Voci da lontano

 

Italia – Albania solo andata?

 

Scontare la condanna nel proprio paese rischia di essere una pena aggiuntiva

 

di Gentian Allaj

 

Il ministro albanese Spiro Peci e il ministro italiano Roberto Castelli hanno da mesi fatto un accordo sulla possibilità che i detenuti albanesi scontino la pena, inflitta loro per reati commessi in Italia, nelle carceri albanesi. Attualmente in Italia si trovano 2700 detenuti albanesi. A Peqin, in Albania, si sta allestendo un nuovo carcere che sarà pronto a breve, e lo si sta realizzando anche grazie all’Italia, che con i suoi aiuti economici contribuiscce a costruire strutture pubbliche in Albania.

Questo accordo forse permetterà ai detenuti albanesi di scontare la galera con meno disagi, o forse no, perché le difficoltà sono tante. Probabilmente non interessa a nessuno il fatto che noi troveremmo delle grosse difficoltà in Albania, e difficilmente potremmo avere il futuro che abbiamo sognato prima di venire in Italia. Quel po’ di soldi che avevamo prima dell’arresto li abbiamo lasciati agli avvocati. Ci ritroveremmo in Albania senza un euro.

Il lavoro lì è difficile da trovare, e anche se lo trovi ti pagano molto poco. E poi noi abbiamo assimilato in questi anni in Italia lo stile di vita italiano, tornare indietro non sarà affatto facile. Così saremo costretti a venire di nuovo in Italia pur sapendo di poter finire in carcere.

La nostra prima meta è sempre l’Italia, il sogno di tutti gli albanesi. Eppure nessuno di voi italiani, o quasi, si ferma mai a chiedersi: perché facciamo questo? Qual è il motivo che ci spinge a rischiare cosi tanto?

I motivi sono un’infinità e molto diversi. Ma vanno ricercati soprattutto nella povertà, e nel desiderio di poter dare un futuro migliore alla nostra vita ed alla nostra famiglia.

Rischiamo anche la vita venendo in Italia, e non è poco. Quanti gommoni e barche sono affondati in mare causando la morte di moltissime persone! Persone disperate, in cerca di un futuro. Tutti ricordiamo quella maledetta imbarcazione, quella carretta del mare affondata nel canale di Otranto con a bordo 110 persone, donne, bambini, uomini, che partivano con il sogno nel cuore di una vita diversa. Credevano di andare verso quel sogno, ma finirono tutti in fondo al mare. Eppure questa tragedia non ha fermato i viaggi della speranza. Anche se quei sogni si sono fermati in fondo al mare e forse altri se ne fermeranno.

In ogni telegiornale ci chiamano delinquenti, e noi naturalmente non abbiamo nessuno che possa alzarsi e dire: non tutti gli albanesi sono uguali, chi sbaglia paga il suo debito, ma questo non vuol dire che siamo tutti delinquenti. Penso che tutti dovrebbero almeno capire che noi solo da dodici anni conosciamo il mondo. Prima del ‘90 credevamo di essere tra le nazioni più progredite, ci diceva il presidente dittatore Enver Hoxha che gli altri se la passavano molto male.

Oggi ci troviamo in carcere per un comportamento sbagliato, per un reato che abbiamo commesso, scontiamo la nostra pena ed affrontiamo il carcere con dignità.

Qui dietro le sbarre è ormai tardi per capire il valore della libertà, però io in carcere ho riflettuto molto sulla mia vita, ed ho cambiato idea su molte cose, ho capito quanto sia importante imparare a dare un’importanza diversa proprio alla parola libertà.

Penso che bisognerebbe veramente fare in modo che le carceri non diventino solo punitive, darci la possibilità di "pensare al meglio", di modificare cioè il nostro modo di pensare, un giorno uscendo da qui, e di mostrare così alla società tutto ciò che abbiamo appreso in carcere, e soprattutto che non siamo nati delinquenti come molti vogliono far credere.

Mandarci forzatamente nel nostro paese è fare finta di niente rispetto a ciò che succede in Albania, e penso che non servirà a nulla, né per l’Italia né per noi. Perché vorrà dire che non è stato realizzato niente, quello che abbiamo imparato in carcere non sarà servito a niente, e saremo condannati a rimanere come eravamo dodici anni fa, clandestini in cerca di un lavoro, cacciatori di sogni e di speranze, privi di tutto, anche degli affetti, perché venendo via si lasciano quelli più cari, e la vita da clandestini impedisce di trovarne altri.

 

 

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