Attenti ai libri

 

Ma in carcere è possibile davvero far amare i libri?

 

"Se hai un figlio che non mangia devi insegnargli a mangiare, se ne hai uno che non legge, devi insegnargli a leggere, ad amare i libri"

 

Intervista ad Angela Barlotti, una bibliotecaria che crede anche nelle imprese più disperate

 

Angela Barlotti è la bibliotecaria di Ravenna che in questi anni ha seguito alcuni progetti, fra i più innovativi in Italia, di iniziative di lettura e di organizzazione della biblioteca nelle carceri dell’Emilia Romagna. È stata ospite della nostra redazione, e noi l’abbiamo subissata di domande.

 

Redazione: Come è cominciata la tua attività in carcere?

Angela:Io faccio la Bibliotecaria per il Servizio biblioteche della Provincia di Ravenna, che fin dal 1983 ha automatizzato le biblioteche dell’Emilia Romagna, primo Polo SBN che ha messo in rete i cataloghi delle Biblioteche, promovendone, oltre l’interrogazione, la catalogazione partecipata e i prestiti interbibliotecari.

Nel ‘94 un documento dell’IFLA (International Federal Library Association), ha dettato le Linee Guida per le Biblioteche pubbliche e l’Unesco dal canto suo con un Manifesto ha incitato le biblioteche ad uscire dalle mura istituzionali: "La biblioteca pubblica è il centro informativo locale che rende prontamente disponibile per i suoi utenti ogni genere di conoscenza e informazione (…) I servizi della biblioteca pubblica sono forniti sulla base dell’uguaglianza di accesso per tutti, senza distinzioni di età, razza, sesso, religione, nazionalità, lingua o condizione sociale. Servizi e materiali specifici devono essere forniti a quegli utenti che, per qualsiasi ragione, non abbiano la possibilità di utilizzare servizi e materiali ordinari, per esempio le minoranze linguistiche, le persone disabili, ricoverate in ospedale, detenute nelle carceri…".

L’Associazione "Biblioteche e bibliotecari fuori di sé" nasce allora a Castel Fiorentino. Trova adesioni in Biblioteche ma soprattutto Bibliotecari che da allora lavorano per attuare il dettato del Manifesto, come il servizio biblioteche della Provincia di Ravenna che conserva in uno scaffale "Fuori di Sé" le attività, le memorie, i documenti, i libri e le informazioni.

Attraverso convenzioni col Ministero di Grazia e Giustizia nel 1995 si avviano progetti per biblioteche e centri di documentazione negli Istituti di Ravenna, Forlì e Rimini, con stampa cataloghi delle stesse, Laboratori di lettura e di scrittura multi-interculturali, incontri con scrittori italiani e stranieri, giornalisti, editori.

Si organizzano inoltre Animazioni e letture in Case di Riposo per Anziani con la pubblicazione di carteggi fra bambini di una scuola elementare e gli anziani ospiti delle case di riposo. Poi collaborazioni con biblioteche per stranieri e sollecitazioni alle biblioteche per l’istituzione di scaffali multiculturali.

 

All’Ipercoop il carrello diventa biblioteca

 

Oggi sto progettando un’iniziativa in un ipermercato che si chiama "All’Ipercoop il carrello diventa biblioteca"…

La strada percorsa incontrando altre istituzioni in Italia ha permesso anche uno scambio sempre maggiore fra le biblioteche e gli utenti delle stesse aumentandone le potenzialità e la progettualità.

 

Redazione: Avete organizzato anche un Centro di Documentazione per stranieri dentro al carcere?

Angela: Sempre partendo dal dettato del manifesto UNESCO, le informazioni e i libri dovrebbero essere forniti in altre lingue da tutte le biblioteche, in particolare da istituti che ospitano molti stranieri; ma essendo difficile reperire in carcere anche testi in lingua italiana, abbiamo presentato un progetto alla Regione Emilia Romagna – Servizi Sociali, la quale ha dato un finanziamento che ha permesso di formare detenuti italiani e stranieri come operatori di biblioteca, permettendo poi, dopo l’acquisto di software adatti alla catalogazione, anche la traslitterazione dall’arabo all’italiano.

Tra i detenuti che hanno frequentato il corso e lavorato all’interno della biblioteca in carcere, uno ha ottenuto l’art. 21 per lavorare alla Biblioteca del Seminario Arcivescovile di Ravenna, dove ha catalogato ben 12.000 notizie e preparato il catalogo ora in stampa delle cinquecentine, collaborando con la Soprintendenza ai beni librari della regione E/R.

 

Redazione: Avete avuto anche l’autorizzazione ad usare internet?

Angela: Noi insegnanti avevamo chiesto di poter usare Internet durante il corso per il collegamento a basi dati bibliografiche ed era stato concesso il permesso di acquistare insieme ai PC anche i modem necessari al collegamento Internet.

 

Alessandro Pinti (detenuto bibliotecario): Tu hai iniziato dicendo che la biblioteca deve superare un concetto di conservazione dei libri, che bisogna uscire fuori e far venire giù i detenuti in biblioteca, far conoscere i libri da leggere. Questa è una aspirazione bellissima, è una cosa a cui aspiriamo tutti quanti. Però nelle carceri, io mi sforzo di dirlo tantissime volte alle operatrici che lavorano con me in biblioteca, esistono delle condizioni oggettive, è il sistema che impedisce questa diffusione in un altro modo dei libri, esistono delle carceri dove questo è oggettivamente impossibile, dove non si accetta che i detenuti a turno o a gruppi vengano in biblioteca.

 

Graziano Scialpi (Redazione di Ristretti): Questo non è detto. A Tolmezzo, per esempio, dove stavo prima, si scendeva una volta la settimana, potevi consultare i libri, ma non solo, entrava anche un’operatrice della biblioteca civica di Tolmezzo e portava novità appena uscite che potevi prendere in prestito senza alcuna formalità. Io poi ho girato tre carceri e in uno la biblioteca l’ho riorganizzata io, per cui me la sono vista da cima a fondo, ho visto la seconda e ho visto la terza, e devo dire che sono la fotocopia l’una dell’altra come numero di libri, fermi ad acquisti vecchissimi, pieni di immondizia che sono quei libri rimasti invenduti perché non interessano nessuno e poi finiti nelle carceri come "generosa" donazione.

 

Angela: In alcune realtà, la biblioteca è accessibile perché viene allestita nello spazio dell’ora di socialità, in mezzo ai detenuti, che lì fumano, scrivono, scartabellano dappertutto…

Infatti la biblioteca deve essere il centro informativo ma deve essere "consumata" dagli utenti, così come le librerie; non so se ricordate un progetto di anni addietro, che partì a Milano e a Rimini, della Casa Editrice Mondadori, la quale aprì spazi-librerie-bar; iniziativa che in America funzionava da tempo ma che qui in Italia inizia solo ora ad essere apprezzata. Infatti, cosa c’è di vergognoso, a "mangiare" il libro che ti serve per la mente con la stessa naturalezza con la quale mangi il panino e bevi?

La biblioteca, in carcere, dovrebbe essere collocata in modo da poter essere fruita dai detenuti liberamente ed essere un luogo dove trovare libri, giornali e notizie da "consumare" e quelli da "conservare" con la differenza che quelli da consumare devono essere di più facile raggiungimento. Un esempio? Collocarli nei reparti o sui carrelli, mentre la biblioteca storica e di conservazione, può essere situata in luogo dove per accedere occorre la classica "domandina". Collocare i libri che la biblioteca vuole far conoscere o le nuove accessioni in posti visibili ai detenuti, mi sembrerebbe utile per tutti e ovvierebbe alla mancanza storica delle figure di bibliotecari.

 

Redazione: Vorremmo capire meglio i "meccanismi" attraverso i quali hai potuto fare questa attività in carcere: tu sei una dipendente della Provincia, ed entri come dipendente nel tuo orario di lavoro, una parte del tuo lavoro è in carcere, giusto?

Angela: Dal 1994 la Provincia di Ravenna mette nelle annuali Linee Programmatiche progetti che occupano parte del mio orario di lavoro per attività di informazioni e servizi rivolti ad utenze disagiate, come: detenuti, stranieri, malati, anziani…

 

Redazione: Perché si fa così fatica a far funzionare le biblioteche in carcere?

Angela: Credo che lo scoglio più grande da superare sia, oltre l’assenza di una figura di bibliotecario prevista dal Ministero di Giustizia, soprattutto la cultura della biblioteca "dentro" uguale a quella "fuori". Il riconoscere un diritto a persone che per qualsiasi ragione non possano usufruirne, ecco quello che manca ancora in molti operatori e istituzioni.

 

Redazione: Tu pensavi ad una figura istituzionale quindi, un operatore che si occupasse professionalmente delle biblioteche penitenziarie?

Angela: Il carcere è una comunità, nella comunità esiste l’infermeria, l’ufficio educatori… ed altri servizi con figure professionali, perché dovremmo pensare che le biblioteche non debbano avere figure di riferimento professionalizzate?

Il nuovo regolamento penitenziario qualche piccolo passo avanti l’ha fatto, prevedendo le biblioteche aperte ai detenuti.

 

Alessandro Pinti: Io ho fatto più o meno tutte le carceri di Italia, e posso dire che l’accesso diretto esiste solo nel carcere aperto, cioè nelle carceri dove ti aprono alla mattina alle otto e ti chiudono alla sera…

Tutti mi dicono che sono pessimista e non credo nella possibilità che anche qui si possa arrivare a un concetto di biblioteca più aperta, ma la mia non è una posizione conservatrice, è proprio una visione realistica del carcere che mi porta a pensare che in un carcere di media-alta sicurezza, come quello di Padova, l’idea della biblioteca che è aperta, e uno va lì, consulta il catalogo, sceglie il libro, lo prende in prestito, sia ancora lontana dalla realtà.

 

Angela: Intanto potreste iniziare un servizio di informazione nelle sezioni, stampando le ultime novità, e tenere invece il catalogo generale in biblioteca, ma anche pensare ad usare qualcosa come il carrello con le vivande e i libri insieme. La biblioteca acquisisce testi e te li mette di fianco ai cibi e tu ti prendi quello che vuoi. Queste, secondo me, sono promozioni per la biblioteca.

 

Ornella Favero (Redazione di Ristretti): Ad Alessandro risponderei che sei, sette anni fa sembrava impensabile in un carcere avere un’attività come quella del nostro Centro di Documentazione, con i detenuti che scendono in redazione, lavorano ai computer, organizzano l’attività, quindi io credo che si debbano tentare strade diverse e non fare mai affermazioni del tipo "Questo è impossibile".

Angela: Si tratta di cominciare a poco a poco e ricordare sempre, come scrive Noam Chomsky che "...chi agisce come se non esistesse alcuna possibilità di cambiamento in meglio impedisce di fatto tale possibilità."

La biblioteca decide quali libri in base alla realtà del carcere e ai bisogni degli utenti, è un servizio che pianta semi nei lettori i quali quando se ne vanno lo portano dentro per seminarlo altrove. Per questo non è corretto demoralizzarsi per una realtà che non funziona, perché sappiamo che prima o poi da altre parti il frutto viene raccolto.

All’inizio del mio viaggio "Fuori di Sé" pensavo di poter far funzionare biblioteche sulla luna, poi mi sono adattata alla realtà e ora penso che tre biblioteche in tre Istituti siano comunque utili. Si sono poi avviati corsi di formazione per figure di bibliotecario in carcere non solo in Romagna ma anche in altre città, nati dal piccolo seme romagnolo. Oggi inoltre è nata l’ABC Associazione Biblioteche in carcere e prima non esistevano riferimenti. È nata su iniziativa del Professor Montecchi, docente dell’Università di Milano, e di Emanuela Costanzo, bibliotecaria dell’Università; io credo di essere la terza iscritta all’Associazione.

 

Redazione: Che altre iniziative avete fatto per promuovere la lettura?

Angela: Ho proposto libri da leggere insieme facendo recensioni che inserivo in Internet come suggerimenti di lettura dei detenuti; li spedivo anche a Gabriele La Porta, che li leggeva in televisione nella sua rubrica, su Rai Due al mattino.

Quello che ho cercato di fare è stato da una parte di portare i miei colleghi dentro, dall’altra di portare fuori la conoscenza delle attività intorno ai libri "dentro".

Sicuramente il mio lavoro è stato favorito anche dalla curiosità del momento verso quello che succedeva oltre le mura del carcere. Ho fatto poi amicizia con scrittori, quando andavo alla presentazione dei loro libri, ai convegni, nelle librerie, poi li invitavo in carcere. Molti hanno accettato, come Vittorio Sermonti, famosissimo per le sue letture pubbliche di Dante all’interno della Chiesta di San Francesco a Ravenna. Con lui abbiamo letto i versi sulla vicenda amorosa di Paolo e Francesca… nei giorni successivi i detenuti mi hanno chiesto di poter leggere insieme altri passi della Divina Commedia.

Così a poco a poco, fotocopiando versi che pensavo li avrebbero incuriositi, facendone piccoli bocconi come si fa coi bambini che non vogliono mangiare, ho appassionato anche i "non lettori" che mi chiedevano sempre "più pane" per le loro menti.

Fare il bibliotecario è un mestiere particolare; se hai un figlio che non mangia devi educarlo al cibo, la stessa cosa è per chi non legge, devi insegnargli a leggere, ad amare il libro…

Brevemente siamo passati alla letteratura straniera avviando un laboratorio di lettura con il libro di Tahar Ben Jelloun "Il razzismo spiegato a mia figlia". In quel periodo c’era la guerra in Kosovo, e a Rimini sopra il carcere volavano i bombardieri. Noi parlavamo di razzismo e di pace e abbiamo coniato un decalogo con dieci frasi contro il razzismo, tradotte in tutte le lingue dei partecipanti: albanesi, croati, libanesi, marocchini, tunisini.

Alla fine del laboratorio, uno di loro, un Rom ha dichiarato: "Io comunque a mia figlia un negro non glielo faccio sposare!", facendoci provare la sensazione di aver parlato inutilmente di razzismo di uguaglianza… Poi però ha cercato di spiegarci la sua posizione: "Non è razzismo, il mio, io voglio solo preservare la mia cultura! Non ce l’ho con lui, può venire a mangiare quando vuole a casa mia, viverci gratis, però sposare mia figlia no…".

Questo ci ha indotti ad altri sforzi di comprensione, di approfondimento, di confronto. A un certo punto, è venuto agli incontri anche l’ispettore, e quando gli hanno detto che "non volevano divise", è tornato vestito in borghese dichiarando le ragioni di chi sta "dall’altra parte", la parte del "giustiziere". Il laboratorio pubblicato in un libro lo abbiamo titolato "L’Albero del mondo". Come bibliotecaria in carcere ho ricevuto tantissimo, e questo mi ha permesso di andare avanti per questa strada senza altre consolazioni se non quello che mi hanno dato gli utenti. È stato un gratificarsi, un caricarsi a vicenda e ogni cosa che abbiamo fatto ci ha regalato soddisfazioni aprendo spiragli e finestre utili al mondo del carcere.

 

Maria Stella Dal Pos (volontaria in biblioteca): A proposito di questi laboratori di cultura che a me sembrano molto interessanti, mi piacerebbe sapere le possibilità e i limiti che hai trovato per metterli in pratica.

Angela: Il limite primo è il numero dei partecipanti che deve essere al massimo di 15. Ho chiesto anche agli Agenti di partecipare, perché il coinvolgimento di tutti è il mezzo per la riuscita del lavoro. Altro trucco è quello di scegliere testi brevi da leggere in pochi incontri. L’argomento scelto è di solito un bisogno espresso dai detenuti e dagli agenti, che così condividono anche la biblioteca e i suoi servizi.

 

Marina Bolletti (volontaria in biblioteca): Io purtroppo sono una volontaria e non sono una bibliotecaria fissa. In compenso faccio la bibliotecaria fuori ed è già un dato che aiuta. Attualmente secondo me noi qui non abbiamo una vera biblioteca, invece abbiamo una richiesta molto forte di lettura, e un prestito, che per me è molto forte visto il tipo di libri che ci sono, che sono molto vecchi, fondamentalmente tutti. Però io per vera biblioteca intendo prima di tutto la biblioteca frequentabile, cioè dove uno se vuole scende e lì vede i libri, perché una cosa è avere un catalogo in mano e altro è vedere i libri.

Angela: Non si può, per cominciare, chiedere il permesso per far circolare una volta a settimana un carrellino con un po’ di libri? Quanto alla dotazione di libri, posso raccontarvi la mia esperienza: ho chiesto alle biblioteche le doppie copie dei testi nuovi, omaggi degli editori, e continuo ogni giorno senza sosta. È un lavoro costante di strategie da studiare e mettere in pratica. In Internet poi ho trovato il sito con la campagna: "Aiuta una biblioteca donando un libro", ho aderito ed ora sono sommersa di libri in omaggio. Uso tutti i trucchi del mestiere di bibliotecario per scovare finanziamenti, libri, per coinvolgere altri enti esterni alle attività delle biblioteche "dentro". Vorrei lasciarvi ricordandovi che Marguerite Yourcenar diceva che le biblioteche sono i granai della cultura, riserve contro gli inverni dello spirito.

Nel carcere di Como una biblioteca realmente aperta ai detenuti

 

Un’intervista a Ida Morosini, insegnante-volontaria e responsabile della biblioteca nella Casa Circondariale "Bassone" di Como

 

Intervista a cura di Marino Occhipinti

 

Ci piacerebbe sapere come ha conosciuto il mondo del carcere e da quanto tempo vi entra, com’è iniziata quest’esperienza e quali motivazioni l’hanno spinta ad impegnarsi in un contesto molto difficile. Nel 1993 conobbi da vicino il mondo del carcere in occasione di una ricerca sull’immigrazione proposta ai miei alunni di Terza dell’Istituto Professionale dove allora insegnavo, che ebbe molto successo e si concluse con l’elaborazione di tre tesine, discusse, poi, all’esame di qualifica. Nel 1997 entrai nel gruppo dei docenti volontari, che stavano portando avanti un progetto di assistenza allo studio per il conseguimento del diploma di Ragioneria, destinato ai detenuti dell’Alta Sicurezza, per i quali, all’epoca, non erano previste altre attività culturali.

 

Ci parla della biblioteca interna alla Casa Circondariale Bassone e più nello specifico del lavoro che siete riusciti a sviluppare?

Sempre nel 1997, su incarico della Cooperativa Sociale "Omnia", ho elaborato un progetto FSE denominato "Biblioteca Aperta", che fu approvato, ma, purtroppo, rimase per un pelo fuori dal finanziamento. "Biblioteca aperta" avrebbe voluto trasformare la biblioteca in luogo di incontro e confronto tra idee e culture diverse, per costruire tolleranza e apertura verso la diversità. Una rete di computer collegati con la biblioteca avrebbe consentito la consultazione del catalogo da ogni sezione e un corso sostanzioso di Biblioteconomia avrebbe garantito la qualifica di "Operatore di biblioteca", spendibile dentro e fuori le mura.

In seguito, nell’ambito del Fondo Nazionale per la lotta alla droga, è stato approvato, ma non subito finanziato, il progetto "Bibliomania" che ricalcava nelle linee essenziali "Biblioteca Aperta" e sottolineava la parte dedicata all’allestimento di laboratori culturali nello spazio della biblioteca. Poiché i finanziamenti non arrivavano è stato difficile coinvolgere gli operatori che avevano curato la presentazione del progetto e allora sono stata incaricata io, che, con entusiasmo ho accettato la sfida, pur consapevole dei miracoli che sarebbero occorsi.

 

Ci descrive l’attuale situazione rispetto a quella di "inizio lavori"?

Certamente. Oggi esiste una biblioteca a scaffale aperto, con un patrimonio di circa tremila volumi, tutti frutto di donazione e catalogati da me, inizialmente supportata dalla Dottoressa Francesca Ferraris, collaboratrice esterna nella Biblioteca Comunale di Como, nonché bibliotecaria presso il Seminario di Como, e dopo con l’aiuto di alcuni detenuti, formati con un corso base di Biblioteconomia, allestito anche con il supporto dell’ABC (Associazione Biblioteche Carcerarie).

La Biblioteca Bassone fa oramai parte del Sistema Bibliotecario Intercomunale di Como e, ogni settimana, precisamente al mercoledì, il corriere del sistema consegna in carcere ai detenuti i libri richiesti in prestito. Prima che il servizio partisse, cioè prima di gennaio 2003, provvedevo io ad evadere anche materialmente le richieste.

Esiste un Regolamento che prevede l’accesso in biblioteca dei detenuti tutti i giorni, esclusi il sabato e la domenica, per cinque ore al giorno, due e mezzo al mattino e altrettante al pomeriggio. Essendo la biblioteca localizzata nell’area destinata alla scuola e alla palestra, è stato abbinato l’orario della palestra con quello della biblioteca in modo che fosse garantita la presenza di un agente e al tempo stesso consentito a tutte le sezioni, escluse l’Infermeria e i Nuovi Giunti, di entrare a turno a consultare il catalogo e prendere in prestito i libri o richiederli al sistema. Per le due sezioni escluse e per tutte le altre è stato stampato il catalogo e distribuito in cartelle predisposte a disposizione dei detenuti presso l’ufficio dell’agente di sezione.

 

Quali difficoltà avete incontrato e come siete riusciti a superarle?

Come prevedibile le difficoltà sono state molte e di vario genere, ma le più tenaci e temibili, poiché sottili e non sempre facilmente visibili, attenevano alla sfera delle diffidenze, dell’incredulità e delle resistenze di quanti si erano oramai rassegnati a un servizio poco efficiente per qualità e quantità.

Poi c’era il problema dei fondi, totalmente assenti, per cui ho dovuto inventarmi di volta in volta i sistemi per reperire gli strumenti indispensabili di lavoro.

Così, ad esempio, siamo stati fortunati poiché abbiamo schiacciato i tasti giusti al momento giusto e allora grazie alla sensibilità del sindaco uscente, il dottor Botta, che ha subito risposto generosamente alla nostra richiesta, abbiamo ottenuto la donazione gratuita del software di catalogazione in uso nelle biblioteche di Como, il PlayLib, e l’implementazione di un vecchio PC recuperato per l’occasione. Niente, comunque, avrei potuto fare senza l’entusiasmo e l’ostinazione a ottenere dei risultati

 

Siete riusciti a coinvolgere l’Amministrazione Penitenziaria ed eventualmente altri enti di supporto nella "ristrutturazione" della biblioteca?

Bisogna dire che a monte c’è stata la convinzione di quasi tutti gli operatori penitenziari, particolarmente la Direttrice, Francesca Fabrizi, il Direttore dell’Area pedagogica, Mauro Imperiale, l’educatrice Patrizia Giai Levra che, consapevoli dell’importanza e della validità del progetto, ci hanno sostenuto sempre. In itinere la presenza dell’ABC e un’abile e fortunata strategia, orchestrata dietro le quinte, hanno giocato il ruolo di convincere, forse sarebbe più proprio dire inizialmente di "obbligare", le biblioteche del territorio a prenderci in considerazione. Dopo i primi passi, tutti gli operatori delle biblioteche esterne hanno dimostrato simpatia e disponibilità e continuano a sostenerci.

 

Può approfondire in cosa consiste la convenzione del prestito bibliotecario stipulata tra la Direzione della Biblioteca Comunale di Como e la Direzione della Casa Circondariale?

Dicevo che il Dottor Botta, allora sindaco di Como, ha dimostrato un’apertura straordinaria e una solida fiducia nel nostro progetto: praticamente ancora non c’era di fatto nulla al di là delle belle e buone intenzioni. Così ha firmato una delibera in cui si esprimeva parere favorevole a una Convenzione di prestito tra la Biblioteca Comunale e la Direzione del carcere. Successivamente questa è stata firmata dal Direttore della Comunale, Riccardo Terzoli e dalla Direttrice del carcere. In questo modo, prima ancora di tutto, abbiamo garantito ai detenuti la fruizione del servizio prestito esterno, previo ricorso a una tessera intestata al carcere e grazie al mio impegno settimanale a fare da spola tra la Comunale e il carcere per la richiesta e la consegna dei libri.

 

Nella scala degli obiettivi che vi siete posti, che gradino avete raggiunto e quanto ritardo avete rispetto alla tabella di marcia?

Praticamente, in meno di un anno abbiamo raggiunto un traguardo che, date le premesse iniziali, "era follia sperar". Abbiamo dovuto, questo sì, rimaneggiare e rinegoziare gli obiettivi, operando, secondo le necessità, cambiamenti nella tabella di marcia. Così ci mancano ancora alcuni scaffali e il secondo computer per la consultazione autonoma in sede del catalogo. Poi dobbiamo ancora realizzare la LAN (Rete Informatica Locale), formare le detenute della sezione femminile per rendere fruibile il servizio alla sezione che materialmente è ubicata in un blocco separato.

Dobbiamo ottenere il finanziamento di un altro progetto per il riconoscimento del bibliotecario esterno, che costituisca un valido supporto al bibliotecario detenuto e provveda all’aggiornamento e a quanto, di volta in volta, si renda necessario alla qualificazione del servizio interno. Quanta strada ancora!

 

In quale modo siete riusciti a reperire i finanziamenti e/o i materiali dei quali avete avuto man mano necessità?

Bibliomania è stato finanziato dal Fondo Nazionale per la Lotta alla Droga, ma di fatto, la somma prevista è stata divisa in tranches che finora sono state erogate solo in parte, nello scorso dicembre. Attendiamo che vadano a buon fine anche le altre per poter acquistare gli scaffali e il resto.

Nel frattempo ci siamo dati da fare e continuiamo a farlo facendoci regalare dalle varie biblioteche, principalmente dalla Comunale, vecchie BNI, soggettario e gli altri strumenti di lavoro. Il carcere ci ha fornito con notevole austerità il materiale di cancelleria. Abbiamo ottenuto una micro–erogazione dalla Fondazione Provinciale della Comunità Comasca, grazie al coinvolgimento del Gruppo Volontariato Carcere di Como e altre richieste abbiamo inoltrato al Comune e alla Provincia. Speriamo bene.

 

Ci sono dei compiti che potrebbero essere affidati ai detenuti, previa specifica formazione?

Ovviamente sì. I nostri stanno già lavorando, e bene anche, nella biblioteca, svolgendo, praticamente, tutte le operazioni, dalla catalogazione al reference, dal prestito alla manutenzione ecc. secondo mansioni e ruoli distinti (per reference s’intende il servizio di consulenza, aiuto e orientamento agli utenti, nella fattispecie ai detenuti che hanno un’idea più o meno vaga del libro che vogliono leggere o dell’informazione di cui hanno bisogno e non sanno come cercarli e/o trovarli). È, a nostro parere, comunque indispensabile la formazione e l’aggiornamento continui, per garantire i quali, ripeto, diventa insostituibile una figura esterna qualificata, in grado di mediare con l’esterno e consegnare ai detenuti la formazione a sua volta proposta e offerta dal sistema. Se verrà approvato il mio progetto "Un libro per ricominciare" tutto questo sarà possibile in brevissimo tempo.

 

Ci parla dell’organizzazione delle attività collegate alla biblioteca, come le "giornate a tema", cioè gli incontri ed i dibattiti da tenere dentro e fuori le mura dell’Istituto, con lo scopo di "aprire" il carcere alla società, nonché di altre eventuali iniziative?

Nell’immaginario collettivo il carcere ghetto è ancora forte e l’immagine è suffragata dalla sua ubicazione geografica isolata e lontana dai centri abitati. Così fatica a oltrepassare le sbarre l’idea del carcere luogo di recupero e rieducazione in vista del reinserimento sociale del detenuto. Poiché il modello di società e le dinamiche sociali che interagiscono con l’ex detenuto diventano determinanti nel successo del trattamento, è opportuno che la società sia informata su quanto avviene dentro il carcere, per poter sviluppare la sensibilità adeguata alla comprensione di problematiche di estrema delicatezza.

Così noi stiamo costruendo un ponte tra carcere e biblioteca da una parte e scuola superiore e Università dall’altra. Stiamo realizzando un mio progetto "Al di là delle sbarre - La dimensione pedagogica del carcere - Una scuola per il carcere: informare per formare" con L’Istituto Professionale "Ripamonti". Gli alunni del Liceo Scientifico "Giovio" hanno chiesto di poter conoscere e studiare il mondo del carcere. Gli studenti dell’Insubria, Facoltà di Scienze e teoria dell’informazione, progetteranno un sito web per il carcere e la biblioteca. Stiamo organizzando un incontro di sensibilizzazione all’esterno sulla valenza didattica della biblioteca. A fine maggio-inizio giugno, Moni Ovadia incontrerà e intratterrà i detenuti in biblioteca.

Il laboratorio di legatoria offrirà ai detenuti l’opportunità di acquisire competenze, spendibili fuori le mura, e così lo studio della Biblioteconomia e la pratica di catalogazione del libro. Spesso si legge poco anche perché mancano gli strumenti idonei alla decodifica e comprensione del testo, e allora cercheremo di rimuovere gli ostacoli dovuti a un approccio poco qualificato con il sapere, proponendo riflessioni sui linguaggi e le tecniche espressive della lingua scritta, con particolare attenzione alla stampa e alla letteratura. E così via.

 

Qual è la funzione che dovrebbe avere la biblioteca all’interno del carcere?

Secondo noi, la biblioteca del carcere non ha soltanto la funzione di promuovere e garantire la lettura o di far circolare l’informazione, ma è il cuore delle attività culturali e ricreative del carcere, uno spazio polivalente finalizzato al coordinamento di tutte quelle iniziative che attengono alla riabilitazione del detenuto e che pertanto affiancano il trattamento.

 

Secondo lei, quindi, la lettura, fonte di arricchimento e crescita culturale, può favorire, in qualche modo, il reinserimento nella società delle persone detenute? E proprio sul reinserimento nella società di coloro che hanno sbagliato, c’è qualcosa che vuole dire e trasmettere ai nostri lettori?

Ritengo che il nostro modello sociale non sia il massimo, e quindi, al di là di ogni ottimistica previsione, in presenza di una forte logica di profitto e dunque di scarsa attenzione e sensibilità verso le problematiche sociali, è difficilissimo trovare lavoro per un detenuto o ex detenuto, né più e né meno che per un portatore di handicap o di disagio. Allora è importante avere solide spalle robuste per essere preparati a sostenere le inevitabili frustrazioni derivanti da una ricerca difficile, puntando sul recupero di quei valori umani che oggi sembrano scomparsi e che, invece, sono referenti invincibili. In altri termini, il lavoro è importantissimo, ma, se si potesse dire, forse lo è di più imparare a gestire le sconfitte, senza stancarsi mai di operare in tutti i modi possibili per costruire nuovi modelli di vita più umani in cui vinca sempre il diritto.

Reinserimento, dunque, non vuol dire soltanto riuscire a trovare un lavoro nel quale dimostrare di aver imparato a rispettare le regole, quanto saper riconoscere ed apprezzare la gioia e la soddisfazione derivanti da una sana relazione sociale, nella consapevolezza di grandezza e limiti delle varie prospettive.

Romanzo criminale

 

Una miscela esplosiva di realtà e fantasia, che per tutta la durata del libro ti tiene con il fiato sospeso

 

A cura di Nicola Sansonna

 

"Là fuori stanno perdendo la testa. Succede sa? È come un’ubriacatura… prima o poi finirete per ammazzarvi tutti l’un l’altro…". Quando si sta dentro una "Batteria" (quella che nel mondo "regolare" si chiama banda) la voglia di emergere, la vita con il carcere sempre sullo sfondo dell’esistenza quotidiana, il potere, i soldi, danno spesso alla testa. E quando poi la Batteria diventa forte, dominante, può capitare che anche quelli che consideravi amici si trasformino in potenziali rivali, e non rivali da quattro soldi, "due pugni e via…", ma rivali mortali. Conoscono tutto di te, le tue abitudini, i tuoi punti di forza e quelli di debolezza. Se la Batteria decide che devi morire, sei morto e basta.

Questo è "Romanzo Criminale" di Giancarlo De Cataldo: 628 pagine d’azione, d’intrighi politici, malavita, trame nere. Tre serate di lettura veramente intense! Non capita spesso di desiderare conoscere lo sviluppo della storia raccontata con bramosia, quasi con ansia. Questo romanzo è riuscito a catturare, con la sua narrazione serrata e precisa, la mia attenzione, nonostante certe logiche criminali facciano ormai parte del mio passato.

Ho atteso però una settimana, dopo averlo letto, prima di scrivere qualcosa su questo libro. Di solito le recensioni le scrivo a caldo, appena terminata la lettura, questa volta non ho potuto farlo. Perché non ho potuto scrivere subito questa recensione? È semplice. Da balordo, quale sono stato per tanto tempo, avevo timore di essere troppo generoso. Le mie recensioni a romanzi di genere noir hanno la caratteristica che spesso ne traggo dei parallelismi con la mia vicenda personale e la mia esperienza di vita. Il rischio era quello di risultare, in questo caso, poco obiettivo.

Lo scenario in cui si districa la trama è la Roma che va dalla fine degli anni 70 ai giorni nostri. L’autore, De Cataldo, essendo un Giudice di Cassazione, di storie criminali ne ha lette, studiate, giudicate tante. In questo libro ha messo sulla carta emozioni, sentimenti, sete di potere, passioni, con grande forza ed efficacia, forse proprio perché ha attinto a piene mani dai voluminosi fascicoli processuali con cui ha avuto a che fare, rimpolpando con massicce dosi di storie criminali autentiche quella che è una storia frutto della fantasia. Della quale a volte la realtà quotidiana riesce a essere più straordinariamente ricca e imprevedibile.

"Quelli dentro gridavano, imploravano. Il Freddo pensò che se li avessero voluti uccidere sarebbero bastati tre o quattro colpi ben indirizzati. Tutto quello spreco di tiri era la coreografia imposta dal Libanese. ‘Sta spedizione contro i miserabili faceva un po’ schifo. Ma era una cosa che andava fatta, maledetto Bufalo…

Il Libanese era stato categorico: - Ogni offesa ha un valore. Non si deve mai esagerare. Se si comincia a esagerare, si muore presto". Questi sono i protagonisti, ragazzi di borgata che sfidano la sorte con le armi in pugno. La strada è il loro regno. Loro, i re assoluti. Chi si oppone al loro dominio muore. Un cedimento, un accenno di debolezza, e sarebbero spacciati. E spesso per mano dei loro stessi compagni.

Quindi, sono condannati dalle loro scelte iniziali a proseguire, sino ai livelli più alti, sin dove l’élite malavitosa si fonde con frange di potere assoluto e senza scrupoli. Malavitosi, fascisti, servizi deviati, poliziotti corrotti, ognuno fa il suo gioco, ognuno persegue il suo obiettivo, ma spesso si intravede un "burattinaio": affiliazioni massoniche, "fratelli" che soccorrono "fratelli". Omertà, silenzio, segreti portati sin nella tomba: "Il Vecchio non avrebbe parlato. E questo lo rendeva un po’ triste un po’ allegro. Se la sarebbe portata nella tomba, questa gioia crudele di sapere, e di sapere di essere l’unico a sapere…"

Ma quando, in quel mondo, pensi di essere arrivato, quando credi che è ora di voltare pagina, lasciare le armi, il gioco d’azzardo, i traffici, uscire "in bellezza" insomma, il destino ha già disegnato la tua strada e per molti solo una pallottola metterà la parola fine.

In questo romanzo non c’è "solo" la capacità narrativa dell’autore, ci sono anche storie dell’Italia appena passate e ancora poco studiate, dagli omicidi eccellenti, al caso Moro, alla strage della stazione di Bologna. La parte più buia di anni pesanti e segnati da molti delitti, che scandiscono le vicende narrate in un romanzo che sembra "rubato alla cronaca nera", dove agiscono personaggi anche loro arrivati dritti dritti dalle pagine dei quotidiani di quegli anni, con sullo sfondo una specie di potere unico, quasi onnipotente,senza sbocchi, un potere "anarchico" ma che non ammette ripensamenti.

De Cataldo è un magistrato prestato alla letteratura, o forse piuttosto uno scrittore prestato alla Magistratura. Certo è uno che ha fuso bene in sé questi due ruoli, attingendo dalla sua professione di magistrato la conoscenza profonda e dettagliata del mondo della criminalità organizzata e dal talento di scrittore la capacità di partire da fatti di cronaca ed "entrarci dentro" per dar loro forza, profondità e vita propria.

 

 

 

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