Editoriale

 

Un hotel senza uno straccio di stella

 

Trenta. Questo è il numero trenta di Ristretti, e noi, in un momento in cui, nelle carceri, non c’è proprio da far festa, abbiamo comunque voglia di festeggiare, perché per un giornale realizzato dai detenuti uscire con regolarità, garantire una presenza forte e qualificata, allargare la propria attività fino alla realizzazione e alla gestione di un sito, è un grosso traguardo.

Eppure, siccome fin dalla nascita abbiamo deciso di ridurre al minimo ogni forma di autocompiacimento, anche questa volta scegliamo di esercitare la nostra capacità critica, cercando di vedere tutti i limiti e le debolezze della nostra esperienza.

L’abbiamo visto con le recenti proteste dei detenuti: i giornali del carcere sono fragili, intempestivi, non hanno la forza di mettersi insieme, non riescono a "esserci" nei momenti in cui gli altri, quelli che stanno fuori e dovrebbero essere liberi di fare informazione, sono assenti, pigri, sempre meno interessati a parlare di carcere. E così, la protesta si vede appena nella stampa e nelle televisioni nazionali, e noi ancora una volta arriveremo tardi.

Sono mesi, anzi anni che ci agitiamo per far nascere un Coordinamento delle realtà dell’informazione dal carcere, e sono anni che sbattiamo la testa contro le stesse difficoltà.

Il carcere, prima di tutto, è il regno della precarietà: una redazione è fatta di detenuti che oggi ci sono e domani potrebbero venire trasferiti, che oggi hanno voglia e tempo di dedicarsi al giornale, e domani sono costretti ad accettare un lavoro da scopino o portavitto per sopravvivere, che oggi sono lucidi e attenti, e domani entrano in crisi perché il magistrato gli ha negato la semilibertà o perché qualcuno in famiglia sta male e loro sono lontani e inutili.

Di fronte a questa precarietà, da fuori si fa pochissimo per dare un po’ di solidità alle esperienze di informazione dal carcere, semplicemente perché, probabilmente, nessuno ci crede. Non ci credono più di tanto le associazioni di volontariato, che hanno sempre sottovalutato l’importanza di informare su quello che "vedono" nei luoghi chiusi e ristretti dove sono attive, non ci credono le organizzazioni del terzo settore che lavorano con i detenuti ma, quanto a dare notizie sulla realtà nella quale operano, si limitano a dialogare con i giornali locali per veder pubblicato qualche articolo sulla loro attività.

Ci crediamo noi, ci crediamo in pochi: eppure l’obiettivo di un carcere più "trasparente" diventa sempre più urgente, se non altro per far vedere in quali hotel a cinque stelle vivono oggi i detenuti italiani. Vediamo allora di fare, ognuno, qualche piccola rinuncia sul piano della "visibilità" delle singole realtà e della "purezza" delle proprie posizioni, e mettiamoci un po’ più insieme.

 

La Redazione

 

 

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