Editoriale

 

L’ordinaria tragedia di galere

che stanno perdendo qualsiasi aspetto di umanità

 

di Ornella Favero

 

I suicidi, le morti poco chiare, gli atti di autolesionismo, le violenze, la brutalità: tutto questo nelle carceri italiane esiste, a volte anche con frequenza inquietante, ma non è la normalità, e nessuno di noi che ci occupiamo di questi problemi intende diffondere l’idea che le galere siano luoghi governati e controllati da sadici che usano ogni mezzo per esercitare il loro potere su corpi e teste delle persone recluse.

Noi di Ristretti Orizzonti da anni realizziamo un dossier che si chiama “Morire di carcere”, e l’abbiamo chiamato così non a caso: non ci interessava, cioè, parlare semplicemente delle MORTI IN CARCERE, no, volevamo ragionare anche sul fatto che si muore DI CARCERE, della desolazione e dell’abbandono che caratterizza la vita in carcere, una vita che in quest’ultimo anno sta diventando, per sempre più detenuti, pura disperazione.

I sentimenti che proviamo oggi scorrendo le notizie sulla storia di Stefano Cucchi e su altri casi di morti oscure sono davvero ambivalenti: da una parte, sappiamo da sempre che bisogna tenere l’attenzione costantemente puntata sulle carceri e sui luoghi dell’esclusione, e allora leggere tutte queste notizie e questo interesse dei media per le morti di detenuti dovrebbe rassicurarci e farci sperare. Ma sappiamo anche che stiamo diventando, proprio noi che abbiamo a cuore questi temi, pericolosamente cinici: “ci dovrebbe scappare il morto perché si parli delle carceri” è una frase che in tanti abbiamo detto, e quando poi “ci scappa il morto” davvero riscopriamo l’angoscia di vedere che si parla, e per fortuna, dei casi “straordinari”, ma si dimentica, si ignora, non si vuole vedere l’ordinaria tragedia di galere che stanno perdendo qualsiasi aspetto di umanità. E questo nonostante, e non è retorico dirlo, ci siano migliaia di persone, agenti, educatori, direttori, tutto il personale penitenziario, che ci lavorano con la sofferenza di sapere che, se escono alla fine della giornata senza che sia successo nulla di tragico, è solo un miracolo, che forse non si ripeterà l’indomani.

 

PROMEMORIA PER LA “SOCIETÀ CIVILE”: in carcere, parcheggiati in celle dove dovrebbero stare in due o tre e sono invece in sei, sette, otto, chiusi lì dentro dalla mattina alla sera, per lo più senza far nulla, ci stanno sempre più spesso persone giovani, figli di famiglie “normali”, una generazione che rischia di bruciarsi con comportamenti che pagherà pesantemente con la galera, e soprattutto QUESTA GALERA INUTILE; E ANCHE PERICOLOSA

 

COSA VORREMMO NOI DI RISTRETTI sulle morti di carcere: che il nostro Dossier diventasse il Dossier di tutti quelli che chiedono che le vite delle persone rinchiuse siano trattate con rispetto e che l’attenzione che c’è in questi giorni portasse alla creazione di un Osservatorio permanente su questi temi. Bisogna che tutti, chi ci lavora dentro e chi le guarda da fuori, siano convinti che le carceri devono essere trasparenti, e che una società che, quando punisce, sa anche essere mite, attenta e rispettosa dei diritti dei condannati è senz’altro una società più sicura.

A far parte di questo Osservatorio devono essere chiamate persone che abbiano prestigio, competenza e voglia di regalare un po’ del loro tempo all’obiettivo di ridare dignità alle galere. E siano disposte a farlo A TITOLO GRATUITO, perché non crediamo più in strutture di controllo che diventano macchine per ottenere finanziamenti e basta.

 

 

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