuti. Questi ultimi dovrebbero essere in grado di comunicare con il personale sanitario in modo confidenziale, e gli agenti di Polizia penitenziaria non dovrebbero selezionare le richieste di consultare un medico.

È fondamentale che tutte le visite mediche dei detenuti siano condotte “lontano dalle orecchie” e - a meno che il medico in questione richieda diversamente – lontano dagli occhi del personale di Polizia: le visite devono essere individuali, non di gruppo.

Oltre alle visite mediche, il servizio sanitario deve anche fornire regolari consulti esterni e interventi d’urgenza, così come i servizi di un dentista qualificato e altre visite mediche specialistiche. E su questo punto il Comitato raccomanda che, ogni volta che i detenuti abbiano bisogno di essere ricoverati o visitati da uno specialista in un ospedale, dovrebbero essere trasportati con sollecitudine e con mezzi adeguati al loro stato di salute

Come ogni altro paziente, anche il detenuto deve avere il diritto di ottenere tutte le informazioni relative alla propria condizione, alle cure che riceve e alle medicine che gli sono prescritte. Inoltre, i detenuti dovrebbero avere il diritto di consultare i contenuti della propria cartella medica carceraria, a meno che ciò non sia sconsigliabile da un punto di vista terapeutico. Essi dovrebbero avere la possibilità di chiedere che queste informazioni siano comunicate ai propri famigliari e avvocati o a un medico esterno di fiducia.

Così come accade per le persone libere, ogni detenuto capace di discernimento è libero di rifiutare la cura o ogni altro intervento medico. Il Comitato comunque riconosce le difficoltà che sorgono quando la decisione di un paziente contrasta con il dovere di cura che incombe sul medico: a volte i detenuti praticano l’autolesionismo per avanzare delle richieste o protestare contro un’autorità – lo sciopero della fame è un’altra forma di protesta, verso cui le autorità pubbliche in alcuni Paesi richiedono al medico di intervenire per evitare la morte non appena venga meno la stato di capacità di intendere e di volere – tuttavia, le regole applicate dovrebbero essere quelle prevalenti nella società.

Gli esperti europei ricordano che, anche in carcere, il segreto professionale dovrebbe essere osservato allo stesso modo che nella società esterna. La conservazione delle cartelle dei pazienti dovrebbe essere responsabilità del medico.

Il compito dei servizi di assistenza sanitaria in carcere non dovrebbe essere limitato a curare i pazienti malati, ma dovrebbe promuovere anche la medicina preventiva. Sulla prevenzione, il Comitato afferma che compete al Servizio sanitario la supervisione dell’organizzazione del vitto (quantità, qualità, preparazione e distribuzione del cibo) e delle condizioni igieniche (pulizia dei vestiti e dei letti, accesso all’acqua corrente, installazioni sanitarie) così come del riscaldamento, dell’illuminazione e dell’aerazione delle celle. Secondo il Comitato, insalubrità, sovraffollamento, isolamento prolungato e inattività possono richiedere sia assistenza medica per singoli detenuti, che un’azione di ampio respiro nei confronti delle autorità responsabili.

Il diffondersi di malattie infettive e, in particolare, di tubercolosi, epatiti e HIV/AIDS è un problema drammatico, pertanto il Comitato europeo ha espresso in diverse occasioni gravi preoccupazioni sull’inadeguatezza delle misure, prese per contrastare questi problemi. Inoltre, le condizioni materiali in cui sono reclusi i detenuti sono state spesso ritenute tali da consentire il diffondersi di queste malattie: la privazione della libertà personale impone sempre un dovere di cura che richiede efficaci metodi di prevenzione e trattamento, a maggior ragione quando si tratta di malattie mortali.

L’uso di metodi aggiornati di screening, la regolare provvista di medicinali e strumentazioni mediche, il provvedere nel momento giusto a diete speciali, costituiscono elementi essenziali di una strategia efficace per combattere le suddette malattie.

Particolare attenzione il Comitato dedica alla prevenzione dei suicidi, che deve ricadere tra le finalità  del Servizio sanitario in carcere. A tal fine, lo screening medico all’entrata ha un ruolo importante in quanto, se eseguito in maniera adeguata, potrebbe come minimo identificare le persone a rischio. Il personale del carcere, qualunque sia il ruolo specifico che ricopre, dovrebbe essere messo al corrente degli indicatori dei potenziali suicidi, come i periodi immediatamente prima e dopo il processo, oppure, in alcuni casi, il periodo precedente alla scarcerazione. Una persona identificata come potenziale suicida dovrebbe essere sottoposta a un programma di osservazione speciale.

Questi sono alcuni degli standard che il Comitato ha enunciato nel suo 3° Rapporto Generale. C’è da dire che all’interno di questo rapporto, si è parlato anche dei legami sociali e familiari come un terreno in cui il Servizio di assistenza sanitaria può contribuire a limitare la rottura dei legami sociali e familiari che di solito avviene con la detenzione. I rapporti affettivi, compresa la sfera della sessualità, sono un tema su cui si sente maggiormente l’assenza di una discussione seria che coinvolga tutti, amministrazione penitenziaria, medici e il volontariato. Ma anche il fatto che il Comitato abbia trattato questo tema solo come uno dei tanti punti del Servizio sanitario, dimostra come ci sia anche a livello europeo una  carenza di conoscenza dell’importanza di questo problema. Di questo abbiamo discusso anche con il presidente del Comitato, Mauro Palma, in un’intervista che pubblicheremo nel prossimo numero di Ristretti.

Gli standard del CPT, oltre a stimolare una discussione su questi temi a livello nazionale, sono stati recepiti anche all’interno di diversi strumenti del Consiglio d’Europa, come le Venti guide sui rimpatri forzati del 2005, le Regole penitenziarie europee del  2006, le Regole europee per minorenni autori di reato del 2008, le Guide sulla protezione dei diritti umani nelle procedure accelerate di asilo del 2009. A questi standard ha fatto riferimento anche la Corte europea dei diritti dell’uomo nell’emanare le sue sentenze, come la sentenza Sulejmanoviç, con la quale la Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per il trattamento inumano e degradante da sovraffollamento che fu costretto a subire il cittadino bosniaco tra il 2003 e il 2004.

 

 

Il sogno di avere un medico che ti conosce e sa tutto di te

Ma chi è il mio medico curante?

Allo stato delle cose un detenuto malato in un mese può venire visitato anche da cinque medici diversi,

che a turno si alternano nel servizio. In questo modo si rischia che nessuno sia responsabile di nulla…

 

di Bruno Turci

 

Il tema della salute, in carcere come in tutti i luoghi in cui vengono detenute persone private della libertà, rappresenta una nota particolarmente dolente in un sistema penitenziario che già funziona poco perché è sempre più autoreferenziale, e vorrebbe anche controllarsi da sé.

Noi detenuti conosciamo bene le questioni irrisolte in tema di salute. Ovviamente nelle carceri i decessi avvengono come succede nella vita quotidiana anche nel mondo libero fuori dal carcere, tuttavia, ci sono molti casi di malasanità dovuti ad un sistema che, per la giungla delle competenze, permette molto spesso di rimpallarsi le responsabilità in uno scaricabarile davvero sgradevole, un esercizio parecchio in voga da queste parti. Si registrano situazioni critiche dovute alla sciatteria di quei medici che scambiano i detenuti per pazienti di serie B, oppure medici che se esercitassero la professione negli ospedali o in cliniche private, probabilmente verrebbero cacciati in fretta per scarsa professionalità e attenzione ai pazienti inaccettabilmente scadente. Fortunatamente ci sono anche tanti bravi medici che fanno il loro lavoro in maniera eccellente e non bisogna assolutamente confondere le responsabilità. Talvolta capita pure che un detenuto debba essere portato per una visita specialistica all’ospedale e, invece, per mancanza di disponibilità della scorta della Polizia Penitenziaria non viene accompagnato e, quindi, salta l’appuntamento. In queste occasioni è successo che sia stata compromessa pesantemente la salute del detenuto.

È accaduto proprio in questa Casa di Reclusione di Padova che detenuti che necessitavano di visite specialistiche urgenti hanno visto trascorrere mesi senza che si provvedesse a far eseguire le visite necessarie con l’urgenza dovuta e sono stati costretti in più occasioni documentate a rivolgere protesta al Direttore del carcere e al Magistrato di Sorveglianza e anche alla Procura della Repubblica per vedere realizzate le necessarie visite presso l’ospedale.

Questo capita da quando il sovraffollamento è diventato una vera emergenza nazionale. Cioè, è emersa la cruda realtà: che la struttura non è in grado di garantire la salute nel rispetto della dignità del malato. Altro motivo non meno importante da evidenziare come causa del disservizio sanitario è stato il complesso passaggio delle competenze della sanità dal Ministero della Giustizia all’Azienda Sanitaria Locale. In sé questo trasferimento di competenze è stato accolto positivamente perché di fatto il detenuto non è più un paziente di serie B come lo era prima, oggi è equiparato a tutti gli altri pazienti del mondo libero. Il diritto alla salute, ora, è per tutti. Tuttavia, c’è da riconoscere che dal momento che la competenza delle ASL è delle Regioni, esistono Regioni virtuose e altre meno. Il Veneto non è molto avanti, l’ASL del Veneto dopo un anno dal trasferimento delle competenze non ha ancora provveduto a organizzare in modo chiaro i responsabili della gestione della sanità negli Istituti di pena.

Io sono stato detenuto fino a marzo 2010 nella Casa di Reclusione di Opera e in quel contesto sono stati presi degli accorgimenti che hanno marcato la differenza con altre realtà, compresa quella di Padova.

Una cosa importante a mio parere è conoscere la nuova realtà imposta dalla legge, in particolare il fatto che ogni detenuto ha diritto al medico di base, per poter chiedere che la legge venga applicata. Qui a Padova c’è un sistema di organizzazione dei turni dei medici tale, che non soddisfa questa norma. Io credo che sarebbe necessario che venisse istituita la figura del medico di base, organizzando l’assegnazione di un medico fisso per ogni reparto detentivo in modo che ogni detenuto sia seguito sempre dallo stesso medico, il quale conoscendo la condizione clinica di tutti i suoi assistiti dovrebbe davvero rendersi responsabile della salute dei suoi pazienti. Come accade nella realtà esterna del mondo libero.

Allo stato delle cose non c’è alcuna organizzazione e un detenuto malato in un mese viene visitato da circa cinque medici diversi che a turno si alternano nel servizio. In questo modo si rischia che nessuno sia competente o responsabile di nulla… da qui l’esercizio dello scaricabarile.

Nell’ultimo incontro avvenuto in redazione con il Direttore del carcere si è discusso anche di questo e il Direttore, pur evidenziando che la sanità ora è competenza dell’Asl si è detto interessato e disponibile a discutere dell’idea di realizzare la figura del medico di base assegnato in pianta stabile ai detenuti come avviene per i liberi cittadini. La sua disponibilità è importante, giacché il padrone di casa è lui.

I detenuti sono persone e, seppur private della libertà, non possono essere private della dignità. Cosa che invece succede spesso quando sono costretti a lottare con ogni mezzo per essere curati.

 

 

 

Carta dei servizi sanitari per i detenuti: Chi l’ha vista?

Ma quali aziende sanitarie hanno “consultato” i detenuti e steso questa Carta, come la legge prevede?

 

di Bruno Turci

 

In tempi così difficili per la salute in carcere, vorremmo richiamare l’attenzione sul fatto che il Decreto legislativo n. 230 del 22/06/1999 sul riordino della medicina penitenziaria, al comma 3 dell’articolo 1 prevede che:

“Ogni Azienda unità sanitaria locale, nel cui ambito è ubicato un istituto penitenziario, adotta un’apposita Carta dei servizi sanitari per i detenuti e per gli internati. Ai fini della predisposizione della Carta dei servizi sanitari le Aziende unità sanitarie locali e l’Amministrazione penitenziaria promuovono consultazioni con rappresentanti di detenuti ed internati e con gli organismi di volontariato per la tutela dei diritti dei cittadini”.

È davvero una piacevole sorpresa per noi detenuti scoprire che esiste una norma che garantisce in maniera così illuminata il diritto alla salute di una parte della società poco tutelata come quella dei carcerati. Solitamente, poi, se esiste una legge che ci penalizza, ne veniamo tempestivamente informati, in questa occasione c’è stata, tuttavia, una discrezione esagerata, e infatti nelle carceri di questa Carta dei servizi credo che pochi sappiano qualcosa.

Noi vorremmo riportare al centro del confronto sulla salute questa norma che ci garantisce, e di cui si parla poco, anzi pochissimo, e chiediamo all’Asl di volerci fornire, anche a nostre spese, una copia della Carta dei servizi sanitari e di diffonderla, se esiste, tra i detenuti.

 

 

 

Oggi l’espiazione di una condanna non garantisce la vita al detenuto

Qualcuno ha reintrodotto la pena di morte?

Ma sui suicidi in carcere tacciono quasi tutti, neppure la Chiesa fa sentire la sua voce

 

di Franco Garaffoni

 

Parto da una considerazione di base. Oggi se fossi sotto processo, assumendomi le mie responsabilità e accettando la giusta condanna, chiederei al Giudice di scontare la pena in un carcere estero. Mai e poi mai accetterei di perdere l’unico diritto che mi resta, quello alla vita. Qualsiasi cittadino, di qualunque ceto sociale, che incorra oggi in una condanna, è sicuro di scontarla, è sicuro di entrare in carcere vivo, i morti non sono accettati, ma non è sicuro di uscirne con le proprie gambe. Questo offre il sistema carcerario italiano.

Ma che senso può dare il Giudice all’amministrazione della Giustizia se l’espiazione di una condanna non garantisce la vita al detenuto? Dal primo gennaio 2000 ad oggi ci sono stati 1702 decessi all’interno delle carceri, oltre 600 suicidi, ma negli ultimi anni l’indifferenza e il grado di accettazione di fronte ai tanti suicidi da parte di tutti, o quasi, rasentano “l’istigazione ad ammazzarsi”.

Il Ministero della Giustizia e il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria hanno proclamato ad inizio anno l’emergenza Carceri, costruire nuove carceri è la loro priorità, ma dentro queste carceri la vita dei detenuti devono ancora spiegarci come viene considerata.

Di fronte ad un sovraffollamento, che si può tranquillamente configurare come tortura, che divora spazio vitale, che toglie ossigeno alla mente e che spesso fa pensare al suicidio, anche la Chiesa tace. Il valore cristiano dell’esistenza viene spesso ignorato, nonostante il detenuto sia una persona, e, se credente, alla Chiesa chieda di essere amato, e di essere “salvato in vita”. Chiede rispetto, qualunque sia l’uso che egli ha fatto della sua vita, ma la Chiesa, così attenta e moralizzatrice sull’eutanasia, sui suicidi in carcere tace. Io credo sia inaccettabile, le morti non sono sopportabili, il detenuto è condannato a una pena, nel giusto rispetto dei diritti del cittadino, ma non condannato a morte.

Davanti a questo fragoroso silenzio, qualcuno si pone una domanda: in Italia è stata ripristinata l’esecuzione capitale? L’unica conclusione a cui sono arrivato è che non lo so, veramente non lo so. È questo il punto, se qualcuno dei cittadini liberi mi rispondesse che anche lui non lo sa, sarebbe un inizio importante per cercare di cambiare le cose. La radice profonda della Giustizia è quella di capire la società e la sua evoluzione, ma non di farsi condizionare dai suoi umori, e tanto meno di permettere qualche deroga al diritto alla vita. E la Chiesa da parte sua non deve tacere, deve fare sentire la sua voce, e che non sia un sussurro.

Diceva Voltaire, ad un amico che voleva proporgli di trasferirsi, fuggendo, a Brema: perché io possa capire la civiltà e la democrazia che si respira nel tuo Paese, parlami delle vostre carceri.

Oggi Voltaire, se venisse in Italia, morirebbe asfissiato.