Controinformazione

Dall’emozione alla notizia

Le cose non cambieranno finché il lettore non si dimostrerà

stanco di gossip, di finti scandali, di cronaca nera e rosa

 

di Sergio Frigo

giornalista e direttore di Cittadini dappertutto

 

La situazione nei media

 

Le difficoltà incontrate dal volontariato nel comunicare attraverso i media sono il risultato diretto del fatto che un giornale o un programma televisivo sono soprattutto, se non esclusivamente, dei “prodotti”, regolati da leggi commerciali e non da motivazioni etiche o pedagogiche. Dovendo imporsi all’attenzione su una miriade di altri prodotti concorrenti, i media utilizzano gli strumenti dell’enfasi, del divertimento, dell’allarme sociale, sia nella confezione che nei contenuti. Ma, avverte il grande giornalista polacco Kapuscinski, di divertimento il giornalismo rischia di morire.

Rispetto al passato il giornalista oggi non va quasi più nel territorio. Muovere un inviato è costoso, ed è costoso anche lasciare un cronista ad approfondire un tema per quattro o cinque giorni, per poi trarne un’inchiesta o una campagna di stampa. Al giornalista “moderno” l’editore e il direttore richiedono soprattutto che sappia gestire, con rapidità e affidabilità, l’impaginazione elettronica, cioè una combinazione di titoli, foto, articoli, molto spesso realizzati da collaboratori esterni, oppure ricavati dalle agenzie di stampa. Gran parte delle notizie pubblicate da un quotidiano, così, non sono più di prima mano, né raccolte sul posto, ma sono sempre più spesso frutto di telefonate, ricerche su internet, consultazioni d’archivio, elaborazioni di dispacci di agenzia.

Nella società dell’immagine che sta soppiantando la società della scrittura, la grafica prevale sui contenuti, piuttosto che sulla qualità della scrittura e l’originalità degli argomenti. La specializzazione e l’approfondimento sono ormai considerati più un difetto che un vantaggio, in un momento che sembra premiare il disimpegno e la frivolezza. E la libertà di giudizio del giornalista - e la sua coerenza - rischiano così di essere considerate, piuttosto che una risorsa, un pericolo per gli interessi politici ed economici di chi possiede o controlla i giornali.

La pubblicità tende ad assumere un peso crescente, fino ad influenzare le scelte editoriali dei media: un classico è l’inserzionista che minaccia di ritirare gli investimenti pubblicitari sui propri prodotti finché non verrà smentito un articolo o un servizio televisivo (perfettamente documentati) che denunciano l’inquinamento determinato dai suoi processi produttivi. Su questo terreno metterei anche la morsa della politica: capita a volte che di un’iniziativa di scarso rilievo si debba dare notizia con ampiezza solo perché è promossa da un amministratore pubblico, che ha stretto accordi con la proprietà di un giornale o di una tv.

Certo noi giornalisti non siamo esenti da colpe: la nostra pigrizia intellettuale è proverbiale, e la nostra contiguità con il potere, senza essere potenti anche noi, e con la ricchezza senza essere ricchi, ci rende la categoria forse più permeabile alle lusinghe del potere e della ricchezza. E a questo proposito vorrei segnalarvi la situazione infelice del giornalista sensibile ai temi sociali, che per definizione non riesce a rispondere adeguatamente né alle richieste della sua gerarchia, che vuole da lui altre notizie, né alle aspettative dell’associazionismo, che non ha mai sui media i riscontri che si aspetterebbe di avere.

La Verità non c’entra molto in tutto questo: ma già Dostojevskij, ne “I Demoni”, diceva che per rendere la verità più verosimile bisogna assolutamente mescolarvi un po’ di menzogna. I risultati però si vedono, in particolare nella perdita di copie dei giornali, scesi ormai verso i cinque milioni di copie vendute, come all’inizio del secolo scorso. Senza contare la disaffezione e la perdita di credibilità della nostra categoria, che emerge da tutti i sondaggi.

 

Un diverso approccio

 

Le cose potrebbero andare diversamente? I media potrebbero servire a sviluppare una coscienza nuova e più attenta ai temi sociali? Potrebbero sì, ma non lo faranno fino a che non si dimostrerà redditizio. Centrale è il ruolo del lettore, in quanto cliente: le cose non cambieranno finché il lettore non si dimostrerà stanco di gossip, di finti scandali, di cronaca nera e rosa e non pretenderà di esser informato con serietà e precisione sulle questioni che investono direttamente la sua vita.

Se invece continuerà a voler essere solo divertito dai media, l’unica strada rimarrà quella della scelta individuale del giornalista: il famoso giornalista sensibile o troverà un giornale ad hoc (oppure se lo fa, come ho fatto io con la rivista Cittadini, salvo poi trovarsi in mezzo al guado come noi adesso), oppure cercherà di “imbrogliare” - lo dico in senso buono e tra virgolette - i suoi capi e gli stessi lettori, tentando di travestire come cose divertenti argomenti che in realtà sono impegnativi e seri.Far diventare, in altre parole, il divertimento mezzo e non fine.

Qui ci vuole grande professionalità, fantasia, fatica, perché raccontare il sociale è obiettivamente difficile. Si tratta di imparare a far pensare il lettore senza annoiarlo, avvincerlo anche parlandogli di cose drammatiche, e per questo - se non soccorre la leggerezza - bisogna ricorrere all’emozione.

Attenzione a non demonizzare questa parola: se non c’è emozione, che è garanzia di coinvolgimento, non c’è notizia. E di nuovo, nel sociale c’è più impegno e fatica che emozione.E non demonizzerei nemmeno il ricorso alla personalizzazione, che è un altro dei sistemi giornalistici con cui si può attirare e coinvolgere il lettore su temi impegnativi. Si tratta comunque, per i singoli operatori dell’informazione, di una strada in salita, un lavorare in controtendenza.

 

Il ruolo del volontariato

 

Allora bisognerebbe che il famoso giornalista sensibile ai temi sociali si trovasse vicino qualcuno che lo sostiene nella sua dura lotta quotidiana per raccontare la realtà com’è, invece che truccarla per divertire o spaventare. E chi meglio del cliente-lettore, che ha anche tutto l’interesse ad essere informato correttamente e con completezza? Io non credo al giornalista pedagogo, che educa il lettore ma in realtà lo fa scappare. Credo piuttosto nel lettore pedagogo, che educa il giornalista a raccontare le cose come stanno. Ma in che modo? Qui entrate in campo voi operatori del sociale.

Cambiamo prospettiva, immaginiamo che il giornale non sia il prodotto, come dicevamo prima, ma il negozio, che vende di tutto. E immaginiamo che il prodotto siate voi, le vostre associazioni, i vostri convegni, i cicli di dibattiti, l’assistenza agli anziani eccetera. Se fate delle rivendicazioni al giornale o alla tv perché non vi danno spazio, vi possono rispondere - come in un negozio - che il vostro prodotto non vende, che i clienti non lo prendono dagli scaffali.

Prima cosa, dunque, bisogna fare un buon prodotto, e questo lo diamo per scontato, a buon prezzo, e presentarlo bene. Questo significa, visto che il prodotto di cui stiamo parlando è la notizia, imparare a fare notizia, cioè imparare a valorizzare quello che fate, aprirvi e non richiudervi nelle vostre logiche interne, rapportarvi con la società, intervenire tempestivamente sugli avvenimenti.

Importante è la fruibilità, cioè sapervi presentare al giornale con notizie o comunicati che siano immediatamente comprensibili, senza contraddizioni di date o di luoghi, con riferimenti telefonici precisi, in modo che il giornalista non debba perdere troppo tempo se vuole rielaborare o approfondire la cosa.

Ma voi avete il privilegio, rispetto ai normali produttori-venditori, di essere anche acquirenti, cioè a vostra volta lettori. E in quanto lettori potete sì intervenire sul gestore del negozio, chiedendo un determinato prodotto, e minacciando di cambiare negozio se non ve lo procura. E se siete i soli a minacciare, se ne farà una ragione, ma se siete in tanti, deve cambiare strategia di vendita. Ma bisogna farlo sapere, non semplicemente abbandonare il prodotto.

Nel concreto: credo che ci si dovrebbe organizzare come lettori. Rappresentanti di associazioni o semplici cittadini che mettano insieme dei gruppi di lettura, per acquisire competenze nell’analisi dei giornali o dei programmi radiotelevisivi, confrontare le diverse testate, e poi avviare delle rivendicazioni se il risultato è deludente: lettere, petizioni, sciopero mirato dell’acquisto, campagne pro o contro questo o quel giornale, questo o quel programma. Ad esempio: perché si danno solo 20 righe di una nostra iniziativa e due pagine per la querelle Ventura-Bettarini? Perché si fa la cronaca di un convegno con 10 persone e un assessore, e non con quello dove l’assessore non c’è ma ci sono veri esperti e un centinaio di persone?

In questo modo non solo migliorerete i giornali e i telegiornali nella scelta delle notizie, ma anche aiuterete il famoso giornalista sensibile a far carriera. E magari nel futuro vi troverete di fronte dei direttori più attenti alle vostre proposte.

Omicidi in diretta

La stampa, gli impietosi assalti al dolore e la sua spettacolarizzazione. Quando accade un fatto di cronaca nera si apre subito la caccia ai parenti della vittima, con metodi ben lontani dalla delicatezza e dal rispetto che si dovrebbe a persone così duramente colpite dalla perdita di un proprio caro

 

di Stefano Bentivogli

 

Di fronte ad un fatto gravissimo come un omicidio ci sono molti modi di fare informazione. Si possono sterilizzare i fatti facendone il più possibile cronaca, si può cercare di far conoscere per quanto possibile la vittima e l’assassino, far conoscere l’ambiente nel quale è maturato il crimine. Il tentativo dovrebbe sempre essere quello di informare, far capire, fornire comunque dei riferimenti che aumentino la conoscenza di un fatto grave che, in quanto tale, deve essere ben compreso per essere pubblicamente condannato.

L’informazione oggi arriva ormai principalmente dalla televisione ed è principalmente dentro il piccolo schermo, attraverso messaggi sempre più in tempo reale, che la gente si fa un’opinione, un’idea ed un sentimento nei confronti di quanto accade. La tendenza ormai generalizzata è proprio quella di essere sempre in diretta o quasi. C’è la paranoia di mostrare subito e soprattutto prima degli altri, quasi il fattore tempo fosse diventato l’unico indice di qualità del messaggio. Ma quando c’è stato un omicidio, capita di assistere a telegiornali - ma anche a programmi-contenitore pomeridiani - le cui modalità dovrebbero veramente cominciare a far discutere.

In genere ancora non si sa bene come siano andate le cose che già vengono tracciati scenari ed ipotesi su vittime e colpevoli, con le prime che purtroppo non sono più in vita ed i secondi che in genere sono o ignoti o già nelle mani delle forze dell’ordine. È difficile anche stare ai fatti, spesso non ci sono testimoni diretti e gli inquirenti tengono la bocca cucita per proteggere l’indagine… beh, qualche cosa scappa sempre ma mai che si sappia chi contravviene alla riservatezza che è comunque imposta.

 

Il massimo viene raggiunto quando ad una parente viene chiesto se ha intenzione di perdonare i familiari dell’omicida…

 

Al giornalista televisivo avido di fotogrammi da sparare in faccia al pubblico non resta che inventare, o meglio creare, produrre comunque qualcosa a prescindere dal fatto che sia informazione o meno. Si apre la caccia ai parenti della vittima e, ben lontani dalla delicatezza e dal rispetto che si dovrebbe a persone così duramente colpite dalla perdita di un proprio caro, si procede alla produzione di servizi video che passano repentinamente dal cinismo alla stupidità. “Come si sente? Quando lo ha visto l’ultima volta (riferito alla vittima)? Che cosa le ha detto?”…Queste sono alcune delle domande rivolte spesso ai familiari di una persona assassinata il giorno prima.

A volte, perché non tutti cedono a questo obbligo a presenziare non si sa per chi e per cosa, i familiari non sono disponibili a dare in pasto alle telecamere il loro dolore, allora si passa più alla larga e, come ho visto di recente, si arriva ad intervistare l’amico del fratello della ragazza uccisa: qualcosa bisognerà pure mandare in onda. A quest’ultimo si chiede, visto che al cronista è andata buca con i familiari più diretti: “Ma che tipo di ragazza era?”. E l’amico del fratello: “Bella, una bella ragazza con dei bellissimi capelli”. In realtà continuano a far vedere la foto ed i capelli ormai li conoscono tutti, l’intervista non ha per niente pathos, occorre calcare la mano: “Hai incontrato il fratello? Cosa ti ha detto?” E l’amico: “Me l’hanno uccisa. Anzi, ha detto me l’ha uccisa”.

Ma il massimo viene raggiunto quando ad una parente viene chiesto se ha intenzione di perdonare i familiari dell’omicida… il giorno dopo il fatto.

 

Resta la sensazione che ormai il senso etico e la professionalità dei giornalisti siano sempre più subordinati ad esigenze di cassa

 

Possibile che di una storia così assurda e grave si debba fare un uso così commerciale, che non ci sia alcun rispetto per queste persone oltre che per la vittima stessa? Tecnicamente vengono usate le stesse modalità dell’intervista gossip e non c’è un minimo di attenzione ai sentimenti di questa gente. Il loro stato d’animo viene sparato sullo schermo con primi piani e sottofondi musicali struggenti, quasi che quel dolore avesse bisogno di una colonna sonora, come nelle fiction. Invece quella è gente vera che soffre veramente. Al loro dolore prima o poi si dovrà tentare di dare una soluzione, non ci si potrà accontentare della lacrimuccia in poltrona e… avanti col prossimo filmato. Sì, perché di solito questi che si preoccupano dell’eventuale perdono a poche ore dal delitto, solo per ricordare a tutti che perdonare è praticamente impossibile, si spacciano per i difensori delle vittime contro uno stato che non le tutela ed una giustizia che è sempre dalla parte dei colpevoli.

In realtà è solo gente che fa i propri affari in maniera non tanto pulita. Si presentano ai processi e si avventano di nuovo sui parenti per chiedere quale è la pena che l’imputato dovrebbe avere, pur sapendo che neanche la pena capitale potrà mai risarcirli per quello che hanno perso. Dimenticano che la pena non può essere proporzionale al bisogno di vendetta delle persone danneggiate, perché sennò avremmo delle differenze di trattamento tra chi uccide uno stimato cittadino e chi uccide un barbone senza nessuno al mondo.

Poi una volta spenti i riflettori, ad omicida condannato, spariscono lasciando il disastro provocato dal crimine peggio di prima. I danneggiati, illusi da tanta visibilità, restano con lo stesso dolore e lo stesso rancore, dal quale, a questo punto, troveranno sollievo ancora più difficilmente. I colpevoli, invece, si troveranno con una condanna spesso aggravata perché condizionata dai clamori mediatici creati solo per guadagnare ascolti.

Si tratta di reati che lasciano aperti grossi conflitti, che se non risolti, o almeno attenuati, danneggiano ulteriormente tanto i parenti delle vittime quanto i colpevoli. Non a caso c’è chi prova ad ipotizzare momenti di mediazione penale, ossia di spazi dove il dolore dei parenti, vittime anche loro, possa essere messo davanti ai colpevoli. Ma alla mediazione pochi si interessano perché non fa audience, e poi non è una cosa semplice né sempre realizzabile. Comporta un’attenzione reale ai soggetti coinvolti con un’attenta presa in carico dei sentimenti di rancore ed odio da una parte, e dall’altra, spesso, di rimorso e di disagio per aver commesso qualcosa di irreparabile.

Si potrebbe obiettare che questo non è il compito di chi fa informazione, ed in parte è vero, ma resta comunque ancora da capire quale senso abbiano questi impietosi assalti al dolore e la sua spettacolarizzazione. A me resta la sensazione che ormai non si sappia più come riempire i palinsesti, che il senso etico e la preparazione professionale dei giornalisti siano sempre più subordinati ad esigenze di cassa, il tutto a discapito di un’informazione che produca vera condanna sociale di questi eventi, ma anche riflessione. Quest’ultima non avviene mai con la TV dei sentimenti in diretta, chiusi in se stessi, ma con la scrupolosa conoscenza dei fatti e della dimensione umana di tutti i protagonisti della vicenda, e soprattutto con il rispetto assoluto di queste persone il cui dolore e la cui umanità non possono diventare merce da manipolare.

I primi passi della Federazione Nazionale dell’Informazione dal carcere e sul carcere

La fatica di lavorare insieme, l’importanza di migliorare la qualità del proprio lavoro, la voglia di contare di più: per tutto questo i giornali che escono dalle carceri italiane cercano di diventare una rete di informazione efficace, puntuale e coraggiosa

 

di Stefano Bentivogli

 

 

La Federazione Nazionale dell’Informazione dal carcere e sul carcere, alla quale ha dato vita Ristretti Orizzonti, insieme ad altre realtà importanti dell’informazione presenti nelle carceri italiane, continua a muovere i passi necessari ad una sua costituzione formale e ad un consolidamento delle sue attività. Nell’ultimo incontro tenutosi a Firenze il 16 aprile 2005 Ristretti Orizzonti è stato delegato a gestire la segreteria di questa organizzazione neonata. Carla Chiappini, responsabile di “Sosta Forzata”, giornale del carcere di Piacenza, si occuperà dei rapporti con l’Ordine dei Giornalisti, Carmen Bertolazzi, in rappresentanza della “Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia”, dei rapporti con le istituzioni e Sergio Segio, dell’associazione “Società InFormazione”, dei rapporti coi media. Sul sito www.ristretti.it è possibile leggere tutta la documentazione prodotta finora, compresa la “bozza di documento programmatico” che sintetizza gli obiettivi che la Federazione si propone, di cui riportiamo uno stralcio.

 

Gli obiettivi della Federazione:

promuovere una cultura di rispetto della legalità all’interno degli istituti di pena, sia da parte dei detenuti, sia da parte degli operatori tutti e dell’istituzione in quanto tale;

sensibilizzare il territorio sui valori della tolleranza, della solidarietà e della pace;

far maturare tra i detenuti la consapevolezza del proprio ruolo sociale e delle proprie risorse.

 

La Federazione intende attivarsi concretamente per:

rafforzare e valorizzare le esperienze di informazione dal carcere e sul carcere e favorire la nascita di nuove realtà;

reperire risorse economiche per sostenere le attività di informazione dal e sul carcere, sia a livello locale, sia di coordinamento nazionale;

coordinare iniziative e campagne di informazione, anche di denuncia politica e di proposta legislativa, su temi specifici inerenti la realtà carceraria e il reinserimento sociale dei detenuti. Modalità programmatiche di queste iniziative sono quelle del lavoro di rete e della costante ricerca di alleanze e operatività comune con altre forze e soggetti sociali, associativi e sindacali;

favorire la realizzazione di prodotti e servizi giornalistici di qualità, anche attraverso momenti di approfondimento e verifica (seminari, workshop, etc.);

organizzare la formazione di operatori volontari o istituzionali, perché attivino, partecipino o consolidino iniziative redazionali di giornalismo negli istituti penitenziari;

promuovere la registrazione delle Testate giornalistiche dal carcere presso il Registro del Tribunale delle singole province, anche per garantire loro una maggiore autonomia nella gestione e diffusione dell’informazione;

ottenere il riconoscimento e il sostegno della Federazione Nazionale Stampa Italiana, dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti e della Federazione Italiana Editori;

implementare i rapporti con associazioni, enti e soggetti sociali del territorio che operano negli istituti penitenziari, attraverso stipula di accordi, convenzioni, etc.

Per sostenere l’attività abbiamo presentato un progetto alla Cassa delle Ammende, che consentirebbe di ottenere le risorse necessarie a costruire rapidamente una rete nazionale per la comunicazione tra le redazioni dei giornali nelle carceri e con gli altri mezzi di informazione.

Il lavoro intanto va avanti lo stesso, e c’è bisogno di darsi da fare perché dal carcere arrivano sempre meno notizie. Francesco Morelli, il detenuto che per l’Ufficio Stampa di Ristretti Orizzonti si occupa del dossier “Morire di Carcere”, continua ad avere difficoltà nel reperire le informazioni sulle morti delle persone detenute, eppure controlla quotidianamente la stampa nazionale. Spesso di tanti casi si riesce ad avere notizia solo attraverso altri detenuti o loro parenti e dopo diverso tempo. I mezzi di informazione ormai si dimenticano dei “morti di carcere”. Se si osservano le rassegne stampa si trovano quasi solo notizie riguardanti le iniziative ricreativo-culturali che, pur se importanti, non rappresentano certo la situazione delle carceri italiane, anzi qualche volta ne rendono un’immagine da “parco giochi” che è ben lontana dalla realtà. Per completare il quadro invitiamo tutti a navigare dentro l’area “Pianeta carcere” del sito del Ministero della Giustizia: è per la maggior parte aggiornato ad ottobre 2004, decisamente lontano questo “pianeta carcere”. C’è quindi bisogno di portare all’attenzione della gente quello che sta succedendo dietro le mura dei penitenziari italiani perché la situazione è allarmante.

Il 2005 dovrebbe essere un periodo di rodaggio, per le redazioni dei giornali realizzati in carcere, sulla loro capacità di funzionare in rete e di migliorare la qualità del loro lavoro. Per cominciare davvero a lavorare insieme, abbiamo allora pensato, a cinque anni dall’entrata in vigore del regolamento di esecuzione dell’Ordinamento penitenziario (D.P.R. 230/2000), di avviare una verifica sullo stato di applicazione della legge. Abbiamo inviato a tutti gli aderenti alla Federazione un questionario dove si chiede di descrivere, in riferimento agli articoli della legge, la reale situazione dell’istituto di pena.

Cinque anni era il tempo massimo previsto per l’attuazione della parte riguardante la ristrutturazione degli edifici e delle celle ed abbiamo il sentore che si sia fatto veramente poco, ma anche la parte restante del regolamento, quella che doveva essere applicata da subito, è rimasta in gran parte sulla carta. Pensiamo che sia giusto dare il nostro contributo per capire meglio come stanno le cose, ma anche perché vengano fornite delle risposte su cosa si vuole fare per il futuro e che queste risposte diventino impegni per chiunque si trovi a governare nella prossima legislatura.

 

 

Per informazioni su questa iniziativa contattare Stefano Bentivogli

e-mail benty63@yahoo.it

 

 

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