“Studiare con i detenuti è più utile che studiarli”

 

di Ornella Favero

 

Studiare con i detenuti è più utile che studiarli”: non è una formuletta, questa, è il senso profondo del lavoro che il Gruppo della Trasgressione fa da anni, dal 1997 per l’esattezza, che poi è lo stesso anno in cui “nasce” Ristretti Orizzonti: ma sono tante le cose in comune fra queste due realtà, prima fra tutte l’idea che in carcere si può sperimentare, osare, rompere gli schemi per trasformare la galera in un luogo di confronto vero tra “mondo libero” e mondo recluso.

Questo numero di Ristretti Orizzonti è dedicato in gran parte al racconto dell’esperienza del Gruppo della Trasgressione, e di Juri Aparo, psicoterapeuta che ne è in qualche modo il fondatore e l’anima. E mi piace proprio parlare di anima, perché in un mondo freddo, lontano e controllato come è spesso il carcere, bisogna tirar fuori tutta l’anima e la passione, per non farsi schiacciare dal grigiore e dalla burocrazia. Sono diciassette anni che lavoriamo, a Milano e a Padova, con l’anima, per tirar fuori l’anima anche a quelli che sembrerebbero non averla, quei detenuti “disumanizzati” da una idea di pena, che vorrebbe farci credere che in galera ci stanno esseri diversi da noi, esseri “non tanto umani”. Ce la raccontano talmente bene, questa “lontananza” delle nostre vite di cittadini “regolari” dalle vite dei “colpevoli”, che poi sono i giornalisti stessi a crederci: a tal punto, che la prima osservazione che parecchi di loro fanno, quando vengono a conoscere la nostra redazione, è piena di meraviglia per aver incontrato delle “persone” vere con dei volti umani. Ma perché, cosa si aspettavano?

Il Gruppo della Trasgressione e Ristretti Orizzonti ci raccontano esattamente questo: che rinchiudere e isolare “gli altri” da noi ci impedisce di capire, di vedere il male che abbiamo dentro tutti, di farci i conti, di confrontarci con il fatto che anche noi, che siamo cittadini “perbene”, potremmo essere autori di gesti violenti. Ecco perché non ci interessa “studiare i detenuti” e i loro comportamenti, non ci interessa neppure una idea di rieducazione che troppo spesso assomiglia a una infantilizzazione delle persone: come dire, ti riporto all’infanzia per poi “rimodellarti”, “trattarti” come impone la legge penitenziaria, che parla appunto di attività “trattamentali” per rieducare il detenuto. Le nostre, di Ristretti e del Gruppo della Trasgressione, non sono esattamente “attività trattamentali”, ma laboratori dove si studia insieme, ci si confronta, ci si scontra, si va a fondo nella conoscenza dei meccanismi che portano alla trasgressione, al male, al reato. E il confronto avviene davvero, non tra il detenuto e gli operatori “addetti” al suo controllo e alla sua rieducazione, ma tra detenuti e pezzi di società che decidono che vale la pena addentrarsi nella conoscenza del male, invece che esorcizzarlo immaginando che a compierlo siano sempre i famosi “ALTRI”. E la riflessione sulla trasgressione in questi percorsi si arricchisce perché coinvolge soggetti così diversi, che di solito sono condannati a non comunicare mai, e invece con noi questa condanna all’incomunicabilità crolla, e lo studente, l’insegnante, il giornalista imparano a dialogare con la persona che ha rapinato, che ha spacciato, che ha ucciso. Ma senza morbosità, senza giustificazioni, senza semplificazioni, quello che ci spinge a questo dialogo così complesso è la voglia di ampliare gli spazi della nostra conoscenza. E di CAPIRE, come ha capito quel ragazzo di quattordici anni che, dopo aver incontrato i detenuti, ha analizzato e definito perfettamente il piacere che provoca la trasgressione, e l’importanza di vederne però i rischi e le conseguenze, e imparare a fermarsi prima: “Il brutto di queste azioni non è il fatto che io possa causare gravi incidenti, ma che esse mi diano una sensazione di libertà che mi spinge a compierle ancora e ancora”. Ecco, l’apparente libertà della trasgressione e la perdita vera della libertà che spesso ne deriva: noi di tutto questo non parliamo astrattamente, ma a partire dalla concretezza brutale della galera, di una galera però dove si è deciso di allargare davvero gli orizzonti, quelli di chi ci vive e quelli di quei settori di società che ci entrano perché hanno capito che c’è tanto da imparare, per TUTTI.