Donne Dentro

 

Condannati a non sentire a non vedere, a negarsi ogni emozione

 

Bisognerebbe parlare di più di quella pena accessoria che è il blocco delle emozioni e delle pulsioni che la detenzione provoca

 

di Giulia

 

Alla pena della reclusione a cui si è condannati si applicano pene accessorie che non vengono scritte nella sentenza, ma di fatto fanno parte della condanna. Una delle più gravi, se non la più grave, è il blocco delle emozioni e delle pulsioni che la detenzione provoca, vuotandoti a priori di ogni tipo di contatto-rapporto con persone appartenenti al sesso opposto al tuo. Se non nel caso in cui queste ultime siano considerate in un certo qual modo facenti parte dell’istituzione (volontari, insegnanti, ecc.) e perciò, forse, prive di connotazioni sessuali e quindi "non pericolose".

La persona ristretta viene fermata a livello emotivo al momento in cui entra in carcere e, venendole a mancare la possibilità di fare qualsiasi esperienza a questo livello, è abbastanza naturale che regredisca a uno stadio infantile. Quando per anni questo vuoto che si viene a creare non può essere alimentato da momenti vissuti, ma solo da fantasie, nutrite esclusivamente da percezioni raccolte attraverso la corrispondenza, le parole scritte, l’immaginazione, il vuoto diventa un buco nero.

 

Il carcere di fatto elimina o riduce la forza dei sensi che trasmettono emozioni

 

La Vista, più che mai penalizzata: muri, muri, porte, cancelli. Gli spazi dove viaggiare con la vista sono sempre immancabilmente limitati da ostacoli murari. Per piccolo o grande che sia un carcere, anche all’aria dove puoi trascorrere qualche ora la visuale è sempre limitata.

L’Udito, che diventa "pigro" e si disabitua a qualsiasi tipo di suono: non c’è infatti nessuna sollecitazione, possono cambiare i toni delle voci, ma i rumori che esistono in un carcere sono standard. Finisce che ti manca perfino il rumore delle macchine nel traffico delle città.

L’Olfatto: stessi odori, stessa puzza. Hai nostalgia soprattutto degli odori "della vita", le piante, la terra.

Il Gusto: è come l’olfatto, i sapori si assomigliano tutti, il cibo è come se avesse un unico "gusto universale", un disgustoso "non gusto".

Il Tatto: limitato anche quello o forse eliminato, o anche "autoeliminato". Spesso per gli stessi reclusi è tabù il contatto "emotivo" con persone del proprio sesso.

 

Il controllo che si ottiene bloccando l’evoluzione emotiva è enorme

 

La persona, costretta a vivere con questa privazione – negazione di una parte basilare e importante che compone l’essere, non può certamente divenire adulta, crescere, accettare le proprie responsabilità, e anche da ciò il carcere dimostra la sua inutilità a far sì che da qui le persone escano "migliori". L’Istituzione non insegna a controllare l’emotività, le pulsioni, in prima persona, bensì interrompe, blocca attraverso limiti e punizioni lo sviluppo di questa componente dell’essere umano.

Il buco nero che si viene a creare dopo anni di detenzione rende insicuri, indifesi, incapaci di gestire la parte pulsionale ed emotiva di se stessi, che finisce per essere dominata esclusivamente dall’istituzione. Invece penso che le finalità del reinserimento, oltre che nella parte pratica dell’avere un lavoro dovrebbero essere raggiunte anche attraverso la crescita complessiva della persona ristretta. E se già con il lavoro si fa fatica, con quest’ultima "non c’è proprio alba", vista l’impossibilità di avere rapporti emotivi normali come qualunque altra persona che vive in una società. Eppure in fondo il carcere è una microsocietà abitata da persone, fatte della stessa sostanza di quelle che s’incontrano fuori.

Un carcere "svuota sentimenti"

 

Le "pene accessorie" che passano attraverso il controllo di ogni sentimento, sensazione, pulsione sessuale

 

Si è parlato di "affari di cuore", in redazione alla Giudecca, partendo da quello che ha scritto Giulia, del fatto che il carcere blocca le persone dal punto di vista delle emozioni, delle sensazioni, dei sentimenti. Una discussione appassionante, perché finalmente a parlare non sono state solo le teste, ma tutte intere le persone, coinvolte anima e corpo.

 

Ornella (volontaria): Mi sembra terribilmente vero che il carcere blocca le persone dal punto di vista emotivo, e la riprova è che mi è capitato di vedere uscire, nei primi permessi dopo anni di galera, persone intelligenti, sensibili, che poi fuori appaiono del tutto "perse", fragili proprio dal punto di vista affettivo, incontrano una donna e dopo qualche giorno pensano già che sarà "per sempre", nonostante il fine pena lontanissimo. In galera sono persone interessanti, hanno capacità anche seduttive, fuori non hanno nessun tipo di difesa, sono come travolti da quei sentimenti compressi per anni.

 

Si utilizza molto la comunicazione verbale per avere una specie di conferma

 

Giulia: Io ho visto che all’interno del carcere si utilizza molto la comunicazione verbale per avere una specie di conferma, perché è l’unica forma di rapporto con l’altro che ti è consentita, e quindi se vuoi sperare di affascinare qualcuno, lo puoi fare solo con le parole, come nelle corrispondenze da carcere a carcere. Ma coi sentimenti sei fermo, bloccato, paralizzato.

Ornella: Si è bloccati perché in carcere, non ci sono molti modi possibili per mettersi alla prova ancora come uomini. Uno di questi modi è, inevitabilmente, forse senza calcoli particolari, quello di cercare attenzione facendo leva sulla vocazione che hanno alcune donne all’io ti salverò. Abbiamo dedicato uno dei primi numeri di Ristretti Orizzonti alle donne che hanno una spinta interiore ad occuparsi di questi uomini "cattivi, disgraziati, sofferenti".

Antonietta (insegnante): Ma poi si costruiscono solo relazioni patologiche, è un po’ il filone delle "donne che amano troppo".

Giulia: Parliamo di una fetta di donne che hanno questo meccanismo che scatta verso gli uomini "cattivi", forse non per stabilire un rapporto alla pari, ma per avere un rapporto protettivo, materno, con l’idea che con il tuo amore riuscirai a cogliere il meglio di lui. Ma anche tra donna e donna scatta il meccanismo di protezione, quando ti trovi relegata all’interno di un’istituzione totale.

Antonietta: Comunque c’è tutta una letteratura su questo argomento, basta pensare a "Delitto e castigo". E c’è anche un’idea cristiana, che poi il peccatore viene redento, espia la sua pena, e la donna lo soccorre, gli sta accanto.

Ornella: Si ha la sensazione che quando entri in carcere per scontare una pena vieni "fotografato" in quel momento e dal lato emotivo poi non si evolve più niente, per cui anche quelle piccole storie sentimentali che ti possono capitare, non essendo vissute realmente, sono infantili, idealizzate da ambo le parti.

 

Tu che stai in carcere non devi avere nessun contatto con persone dell’altro sesso

 

Marta: La cosa peggiore non è l’espiazione della pena perché hai commesso un reato, ma il tabù che ti pesa addosso, il fatto che tu che stai in carcere non devi avere nessun contatto con persone dell’altro sesso.

Giulia: Vi racconto un fatto: qualche giorno fa abbiamo appeso una foto di un ragazzo sulla porta della biblioteca, così per ridere, tipo annuncio matrimoniale, "detenuto giovane, bella presenza cerca corrispondente donna etc.", e abbiamo scritto una frase scherzosa. Bene: ce l’hanno staccata facendoci su una storia allucinante, non l’avessimo mai fatto. Solo l’idea che qualcuno potesse avere contatti epistolari a sfondo sessuale sembrava un delitto.

Ornella: Ora che mi dite questa cosa, sempre sul "fermare le emozioni", rinchiuderle, averne una paura folle da parte delle istituzioni, mi vengono in mente parecchi casi di volontarie alle quali è stato tolto l’articolo 17 (il permesso di entrare in carcere) solo per il sospetto di una relazione con un detenuto, di uno scambio di lettere potenzialmente pericoloso.

Marta: Noi siamo qui per pagare un reato e non per non comunicare più con l’altro sesso, io non riesco proprio a comprendere perché debba esserci vietata la comunicazione con l’altro sesso, fa parte della pena questo?

Emilia: Qualcuno potrebbe realmente credere che abbiamo scritto in sentenza il fatto che ci è stato vietato il rapporto di comunicazione con persone appartenenti a un sesso opposto al nostro.

Giulia: Pene accessorie, le definirei. Non scritte, ma di fatto esistenti.

Antonietta: Il controllo sessuale, dei corpi, interessa perché il corpo è primitivo, è irruente, e forse questo in una istituzione totale suscita più paura, e un bisogno forte di controllare i corpi.

Donata (volontaria): Faccio una domanda "ingenua": se a me qui dentro al Femminile fosse capitato di scrivermi con qualche ragazza, sarebbe successa la stessa cosa come quella volontaria alla quale è stato tolto l’articolo 17 per una presunta relazione con un detenuto? Me lo avrebbero tolto?

Ornella: Certo che no! Tra due donne può essere considerata una amicizia, tra una volontaria e un detenuto non è che non puoi scriverti, ma c’è un sospetto, già s’intravede il sesso…

Marta: Secondo me non è un controllo specifico di tipo sessuale, perché si sa già che qui all’interno, anche quando c’è la possibilità di scambiare due parole con un uomo, non puoi arrivare ad avere un contatto sessuale, ma è proprio il fatto di toglierti il piacere di parlare con qualcuno dell’altro sesso quello che pesa. È l’emozionalità che l’istituzione non vuole.

Ghena: Soprattutto se vedono che un ragazzo è carino e può di conseguenza piacere. Con uno scorfano non ti proibiscono di parlare, ma con uno carino non si può.

Ornella: Marta diceva che non è vera paura del sesso, perché tanto lo sanno che qui dentro il sesso non è possibile, però io dico che la paura del sesso si esprime anche in forme esagerate, dove si sa che non ci può essere un contatto sessuale, ma tutto quello che si avvicina al sesso viene tenuto ugualmente lontano.

 

Ci vorrebbe un gruppo di volontari giovani e belli

 

Slavica: In questi giorni viene in cucina a portare il pane un ragazzo giovane, carino, e ogni tanto parliamo, parla anche con l’agente naturalmente; l’altro giorno si è fermato qualche minuto in più e dalla portineria hanno telefonato chiedendo se c’era ancora e cosa stesse facendo, visto che non lo vedevano uscire, e che era il caso che si sbrigasse.

Donata: Ci vorrebbe un gruppo di volontari giovani e belli che prende l’art. 17.

Ghena: Non li fanno entrare, devono essere almeno sposati, conviventi, fidanzati.

Emilia: Volevo ricollegarmi a quanto diceva Marta, e alle pulsioni e le emozioni, che fra uomo e donna fanno paura. Ma tra due donne ci possono essere comunque delle emozioni, questo non possono impedirlo, però nel momento in cui queste emozioni suscitano dei sospetti, le due donne vengono separate e trasferite una di qua e una di là.

Giulia: Ha ragione Emilia. Se due donne stanno insieme, ma durante il giorno sono "tranquille", non succede nulla. Se la cosa però è evidente, zac scatta la separazione. Già se solo sei in un letto sdraiata vicino a un’altra scatta immediatamente l’ordine "Ognuna nel suo letto".

Ghena: Io e un’altra ragazza siamo state richiamate perché eravamo nello stesso letto a guardare la televisione, anche se erano le cinque del pomeriggio e in cella c’era gente, eppure!

Antonietta: Non credo che ci sia da meravigliarsi, si cerca di bloccare qualsiasi atteggiamento o comportamento che possa essere fonte di disordine, il sesso, il corpo, tutta questa materia è l’origine di un possibile disordine sociale, non rispetta le regole e dunque la sua evoluzione è da bloccare, perché naturalmente se ci sono storie sessuali sono storie di passioni, di emotività che tu non riesci a controllare razionalmente.

 

Siamo qui per pagare reati, mica peccati

 

Ornella: Secondo me c’è un discorso da fare sull’istituzione, che è "vecchia", quindi la prima forma di sessualità di cui ha paura è tra sessi diversi e tra persone che vengono dall’esterno con chi sta dentro, il rapporto omosessuale forse viene dopo.

Marta: Hai ragione, anche se mi verrebbe da dire che noi siamo qui per pagare reati, mica peccati.

Ornella: Mi piacerebbe ragionare su questa paura del sesso, che è molto italiana. Prima pensavo che la responsabilità fosse soprattutto della chiesa, ma, a pensarci bene, in un paese cattolicissimo come la Spagna ci sono in carcere colloqui di tipo intimo, dove è possibile anche avere dei rapporti sessuali.

Giulia: Io conosco un carcere in Germania dove fai almeno l’ora d’aria con i maschi detenuti. Ti parli dalla finestra, è un carcere chiuso ma l’aria è fatta insieme.

Ghena: Almeno senti le voci maschili.

Ornella: Mi viene in mente che i tabù, le paure sulle questioni del sesso hanno sempre delle manifestazioni particolarmente contorte, perverse. Pare che, appunto, un rapporto che abbia anche delle forme di affetto tra volontaria e detenuto sia visto con orrore. Mi ricordo che quando è morta la mamma di un detenuto, nessuno glielo voleva dire e l’ho fatto io, e in quei momenti il contatto fisico, l’abbraccio è normale, è l’unico modo che uno ha per alleviare un dolore. E invece è successo che il detenuto è stato subito invitato a "rispettare le distanze", insomma a tenersi alla larga da qualsiasi forma che assomigliasse al "toccarsi".

Donata: Posso farti una domanda personale? Nessun detenuto si è mai innamorato di te e viceversa?

Ornella: Dentro ci sono le stesse dinamiche tra uomo e donna che ci sono fuori, e naturalmente ci sono dei detenuti che possono attrarti. Forse è anche vero che hanno una storia più interessante, ricca, e che, come diceva Edoardo Albinati (vedi l’intervista in questo numero di Ristretti), sono persone che hanno conosciuto fino in fondo il male, e forse ti possono attrarre anche per questo. Poi però ti accorgi che spesso emotivamente sono fragili, sono fermi, e quando tu scopri questa fragilità li senti troppo scoperti, e quello che provi è solo un senso di angoscia.

Giulia: Perché dovresti avere l’atteggiamento materno, protettivo, e questo ti smonta subito! Non ci può essere nessun sentimento, non è un rapporto tra pari.

Ornella: Certo, e poi si aggiunge il fatto che quando un detenuto comincia a uscire, succede che vuole recuperare in fretta gli anni, le emozioni, gli affetti persi, e quindi l’ansia di non perdere ancora tempo lo spinge a crearsi delle costruzioni mentali più che dei veri innamoramenti. Paradossalmente, ci può essere una vera crescita intellettuale all’interno del carcere, anche perché dover fare tanti anni di galera ti spinge a cercare in tutti i modi di tenere in esercizio la testa, però affettivamente non c’è niente da fare, niente. Cresci da una parte e ti indebolisci dall’altra.

Donata: Io so che a te non piacciono i paragoni meccanici tra dentro e fuori, però secondo me anche fuori magari trovi delle persone di notevole valore intellettuale e poi scopri che emotivamente sono molto insicure.

Emilia: Io vi sento dire che di solito chi fa tanti anni di galera magari intellettualmente può progredire, ma emotivamente si infantilizza. Secondo me non è così, è la persona stessa che è così, non riesco a capire perché il carcere dovrebbe infantilizzare.

Giulia: Perché non hai stimoli, non hai esperienze.

 

A livello intellettuale, anche solo leggendo, cresci, ma affettivamente ed emotivamente NO!

 

Ornella: L’esperienza intellettuale è una cosa tutta di testa che tu puoi avere anche in carcere. Per esempio, in redazione si discute, ci si confronta, e questo è un ambito di crescita che fuori puoi anche non trovare, perché fuori la gente a volte è troppo presa da ritmi di vita frenetici, non ha tempo per discutere. E poi a livello intellettuale anche solo leggendo cresci, ma affettivamente ed emotivamente NO! È vero che anche fuori uno che sta solo sui libri e si nega per mille ragioni esperienze emotive, alla fine non sa più misurarsi con i corpi, non sa gestire le emozioni. Fuori però sei tu che puoi aver paura dei sentimenti, qui invece è l’istituzione che impedisce queste esperienze: l’esperienza emotiva dentro non la fai, non c’è o è contrastata, non puoi avere gesti di affetto per uno,sei guardato a vista. Perfino quando riaccompagni dai permessi i detenuti non puoi salutarli con un bacio assolutamente "innocente" perché l’agente può guardarti male. Il fatto è che sono in molti a ritenere i detenuti non persone ma solo delinquenti, e quindi ogni gesto di affetto, di vicinanza è visto come una contaminazione.

Donata: Secondo me dipende anche dalle esperienze che hai fatto prima di entrare in carcere. Vuole dire molto comunque avere un accumulo di esperienze e capacità di gestione dei sentimenti, saperli capire.

Emilia: Può anche darsi che sia come dice Donata, che potrebbe dipendere dal vissuto delle persone. Infatti io dico che uno che ha una pena lunga non è detto che rimanga infantile per forza nelle manifestazioni d’amore, e non sappia distinguere se è amore o solo un aggrapparsi disperatamente a qualcuno. Parlando per me, dico che proprio in base all’esperienza sto molto più attenta, cioè non esco e mi butto allo sbaraglio appena sento una piccola emozione.

Giulia: Io vedo che qui stiamo usando la razionalità, ma a livello emotivo e pulsionale come reagiremmo? Come ci esprimeremmo? Tutte noi che siamo qui siamo dei caratteri forti, forti intellettualmente, esseri razionali, ragioniamo per esempio in questo caso delle emozioni, ma quando ci troveremo di fronte a queste emozioni che reazioni avremo? Per esempio: quando esci dal carcere e ti trovi poi davanti delle emozioni, per poco o tanto che tu ci sia stato distante, ne hai timore se non proprio paura. E questo per rispondere anche a Donata: a livello sessuale uno può avere avuto tutte le esperienze fuori, ma dopo un periodo in cui è stato recluso non è facile ricominciare una vita normale. Ma, al di là del sesso, è a livello emozionale che è un casino. Tu non sai poi relazionarti con le emozioni e ne hai già paura, come se non le conoscessi, fuori o dentro non sono le quattro mura che fanno la differenza, è la negazione, la chiusura delle relazioni quello che ti blocca. La negazione del vivere relazioni normali a qualunque livello, ecco cos’è il carcere. Vivendo recluso, senza esperienze relazionali, è ovvio che quando esci ti trovi nella merda!

Emilia: Ornella ha parlato di persone che hanno passato molti anni in carcere e praticamente in fatto di amore poi si buttano a capofitto nelle storie. Io non mi ci butto, non mi pare proprio.

Ornella: Io non dico che è così per tutti, però il rischio c’è. Il fatto è che finché si sta in carcere si immaginano tante cose sul dopo, ma nel momento reale in cui si è fuori può essere tutta un’altra cosa. Non parlo dell’aspetto sessuale ma della parte emotiva, scoperta, fragile, insicura delle persone. La razionalità di fronte a questo non esiste.

Donata: Stiamo cercando di capire se si può in qualche modo generalizzare, se le persone hanno un comportamento comune dopo l’esperienza del carcere, a prescindere dal carattere forte e dall’esperienza fuori. C’è per esempio una differenza tra uomini e donne sul fatto di essere scoperti, insicuri dopo il carcere?

Ornella: Non lo so, però nei rapporti emotivi anche fuori io ho visto che le donne hanno spesso un loro "sano cinismo", mentre gli uomini ne hanno meno e il carcere accentua questo. In amore serve proprio il sano cinismo, una forma di disincanto, la consapevolezza che è meglio mantenere un po’ di salutare distacco.

 

È difficile che da tutto ciò si possa sviluppare un rapporto "normale"

 

Antonietta: Ma poi cos’è che manca in carcere? L’intimità, quello che tu hai fuori di diverso è l’intimità. Qui hai sempre un occhio che ti controlla. L’intimità è un’esperienza che va vissuta, se smetti di praticarla puoi accumulare paura. L’occhio controllore punisce l’intimità, in carcere, in collegio, in caserma, perché sfugge al controllo. E uno che è privato di questo può avere problemi pesanti quando si troverà di fronte a una persona nell’intimità.

Ornella: C’è anche qui un elemento diverso tra uomini e donne, perché gli uomini tendenzialmente tra loro non hanno grandi manifestazioni di affetto, quindi per anni si negano anche i più piccoli gesti affettuosi, mentre le donne hanno atteggiamenti di maggiore vicinanza e condivisione di emozioni. Poi, quando uno esce dopo anni di negazione dell’emotività, dell’intimità, della vicinanza, finisce spesso che ne ha un bisogno ossessivo, mentre le persone fuori non hanno questo bisogno, quindi c’è uno squilibrio, tra chi vivendo fuori ha un suo modo maturo di condividere le emozioni e i sentimenti, e chi dopo anni di galera rischia di diventare opprimente nelle manifestazioni di vicinanza, di intimità. È difficile che da tutto ciò si possa sviluppare un rapporto "normale".

 

 

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