Controinformazione

 

Le parole fanno la differenza:

informazione e disinformazione sul disagio sociale

 

Giornali "grandi" e "piccoli" s’incontrano, a Bologna, per una tavola rotonda organizzata dalla redazione de L’Urlo, rivista del Centro Sottosopra di San Giovanni in Persiceto

 

Le parole sono uguali per tutti? È una domanda senz’altro provocatoria, per chiunque vive il disagio sociale, o lavora con i "disagiati", e fa quotidianamente i conti con l’indifferenza di un’opinione pubblica costantemente modellata dal martellare dei mezzi di comunicazione, che evidentemente fanno riferimento ad altri interessi rispetto a quelli delle persone emarginate.

Questa provocazione l’ha voluta raccogliere anche Ristretti Orizzonti, partecipando ad un incontro… molto animato, che ha coinvolto altri giornali "piccoli" (L’Urlo, Ladri di biciclette, Piazza grande) e "grandi" (Il Resto del Carlino, Fuoriluogo, Carta, Zero in condotta) in una riflessione collettiva sulla rappresentazione mediatica della marginalità sociale.

Il nostro punto di partenza è stato che oggi l’informazione e la politica risultano pressoché inseparabili: i media sono poco al servizio del pubblico e molto dei rispettivi "padroni", cioè di editori, partiti, istituzioni, etc.. Sono eccezionali strumenti di propaganda e vengono spesso utilizzati per convincere la gente che chi ha denaro e potere ha ragione sempre e comunque; chi non li ha, sempre e comunque torto.

Daniele Barbieri, di Carta, ha sostenuto questa posizione servendosi di una serie di domande che, secondo lui, hanno una sola risposta: "Un giornalista che ogni tanto scrive di questioni legate alle sostanze, o alla delinquenza, come mai non usa tutte le fonti che ha? I giornalisti di Repubblica, del Resto del Carlino, o di altri giornali, non sanno che esiste Narcomafie? Non sanno cosa dicono i rapporti delle Nazioni Unite su come si combattono i traffici di droga? Non sanno che esiste Fuoriluogo? Non sanno che esistono queste ricerche? Secondo me le conoscono, ma non le possono usare. Siamo tutti consapevoli che non è un problema di buona o di cattiva fede, ma di controllo politico ed economico delle testate".

Gli ha replicato Giuseppe Tassi, del Resto del Carlino: "Spesso quando porti in riunione di redazione questi argomenti nessuno ti sta a sentire, perché sono cose che non interessano il pubblico… il pubblico non vuole vedere se stesso riflesso in certe cose, quindi preferisce non saperle. Comunque, capisco che la difficoltà di affrontare certi argomenti a volte è determinante e vi chiedo di riconoscere la buona fede di chi scrive".

Nelle società antiche l’indigenza e l’infermità (mentale e fisica) erano considerati castighi divini, ma ancora qualche decennio fa gli alcolisti venivano internati nei manicomi e, a tutt’oggi, i tossicodipendenti vengono sempre più spesso "relegati" ai margini, quindi tenuti quanto più possibile nelle comunità terapeutiche (oltre ad affollare le carceri, assieme ad altri soggetti caratterizzati da molteplici povertà). La nozione di colpa è rimasta sostanzialmente la stessa, come pure il concetto secondo cui tutte queste miserie umane devono rimanere nascoste e chi ne è portatore deve vergognarsi… e starsene zitto.

Così i temi del disagio sociale sono spesso ripresi dai giornali e dalle televisioni soltanto per farne oggetto di strumentalizzazione politica, come ha spiegato Grazia Zuffa, di Fuoriluogo: "Non c’è solo la disinformazione, noi ci scontriamo con il fatto che le droghe sono un argomento di retorica politica per eccellenza. I politici per lo più non hanno interesse a sapere di più su questo, gli interessa piuttosto come possono costruire consenso a partire dall’idea della tolleranza zero, sotto diverse forme".

Daniele Barbieri è tornato invece a mettere sotto accusa i suoi colleghi: "I giornalisti continuano a rappresentare il disagio come una minoranza della società sana mentre, secondo me, è assolutamente l’opposto: siamo circondati dal malessere. Come giornalista, visto che osservo una società così, non mi sentirei mai di rappresentarla diversa, come una società cioè in cui c’è una grande maggioranza di persone che sta bene, c’è la famiglia, la bontà, e poi c’è una minoranza di pervertiti, drogati, gay, etc.. In che mondo vivono i giornalisti, o alcuni di loro… in isole felici, che io non conosco? Oppure, più o meno consapevolmente, mentono… ma in buona fede! Certo, ma anche i nazisti erano in buona fede…"

Anche Mario Pasquale, di Zero in condotta, è intervenuto sul tema del disagio reale e di quello rappresentato: "Una persona che vive in una situazione disagiata viene massacrata al primo errore e non gli viene data una seconda possibilità, mentre chi è dall’altra parte (quasi sempre la parte in cui stanno anche i giornalisti) ha la seconda, la terza e anche la quarta possibilità… perché l’informazione sulle puttanate che fanno questi non arriva, viene sistematicamente censurata. C’è la certezza che l’alcol fa molto più male della marijuana, ma anche questa notizia è censurata. Abbiamo una deformazione del mondo in cui viviamo e, questo, è un problema di fondo che non riguarda la mia buona fede, o la mia scarsa capacità di scrivere in italiano: riguarda il fatto che viviamo in un sistema pesantemente di classe".

Poi ci sono le "famose" leggi del mercato e, naturalmente, il primo obiettivo di ogni giornale è di vendere più copie possibile: non ci sono scrupoli che valgano, l’informazione può essere approssimativa, può raggiungere e perfino oltrepassare i limiti della decenza purché il pubblico la apprezzi, e il pubblico, diseducato da tanto cattivo giornalismo, chiede notizie emozionanti, piuttosto che interessanti e precise…

È un meccanismo perverso e inesorabile al quale riescono a sottrarsi, almeno in parte, soltanto le piccole testate indipendenti, che spesso hanno finalità sociali e sopravvivono grazie al lavoro semi - volontario dei redattori, ma hanno anche una diffusione limitata… per forza di cose. Allora l’unica soluzione diventa quella di stabilire delle collaborazioni tra questi "piccoli" giornali e le redazioni di quelli "grandi"…

Laura Mazza, di Ladri di biciclette, ha raccontato di un’esperienza che va proprio in questo senso: "A Venezia, negli anni passati, abbiamo creato un contatto con le due testate giornalistiche del Gazzettino e della Nuova Venezia, per cercare di ottenere una modifica nel modo in cui veniva fornita l’informazione. Il tentativo ora si è un po’ arenato e, purtroppo, quest’estate sono usciti degli articoli mostruosi sulla stampa locale… immagini che ci hanno riportato indietro di cinque o sei anni, rispetto al percorso fatto. Io sono convinta che il modo con cui presenti l’informazione crei anche dell’immaginario rispetto al fenomeno di cui parli, e noi stiamo parlando di problematiche che non sono quelle delle azioni di borsa, ma che fanno parte della povertà e della marginalità dei poveri. Penso che, da parte dell’operatore sociale, il tentativo deve essere quello di dialogare con l’informazione dei grandi, di creare dei percorsi, piuttosto che semplicemente intervenire con lettere di critica su alcune informazioni che ci riguardano".

Daniele Barbieri, però, ha rilevato la difficoltà di farsi ascoltare dal pubblico: "Ci chiediamo come dare voce al disagio attraverso i giornali. A me pare non sia questo il problema, ma è che non ci sono orecchie aperte per sentire. Pensate che il disagio non abbia voce? Il disagio urla… questa è una società di persone che stanno male, da qualsiasi punto di vista. Voi conoscete molte persone che sono felici di vivere, che hanno un buon rapporto con gli altri? Io ne conosco un numero assolutamente piccolo. Quindi c’è un disagio evidente, che diventa un problema sanitario, e ce n’è un altro, più impalpabile, che a volte prende delle forme pesanti. Se Ristretti Orizzonti, L’Urlo, o qualcun altro viene a presentarlo, e se chi fa di mestiere il giornalista non se ne accorge, i casi sono due: o ha delle enormi fette di salame sugli occhi, oppure non vuole farlo o non può farlo".

È stato invece più possibilista Mario Pasquale: "Ristretti, Piazza Grande, L’Urlo, sono una grande occasione perché danno voce ad un disagio che altrimenti non vedremmo, se non attraverso una visione in qualche modo esterna. Noi possiamo cercare, in qualche modo, di indirizzare la società verso un cambiamento di percezione di quello che è il disagio e di come va vissuto, perché non dimentichiamo che alla base di tutto c’è la mancanza d’accoglienza: oggi chi ha un disagio dove trova "accoglienza"? Non all’interno delle strutture sociali "normali", ma spesso proprio nelle carceri, nei Ser.T.. Attraverso questi giornali noi facciamo politica… non dobbiamo mai dimenticare che lo stiamo facendo".

Da Ornella Favero, di Ristretti Orizzonti, è arrivato invece un invito a non sottovalutare l’importanza del saper comunicare, per trovare un pubblico disposto all’ascolto: "Quando parli di carcere è veramente difficile farsi ascoltare, ma a volte siamo noi, volontari e detenuti, che non riusciamo a trovare la chiave per parlarne, perché non è che basti dar voce al disagio… non è solo questo, quello che conta è come racconti, che cosa dici. La testimonianza è importante, ma lo è anche la qualità della testimonianza, la capacità di parlare a tutti. Ho dovuto fare una battaglia, nella mia redazione, per far passare l’idea che se ti racconti devi imparare a farlo con toni sobri, mentre di solito si tende all’esagerazione, al vittimismo, oppure si usano toni più forti, credendo così di essere ascoltati di più. Insegnare la sobrietà del racconto di vita è fondamentale. Noi andiamo con i detenuti nelle scuole e vi assicuro che, quando le persone raccontano le loro storie senza fare vittimismo, senza piangersi addosso, dicendo di scelte molte volte sbagliate e dicendo il perché di queste scelte, la gente ascolta".

 

Giornali presenti all’incontro "Le parole sono uguali per tutti?"

 

Ladri di Biciclette, Servizio riduzione del danno di Venezia – Ser.T. di Mestre

L’urlo, periodico del Centro Sottosopra, Ser.T. di San Giovanni in Persiceto (BO)

Piazza Grande, giornale di strada di Bologna

Ristretti Orizzonti, giornale dal carcere Due Palazzi di Padova e dall’Istituto Penale Femminile della Giudecca

Carta, Cantieri sociali

Fuoriluogo, droghe e diritti (supplemento del Manifesto)

Il Resto del Carlino, quotidiano di Bologna

Zero in Condotta, quindicinale di Bologna

 

 

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