Due tipi di pena di morte viva

“Essendo l’ergastolo fino a morte del reo e non essendo la morte del reo calcolabile, non è possibile sottrarre i due anni d’indulto” (da un’ordinanza della Corte di Cassazione)

 

di Carmelo Musumeci, redazione di Ristretti Orizzonti

 

 

“Non so cosa mi avvicina a questi uomini, ma so che ogni volta che mi trovo davanti ad uno di loro ri­esco solo a vedere un uomo, con la sua dignità, vedo un volto segnato, stanco di aspettare un giorno che non esiste. Ogni volta che esco dal carcere dopo che sono stata con loro mi sento una persona miglio­re di come sono entrata, arricchita della loro umanità. Continuo a gira­re le patrie galere perché non posso smettere “chi ha visto non può più fare finta di non avere visto”.

(Nadia Bizzotto della Comunità Papa Giovanni XXIII)

 

Grazie ai miei studi universi­tari e alla mia laurea in giu­risprudenza, molti uomini ombra (come si chiamano gli er­gastolani ostativi fra loro) vengo­no a trovarmi spesso nella mia cel­la per avere consigli e spiegazioni.

Oggi è venuto Biagio e mi ha fat­to leggere un’ordinanza della Cor­te di Cassazione, dove c’era scritto: “Essendo l’ergastolo fino a morte del reo e non essendo la morte del reo calcolabile non è possibile sot­trarre i due anni d’indulto”.

E sono costretto a spiegare a Bia­gio, in parole semplici, che i giudi­ci della Corte di Cassazione han­no voluto dirgli che è inutile che gli diano l’indulto perché la pena dell’ergastolo dura fino alla morte del condannato.

Biagio, con i suoi due occhi gran­di persi nel vuoto, non è contento della mia risposta e scuote le spal­le.

E il suo sguardo mi esprime tutto quello che vuole dirmi ancora pri­ma che parli.

Poi, demoralizzato, mi chiede: per­ché alcuni ergastolani escano e lui invece deve morire in carcere? E perché molte persone dicono che in Italia l’ergastolo non lo sconta nessuno, che alla fine escono tut­ti?

A questo punto sono costretto a spiegargli per l’ennesima vol­ta che in Italia i tipi di ergastolo sono due: c’è quello normale che dà una possibilità, una sola, che dipende dalla scelta di un giudice inevitabilmente legato ad una va­lutazione discrezionale.

E c’è quello ostativo che invece non dà nessuna possibilità per­ché se non parli non esci come nel medioevo, e se non metti in cella qualcun altro al tuo posto, sei de­stinato a morire in carcere.

Poi aggiungo che purtroppo noi siamo i dannati sulla terra desti­nati a essere cattivi e colpevoli per sempre fino all’ultimo dei nostri giorni.

Cala il silenzio fra noi.

E ci guardiamo l’un l’altro.

Purtroppo quando un uomo om­bra guarda un altro uomo ombra, vede nei suoi occhi la sua stes­sa sofferenza, ma in Biagio vedo qualcosa in più.

Vedo la sofferenza della sua malat­tia che lo sta consumando.

E penso cinicamente che lui sotto un punto di vista sia più fortunato di me perché non dovrà aspettare tanto per tornare a essere un ca­davere libero.

Purtroppo presto la morte lo libe­rerà e se lo porterà con sé e non so se per lui questo sia un bene o un male.

Nel frattempo sento i passi del­le scarpe consumate delle guar­die nel corridoio che vengono per chiuderci nelle nostre celle.

Prima di salutarci ci guardiamo an­cora una volta negli occhi senza speranza.

E ci abbracciamo.

Poi Biagio va nella sua tomba con il suo inferno ed io con il mio.

 

 

Il Giudice e l’Uomo Ombra: giustizia insieme

 

di Carmelo Musumeci, redazione Ristretti Orizzonti

La rivista quadrimestrale “Giu­stizia insieme” del movimen­to per la Giustizia-articolo 3 (Aracne editrice) ha avuto il co­raggio di dare voce anche a chi non l’ha. Due voci. Ogni tema, appartenente alle vaste proble­matiche del mondo della giustizia, sempre trattato a due voci. Una interna alla magistratura; una a lei esterna, competente sul tema per esperienza di vita, professionale o di studio, di aree culturali anche tra loro diverse. Accetto e scrivo la mia testimonianza dal dentro senza sapere chi sia il mio interlo­cutore.

Solo dopo la pubblicazione di questi giorni vengo a sapere che il mio interlocutore è il dottor Paolo Canevelli, Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Perugia che due anni fa mi aveva concesso un per­messo di necessità (previsto dalla legge in casi particolari di eventi gravi irrepetibili, anche di lieta na­tura) di undici ore da uomo libero per discutere la mia tesi di laurea. Ricordo che in quel periodo, nei giorni antecedenti al permesso, nel mio diario avevo scritto:

Luna, per venti anni, ti ho visto solo tra­mite un pezzo di cielo tra le sbarre della mia cella. E nient’altro. Luna, in venti anni di carcere mi hai tenu­ta tanta compagnia. Luna, fra po­chi giorni ti vedrò a cielo aperto. E ti abbraccerò da uomo libero. Luna, aspettami, questa volta io verrò da te”. La speranza per gli uomini ombra è solo creata dai loro sogni. Sono venti anni che sogno, ma fra due giorni, anche se per solo poche ore, il mio sogno diventerà realtà. Credo che in venti anni di carcere il mondo sia andato avanti, mentre io sono rimasto indietro e il mio cuore s’è fermato. Domani il mio cuore ri­prenderà a battere. E saranno undi­ci ore d’amore. Poi, forse, l’Assassino dei Sogni mi divorerà per sempre. E pazienza se dopo il mio cuore si fer­merà di nuovo. Dopo anni perduti, smarriti, disperati, domani sarà il giorno più bello e più difficile della mia vita.

(“Undici ore d’amore” Gabrielli Editori).

 

Il Giudice nel suo contributo a questo numero di “Giustizia insie­me” scrive: “L’ergastolo non è una pena assimilabile alla reclusione, ma è una pena qualitativamente assai diversa, assai più simile alla pena di morte“. “Le motivazioni per le quali un condannato all’ergasto­lo ostativo non effettua la “scelta” di collaborare con la giustizia non sempre coincidono con il desiderio o la necessità di rimanere legato al gruppo criminale di appartenenza, ma possono trovare spiegazione in diverse considerazioni, quali il ri­schio per la incolumità propria e dei familiari, il rifiuto morale di rendere dichiarazioni di accusa nei confron­ti di uno stretto congiunto o di per­sone legate da vincoli affettivi o di parentela, il ripudio di un concetto di collaborazione utilitaristica che prescinde da un effettivo interiore ravvedimento”.

L’uomo ombra nel suo contribu­to a questo numero di “Giustizia insieme” scrive: “A volte per tenta­re di vivere devi saper morire. Ed io inizio a morire appena mi sveglio al mattino. Spesso un uomo ombra in carcere è troppo impegnato a so­pravvivere. E non ha tempo di pen­sare al male che ha fatto. Piuttosto pensa sempre al male che riceve dai buoni, tutti i giorni. Ogni volta che le guardie mi chiudono il blindato in faccia provo un brivido di paura nella schiena, invece quando me lo aprono, provo sollievo ed è come se mi aprissero la mia cassa da morto. Nessuno dovrebbe essere colpevole per sempre. La cosa peggiore per un uomo ombra è continuare a vivere eppure non si sa per quale mistero, lo facciamo lo stesso. E non è vero che lo facciamo per le persone cui vogliamo bene, perché con il pas­sare degli anni diventiamo un peso anche per loro. L’unica pena che po­trebbe davvero cambiare le persone è di amarle perché l’amore è la mi­gliore delle medicine per far guarire i cattivi. Peccato che i buoni non co­noscano questa medicina”.

 

I due contributi completi si possono leggere nel sito www.movimentoper­lagiustizia.it o su www.carmelomusumeci.com e nel numero di maggio 2013, pag. 25, della rivista “Giustizia insieme” in “Giustizia Penale Ergastolo. Giorno e notte”, Paolo Canevelli, Carmelo Musumeci.