Storie

 

Una bella lettera mi dice che là fuori c’e ancora della luce

Quanto conta una lettera per chi sta in carcere

 

di Elton Kalica

 

La nuvola di fumo di sigarette, che sorvola il corridoio del reparto del carcere di Padova in cui mi trovo detenuto da diversi anni, sicuramente a mezzogiorno subisce un forte addensamento. In questa fase della giornata passa sempre un agente con la classica borsa da postino e consegna la corrispondenza, cosa che inevitabilmente ha creato un riflesso condizionato in chi spera che qualcuno l’abbia pensato con una lettera e questo riflesso si manifesta con delle nuvole bianche di fumo liberato dai polmoni delle persone appoggiate al cancello, in attesa. In una giornata tipo di un detenuto, gli unici momenti in cui una persona si presenta di fronte alla sua cella chiusa sono quando portano il pasto e quando portano la posta, entrambi di vitale importanza: il pasto serve per nutrirsi e rimanere in vita, la posta invece è una finestra che, quando c’è, ti trasporta in una dimensione diversa, lontano dalla cella.

Soggetto anch’io di questo riflesso, appoggio la testa sulle sbarre del cancello, conscio che tra qualche minuto passerà la posta. Guardo il corridoio che fende silenzioso la nuvola di fumo e le voci delle persone chiuse. Tutti guardano attraverso i cancelli delle loro celle, si parlano, ascoltano e attendono ansiosi il tintinnio di chiavi e poi i passi che danno il segnale inconfondibile dell’arrivo dell’agente. Finché inesorabilmente accade e io trattengo il respiro. Nessuno respira più. Ovviamente non c’è posta per tutti. L’agente si ferma in qualche cella, salta le altre, e in fine ecco che arriva da me. Sì. Ce n’è una anche per me.

Fisso con lo sguardo le mani dell’agente che si muovono lentamente – lui ne ha del tempo da perdere, io pure – usa una penna Bic come tagliacarte per aprire la busta e ispezionarne il contenuto. Estrae una lettera stampata in blu, delle foto e un volantino del concerto di Ligabue. Constata l’assenza di materiale illecito (droga o armi) all’interno della busta, mi consegna la mia corrispondenza. Le lettere stampate in blu sono sempre della mia amica Maddalena, che spreme le cartucce della stampante fino all’ultima goccia.

Con Maddalena siamo diventati amici per lettera nel senso che ci scriviamo da tre anni, ma non ci siamo mai incontrati. La nostra corrispondenza è iniziata timidamente quando lei si era appena iscritta all’università ed ora, che è una bravissima ed entusiasta laureanda, le sue lettere sono diventate parte importante della mia vita, una dimensione speciale in cui entro scrivendo tutto il casino che mi passa per la mente durante quei momenti in cui si ha bisogno di un amico con cui parlare fino all’esaurimento di idee, di voce. E quando succede, a volte, di trascorrere un po’ di tempo senza scriverci, e passa qualche mese senza comunicare, sento come se si fosse creato un vuoto tra me e il mondo. Sento le mie giornate diventare diverse, più pesanti. Allora riempio subito una lettera di scuse per non aver scritto, e mentre la spedisco alla mia amica, mi arriva una sua, preoccupata per il mio silenzio.

Sin dall’inizio, per uscire dall’imbarazzo inevitabile causato dalle nostre vite così diverse, lei promise di scrivermi ogni volta che viaggiava e, devo confessare, le sue lettere sono sempre state di una bellezza straordinaria. Riesce ad affascinarmi con la semplicità con cui descrive i viaggi che fa insieme con amici, oppure i posti che visita con i suoi famigliari. Certo che, si tratti di visite ai musei con la mamma oppure concerti rock con gli amici, che abbia visitato le Alpi o l’Adriatico, in quei momenti il cuore mi batte forte come se fossi anch’io a saltellare al ritmo della musica in quel concerto rock, oppure comincio a sentire anch’io l’odore dell’acqua fresca del mare e i pizzichi del sale sulla pelle come se avessi appena fatto il bagno in un mare cristallino.

In realtà, la cosa che apprezzo di più è il poter leggere quelle sensazioni umane che provano in modo naturale le persone libere, poter rivivere anch’io quelle sensazioni che, per chi come me si trova in carcere, appartengono al passato, spesso dimenticato, e rimango incantato da questa normalità così straordinaria. Le sue riflessioni su ciò che la circonda, le parole sussurratemi sulle sue preoccupazioni più nascoste, mi rammentato di quella ricca esistenza che ognuno di noi porta dentro di sè. Può darsi che ciò mi causi un po’ di tristezza per non poterci sedere intorno ad un tavolo bevendo un bicchiere di vino e raccontarci le nostre piccole storie, ma sicuramente la considero una piacevole tristezza perché, a non avere qualcuno là fuori che ogni tanto mi pensa e che mi racconta la sua quotidianità, ci sarebbe soltanto ulteriore sofferenza.

Inizio a leggere la sua lettera scritta in blu. Il suo racconto mi descrive il viaggio da Milano insieme a due compagne dell’università. Visiono subito la scena della stazione ferroviaria e con la mente sto già percorrendo le strade di Bologna per recarmi al concerto di Ligabue. Questa band musicale si trova nella top list delle preferenze di Maddalena, ragione per cui il suo racconto è ancora più coinvolgente. Ci sono delle foto scattate in momenti di euforia che mi rendono ancora più partecipe, e, dato che ho anch’io un album di questa band dal titolo “Sopravvissuti e sopravviventi”, metto le cuffie e seguo il suo racconto accompagnato dalle note della musica. Le transenne sono quelle di sempre, sporche, storte ma efficienti per guidare e contenere il fiume di spettatori. Scelgo di essere più spettatore degli altri, e allora trovo un po’ di erba in un angolo su cui sedermi in pace, tolgo le scarpe e i calzini per sentire meglio sui piedi il contatto della natura e guardo da lontano le persone affollate sotto il palco, che cantano e ballano seguendo la famosa rockstar.

Tra loro c’è sicuramente la mia amica Maddalena che insieme alle sue amiche sta facendo pazzie, ma non cerco nemmeno di individuarla con lo sguardo, preferisco ammirare i colori e l’energia di quell’oceano di gente, preferisco continuare a pensare che sono anch’io lì, vicino a loro, e non morto in una cella di carcere. Ligabue continua a martellare nelle mie orecchie. Io continuo a tenere tra le dita questa bella lettera che si è trasformata in due ali e mi ha fatto volare per qualche minuto, nonostante il cemento armato e le sbarre di ferro, lontano da qui. Ora sopravvivere mi è più facile.

Leggo e rileggo il racconto di Maddalena finché Ligabue finisce i suoi tredici brani. Tolgo le cuffie, ripongo la lettera nella sua busta e ritorno nella mia quotidianità detentiva  un po’ più forte di prima, ritorno ad espiare la mia pena un po’ più sereno pensando che là fuori c’è ancora della luce, ci sono ancora delle persone che credono nel cambiamento di chi ha sbagliato, che aiutano i sopravviventi a sopravvivere, nonostante tutto. Questa mia strana amica, che non ho mai incontrato e che con molta probabilità non incontrerò mai, sta insegnando a me e a quelli che la circondano il valore della semplicità e della fiducia nel prossimo. Lei fa parte di quella categoria di persone che, invece di gridare “punizione” ostentando barbarie, insegna i valori della vita solamente con la propria esistenza e attraverso la semplicità della sua quotidianità.

 

 

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