L’esperienza del carcere tira dentro tutto quello che tocchi nella vita

Facendo pagare anche ai nostri parenti, in particolar modo ai bambini, le responsabilità delle nostre azioni, si rischia che nei detenuti e nelle loro famiglie crescano un senso di colpa e una rabbia senza sbocchi

 

di Luigi Guida

 

Molto spesso quando commetti dei reati e sei consapevole della scelta di vita che hai fatto, immagini che le conseguenze delle tue azioni le pagherai esclusivamente tu con la privazione della libertà, ma con il tempo ti accorgi che la galera non rimane una faccenda privata, personale, soprattutto quando hai dei figli, perché questo tipo di esperienza con il tempo tira dentro tutto quello che tocchi nella vita… E finisce che per tutti i casini che hai combinato nella tua vita, tu pagherai un prezzo anche molto alto, ma i figli e la tua famiglia pagheranno il resto. Oggi purtroppo una persona che commette un reato non deve subire solo la pena inflittagli dal tribunale, ma è obbligata a vivere una situazione carceraria a dir poco disumana. E poco a poco ti rendi conto che questo tipo di espiazione serve per punirti anche negli affetti, senza però avere il coraggio di ammetterlo in modo esplicito. Quindi oggi per me questo è uno dei problemi più grossi con il quale devo fare i conti, ma credo che questo valga anche per tanti altri detenuti perché l’ambiente carcerario non è certo adatto a farti vivere un rapporto con i tuoi affetti senza che essi ne vengano segnati in prima persona. Credo che questo tipo di espiazione sia inutile, sprecata in un certo senso, in quanto, per come si svolgono gli incontri con i famigliari, è pura negazione dell’esperienza quotidiana degli affetti, e rischia di causare il completo fallimento della intenzione rieducativa, facendo vivere una condizione oggettiva di disagio che può rovinare qualsiasi crescita interiore. Io non penso che si possa chiamare

giustizia far pagare anche ai nostri parenti, in particolar modo ai bambini, le responsabilità delle nostre azioni, anzi si rischia che nei detenuti e nelle loro famiglie crescano un senso di colpa e una rabbia senza sbocchi, con il pericolo di far nascere nei confronti delle istituzioni carcerarie un muro di durezza. Quindi è pur vero che uno la pena in molti casi se l’è cercata, ma la pena cosi come viene pensata oggi sconfina facilmente nella vendetta sociale, riducendoti a una nullità, qualcosa di meno di un essere umano. Tuttavia sarebbe disonesto e miope dire che il carcere non serva, almeno per quella parte di persone che si sono macchiate di reati di una certa gravità, ma tuttavia anche l’esperienza carceraria ha un tempo utile, e quando quel tempo lo si oltrepassa, si rischia che diventi “carcerogena”, provocando effetti opposti a quelli che la società si è prefissata in termini rieducativi, perché spesso le persone che vivono la galera oltre il tempo utile rischiano che quella che dovrebbe essere la medicina si trasformi in malattia.

 

 

 

 

Certe brutte abitudini possono rubarci il futuro

Un coltello non mi mancava mai, perché se ce l’avevo mi sentivo sempre protetto e imbattibile

 

di Sofiane Madziss

 

Sono tunisino, vivo in Italia da venti anni, sono nato e cresciuto in un quartiere povero, dove da piccolo impari a sopravvivere, c’era tanta delinquenza, e anch’io non ero da meno, alla scuola media prendevo il pizzo dagli altri ragazzini, avevano paura di noi, di me e dei miei amici, perché

giravamo sempre con i coltellini in tasca. Da noi infatti abbiamo una brutta abitudine, è quella di portare un coltellino o delle lamette, e se qualcuno cerca di farti del male lo tiri fuori, o per fargli paura o per fargli un danno accoltellandolo o sfregiandolo in faccia, e quando succede la prima volta ti senti potente, invincibile, cominciano a rispettarti ed avere timore di te, crescendo poi continui a portare con te queste brutte abitudini, perché ti senti forte e considerato da tutti, grandi e piccoli, sembra una cosa bella ma non è cosi. Per me questa brutta abitudine è stata la mia rovina. Da piccolo vedevo tanti miei paesani che venivano in Italia a spacciare droga e a cercare di fare fortuna in poco tempo, in realtà c’è chi la fa e chi no, ma io vedevo soltanto quelli che tornavano con le belle macchine, i bei vestiti, oro e belle donne, cosi anche io ho pensato di venire in Italia a spacciare droga, perché mi reputavo più intelligente e più coraggioso di loro. E dal momento che credevo di avere già il rispetto degli altri, che è una cosa importante per fare lo spacciatore senza che qualcun altro cerchi di ostacolarti, alla fine sono riuscito a venire in Italia clandestinamente e ho cominciato subito a spacciare eroina, e a fare soldi. Il coltello non mi mancava mai, perché se ce l’avevo mi sentivo sempre protetto e imbattibile, ma questa abitudine non porta a niente di buono. Dopo un po’ di tempo nel mio nuovo “mestiere”, che stava andando molto bene, il territorio dove spacciavo ha cominciato a fare gola ad altri spacciatori che volevano impadronirsene, è cominciata una guerra tra bande, la nostra contro un’altra, che è finita con l’uccisione di uno di loro, e l’arresto di tutti noi. Raccontando questa mia storia, spero di fare arrivare il messaggio, ai ragazzi che hanno il vizio di portare un coltellino in tasca, e si sentono forti e sicuri, che prima o poi succede di fare del male a qualcuno, e ti trovi nei guai. È decisamente meglio evitare di avere questi comportamenti pericolosi, perché portano soltanto a fare del male a te stesso e alle persone che ti stanno intorno. Ci guadagni solo la galera, e perdi tutto.

 

 

 

 

Il mio primo incontro con gli studenti di una scuola

Oggi penso che, se in passato e i soldi, avessi assistito a un incontro come questo,

le mie decisioni sarebbero forse state diverse

 

di Çlirim Bitri

 

Mi trovo in questo carcere da quattro anni e da poco tempo ho cominciato a fare parte della redazione di Ristretti Orizzonti. Avevo sentito parlare di questi incontri dove ognuno raccontava la propria storia, ma siccome la cosa non mi riguardava non chiedevo altro, pensavo che fosse un modo per passare il tempo in maniera diversa e vedere delle persone che non siano né agenti né detenuti. Poi c’è stato il primo incontro con le scuole. Dal momento che per me era la prima volta ho trovato un angolo nella sala dove si svolgeva l’incontro, pensando che dovevo stare due ore seduto in quella sedia. Con questo pensiero per la testa, mentre scambio delle battute con i compagni, arrivano i ragazzi, accompagnati da 3 o 4 professoresse, tutti giovani fra i 17 e i 18 anni credo. E a noi (detenuti) come i padroni di una casa dove nessuno vorrebbe trovarsi, ci tocca di rompere il ghiaccio, cominciare il discorso. Sento la storia di una persona che trovandosi in una situazione di grave difficoltà personale, ha rovinato la sua famiglia e la sua vita, mi sono commosso, non conoscevo quest’uomo anche se per quasi quattro anni l’ho visto tutti i giorni perché è mio vicino di cella. Sento un altro che racconta com’è facile cadere nella tossicodipendenza, in una situazione dove è inevitabile commettere reati, e mi dispiace, mi dispiace di non poter fare niente. Uno studente chiede come sono i legami con i nostri famigliari e se qualcuno di noi è stato abbandonato da loro dopo che siamo finiti in carcere. La risposta di tutti è no. Ma se la domanda era quanti di noi hanno abbandonato i loro cari per non fargli pesare colpe che non hanno, la risposta sarebbe stata diversa. Sento i miei compagni che raccontano e so quanto è difficile per loro raccontare i fatti propri agli sconosciuti. Un altro studente chiede se traiamo qualche beneficio facendo queste riunioni, e perché raccontiamo la nostra storia. Secondo me sì, c’è un beneficio. La maggior parte di noi al momento del reato non è consapevole di quello che fa e

delle conseguenze che comporta il suo gesto. E discutendo, uno riflette sul suo passato e si rende veramente conto delle conseguenze e delle sofferenze che le sue azioni hanno portato. E può dare una risposta alla domanda: se mi troverò nelle stesse situazioni, mi comporterò come prima? Guardando i ragazzi mi viene in mente quando ho cominciato acommettere dei piccoli reati: avevo

quasi la loro età e mi sentivo invincibile, il mondo del carcere non mi riguardava. Ho cominciato con i primi fermi di 24 ore, dove mi sono convinto che era facile ingannare le forze dell’ordine, sono passato ai primi patteggiamenti, dove mi sono convinto che oltre alla furbizia servivano un po’ di soldi e un buon avvocato per uscire dal carcere. E con queste mie certezze ho accumulato nel giro di 3 anni 15 anni di galera. Oggi penso che se al posto della mia furbizia, l’avvocato e i soldi, avessi assistito a un incontro come questo, le mie decisioni sarebbero forse state diverse. Le due ore sono passate molto in fretta, c’erano molti studenti e detenuti che avevano chiesto la parola, il ghiaccio era rotto, era rotto da quando i ragazzi hanno cominciato a vedere in noi non dei mostri descritti dalla stampa, ma delle persone, persone che pagavano a caro prezzo le loro scelte sbagliate, però mancava il tempo, volevo sentirli tutti, volevo conoscere tutti, tutte quelle persone che non avevo conosciuto per quattro anni nella stessa sezione. Avevo imparato più in queste due ore che in quattro anni di carcerazione.

 

 

 

 

Una domanda difficile, una che sembra facile ma non lo è affatto

Rispondere ai ragazzi delle scuole non è mai semplice, neppure quando ti chiedono com’è la giornata in carcere

 

di Alain Canzian

 

Quando incontriamo le classi nella nostra redazione, faccio fatica a rispondere alle domande dei ragazzi perché mi emoziono, allora provo a farlo per iscritto, con la consapevolezza che spesso non abbiamo risposte semplici da dare perché le nostre vite sono complicate, ma almeno possiamo dargli degli spunti per riflettere.

 

Pensi che la condanna che hai avuto sia esagerata o sia calcolata in base al tempo utile per la rieducazione, oppure che una “condanna alternativa” ti avrebbe permesso di rieducarti meglio?

Oramai è qualche anno che sono detenuto, e di primo impatto “griderei” che tutti gli anni che ho da

fare siano non ingiusti, ma di sicuro esagerati. Certo sono in carcere perché ho commesso un reato in un periodo molto buio della mia vita, e il male, adesso che ho avuto modo di riflettere molto sulla

mia situazione, l’ho fatto non solo a me stesso, ma anche alla mia famiglia e a chi ho coinvolto nel reato. Ho incominciato ad usare la droga, come per dare una fine alle mie sofferenze, certo avrei dovuto chiedere aiuto, ma non sapevo a chi. Ero da poco rimasto solo per la perdita della persona che amavo, e davanti a me vedevo solo tanto buio, ero diventato una persona che in qualche modo doveva farsi solo del male. Forse in quel momento ricordando i miei molti amici tutti morti per droga, che io uno ad uno ho salutato ai loro funerali, nella mia mente è scattato qualcosa che mi diceva che quella era l’unica strada per annientare me stesso, definitivamente. La mia vita allora è cambiata radicalmente, e da brava persona e gran lavoratore, in un attimo sono diventato un senza dimora, senza più nessun ideale, con nessuna ragione di vita, per di più ero diventato anche uno dei peggiori drogati. Uno come me, che ha lavorato tutta la vita, in un breve tempo si è trovato a dover

andare a chiedere l’elemosina, a pregare per avere un piatto di pasta, a dormire dove gli capitava,

avendo come amici tutti i disadattati di questo mondo, e a vedersi sbarrare anche le porte dai propri figli. Forse solo ora stanno incominciando a capire chi era diventato il loro padre, e a non rifiutarmi

più, ma purtroppo non si può fermare il tempo e dare un colpo di spugna per cancellare tutta quella  sofferenza. In questo periodo si parla molto delle pene alternative, nel mio caso potrebbe essere la comunità, visto che faccio parte di quella lunga lista di persone tossicodipendenti che sono finite in galera, certo lì ti insegnano le regole, dalle più piccole alle più importanti, e qualsiasi persona che non è mai stata capace di rispettare le regole che la vita ti impone, forse non si troverebbe bene ma ne avrebbe una utilità, per chi invece come me non è più un ragazzo e deve in qualche modo riprendere in mano la propria esistenza, i rapporti con i figli, non so se è la soluzione più giusta.

Sono arrivato ad un momento molto importante della mia carcerazione, questo dovuto anche al

fatto che sono uno dei pochi fortunati che hanno la possibilità di frequentare un “laboratorio” come quello della redazione di Ristretti Orizzonti, che molto mi trasmette proprio per la mia cosiddetta

rieducazione. Noi cosa chiediamo perché il carcere non sia del tutto inutile? Solo di essere trattati più umanamente possibile, e non come merce avariata, e di avere la possibilità di dare un senso alla

detenzione, sentendoci persone responsabili, attive, per poi essere pronti ad affrontare quel sogno che si chiama libertà. Perché quando dovremo ritornare liberi, avremo mille difficoltà, saremo all’oscuro di tutto, con la paura di agire e sbagliare, come un bambino che deve iniziare a camminare, ma a differenza di un bambino noi corriamo anche il rischio di non essere più accettati nella società. Ecco perché forse un progetto come questo con le scuole è quello che più ci aiuta a imparare a confrontarci con il mondo esterno, a far capire la nostra umanità, la nostra voglia di cambiare.

 

Come è organizzata la giornata di un detenuto?

Vorrei puntualizzare che la giornata in carcere non è per tutti uguale, e molto dipende dal carcere nel quale ci si trova. Ma anche per chi è in uno stesso carcere, come quello di Padova, posso raccontare com’è la giornata per tutti quelli che non riescono a trovare spazio in nessuna attività, e sono più di cinquecento persone su quasi novecento detenuti.. Si tratta di 20 ore al giorno da passare sempre chiusi, con l’unica possibilità di essere aperti solo per quei pochi diritti che ad ogni detenuto sono riconosciuti, come andare ai passeggi, perché uno ha bisogno di respirare un po’ d’aria. Quando arrivi giù all’aria speri sempre che non ci siano tante persone, altrimenti non ce la fai a muoverti, ti sembra di essere in una piscina per bambini, però senza acqua, e ti devi muovere come in un grande magazzino nell’ora del massimo affollamento, schivando le persone che ti vengono appresso. Poi torni in sezione, la tua ora d’aria è finita, devi andare a farti la doccia, ma forse ti sei dimenticato che l’hai fatta ieri al mattino perché avevi rinunciato alla tua ora d’aria per lavarti, ora non puoi più, devi farla domani però al pomeriggio, cosi anche domani non potrai andare all’aria. Finito tutto questo trambusto, uno si deve inventare un po’ la sua giornata, ogni detenuto deve avere

una grande inventiva per organizzarsi il tempo, se ti va bene magari sei chiamato a qualche corso, è già meglio di niente essere occupati quelle due ore alla settimana. Anche questo non tocca a tutti solo a quelli più fortunati, o che hanno già fatto un lungo periodo di carcerazione. Quando poi devi stare in cella, devi passare il resto della giornata con altre due persone e non è sempre facile andare d’accordo con i tuoi compagni. Questo è un gran problema, vorresti scrivere, ma il tavolino è occupato, non puoi neppure rimanere in piedi, se già due dei tuoi compagni occupano tutto lo spazio calpestabile, così ti resta solo la tua branda, e in alcune carceri c’è anche qualcuno che dorme con il materasso per terra. Poi arriva la sera e sei molto stanco, la tua giornata non è stata delle migliori, vorresti solo dormire ma anche questo non è sempre facile, non tutti i tuoi compagni vogliono spegnere la televisione, allora devi ricorrere alle terapie, per chiudere gli occhi per ricominciare l’indomani un’altra inutile giornata di galera.