Donne dentro

 

Donne in sospeso

Che cosa è stato per me questo libro

 

di Paola Marchetti

 

È strano, ma dopo aver fatto tanta fatica a realizzare questo libro, Donne in sospeso, raccogliendo per anni testimonianze, discutendo animatamente nella nostra redazione alla Giudecca, affrontando "spavaldamente" anche i temi più scabrosi, ci siamo accorti che sul nostro giornale non ne avevamo ancora parlato. Ci affidiamo allora alle parole di Paola, una donna detenuta alla Giudecca, che è una delle autrici di questo libro, anche perché lei è stata la prima a presentarlo, l’8 marzo all’interno del carcere.

 

Mi è stato chiesto di partecipare con qualcosa di mio alla presentazione di questo libro, alla stesura del quale il mio apporto è stato piccolo. La cosa mi ha lusingata, ma anche imbarazzata: forse non ero la persona più "meritevole" di questo onore… ed onere!

Questo è stato infatti un lavoro corale, iniziato molto tempo fa, quando io ancora non c’ero, e che ho avuto la fortuna di aiutare a concludere.

Ho conosciuto Ristretti Orizzonti, attraverso il mio avvocato italiano, quand’ero detenuta in Bayern. Scrivendo a lui della mia nostalgia per l’Italia, e di come mi sentivo ad essere ristretta in un carcere così duro, lui ha pensato di farmi conoscere in anticipo (avevo chiesto il trasferimento in Italia, nel frattempo), com’era, a grandi linee, la situazione carceraria qui, attraverso le parole dei diretti interessati.

Per un anno e mezzo ho ricevuto tutti i numeri di Ristretti Orizzonti, ma me ne sono stati consegnati solo 2, per l’intercessione della comandante della sezione. Non erano infatti autorizzate riviste del genere, che parlassero di carcere.

In Bayern i contatti del carcere col mondo esterno sono limitati alle lettere, tutte lette, tradotte e censurate dalle autorità competenti. Fuori non si deve sapere!

A leggere quello che, liberamente, i detenuti scrivevano e pubblicavano sul carcere, sono rimasta esterrefatta! Mi era anche stato proposto di scrivere qualcosa sulla situazione carceraria lì, ma non mi era possibile per la censura che sarebbe stata operata.

Per questo motivo, quando, dopo due anni e mezzo di permanenza in Bavaria, sono finalmente tornata in Italia, una delle prime "domandine" che ho compilato, malgrado fosse tempo di ferie, è stata quella per partecipare alla redazione di Ristretti.

Per me era molto importante mantenere la mente viva. È cosa essenziale per chi è ristretto. La carcerazione infatti rischia di far regredire il cervello. Rischia di atrofizzare le menti.

Tutto ti viene calato dall’alto, tutto è regolamentato. Gli spazi di "libero arbitrio", quello decisionale, sono oltremodo limitati. Torniamo tutti "bambini". C’è qualcuno che decide per noi.

Quello che io ho sempre cercato di fare è stato di tenere la mente in allenamento, per mantenere una sorta di equilibrio psicologico, per non finire per diventare una "galeotta". E l’ho fatto anche nella limitatezza delle possibilità che venivano offerte in Bayern (l’unica chance erano i libri, ed io ho letto le biblioteche di due carceri. Libri in italiano, in inglese e in spagnolo. Tutti quelli che c’erano. Alcuni due volte. Avevo la cella - e meno male che sono sempre stata in cella da sola! unico motivo di rimpianto per il carcere tedesco, vista la situazione di convivenza forzata in cui ci troviamo qui! - piena di vocabolari. Inglese-Tedesco, e Tedesco-Italiano per i libri in inglese, Spagnolo-Tedesco e Tedesco-Italiano per quelli in spagnolo).

Lo scrivere per un giornale, il partecipare anche solo per due ore alla settimana alle discussioni, sono un enorme aiuto in questo senso.

Ristretti Orizzonti è per me, e a questo punto credo di parlare a nome di tutte coloro che vi partecipano, un grande stimolo per il nostro cervello.

E il libro, che dal lavoro di redazione, dalle discussioni che facciamo, dal nostro "esserci", ne è venuto fuori, rispecchia proprio questo.

Rispecchia il nostro forte desiderio di progredire, di non darci per vinte; di far sapere al di fuori qual è la vita, i sogni, i progetti, quali sono i problemi di quelle persone che hanno sbagliato, o che hanno avuto un "incidente di percorso", e che stanno pagando il loro debito alla società, giusto o ingiusto che sia. E che non vogliono sentirsi marchiate a vita!

Dal carcere il mio compagno lo penso come fosse un fratello

E dopo, al momento di uscire dal carcere? Chissà…

 

Parlare di donne che attendono pazientemente il loro uomo, lontano per motivi di lavoro, emigrato per trovare risorse per mantenere la famiglia, o anche detenuto, è del tutto "normale": del resto, Penelope, con la sua attesa e la sua tela fatta e disfatta, è una figura che ha attraversato i secoli simboleggiando il paziente aspettare delle donne. Ma in un carcere femminile le cose stanno in modo diverso: lì ci sono donne costrette a sperare che qualcuno, fuori, stia ad aspettarle, donne che soffrono di gelosia pensando al loro compagno "in libertà", donne che, piuttosto di vedere i loro rapporti affettivi morire per sfinimento, hanno preferito tagliare ogni legame al momento di entrare in carcere.

Ecco le loro esperienze.

 

Katharine: Penso che quando andrò a casa sarà come fosse il giorno prima. Io naturalmente parlo per la mia storia e con il mio uomo: se un rapporto è ben strutturato di solito regge anche al carcere, altrimenti no! Però il più delle volte c’è la paura che senza la vicinanza fisica tutto possa finire, che le persone si stanchino perché non c’è più quel batticuore che c’era prima.

Ornella (volontaria): Tu pensi che per te non sarà così?

Katharine: Io non penso più in un modo "sessuale" al mio compagno, adesso lo penso come fosse un fratello, però quando sarò a casa credo che tutto ritornerà come prima e saremo di nuovo una donna e un uomo. Però, lo ripeto, quando viene a colloquio mi dà la stessa sensazione di mio fratello o di mia madre. Con lo stesso effetto, uguale!

Ornella: Credi che questo ti creerà dei problemi dopo?

Katharine: Sicuramente sì, perché ci si distacca inevitabilmente un po’ e forse poi si fatica a tornare a come si era prima. Non lo so! È certo però che per molte persone, quando viene a mancare la vicinanza fisica, il contatto tra un uomo e una donna, e quando un amore non è così solido, il rischio è comunque di stancarsi, come invece può capitare anche il contrario, magari ci si può innamorare tranquillamente di un amico con cui ti scambi delle lettere e basta. A me è capitato con un mio amico che mi scrive, piano piano nasce una piccola storia e uno ci fantastica un poco e dopo si inizia a pensare a questa persona in modo diverso da prima. A volte scherzandoci sopra. Anche se non sarà possibile un futuro insieme, in quel momento ti senti attratta da questa persona e ti senti bene.

Paola: Io penso sempre che dipenda da come siamo fatti, perché per esempio io non riuscirei mai ad innamorarmi per lettera.

Probabilmente sono una persona non molto sentimentale, una persona più fisica, per cui se non c’è quel tipo di contatto, se non c’è quel tipo di attrazione fisica, non riesco a innamorarmi. Mi può essere simpatico, piacevole uno con cui ho dei rapporti per lettera, ma niente di più. Si può formare una bella amicizia, ma non potrei mai innamorarmi.

Quando mi hanno arrestata avevo una storia che durava da un anno e mezzo, non era forse una storia d’amore di quelle eccezionali, però era un anno e mezzo che si viveva insieme e stavamo molto bene, ed è continuata ancora un anno dopo che ero in carcere e fino al momento del mio processo, quando mi sono presa tanti anni, e lì si è incrinato qualcosa, malgrado che per un po’ la cosa sia andata avanti lo stesso e lui sia venuto a fare i colloqui in Germania, dove ero detenuta io. Ma io non riuscivo a vivere questa cosa in lontananza, ci stavo troppo male. Soffrivo di gelosie, stavo più male che bene. Abbiamo deciso allora di chiudere questa storia perché così non poteva continuare, tra l’altro l’ho chiusa male e in modo brutale, le ho dato un taglio netto. Ed è stato molto meglio così. Era una sofferenza più che una compagnia. Allora a questo punto preferisco scrivermi con degli amici, ci scriviamo mi faccio quattro risate, però ad innamorarmi ce ne vuole.

Christine: Io, invece, in tutte le mie carcerazioni ho sempre avuto la mia storia d’amore, non le vado mica a cercare, sono loro che mi trovano. Comunque mi sono sempre innamorata per corrispondenza e poi li ho conosciuti anche dopo, quando sono uscita. Tempo fa. quando stavo in un altro carcere, non qui alla Giudecca, mi ricordo che mi scrivevo con uno e poi abbiamo fatto anche dei colloqui, ma quando l’ho visto di persona era già cambiato tutto, era proprio una questione di pelle, qualcosa non funzionava, però ormai gli avevo fatto delle promesse per lettera che ho dovuto mantenere. Perché quando do una parola la mantengo, anche se così mi incasino sempre da sola. E mi sono fregata!! Infatti, quando sono uscita e lui era ancora in carcere, io andavo sempre a trovarlo ai colloqui perché avevo promesso così. Prima di andare a colloquio bevevo sempre qualcosa per farmi coraggio. Quando lui è uscito io avevo una casa e me lo sono ritrovato a casa mia con le valigie. E poi lui pensava solo a bere tutto il giorno e portava gente a casa mia e questo mi dava molto fastidio, io mi interrogavo e mi ripetevo: "Ma chi me lo ha fatto fare"? Naturalmente è finita molto male.

Ornella: Innamorarsi di qualcuno che hai conosciuto per lettera può succedere, puoi davvero provare una attrazione forte, ma se poi lo conosci dal vero capita che finisca tutto anche subito, che crolli in un attimo un rapporto che era stato coltivato amorevolmente per lungo tempo.

Christine: Nell’ultima carcerazione, dove mi sono fatta tre anni, scrivevo a uno che era a Udine e poi l’hanno trasferito all’isola della Gorgona e abbiamo avuto un permesso insieme, e anche lì c’era un legame che si era creato tramite lettera. Siamo stati un poco insieme e poi ci siamo rivisti in un altro permesso, ma purtroppo mi sembrava di fare la baby sitter di un uomo che in galera era tornato ad essere un bambino; alla fine l’ho accompagnato fino a Piombino perché doveva prendere il traghetto per rientrare in carcere e non vedevo l’ora di liberarmene. Anche questa storia è finita, ma dopo mi sono subito innamorata nuovamente.

Ornella: Accidenti che resistenza, nonostante le esperienze!

Veronica: Secondo me non potevi essere sempre innamorata!

Christine: Come no! Certo che ero innamorata!

Paola: È una romantica, Christine.

Silvia: Io ho un ragazzo e ci sto insieme da un anno e mezzo, ho vissuto a casa sua con anche sua madre per 10 mesi. Lui è libero e non ha mai avuto problemi con la giustizia. Adesso qui ci sarebbe servito il certificato di convivenza per accedere ai colloqui; però non posso farlo perché dovrei spiegare tutto a sua mamma e non va bene, lei è una donna molto anziana, non voglio crearle dei problemi, meglio evitare. Allora ho fatto la domandina per incontrarlo come "terza persona" e adesso sono in attesa della risposta. Vediamo se riusciremo a fare i colloqui.

Ornella: Tu hai detto che lui è incensurato, ma il vostro rapporto regge al carcere?

Silvia: A me sembra che regga! Certo che sono gelosa, infatti quel giorno di carnevale che nevicava forte ero molto contenta, così lui non andava da nessuna parte: nevica? E vai! Io sono davvero molto gelosa. Sono caratterialmente gelosa, ma vorrei che gli altri non lo fossero. In carcere poi ho il batticuore anche quando viene a trovarmi mio padre; è una settimana che pensavo che venisse e non è venuto, e sono stata veramente male. Sono andata in crisi! Ma poi ho pensato che fosse uscito con la sua donna, ed era giusto così.

Sonia: A me è capitato che quando lui era in carcere io ero libera, adesso sono in carcere io ed è libero lui.

Ornella: E come lo vivi questo rovesciamento?

Sonia: Adesso lo vivo un poco male, perché lui è libero, anche se c’è da dire che è fuori con gli obblighi dell’indultino ed è già stressato e nervoso, perché dopo 12 anni di carcere non è così facile ambientarsi. E se io fossi stata fuori sarebbe stato molto diverso per lui, così non è che ha avuto una felicità completa: è triste! Infatti sta facendo tutto il possibile per venirmi a trovare ai colloqui, però non può uscire dal comune con le regole dell’indultino e deve inoltrare tutte le domande per venire qui. Io, quando sono stata 12 anni libera, andavo tutte le settimane a colloquio e i primi tempi era: "amore mio ti amo, vita mia", e poi dopo piano piano siamo passati ai "ti voglio bene". Perché con il tempo il rapporto si raffredda, per forza! Comunque sono andata ai colloqui fino a quando non mi hanno arrestata.

Ornella: Ma tu, i 12 anni fuori come li hai vissuti?

Sonia: I primi tempi ero disperata, andavo da tutte le parti, avvocati, tribunali e le ho provate tutte. Ero sempre lì, ho seguito tutto il suo processo, tutto il suo percorso, ma alla fine con il tempo e con gli anni ho conosciuto un altro, un po’ per caso, non è che sono andata a cercarmela. È capitato. E poi quando andavo ai colloqui veniva anche lui e mi aspettava in un bar lì vicino, io facevo il colloquio e poi ritornavamo indietro assieme. Dopo tanti anni era come una abitudine, andavo, uscivo e poi ci fermavamo a mangiare al ristorante come se non fosse successo niente. Sono stati troppi gli anni di separazione, non è possibile restare sempre uguali. Poi a volte andavo da mia suocera e le dicevo: "Vada lei a trovarlo, io ho un impegno e non posso andarci". Adesso gli voglio bene e basta, per me è come un fratello, come un amico, niente di più.

Ornella: Allora perché hai detto che adesso che lui è fuori sei un po’ gelosa?

Sonia: Perché mi dispiace, non lo so che cosa è!

Silvia: Ma adesso, lui lo sa che tu hai un’altra storia o no?

Sonia: Non abbiamo mai avuto dialogo sull’argomento, però lui mi diceva sempre: divertiti, vai, trova, viaggia. Lui me lo ha sempre detto, perché capiva bene la situazione. Adesso che lui è fuori, mi dispiace di più per i miei figli, perché avremmo potuto passare del tempo tutti insieme. Invece così non è possibile. Il carcere corrode tutto questo, piano piano.

Ornella: E tu, Adriana, li fai i colloqui?

Adriana: Sì, mi hanno concesso i permessi dopo più di quattro mesi che aspettavo.

Ornella: È italiano lui, o rumeno come te?

Adriana: È italiano. Non so dire ancora niente di come sarà il nostro rapporto, perché ci siamo visti solo due volte da quando sono entrata in carcere. Ero contentissima di vederlo, anche perché con lui ho l’opportunità di parlare di mia figlia e di mia madre. Io quando ero fuori vivevo già da cinque anni con lui, e non sono pochi, quindi ho avuto il batticuore quando è venuto a trovarmi. Avevo piacere di vederlo anche per poter parlare della mia famiglia, questo sì! Ma non sono gelosa di lui, sarà perché ha molti più anni di me e poi ha i suoi amici e so dove va, e poi mi fido.

Paola: Ma tu lo sai che non vuole dire niente se ha molti anni più di te o no? La gelosia scatta e non ci si può fare niente. Tu lo sai in partenza che non ci puoi fare niente ed allora era meglio dire: "Ognuno per la sua strada, arrivederci e grazie". Se non è amore di quelli grandi, se sono amori iniziati da poco è meglio tagliarli subito. Se invece ci sono altre cose di mezzo, i figli o altro, allora è un discorso diverso. Ma comunque un rapporto fra un uomo e una donna non credo possa sopravvivere senza il fatto fisico, carnale, se non ci sei fisicamente non regge il rapporto.

Katharine: Secondo me invece può anche reggere. Tu guarda anche la mia storia: otto anni di latitanza e quattro anni di carcere, e regge benissimo fino a oggi. Chi lo sa! Ma fra noi c’è stata molta fiducia e amicizia e lui non mi lascerebbe mai. Di questo sono più che sicura, infatti lui mi dice sempre che gli manco e non vede l’ora di fare la sua vita insieme a me. Sono quei miracoli che a volte però succedono, anche se comunque la galera tende a distruggere tutto.

Sonia: Per me in un certo senso qualcosa ha retto, perché andavo sempre ai colloqui, anche se nel frattempo stavo con un’altra persona, ma a lui non gli facevo mancare niente, io non l’ho mai abbandonato, per l’amor di Dio! I sentimenti cambiano con tanti anni davanti di carcere, l’interesse sessuale e la passione non erano più per lui, ma per una persona fuori. Però a mio marito gli ho sempre voluto bene lo stesso, e anche se amavo un altro, poi al colloquio gli dicevo che era sempre lui il mio amore. In ogni caso per un’ora di colloquio riuscivo a non fargli capire niente, perché in poche ore al mese si riesce molto bene anche a fingere.

Ornella: Io però preferirei che uno mi dicesse la verità!

Katharine: Nella storia mia e del mio uomo, se penso a lui mi sembra tutto uguale a prima e avrei voglia di averlo qui con me e stringerlo e baciarlo. Ma dato che questo non è possibile, cerco di pensare a lui come a un amico: certo in questo modo non si è sinceri con se stessi, perché più che altro si cerca di allontanare quel dolore che fa troppo male, di anestetizzarsi per soffrire meno, questa è una forma di difesa personale.

Giulia: Io sono una che lascia tutti quando entra in carcere, anche questa è una difesa.

Ornella: Questo oltre che essere una difesa non è per caso anche una forma di egoismo? Perché devi decidere tu anche per il tuo compagno? Per paura che poi la rottura parta magari da lui?

Paola: Il fatto è che in galera sei impotente e non puoi combattere in nessun modo. Secondo me non è una forma di egoismo il fatto di chiudere un rapporto. Ad esempio io ho fatto al mio ragazzo una cosa cattivissima e lui mi ha allontanato. Ho fatto una cosa talmente brutta e cattiva nei suoi confronti, che ero sicura non mi avrebbe più voluto vedere.

Ornella: Io ho conosciuto qualche donna fuori che ha seguito per anni il suo compagno che stava in carcere, anche se comprendo che non è facile.

Giulia: Io semplicemente dicevo: "Io sono qui e tu sei là, fai un poco quello che vuoi". Ed è un percorso naturale che con il tempo ci si lascia. È normale che finisca, perché fuori la vita continua invece qui si ferma il mondo; fuori i ritmi sono diversi, fuori si vive, qui si sopravvive.

Katharine: È più facile che sia chi sta fuori che si distacchi.

Paola: Questo è naturale proprio perché da qui tu non puoi combattere e sei impotente. Dopo un po’ di tempo non sei più neppure sulla stessa lunghezza d’onda, parliamoci chiaro su queste cose.

Veronica: Io invece ho conosciuto un uomo tramite corrispondenza, era in carcere a Torino come me. Lui adesso è fuori e mi scrive sempre, manda soldi ai miei bambini e mi spedisce dei pacchi, vuole venire a fare colloquio, anche se per ora non siamo riusciti ad avere l’autorizzazione. Io non sono gelosa e non posso nemmeno dire che si tratta effettivamente d’amore; sì, gli voglio bene ma finisce là, e non è che penso a un futuro poi insieme.

Però adesso mi va bene questa situazione. Lui mi dice sempre: non preoccuparti, ho la casa e ti faccio fare i documenti, portiamo i bambini con noi, ma io non ci penso proprio.

Loredana: Secondo me se non c’è gelosia non c’è neppure amore! Io a casa ho il mio amore che mi aspetta. Lui lavora e poi aspetta me, ma io è normale che sono gelosa. Ci conosciamo da due anni ed è la prima volta che vengo in carcere da quando stiamo insieme. Lui in carcere non c’è mai stato, però sono sicura che mi aspetta, ma sono gelosa ed è logico: lui è fuori e io sono qui dentro, e poi gelosa lo sono sempre stata.

Christine: Io sono sempre stata gelosa e qui dentro lo sono ancora di più. Ora mi scrivo da più di due anni con una persona, e lui dopo otto anni di carcere è uscito in permesso un anno fa. Figurati come me la vivo io: quando lui è in permesso io non mangio e non dormo, lavoro a maglia e basta.

Simona: Io invece sono tranquilla, mi fido di lui. Il tempo per andarsene in giro comunque non ce l’ha, perché è al lavoro dalla mattina alla sera e dopo a casa ci sono mia figlia e mia mamma. E poi è una persona molto tranquilla e io ho fiducia. E comunque se andasse anche con qualcuna una volta ogni tanto, non posso dirgli niente. Io sono qui e non è che posso mettere i lucchetti o cose del genere. Sono tranquillissima e non mi sono mai fatta questo tipo di problemi, non ci ho mai pensato, anche se è vero che sono qui solo da quattro mesi, che certo non sono tanti. E comunque lui non mi ha mai dato modo di pensare male.

Lidana: Per quel che mi riguarda, visto che io tengo alla mia libertà, cerco di rispettare la libertà anche del mio compagno. Per questo non sono mai stata gelosa e soprattutto possessiva, anche perché io penso che se uno vuole fare qualcosa lo fa in qualsiasi modo. Allora perché io devo stare male per qualcosa che non so con certezza? Secondo me è farsi un male in più, gratuito e per niente.

Paola: Però la gelosia non la controlli facilmente, e allora se sei in carcere un rapporto è meglio chiuderlo quando ancora non è logorato del tutto, sennò rischia di venire tutto consumato e dopo non hai neanche più un bel ricordo. Allora quando io ho chiuso la mia storia sono stata malissimo per dei mesi, però ho fatto questo calcolo: adesso stiamo male in due, e poi continuiamo a star male e piano piano il rapporto si consuma lo stesso. A questo punto ho preso la palla al balzo e ho pensato: Starò male per un po’, ma poi mi passerà.

Giulia: Ma se lui avesse continuato a venire a trovarti cosa avresti fatto?

Paola: Non lo so! Probabilmente mi sarei rifiutata di vederlo, perché quando prendo una decisione, quella è! Con questo uomo c’era solo la passione, e dal momento che vai in carcere questa passione non riesci più ad alimentarla, perché appunto sesso non ne fai più, e dopo finisce tutto. Si consumerebbe comunque e io con i miei otto anni e mezzo di carcere da fare vuoi che mi illuda che questo mi aspetta? No, non è possibile!

Loredana: Io penso una cosa: se tu ami veramente un uomo e lui conosce i tuoi problemi, se veramente c’è amore, se veramente vuoi affrontare la vita con questa persona, vai incontro anche a dei problemi e cerchi di risolverli insieme a lui. Il mio compagno sapeva che avevo questi due anni da fare prima o poi, dato che sto scontando una pena per una storia vecchia. Lui lo sapeva e l’affrontiamo insieme.

 

 

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