Postacelere

 

Quando i pregiudizi della gente rappresentano un ostacolo al reinserimento nella società e feriscono i sentimenti

 

Per la maggior parte delle persone l’uomo che amo è solo un tossico che è stato in galera

 

Questa è la lettera di un’insegnante, una persona "normale", che sta vivendo un difficile rapporto d’amore con una persona "anormale". "Anormale" perché ha alle spalle una storia di tossicodipendenza e carcere che non riesce a scrollarsi di dosso, o meglio, che gli altri continuano a rinfacciargli. La pubblichiamo volentieri, perché è una bella lettera e perché mette il dito su una delle "piaghe" della detenzione: il fatto che non si riesce mai a liberarsene, nemmeno quando si è fuori, a fine pena, e si pensa di poter ricominciare davvero una vita diversa.

 

La Redazione 

 

Cari amici, vi scrivo oggi, primo Maggio, ma non so nemmeno io il perché; forse perché penso che in qualche modo voi possiate comprendere come mi sento e tutto il dolore che ho nel cuore, forse perché mi sentirete vicina, forse perché ho semplicemente voglia di denunciare ciò che vivo e penso che qualcuno di voi avrà voglia di ascoltarmi.

Circa un anno fa mi sono innamorata di un uomo. Potrei raccontarvi i miei sentimenti di stupore, scoperta, gioia pura e quasi incredibile… finalmente la luce dopo anni di buio vissuti in silenzio con un marito violento e tirannico (non per colpa sua, a volte la vita fa brutti scherzi). Potrei spiegarvi la voglia di vivere che piano piano tornava a scorrermi dentro dopo essere arrivata ad un soffio dal suicidio. Potrei descrivervi il nostro rapporto, improntato da subito sul rispetto e la comprensione reciproca, sia pur tra le mille difficoltà di ogni giorno. Potrei parlarvi dei miei figli e dei loro "non mollare mamma", mentre mio marito mi gettava addosso tutto il suo odio e disprezzo… invece voglio parlarvi di quella che in questo momento pare essere l’unica cosa importante in una normalissima storia d’amore: lui è un ex- tossicodipendente, pregiudicato che sta concludendo il suo percorso in comunità.

Prima ho detto "mi sono innamorata di un uomo", ma quando l’uomo in questione è un ex – tossicodipendente pregiudicato, il discorso si chiude lì: non è più un uomo, del quale puoi raccontare il carattere, gli interessi, le gioie, le paure, è un tossico che è stato in galera, punto e basta. "Sì certo"… dici timidamente … " però gli piace lavorare con il computer, detesta il disordine, ama giocare, a volte si chiude in se stesso, vorrebbe non perdere mai Novantesimo minuto"… e poi ti interrompi perché otto volte su dieci chi hai di fronte ti guarda con aria a metà tra la commiserazione e l’ammirazione mistica (ad innamorarti di "uno cosi" o sei pazza o sei una santa fatina salvatrice) e di lui capisce solo che è un tossico che è stato in galera.

Allora subentra la rabbia, la solitudine, la sensazione di essere in un vicolo cieco, l’impotenza…

 

Il modo migliore per far perseverare qualcuno nei suoi errori è fargli intendere che non può far nulla di meglio che sbagliare

 

L’amore è imprevedibile, non ci si innamora "scientificamente" di un uomo, quindi non si è pazzi o furbi ad essersi innamorati di una tale persona piuttosto che della tal altra, se mai si potrà avere una vita più o meno semplice, ammesso che la vita a due possa essere semplice, ma l’amore, comunque sia, non è follia o saggezza, è un sentimento che sgorga dal cuore. L’amore non è nemmeno una succursale della Croce Rossa: non ci si innamora per salvare la vita a qualcuno o farsela salvare a propria volta, non si è "buoni" ad amare una determinata persona, si ama perché ce lo si sente dentro, non per fare la buona azione quotidiana stile Giovani marmotte.

Quando si ama ci si trova di fronte all’altro come persona e dentro ti coglie lo stupore della continua scoperta della miriade infinita di sfaccettature che costituiscono il suo essere uomo o donna. È come se l’altro fosse un raggio di luce, quando si ama si riesce a far passare quel raggio attraverso un prisma e si scopre con meraviglia, sorpresa e un pizzico di timore i tanti colori di cui è composto.

Intendiamoci, con questo non voglio dire che l’uomo che amo ha solo pregi; il guaio della scoperta è che trovi anche tante piccole spine che possono fare anche tanto male, ma che se sei onesto con te stesso sai bene quali e quante spine troverà l’altro e ti poni in atteggiamento di accoglienza.

Ciò che fa male è accorgersi che per la maggior parte delle persone l’uomo che amo ha una sola sfaccettatura: è un tossico che è stato in galera, quasi come se i suoi errori gli si fossero cementificati intorno rinchiudendolo in una sfera perfettamente liscia che finisce col rappresentare l’unica sua caratteristica …

Inutile obiettare che in carcere non si nasce e che non è un assioma matematico che chi ha sbagliato non potrà far altro che perseverare nei suoi errori, lui è un tossico che è stato in galera.

A questo punto, visto che oltre ad essere la compagna di un uomo sono un’insegnante, mi chiedo dove stia il ruolo di luogo di recupero che si vorrebbe assegnare al carcere, quando anche le pietre sanno che il modo migliore per far perseverare qualcuno nei suoi errori è fargli intendere che non può far nulla di meglio che sbagliare. Come può un uomo reinserirsi nel mondo fuori se viene visto sempre e solo come uno che è stato dentro ed emarginato per questo?

Non ho risposte, ho solo il mio dolore, lo sguardo triste e quasi rassegnato dell’uomo che amo quando gli parlo di questo mio dolore e la speranza (senza speranza si muore anche fuori) che un giorno le mie amiche smetteranno di dirmi: "Caspita, non si vede proprio che è un tossico che è stato in galera".

 

Complimenti per il vostro giornale: è molto bello e ricco di spunti per la riflessione.

 

Lettera firmata

È capitato ciò che non avevo assolutamente messo in conto

 

Mi sono innamorata di un detenuto e anche lui ricambia questo sentimento. L’unico furtivo gesto d’affetto in questi mesi è stato tenersi per mano per qualche minuto

 

Cari amici della Redazione di "Ristretti Orizzonti", non ci conosciamo ma voi per me siete degli amici perché da quando ho scoperto la vostra rivista mi sento meno sola.

Lavoro in un carcere, ho cominciato quattro anni fa come volontaria in una associazione che si occupa di disagio sul territorio e soprattutto di tossicodipendenza… su questa via è nato il progetto di lavorare nella casa di reclusione più vicina al nostro paese.

Quando ci sono i fondi è un vero e proprio lavoro, altrimenti si continua nello stesso identico modo, ma senza retribuzione; tale attività mi ha portato in tre diverse strutture penitenziarie, in tre parti d’Italia… sto studiando molto per cercare di capire questa realtà così complessa, visto che dall’esterno è difficile anche solo immaginare cosa può significare la detenzione.

Ho conosciuto tanti operatori, alcuni direttori, degli agenti, moltissimi detenuti: un’esperienza che mi ha assorbita giorno dopo giorno e mi ha portato a voler contribuire nel mio piccolo a tentare di migliorare le cose che osservo e che mi sembrano profondamente ingiuste.

Abbiamo collaborato con Antigone e ne è venuto fuori anche un momento di riflessione pubblica su questo tema. Perché vi scrivo: innanzitutto voglio ringraziarvi perché vedo per la prima volta uno stile ed una professionalità nella scrittura degli articoli del giornale e nella gestione del sito che manca assolutamente alle altre pubblicazioni sul carcere, e poi perché mi date speranza per il futuro.

Lavorare in carcere è molto spesso frustrante (vedo per esempio questo disagio anche in molti giovani agenti) e mi chiedo spesso se questa esperienza debba prima o poi concludersi, visto che mi sta portando a vivere più dentro che fuori; ma il problema non è questo, anche se mi piacerebbe il confronto con altri volontari su questo aspetto…

La mia attività in carcere al momento è legata all’insegnamento della lingua italiana sia ai detenuti italiani che agli stranieri, oltre che al tentativo di creare una sorta di coordinamento delle proposte formative del Centro Territoriale Permanente, delle cooperative e delle associazioni presenti nella struttura (che lavorano, come solitamente accade, quasi fossero monadi, addirittura spesso in competizione fra loro…).

Tutto sommato, tra mille difficoltà si procede e qualche piccolo passo avanti si compie quotidianamente. C’è però un nodo che oggi mi blocca e mi fa arretrare… stavo leggendo il vostro dossier sull’affettività in carcere e ancora una volta sono positivamente sorpresa dal fatto che le vostre parole sono per me ossigeno.

Ecco, ora vi spiego la mia delicata situazione: è capitato ciò che non avevo assolutamente messo in conto, mi sono innamorata di un detenuto e anche lui ricambia questo sentimento.

Vivo da circa sei mesi questa vicenda con grande sofferenza, io non sono una sua parente, non ho diritto a telefonate o al colloquio, io non posso parlarne con nessuno perché significherebbe perdere il mio lavoro, un lavoro a cui tengo tanto e che credo di compiere (a detta dei miei colleghi) con grande entusiasmo.

Io e A. ci siamo conosciuti in un colloquio per una selezione di un corso. Inizialmente la sua presenza mi era gradita, ma non suscitava null’altro che una simpatia, tutto normale. Poi ho notato nei suoi occhi uno sguardo diverso, anche se sempre molto rispettoso e anzi intimidito… a poco a poco, senza volerlo, anzi tentando con tutte le mie forze di evitarlo, ho cominciato a rispondere a quegli sguardi, ma con grande paura e timore di essere scoperta in quel gesto così innocente, ma pur sempre proibito da un contesto in cui il detenuto non può essere considerato come un uomo qualsiasi.

È cominciato un calvario di dubbi, di sensi di colpa, di ripensamenti e notti insonni; ho continuato a svolgere il mio lavoro, ma con una difficoltà in più, quella di non sentirmi libera neanche io. La mia affettività, la mia sessualità sono bloccate così come la sua… e ora che il progetto terminerà (settimana prossima), resteranno soltanto delle lettere con un nome falso ed un indirizzo preso in prestito.

Io posso dirvi che questa esperienza mi sta insegnando davvero cosa significa il carcere; per più di tre anni lo avevo letto sui libri, lo avevo seguito in conferenze e filmati, ci avevo camminato dentro, ma non aveva "toccato la mia pelle" e il mio cuore come adesso.

A rendere la questione ancora più complicata, come se già non lo fosse sufficientemente, c’è il fatto che A. è straniero e non ha permesso di soggiorno, quindi anche alla fine della pena ci saranno un sacco di difficoltà da affrontare per riuscire a farlo restare qui (approfitto anche per ringraziarvi del prezioso documento della giornata su "Carcere e immigrazione" che ho molto apprezzato e divulgato tra i miei colleghi).

Lui uscirà nel 2007, una data che mi toglie il fiato e mi mette davanti ad una prova difficile, oltretutto mi chiedo come potrebbe essere la nostra storia fuori, visto che non conosciamo la quotidianità, che non abbiamo mai fatto niente insieme; l’unico furtivo gesto d’affetto in questi mesi è stato tenersi per mano per qualche minuto. Ho tentato di frenare questa esplosione di emozioni affermando l’impossibilità di questo rapporto, la sua virtualità e il fatto che comunque lui forse è in una posizione talmente fragile, che poteva innamorarsi di chiunque avesse risposto a quel suo umile e disperato bisogno d’amore.

Tutti questi alibi non sono serviti a nulla, A. con la sua dolcezza e il suo estremo pudore, la sua dignità di uomo e di amante, mi ha coinvolta sempre di più in un rapporto che si nutre di molto poco, ma con una intensità, che chi vive fuori e ha tutta la libertà di vedersi e toccarsi non potrà mai lontanamente immaginare.

Io so che tutta questa storia non può che crearmi imbarazzo e tensioni, ho lasciato il mio ex ragazzo senza spiegazioni, i miei amici mi vedono spesso assente e solitaria e non capiscono cosa mi stia succedendo… io cosa dovrei dire, che ho perso la testa per uno conosciuto in galera? Non mi vergogno di lui, ma ho paura che gli altri fraintenderebbero anche la dedizione che ho sempre avuto per il mio lavoro.

Ora non so cosa fare, se lasciare il lavoro e chiedere di essere trasferita da un’altra parte (rinunciando però anche alla possibilità di vederlo ancora…), o se continuare a tenere tutto dentro facendo finta di nulla pur di restare vicino a lui.

Mi rivolgo a voi perché ho trovato sempre delle risposte intelligenti nei vostri scritti, e poi magari il mio non sarà sicuramente l’unico caso di "trasgressione" del regolamento non scritto che nega l’affettività alle persone ristrette.

Grazie di avermi "ascoltata".

 

Un abbraccio, Alanis

 

 

 

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