Ristrettamente utile

 

Riuscirà il nuovo patteggiamento allargato

a ridare fiato ai riti alternativi?

 

A cura di Marino Occhipinti

 

La modifica più saliente introdotta dalla legge 12 giugno 2003 n. 134, più comunemente conosciuta come "patteggiamento allargato", è rappresentata dal notevole innalzamento del tetto di pena previsto per la richiesta di patteggiamento: cinque anni al posto di due. L’obiettivo primario è quello di dare, o di ridare, efficienza alla macchina processuale, cercando di deflazionarne il carico giudiziario.

Il patteggiamento, però, lascia un po’ perplessi e non a caso è definito il rito più anticognitivo, proprio perché si fonda sostanzialmente su un accordo tra le parti senza che vengano in alcun modo esaminate le prove e le circostanze del (presunto) reato. Una modifica normativa dirompente che non si preoccupa di accertare i fatti e le responsabilità, ma è intenta a definire pratiche a basso costo. Il giudice, infatti, è tenuto principalmente a verificare la corretta qualificazione giuridica del fatto, le circostanze prospettate da accusa e difesa e la congruità della pena proposta. Numerose perplessità sono state espresse anche da alcuni esponenti dell’avvocatura, i quali temono che la giustizia venga trasformata in una gigantesca negoziazione di pene, con grave pregiudizio per tutto il sistema giudiziario.

Se si considerano le possibili circostanze attenuanti, nonché la diminuente fino ad un terzo per la scelta del rito, si deduce che la pena base per la quale sarà possibile accedere al patteggiamento allargato potrà essere anche superiore ai dieci anni, e riguardare quindi reati di notevole gravità come il tentato omicidio, rapine pluriaggravate, spaccio di stupefacenti, violenza sessuale ed altro.

Il successo di questa legge dipenderà molto anche dai tempi del processo ordinario: se questi si manterranno negli standard attuali, o addirittura si allungheranno, difficilmente gli imputati sceglieranno una pena subito, anche se diminuita, piuttosto che un processo lungo e con buone possibilità di giungere alla prescrizione del reato. Infatti, secondo gli esperti del settore giustizia, non si vede per quale ragione l’imputato dovrebbe chiedere l’applicazione di una anche consistente pena detentiva, che sarebbe in breve tempo chiamato a scontare, mentre con il rito ordinario la sentenza sarebbe ricorribile prima in appello e poi per Cassazione, ipotesi quest’ultima molto appetibile viste le normali lungaggini.

È quindi ragionevole attendersi un incremento delle richieste di patteggiamento per pene detentive contenute entro i limiti di accesso ai benefici previsti dall’Ordinamento Penitenziario, che prevede, tanto per fare un esempio, la possibilità di beneficiare dell’affidamento in prova ai servizi sociali per le condanne che non superano i tre anni di pena.

Una novità positiva per i condannati è rappresentata dall’articolo 3 della legge 134/2003, che prevede la revisione della sentenza di condanna anche in caso di patteggiamento, ipotesi esclusa prima dell’entrata della nuova normativa, mentre l’articolo 4 ha sostanzialmente modificato il regime di sostituzione delle pene detentive brevi già previsto dalla legge 24 novembre 1981 n. 689. Infatti, la pena detentiva può essere sostituita con semidetenzione, libertà controllata e pena pecuniaria entro un limite raddoppiato rispetto a prima.

L’articolo 5 della stessa legge prevede, infine, tra le altre cose, che nei procedimenti in corso la sanzione sostitutiva possa essere applicata direttamente dalla Corte di Cassazione, ipotesi che ha destato non poche perplessità perché legata, secondo alcuni esponenti politici, alla sorte di imputati "eccellenti".

 

 

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