Ri-strettamente utile

 

Tra custodi e custoditi

 

A Roma presentata la proposta di legge sul difensore civico nelle carceri

 

di Antonella Barone

 

Quel senso di familiarità che proviamo quando ci rechiamo ad un convegno sul carcere in qualsivoglia parte d’Italia, il ritrovarci tra facce conosciute, volenterose e magari anche simpatiche, con la sensazione di dover riprendere un discorso noto a tutti senza la fatica di troppe premesse, ebbene proprio tutto quello che umanamente ci conforta, su altri piani, ha notato un collega, dovrebbe invece demoralizzarci perché vuol dire che a parlare di carcere siamo sempre gli stessi.

Ed anche stavolta, benché riuniti in una cornice lusinghiera - quella della sala del Refettorio della Camera dei Deputati - a parlare dell’importanza e dell’urgenza di istituire un difensore civico per le carceri o, meglio, per le persone private della libertà personale, siamo più o meno gli stessi di un analogo convegno tenutosi cinque anni fa a Padova.

Giuliano Pisapia dà voce allo scetticismo di molti presenti. Dice di aver dato un’occhiata ai lavori di allora e di avere la sensazione che le cose siano peggiorate al punto che neanche la frase che al tempo citò "Le carceri italiane sono le più civili del terzo mondo" sarebbe più adatta a rendere la disastrosa situazione attuale.

"La mia preoccupazione - dice - è quella di chi si trova unito nelle proposte e diviso in Parlamento". Come dire che qualche parlamentare della maggioranza al convegno non faccia poi la differenza. Eppure la differenza stavolta c’è, sostiene il Presidente della Camera dei Deputati Pier Ferdinando Casini che, sia pure frettolosamente (il convegno si è tenuto lo stesso giorno di discussione alla Camera della legge Cirami), rassicura: "La presenza del gotha della commissione giustizia è il segno che il parlamento intende confrontarsi con questo tema, soprattutto in un momento in cui i problemi della condizione detentiva sono acuiti dal sovraffollamento, che porta a riflessioni in ordine alle condizione dei detenuti e delle difficoltà che incontrano gli operatori penitenziari".

Un sovraffollamento che l’onorevole Gaetano Pecorella, con uno spregiudicato intervento, ritiene poco "pratico" affrontare con la costruzione di penitenziari, considerato che i nuovi spazi verrebbero a costare circa 340 milioni delle vecchie lire a detenuto, per un totale ai limiti dell’incalcolabile. E, rinforzando i propositi di Casini, assume pubblicamente l’impegno di mettere presto all’ordine del giorno in Commissione Giustizia la discussione della legge sul difensore civico i cui disegni presentati dai parlamentari Mazzoni, Finocchiaro e Pisapia sono stati riorganizzati in una proposta redatta dalle Associazioni Antigone e A buon diritto, organizzatrici, assieme alla Fondazione BNC, del convegno.

Secondo tale proposta il difensore civico dovrebbe essere un organo collegiale costituito da cinque membri che può avvalersi per l’esercizio delle sue funzioni "degli uffici e del personale dei difensori civici regionali, provinciali e comunali a seguito di un’apposita convenzione".

Tra i suoi poteri quello di accedere, anche senza preavviso, non solo negli istituti penitenziari per adulti e minori e negli ospedali psichiatrici giudiziari, ma anche nei centri di prima accoglienza, di permanenza e assistenza temporanea per stranieri, nelle caserme dei carabinieri, guardia di finanza, nei commissariati, nelle camere di sicurezza, luoghi, ancora più del carcere, dove comunque opera la vigilanza del Magistrato di Sorveglianza, a rischio di violazione dei diritti delle persona private della libertà, in quanto sforniti di qualsiasi tipo di controllo. Questa previsione è sembrata comunque ancora troppo limitata rispetto alla molteplicità dei luoghi in cui vi può essere una limitazione della libertà personale, rimanendo escluse, ad esempio, le autovetture delle forze dell’ordine, i luoghi in cui vengono praticati trattamenti sanitari obbligatori e i cronicari.

Franco Della Casa, docente di Diritto penitenziario, ha suggerito l’opportunità di prevedere anche l’estensione della competenza del difensore civico alle misure alternative e Franco Maisto, Sostituto procuratore di Milano, alla detenzione domiciliare, situazioni comunque di maggiore vulnerabilità dei diritti della persona.

 

Il difensore civico come presidio serio per garantire un’efficace espiazione della pena

 

Il modus operandi del difensore civico dovrebbe essere il più possibile informale, raccogliendo segnalazioni dalle fonti più disparate, non formalmente probatorie (probabilmente anche anonime).

Nella relazione, Della Casa ha evidenziato una debolezza della proposta: il fatto di limitare l’intervento del difensore civico alla tutela dei diritti fondamentali, osservazione che ci sentiamo di condividere e sottolineare. Sappiamo bene quante siano le situazioni soggettive che non arrivano a configurarsi come diritti fondamentali, e che pure incidono in maniera decisiva sulla vivibilità della condizione detentiva. Ad esempio un trasferimento lontano dai familiari o legittimato dietro sbrigativi e sempre imperscrutabili motivi "di sicurezza", "di opportunità" o, peggio, "sfollamento", può essere più afflittivo della mancata corresponsione di una mercede, materia già rientrante assieme a quella disciplinare tra quelle suscettibili di controlli da parte del Magistrato di Sorveglianza (secondo quanto stabilito dalla sentenza della Corte costituzionale n° 26 dell’8-11 febbraio 1999, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimi gli artt. 35 e 69 della legge 354/75 nella parte in cui non prevedono tutela giurisdizionale nei confronti degli atti dell’amministrazione penitenziaria lesivi dei diritti di qualsiasi specie - tanto, cioè, se aventi fondamento costituzionale, quanto se privi di siffatta connotazione - di coloro che sono sottoposti a restrizione della libertà personale).

Ma cerchiamo di rendere ancora più concreto l’esempio: un detenuto sconta anni di pena in un istituto dove viene osservato, trattato, magari encomiato e avviato alla fruizione di una misura alternativa, quando un giorno, all’improvviso e per motivi oscuri (che non sarà dato di chiarire né a lui né agli operatori che l’hanno seguito) viene trasferito in un altro carcere, dove non avrà più lavoro né dentro né fuori e che sarà anche scomodo da raggiungere per i familiari. Ebbene, secondo il sistema vigente, nessun diritto fondamentale di quel detenuto è stato leso e questo perché il diritto di incontrare i familiari, sempre che riescano a raggiungerlo, rimane intatto e così pure i restanti diritti.

Quello che dalla proposta di legge emerge con sufficiente chiarezza, ma che vale la pena di ribadire, è che il difensore civico non è, come ha sottolineato l’onorevole Finocchiaro, una proposta indulgenziale, ma un presidio serio "per garantire anche un’efficace espiazione della pena". Dunque non un organo super partes che emette provvedimenti vincolanti, quanto piuttosto un mediatore dotato di un "arsenale" sanzionatorio.

L’articolo 7 della proposta, qualora i tentativi di persuasione (espressione a dire il vero poco felice) nei confronti dell’amministrazione interessata, affinché si adegui a quanto raccomandato, risultino vani, prevede sanzioni che vanno dalle dichiarazioni pubbliche di biasimo, pubblicizzate tramite i mass media, alla richiesta di attivazione di procedimenti disciplinari.

Tanto per tornare al nostro esempio, se il difensore civico riscontrasse una sensibile violazione degli interessi del detenuto trasferito, potrebbe non obbligare ma solo invitare il Provveditore Regionale o il competente funzionario ministeriale che hanno autorizzato il trasferimento a revocarlo e, se inascoltato, biasimarli pubblicamente, ovvero a mezzo stampa, radio e tv. Sanzioni "forti" (se immaginiamo come eventuali destinatari non solo oscuri impiegati, ma alti funzionari) che sembrano appartenere ad un’atmosfera culturale troppo distante dalla nostra, mentre invece un sistema analogo funziona da anni, oltre che in Danimarca, Finlandia, Austria, Olanda e Norvegia, anche in Portogallo, Ungheria, Scozia e Inghilterra.

Molte perplessità che inevitabilmente sorgono in merito all’adottabilità di una simile figura proprio in un sistema come il nostro, possono essere prevenute ricordando quanto riferito da Mac Manus, ex difensore civico delle carceri in Scozia, luogo ancora fino a pochi anni fa dal "modello giustizialista" e con un sistema di reclami "primitivo". I temuti conflitti con le direzioni carcerarie e il Dipartimento, ad esempio, non si sono verificati grazie ad un modello di mediazione che ha fatto sì che la maggior parte dei reclami fosse risolta con conciliazioni prima di arrivare alle raccomandazioni. Un modus operandi che ha svelato prassi consolidate lesive di diritti e neanche più funzionali al raggiungimento del loro scopo ("si fa così perché si è sempre fatto così").

In pratica "la stessa esistenza dell’ufficio contribuisce alla legittimità del sistema" e al rinnovamento culturale.

Nell’attesa che, come promesso, venga almeno messa all’ordine del giorno in Commissione Giustizia la proposta di istituire un difensore civico per la tutela dei diritti delle persone private di libertà, non ci resta che considerare, con Luigi Manconi, che quella del carcere in Italia rimane al momento una situazione del tutto fuori diritto, per il semplice fatto che i diritti richiedono un minimo spazio fisico per essere esercitati.

 

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