Donne Dentro

 

Conflitti di famiglia

Qualsiasi genitore che si ritrova un figlio in carcere è disperato, ma quando arriva il momento del ritorno a casa succede che si smuovano sentimenti e si rompano equilibri che non è facile ricostruire

 

la testimonianza di Paola è stata raccolta da Ornella Favero

 

Il ritorno a casa è il sogno, il desiderio accarezzato da chi sta in carcere contando i giorni e immaginando il primo permesso. Eppure, proprio quello stesso ritorno a casa non è mai indolore, e anzi diventa spesso fonte di ansie, paure, insoddisfazioni. Specie quando non ci sono alternative chiare, e in una età in cui ognuno dovrebbe potersi permettere un po’ di indipendenza, il dopo carcere ti riserva solo una vita di seconda scelta. Di queste difficoltà abbiamo parlato con Paola in redazione alla Giudecca.

 

Ma com’è davvero il rientro in famiglia per una persona detenuta?
Io ho 44 anni, ho lasciato la mia famiglia d’origine per andare a stare per conto mio che ne avevo 20, ed ora sono costretta, quando vado in permesso, a tornare nella casa dei miei genitori, dove insieme a loro vivono anche mia sorella e mia figlia. Ovviamente ci sono dei grossi problemi perché, malgrado la mia famiglia pensi di aver superato, “digerito” la storia che è capitata a me, e la mia carcerazione, lasciando alle spalle il passato per guardare al futuro, molte cose rimangono irrisolte. Se io avessi i mezzi, la forza, il tempo per guardare ai problemi che ci possono essere sotto, forse sarebbe diverso: per esempio una persona come mia madre, che è una donna d’oro, non ha però gli strumenti per ammettere che, malgrado io sia sua figlia, sono una persona esterna a lei, troppo diversa da lei, e quindi certe cose non riesce a perdonarmele.
Che ci siano poi dei problemi nei rapporti tra madre e figlia, questo è un dato di fatto sempre, anche quando non ci sono situazioni “estreme” come quella capitata a me. Vi sono cose che in qualche modo una madre non perdona mai ad una figlia, questo fa parte della natura umana, ma nella mia storia in più ci dobbiamo mettere il fatto che io ho procurato a tutti delle sofferenze e creato una situazione spiacevole a livello sociale. I miei sono una famiglia regolare, non hanno mai avuto problemi con la giustizia, una volta mio padre voleva suicidarsi solo per essere andato, non per colpa sua, sul bollettino dei protesti. Il fatto quindi che io sia finita sui giornali ha creato in loro parecchio stress.
La necessità di tornare a casa di mamma crea dei meccanismi deleteri: dopo quattro anni di galera, quando mi hanno concesso un giorno di permesso ero molto contenta, ma già al secondo permesso, di tre giorni, cominciavo a sentire il peso della vita in famiglia, per questa specie di “non accettazione” da parte di mia madre che poi creava problemi a tutti.
A Natale ho fatto dieci giorni di permesso agli arresti domiciliari, sempre chiusa in casa: dopo 4/5 giorni volevo tornare in carcere perché la situazione era insopportabilmente tesa e falsamente felice. L’ultimo permesso invece almeno potevo uscire tre ore al giorno, e allora l’ho vissuto molto meglio, nonostante ci sia stato un battibecco pesante, a tavola, con mia madre, al punto che mio padre le ha detto duramente che, se non mi voleva in casa, era meglio se me lo faceva sapere chiaramente, così rimanevo dov’ero. Quindi non è un disagio che vivo solo io, ma anche mio padre, mia figlia, mia sorella, però è chiaro che è soprattutto mia madre che non mi perdona.
Il fatto è che mio padre mi ha detto subito che gli avevo fatto del male, mia madre invece non ha mai avuto il coraggio di farlo, è come se volesse rimuoverlo in qualche modo, per cui il clima che sento intorno a me è spiacevole per uno che ritorna a casa. Fra un po’ chiederò l’affidamento, ma mi sono già trovata un’altra sistemazione perché non voglio andare a stare con loro: mi farebbero pagare minuto per minuto le mie colpe. Io credo che, se uno è costretto a tornare dai suoi genitori, deve essere consapevole che il rapporto difficilmente regge alla convivenza forzata del dopo carcere. Finché si sta in carcere, le cose sembrano andare benissimo, per esempio mia madre quando viene qui a trovarmi è una persona deliziosa, ma è il dopo carcere che ti riserva sempre sorprese poco gradite.

 

Ma capita spesso che la famiglia d’origine ti presenti il conto dopo, quando torni a casa a fine pena? Mi pare di capire, anche da altre storie, che nella fase nella quale tu sei in carcere in qualche modo i parenti stringono i denti, ma ho l’impressione che alla fine poi, quando sei fuori, ti facciano un po’ pagare tutto.
Sì è vero, si accumula tutto. Ho parlato con mia sorella di questa cosa e lei mi ha detto di non preoccuparmi e di guardare avanti, che ormai quello che è stato è stato! Io vedo però che anche lei, che non è mia madre, in qualche modo più si avvicina il momento del mio ritorno a casa più inizia ad essere pressante. Sono piccole cose ed io me ne accorgo, ma non gliene faccio una colpa.
Io ho ragionato molto sull’esperienza che ho fatto in carcere e sui rapporti che ho con le persone, mentre loro non hanno avuto la possibilità di affrontare una riflessione più profonda su quello che mi è successo. Ho la sensazione però che pian piano mi faranno pagare tutto, ed è per questo che penso seriamente di non poter tornare a casa. Non posso tornare da mia madre, piuttosto vado sotto un ponte, ci sarà un motivo perché mi chiamano la barbona!!! Mi dispiace, ma è una cosa che non posso fare proprio perché devo salvaguardare il mio benessere psicologico e soprattutto quello della mia famiglia. Io non ho mai voluto pesare su di loro, in questo momento però ne avrei bisogno, ma ho deciso che in ogni caso quando uscirò piuttosto andrò a fare la carità, le braccia buone le ho e posso affrontare qualsiasi lavoro, so che mi arrangerò.
Mia figlia ha 19 anni, non si droga, non beve e non fa cazzate, e di questi tempi è già qualcosa di positivo, ma vedo che quando vado a casa “sballo” anche lei. Lei poi gradualmente si abitua alla mia presenza, ma se uno ha un po’ di sensibilità le difficoltà e gli imbarazzi li sente. Quando arrivo a casa mi accorgo subito che si creano molte tensioni sotterranee, e lei, avendo da tempo un certo equilibrio con i nonni e mia sorella, si ritrova con me che sono il quinto incomodo e che le rovino proprio questo equilibrio, e quindi il fatto che io vada in permesso le crea senz’altro dei problemi.
Nel momento in cui uscirò ho bisogno di un posto mio dove lei possa avere un rapporto con me, perché oggi il rapporto tra me e mia madre è estremamente conflittuale e lei si trova in mezzo.
Mia madre se deve lamentarsi parte da mia figlia, mi ricorda che deve sempre darle soldi per farmi capire che io non ci sono e che è lei che deve farle da madre. Tutto questo senza mai dirmelo chiaramente, perché se almeno lo facesse chiaramente si libererebbe anche lei. Io so che sono quelli i motivi, però lei non lo ammetterebbe mai: ci sono persone che non vogliono mai ammettere che hanno qualcosa da far pagare ai propri figli. Però è quello il meccanismo, tu mi hai fatto soffrire e adesso devi pagare.
Se io stessi in casa il rapporto tra me e mia figlia sarebbe difficilissimo. Se le dico qualcosa infatti non va mai bene. Un giorno con due parole l’ho fatta quasi piangere e mia madre le è corsa dietro a giustificarla, mentre se è lei a dirle qualcosa io non posso intervenire, e poi subentra la gelosia e la paura che io voglia fare davvero la madre, portando via a lei questo ruolo.

 

Prima che tu andassi in carcere, tua figlia stava già con i nonni?
Sì, però io ero presente, non la tenevo in casa con me ma andavo tutti i giorni da lei. Ora se io le dico qualcosa lei lo accetta perché sa che con me può parlare, e questo mia madre lo vede come un pericolo, quindi lei gioca una carta strana concedendole un po’ di più di quello che faccio io. E siccome io non voglio mettermi in gara con mia madre per conquistare mia figlia, a questo punto voglio pensare solo al bene di mia figlia: che lei veda sua nonna come figura materna o che veda me in questo ruolo è indifferente, l’importante è che cresca una persona di un certo tipo, e io sono consapevole che l’educazione è una cosa che può darle anche una persona estranea, non è che per forza deve dargliela la madre naturale.
Io poi non credo al detto: “I figli son piezzi e core”, perché ci sono tantissime cattive madri. Ma se tu vuoi il bene per tuo figlio, devi anche riuscire a toglierti l’egoismo di essere vista a tutti i costi come madre. Io non l’ho fatta, la madre, per 4 anni, e non posso pretendere di farla adesso. Quello che posso fare è dare un piccolo aiuto, solo che in questa situazione si creano troppi attriti, e quindi oltre a pagare il fatto di aver fatto soffrire la famiglia entra in gioco anche questa nuova difficoltà.

 

Il fatto che uno a fine pena si ritrovi con un’ulteriore pena in famiglia è forse una cosa che va al di là del discorso dei figli. Anche nel rapporto tra marito e moglie ho visto spesso situazioni simili. Io poi penso che, quando uno è in carcere, in ogni caso la famiglia dovrebbe essere seguita. In Francia c’è una rete di sostegno composta da psicologi, educatori ed altre figure professionali che accompagnano e seguono i figli dei detenuti. Mi sembra una cosa importante, perché a volte la persona detenuta in carcere riesce a crescere, a rimettersi in discussione, mentre la famiglia resta sempre uguale a se stessa. Poi a fine pena esce dal carcere una persona diversa e si ritrova una famiglia che è quella di prima. Ma tua madre nega di avere dei problemi con te o se ne rende conto?

Lei nega ma, da quel giorno che mio padre le ha detto che se non mi voleva in casa me lo dicesse chiaro e tondo, ha cambiato atteggiamento nei miei confronti. Quando viene qui a trovarmi mi abbraccia, è affettuosa, ma quando sono a casa la sento rigida, pronta a negare il problema, e le sue scusanti sono che è nervosa perché ha sempre troppo da fare e non perché ce l’ha con me.

 

Secondo te come bisognerebbe affrontare il problema dei rapporti in famiglia?
Ho fatto una lunga esperienza di detenzione in Germania, non mi è piaciuta, è un carcere duro, ma devo dire la verità, che alcune cose funzionano meglio lì: intanto qui in pratica possono venire a trovarti soprattutto i famigliari, puoi telefonare solo a loro, sembra che in Italia esista unicamente la famiglia. In Germania lo Stato, con tutti i difetti che può avere, però ti sostiene nel momento in cui tu esci, ti aiuta a trovarti una casa, a pagare l’affitto, a cercarti un lavoro. Nei primi mesi ti danno dei soldi per rimetterti in piedi. In quel momento non hai nessuna dipendenza dalla famiglia e quindi riesci a ricominciare la tua vita camminando sulle tue gambe.
Io ho due amiche con cui mi scrivo ancora e ormai sono più di due anni che sono fuori e vivono senza il bisogno della famiglia. La loro madre la vanno a trovare, ma se avessero dovuto tornare a vivere con i genitori sarebbe stato un disastro. Credo che qui in Italia lo Stato latiti, e poi questa importanza che si dà alla famiglia è eccessiva, quando spesso, parliamoci chiaro, è proprio dalla famiglia che si creano i problemi. Beh non tutti, ma il fatto di costringere una persona a 40 anni, dopo aver fatto delle “cazzate”, a rientrare per forza in famiglia, perché è questo che sei costretto a fare quando esci dal carcere, crea dei problemi che di solito nessuno è preparato ad affrontare, né tu né le persone a casa. E lì succedono i disastri.

 

 

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