Editoriale

 

Non siamo rifiuti umani

 

In qualità di "inquilini" di questi luoghi, che il sovraffollamento rende sempre più invisibili, la definizione di carcere come "discarica sociale" non ci è mai piaciuta molto. Anche se risponde realmente a un dato di fatto: che la società tende a cacciare lontano, ai margini, nelle periferie più estreme quello che non vuole accettare, che disturba, che non fa un "bel vedere". E il carcere raccoglie tutte queste diverse categorie di esclusi: tossicodipendenti, stranieri clandestini, persone con forte disagio psichico.

Ma sentirsi parte di una "discarica", sentirsi ricordare continuamente che si è dei rifiuti umani, non fa piacere a nessuno: nemmeno quando lo fanno con nobili motivazioni, nemmeno quando a dirlo sono quelli che questa tendenza a cacciare in carcere chi "disturba" vogliono contrastarla in tutti i modi. Diciamocelo francamente: quale soggetto sociale, quale persona gradirebbe sentirsi considerata "spazzatura"? E poi, paradossalmente, questa definizione appiattisce tutto il resto che c'è in carcere: perfino la libera decisione di chi, sbagliando, rovinando la vita a sé e agli altri, per soldi, per desiderio di emergere, per rabbia, ha fatto delle scelte che lo hanno messo temporaneamente fuori dalla società.

La nostra non è la rivendicazione della "dignità del delinquente", per carità, ma semplicemente un invito a una riflessione: ricordiamoci più spesso che a parlare di carcere, per cercare di cambiare le cose, non sono quasi mai i diretti interessati, sono invece volontari, operatori sociali, liberi cittadini con un po' di senso di giustizia, tutti quelli cioè che hanno scelto in qualche modo di farsi "portavoce" dei problemi di chi sta "dentro". E fare da "portavoce" non è la stessa cosa che vivere sulla propria pelle la galera.

Due sono allora i suggerimenti che vogliamo dare: il primo, creare più possibilità per i detenuti perché siano loro stessi a parlare della propria condizione; il secondo, usare con più "delicatezza" le parole, perché le discariche sono posti orrendi, e probabilmente anche molte carceri lo sono, ma chi ci sta dentro ha diritto comunque a non essere continuamente associato a un'idea di immondizia, di scarto sociale.

 

La Redazione

 

 

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