Editoriale

 

Il Ministero della Paura è sempre al lavoro

 

di Ornella Favero

 

Vi ricordate il Ministro della Paura, quello splendido, o magari anche tristissimo personaggio inventato da quel grande attore che è Antonio Albanese? Beh, il Ministro della Paura in questi due ultimi anni ha lavorato alla grande, a tal punto che ormai essere stranieri nel nostro Paese equivale spesso a essere guardati con sospetto, con fastidio, appunto con paura. Nei racconti di tanti detenuti stranieri, sbarcati in Italia dieci, quindici anni fa viene fuori l’immagine di un’Italia che non c’è più: un’Italia curiosa, ospitale, più solidale, piena di contraddizioni ma anche di voglia di capire che cosa significa, in un Paese che per anni ha visto partire verso l’Europa e l’America milioni di persone in cerca di fortuna, diventare improvvisamente la meta di altri migranti. L’Italia di oggi è invece un’Italia spaventata, rabbiosa, perfino vendicativa, e noi che operiamo in un settore delicato come il carcere, ci ritroviamo ogni giorno a scontrarci da una parte con detenuti stranieri che non si rassegnano a non avere più nessuna prospettiva, se non quella di essere ricacciati a forza nei loro Paesi d’origine, dall’altra con una società a cui interessa solo di liberarsi al più presto di soggetti indesiderati come gli autori di reato. E se i delinquenti italiani non possiamo mandarli da nessuna parte, dicono in tanti, per lo meno cacciamo i delinquenti stranieri in fretta e senza tanti scrupoli.

La cosa che colpisce è che stiamo, noi italiani, diventando sempre più intransigenti verso gli immigrati e più generosi verso noi stessi: eppure, l’intransigenza potrebbero al massimo permettersela quelli che sanno rispettare le regole e vivono in una società ordinata, consapevole, responsabile, non un Paese dove si tollera che gli “occupati non regolari” siano più di tre milioni, l’evasione fiscale sia ormai fuori controllo, gli incidenti sul lavoro più di un milione l’anno e le morti sul lavoro più di mille... È interessante, tra l’altro, ricordare che l'11per cento del totale dei morti sul lavoro è costituito da immigrati.

“Si dice che Germania e Inghilterra hanno più stranieri dell’Italia, ma che qui gli stranieri fanno quello che vogliono. Io rispondo che è così perché vedono gli italiani fare quello che vogliono”: queste sono parole del Prefetto di Padova, non di uno di noi volontari, considerati spesso troppo “indulgenti” o troppo solidali verso gli immigrati. E in fondo proprio in queste parole sta un po’ il senso di questo numero di Ristretti Orizzonti: parlare dei problemi dei detenuti stranieri in modo onesto, da una parte cogliendo la complessità e la difficoltà della loro condizione, senza per questo tacere delle responsabilità dei singoli, dall’altra mettendo in relazione le loro scelte, anche sbagliate, con il grado di legalità del nostro Paese.

I recenti fatti di Rosarno hanno messo spietatamente in luce, se ancora ce n’era bisogno, che groviglio di illegalità, razzismo, paura cova in tante zone del nostro Paese, un Paese in cui la politica spesso non ha nessuna convenienza a fare la scelta coraggiosa di guardare al nostro rapporto con gli immigrati analizzando prima di tutto con sguardo critico noi stessi e il nostro rapporto con la legalità: perché, come ha sostenuto giustamente un detenuto straniero della nostra redazione, se parallelamente al permesso di soggiorno a punti che si vorrebbe introdurre per gli immigrati, si introducesse anche, per gli italiani, la carta di identità a punti, la maggior parte dei nostri concittadini si troverebbe in breve tempo, vista la capillare diffusione di piccole e grandi illegalità, a lottare strenuamente per riconquistare i punti persi.

 

 

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