Quando in carcere la voglia di vivere ti abbandona

La galera non concede spazio ai sentimenti, agli affetti, all’amore che hai per la tua famiglia, e a un certo punto ti accorgi che non ce la fai ad affrontare la vita in un ambiente che senti estraneo

 

di Paolo Cambedda

 

Due giorni fa, al mio rientro in sezione, provenendo dalla redazione, mi è successo un episodio che mi ha suscitato un forte sconcerto. Proprio mentre stavo per entrare nella mia sezione, un detenuto ha indicato me a un altro detenuto, e mi si è avvicinato allora un signore di una certa età, che proveniva da un controllo in infermeria. Subito mi ha stretto la mano, con una presa insolita per uno che non conosci.

Ciao paesano! I soliti convenevoli di quando uno incontra un corregionale.

“Ti devo chiedere un favore, ho bisogno di qualche sigaretta e un po’ di caffè”. Mi sono reso conto che nei suoi occhi si vedeva chiaramente la sua sofferenza. Sono corso subito in cella, ho preso un pacchetto di sigarette e del caffè. Sono tornato da lui porgendogli il tutto in un sacchetto di carta. Mi ha abbracciato in una maniera insolita. Un abbraccio usuale tra due amici. Ho provato a chiedermi: ma come mai un abbraccio ed una stretta di mano così singolari? Ma perché?

Lì per lì non sono stato a pensarci più di tanto. Ho “archiviato” il tutto nel mio “bagagliaio”. E ho continuato la mia giornata anche se a tratti ripensavo ancora a quell’abbraccio, a quella stretta di mano particolare. Ho pensato che magari questa poteva essere una forma di rispetto per quelli che come me hanno una lunga detenzione sulle spalle. Nulla di tutto ciò!!!

Il problema era ben altro. Ho saputo il giorno dopo che Antonio C. (chiamiamolo così), si è impiccato alle sbarre della cella dove era stato ubicato. Non è morto. Non so dire se Antonio sia fortunato o sfortunato, perché sta continuando a vivere anche se nel letto di una stanza di un ospedale. Quello che ha suscitato in me più sconcerto è il modo in cui prima mi ha stretto la mano e poi quel lungo, forte abbraccio. Credo che questi due gesti fossero per lui un modo di stare legato alla sua cultura, agli affetti. Lui, Antonio è un sardo nudo e crudo come me. Essendo così non lascia trasparire nulla, tantomeno la carenza di affetto, perché, al contrario, se lo facessi qui in carcere saresti considerato “un debole”. L’orgoglio, lo stupido orgoglio! L’uomo che non deve chiedere mai!

Io, per questo, ora mi sento stupido. Antonio, scusa se non ho fatto nulla per te!

Ho pensato solo a non cadere in qualche sanzione disciplinare e non a tentare di fare qualcosa per te per alleviare il tuo stato d’animo, stare un po’ con te per capire e cercare di dissuaderti da quello che avevi già in mente. Non sono stato attento, ma le nostre care patrie galere non concedono spazio ai sentimenti, agli affetti, all’amore che hai per la tua famiglia, per la tua cultura. Cose che a te Antonio, dato che ti trovi a mille chilometri dalla terra dove sei nato, dove ci sono i tuoi cari, indubbiamente mancano. Ma io sento comunque di voler ribadire all’infinito le scuse a te. Scusa se sono stato egoista e non ho capito che quel “qualche sigaretta” e “un po’ di caffè” non era altro se non il tuo ultimo desiderio. Ma forse tutto questo dolore l’avrebbero potuto evitare le istituzioni con un semplice trasferimento in un carcere della Sardegna, vicino ai suoi cari, magari con una madre che aspetta a morire perché prima vuol vedere il proprio figlio per l’ultima volta, anche attraverso le sbarre di una squallida galera.

Nel momento del nostro incontro pensavo di non poter fare nulla. Dopo il fatto sono subentrati i sensi di colpa per non aver capito e cercato di evitare questo triste episodio. Ho continuato a pensare che sarei dovuto restare lì un po’ con lui per cercare di dar luce a “quell’opaco” che celavano i suoi occhi e mandare al diavolo le regole assurde che vigono nelle carceri, per cui non devi dimostrare debolezze e chiedere aiuto. Forse sono stato ammaestrato anch’io, dopo anni di carcere, a perdere la mia umanità e a vivere qui dentro in maniera funzionale alla galera, senza sentimenti e senza emozioni?

Scusa Antonio!

Paolo Cambedda, un cittadino sardo.

 

Anni

Suicidi

Totale morti

2000

61

165

2001

69

177

2002

52

160

2003

56

157

2004

52

156

2005

57

172

2006

50

134

2007

45

123

2008

46

142

2009

72

177

2010

66

184

2011

66

186

2012

60

154

2013

46

142

Totale

798

2.229

 

Aggiornamento al 30 novembre 2013