Le prigioni degli altri

 

Espulso a vita dalla terra in cui è nato

 

Nato in Germania da immigrati italiani, ha accettato di "barattare" una pena in carcere con l’espulsione dal paese. Ma ora ne è pentito

 

Testimonianza raccolta da Nicola Sansonna

 

Giuseppe Colangelo, per gli amici Pino, ha una storia particolare. Nato nel ‘71 in Germania, a Bensberg, da genitori immigrati di seconda generazione, a sedici anni rifiuta, pur avendone diritto, la cittadinanza tedesca, per una specie di orgoglio nazionale legato al passato della sua famiglia. Entra in carcere da minorenne per piccoli reati, e poi da maggiorenne finisce di nuovo dentro per reati contro il patrimonio, gli viene proposta l’espulsione a vita dalla Germania, al posto della galera. Accetta, e di fatto ora si trova nella condizione di non poter più tornare nella sua terra natale, dove ancora vivono i suoi genitori. Quella che segue è la sua testimonianza.

 

Negli anni settanta la mia famiglia, d’origine pugliese, si trasferì in Germania perché in Puglia non c’era lavoro. Già mio nonno era immigrato in Germania tra gli anni ‘50-’60 e aveva lavorato lì per molti anni. I miei genitori si sposarono giovanissimi, avevano 16 anni quando, neosposi in Italia, seguirono le orme del nonno paterno, per cercare fortuna in quel paese, dove trovarono entrambi lavoro, mio padre come meccanico tornitore e mia madre in una fabbrica che produceva oggetti in plastica. Nel 1969 è nata mia sorella Teresa e nel 1971 io.

Entrambi frequentammo lì la scuola, ottenendo la licenza che è l’equivalente della terza media italiana (io la presi in collegio), e poi io mi iscrissi a una "scuola tecnica": muratura, pittura, elettricista. Alla fine dei tre anni potevi scegliere su quale dei tre rami prendere la specializzazione.

Mio padre e mia madre con i risparmi misero su un esercizio di vendita di abbigliamento per uomo e donna. Dopo anni di sacrifici nel 1990 rilevarono un bar, cominciando così a condurre una vita decorosa ed abbastanza agiata. Attualmente mio padre ha un ristorante e mia madre lavora come infermiera specializzata. Per quanto riguarda me, avevo avuto a quindici anni i primi problemi con la legge, per piccole cose: risse, furtarelli. In Germania non ti mettono subito in galera, ma in collegio. In seguito finii anche in un carcere minorile ed a 18 anni in quello per maggiorenni, sempre per piccoli reati.

Nel 1991 sono stato arrestato per rapina aggravata, ricettazione e furto; tra tutto accumulai cinque anni di galera. Mi portarono a Wuppertal, a cinquanta chilometri da Colonia. Pur essendo un carcere di sicurezza, il trattamento non è male. All’entrata in carcere ci sono delle accurate visite mediche ed una buona assistenza medica durante la detenzione. Le sezioni sono aperte, in cella al momento che entri non hai niente oltre alla branda al tavolo e lo sgabello, ma puoi comprarti il televisore, l’antenna, lo scalda acqua, lo stereo della misura di 70 X 30 cm. Il lavoro è obbligatorio, e si possono ricevere dei pacchi dai nostri familiari. Se uno non ha niente c’è una rete di assistenza di volontari, a me i preti mi portarono un piccolo televisore in bianco e nero e me lo lasciarono, finché non percepii il primo stipendio e potei acquistarmene uno a colori.

Restai a Wuppertal circa otto mesi, poi mi fecero la proposta di andare in un carcere aperto nel nord della Germania, sempre vicino a Colonia, dove avrei potuto diplomarmi, finendo la scuola edile, e sarei stato anche pagato. Ma non feci in tempo a prendere la prima busta paga. Scappai dopo neanche un mese. Dopo un mese e mezzo mi ripresero, anche perché non avevo alcuna esperienza di latitanza. Mi portarono a Remsheid, che è un carcere di media sicurezza per definitivi. Quando sei definitivo non puoi tenere i tuoi indumenti personali. Ti è concessa solo una tuta. Tutto il resto dalla biancheria, ai calzoni, alle giacche è del carcere, ed è tutto siglato con il tuo numero di matricola. Là non mi trovavo male. Gli agenti erano in maggioranza donne e facevano servizio anche in sezione. Con noi italiani si comportavano molto bene e non ho mai avuto problemi. In cella potevamo, volendo, anche lavorare a cottimo, montavamo dei giocattoli. Più lavoravi e più guadagnavi, potevi prendere sino a mille marchi il mese e la spesa era illimitata.

Dopo un anno e mezzo che ero lì lavoravo, avevo la stanza singola e facevo regolari colloqui con la mia ragazza. Una sera mi chiamarono in matricola e mi chiesero che intenzioni avevo una volta ritornato in libertà. In Germania verso la metà pena ti lasciano uscire libero, con qualche obbligo. Per me era un po’ diverso, perché avevo un’evasione alle spalle che limitava la possibilità dei benefici. Ma loro mi proposero di uscire e lasciare la Germania, in cambio non avrei scontato il resto dei tre anni di galera. Il trucco stava nel fatto che non avrei mai più potuto mettere piede nella Repubblica Federale Tedesca.

Avrei avuto il timbro di diffida definitiva sul passaporto. Accettai. Non avevo più nessuna voglia di farmi la galera. Ripensandoci ora, ad anni di distanza, credo di avere fatto una cattiva scelta, perché successivamente in Italia sono caduto nella droga pesante, ed ho accumulato otto anni di galera, per reati legati alla tossicodipendenza. Ho ancora alcuni processi da fare. Quando mi fu data l’espulsione dalla Germania, pur essendo nato lì, non esisteva ancora il trattato di Schengen sulla libera circolazione dei cittadini europei. Ora mi domando: chissà se un domani potrò ancora tornare in Germania? In Italia ho la mia famiglia, composta dalla mia convivente e da mia figlia, ma mi piacerebbe avere la possibilità di rifarmi una vita in Germania con loro due al mio fianco, oltre che con mio padre e mia madre, nella terra dove sono nato.

Storia di un italiano condannato al "piccolo ergastolo" in Germania

 

Ma in Italia la sua condanna è diventata un vero "fine pena mai"

 

Testimonianza raccolta da Nicola Sansonna

 

Saverio B., condannato in Germania al "piccolo ergastolo", 15 anni, chiede di essere estradato in Italia per scontare la pena nel suo paese. Richiesta accolta. Solo che, per alcuni perversi meccanismi di legge, la pena viene tramutata nell’ergastolo italiano, non 15 anni, ma fine pena mai! Ho chiesto a Saverio di parlarci della sua storia, lo ha fatto con molto equilibrio e serenità. La stessa serenità che ci auguriamo abbia chi deve finalmente trovare una soluzione per questa situazione assurda. Se la Germania voleva condannare Saverio B. all’ergastolo, lo avrebbe condannato all’ergastolo lungo, 30 anni. Che sono pur sempre 30 anni e non l’ergastolo. Dalla Convenzione di Strasburgo, sottoscritta anche dall’Italia, risulta che se si viene condannati all’estero e si torna in patria per scontare la pena, quest’ultima non può, per principio, essere maggiore di quella comminata nel paese dove è avvenuto il reato.

 

Il racconto di Saverio

 

Oggi, mentre ero a messa, un amico della redazione di Ristretti Orizzonti mi ha chiesto se avessi voglia di raccontare la mia esperienza, visto che per sei anni sono stato recluso in carceri tedesche, e successivamente estradato a scontare il resto della condanna in Italia.

Mi sono lasciato convincere a raccontare questa storia solo perché mi è stato assicurato che questo racconto verrà pubblicato integralmente. Tutto quello che scriverò è facilmente riscontrabile da una precisa documentazione originale, di sentenze emesse dai tribunali tedeschi dove sono stato condannato. E soprattutto questi fatti li ho vissuti sulla mia pelle, e ne porto le ferite.

 

Quello che mi ha colpito di più nel nostro paese è il modo di tramutare le sentenze straniere. Nel mio caso, provenivo dalla Germania con una sentenza di ergastolo breve, pari a 15 anni di reclusione, che qui mi è stata tramutata in ergastolo. Carcere a vita. Fine pena Mai!

Nel 1998, dopo sei anni di detenzione in Germania a Straubing, in Baviera, mi arrivò la comunicazione che, se avessi finito di scontare la pena in Germania, al termine sarei stato espulso senza possibilità di rientrare. Dalle autorità tedesche mi fu offerta la possibilità di venire in Italia a scontare il resto della pena, con l’assicurazione che in Italia avrebbero rispettato la sentenza emessa dal Tribunale di Monaco di Baviera nel maggio del 1992. La pena che avrei dovuto scontare in Italia sarebbe stata la stessa alla quale ero stato condannato in Germania, 15 anni. La condizione che mi convinse a venire fu la promessa che, dopo aver scontato i quindici anni in Italia, sarei potuto rientrare dalla mia famiglia in Germania. Per l’amore verso la mia terra di origine, l’Italia, non ho mai voluto prendere la cittadinanza tedesca, perché il mio sogno è sempre stato quello di tornare in Italia, e anche ai miei figli ho trasmesso questo sentimento. Dopo quello che mi è successo loro hanno chiesto la cittadinanza tedesca, essendo nati lì, ed essendo mia moglie tedesca.

Il fatto che mi ha portato in carcere è stato l’unico grande sbaglio della mia vita. Ho sempre lavorato, conoscevo solo cantieri. Ho lavorato in raffinerie petrolifere, centrali chimiche e nucleari. Tutti lavori delicati, essendo io specializzato nella lavorazione di materiali nobili. Acciaio inox, titanio e tutti i derivati ferrosi. Sono uno specialista in saldature, e per 25 anni ho girato e lavorato in mezzo mondo, nei Paesi Arabi, nel Caucaso, in Russia e in tutta l’Europa, occupandomi del montaggio di tubazioni speciali ad alta pressione. Lo sbaglio che ho fatto nasce dalla esasperazione di un lungo periodo di minacce subite in un cantiere, dove io ero il responsabile. La cosa poi è degenerata. Purtroppo una vita si è spezzata. In un attimo oltre alla sua ho distrutto la mia vita, quella dei miei familiari, che sono rimasti senza un punto forte di riferimento, quale sono stato io per trenta anni.

Dalla mia patria però, dopo una vita passata all’estero lavorando, e facendo una carriera lavorativa iniziata all’età di 15 anni, mi aspettavo un po’ più di sensibilità, anche alla luce del mio passato. E soprattutto che venissero rispettati i trattati internazionali. Non sono un delinquente, questo è il solo episodio negativo della mia intera esistenza. Sono quasi tre anni che sto combattendo per questa ingiusta trasformazione della mia sentenza. Non smetterò di farlo finché mi sarà riconosciuta la reale sentenza emessa dalle autorità tedesche: ossia quindici anni.

Penso sia una cosa giusta che quando uno sbaglia debba pagare il suo debito. È inutile andare a cercare scuse, ma, contemporaneamente, non si può aggravare una sentenza sino a raddoppiarla triplicarla… renderla perpetua, solo perché si è deciso di valicare una frontiera, e si è voluti venite nella propria terra a scontare una pena comminata all’estero, come prevedono precisi accordi internazionali. Qui si tratta solo di rispettare ed applicare i principi di base di questi accordi.

 

L’incubo delle carceri italiane, per me che ero abituato alla correttezza e disciplina tedesche

 

Dopo essere stato trasferito, il primo impatto che ho avuto con un carcere italiano è stato a Bolzano. Comunque già alla frontiera del Brennero mi sono accorto di alcuni "eccessi" del nostro bel Paese. Mi era stata riservata un’accoglienza da brivido. Dalla Germania in Italia, ho viaggiato con un solo poliziotto sino al Brennero. Mentre in Italia ad attendermi vi erano una decina di agenti. Mi ricordo che chiesi ingenuamente al poliziotto tedesco il perché di tutti quegli agenti e lui mi rispose sorridendo: "Tutti per lei, Signor B.".

Poi mi resi conto all’improvviso che il peggio sarebbe arrivato successivamente: infatti, giunto a Bolzano, mi misero in una cella che in Germania non sarebbe stata idonea neppure per un cane. Non c’era neanche il gabinetto, tanto che ero costretto ad ogni bisogno a farmi aprire la cella per poter andare da un’altra parte. Solo dopo aver parlato con un responsabile dell’istituto e con un’educatrice, dopo 5 giorni mi cambiarono cella, ma anche quella era un incubo per me che ero abituato alla correttezza e disciplina tedesche.

Ricordo, ad esempio, che ho presentato un’istanza al tribunale di Padova e la risposta mi è giunta dopo circa un anno e quando non ne avevo più bisogno. Certo capisco il sovraccarico di lavoro, ma questo mi ha fatto capire anche che mi dovevo adeguare alle nostre attuali "usanze" e possibilità, dimenticando la Germania. Giustamente ogni paese ha le sue leggi da rispettare, ma la nostra burocrazia è spaventosa, tanto è vero che anche all’estero è molto "temuta". Quello che io ho sempre amato in Germania è la loro disciplina su ogni singola cosa: quando si presentava un’istanza, oppure si chiedeva una specifica informazione ad un giudice, dopo massimo tre o quattro settimane si otteneva una adeguata risposta, positiva o negativa.

Sicuramente vi saranno molti detenuti che hanno fatto un’esperienza analoga in più di un carcere e purtroppo ogni carcere ha il suo lato positivo o negativo. Ma spesso è nelle cose più normali del mondo, che poi qui in Italia ci distinguiamo dagli altri paesi della Unione Europea. Purtroppo facciamo anche spesso e volentieri una pessima figura quando l’Italia viene citata in negativo davanti alla Corte Europea per i diritti dell’uomo. Penso che quello che è capitato a me non dovrebbe capitare più a nessuno e questa dovrebbe diventare una lotta per i diritti umani nei paesi dell’Unione Europea. Mi ha sempre fatto male al cuore sentire citata l’Italia tra le ultime della classe in Europa, per il rispetto dei diritti fondamentali.

Il lato buono delle carceri italiane, perché qualcuno ce n’è, è di poter indossare abiti civili, e poi la possibilità di essere ascoltato da un’educatrice e dall’assistente sociale e dagli assistenti volontari, per me tutte cose nuove che in Germania non esistevano.

Devo anche ammettere che la cucina nelle carceri italiane è abbastanza buona, in più si ha la possibilità di cucinare da soli quello che si può comprare alla spesa. Anche le celle qui a Padova sono più a misura d’uomo. Per il resto, tutti i corsi che si fanno qui vengono proposti egualmente all’estero, con una differenza: che in Germania lavorano quasi tutti e chi vuole frequentare un corso può andarci la sera per tre ore al giorno, per sei giorni alla settimana. Inoltre, c’è la possibilità di tenere in cella tutto il necessario per potere affrontare il corso prescelto.

Per quanto riguarda la popolazione carceraria, penso che ognuno ha la possibilità di essere capito, l’importante è comportarsi nel miglior modo possibile, in maniera corretta, con tutti.

C’è un detto che dice: "Se vuoi essere rispettato, devi prima tu rispettare gli altri". Noi siamo tutti in una grande barca e dipende da noi tenerla a galla, o farla affondare! La mia speranza è che venga fatta giustizia su questo fatto che riguarda me, ma anche altri, perché non serve essere giuristi per comprendere che si tratta di una grave ingiustizia!

 

 

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