InFormaMinore

 

Ragazzi senza

 

Senza punti di riferimento, senza famiglie che li sostengano e li guidino, senza modelli positivi da seguire

 

La punizione è come un farmaco, che deve essere somministrato a un ragazzo aggredito dal virus della devianza sociale; ma come il farmaco, quando è utilizzato troppo tardi o in dose massicce e senza controllo può avere effetti nefasti, addirittura mortali, così la punizione quando inflitta troppo tardi, oppure con durezza ed emotività, avulsa da un progetto organico di recupero, lungi dal produrre un cambiamento positivo, non potrà che provocare più gravi atteggiamenti di reazione.

Queste parole non sono di un teorico del garantismo o del perdonismo. Sono conclusioni di Melita Cavallo, già giudice minorile a Milano e Napoli, componente dell’Osservatorio Nazionale sui Problemi dei Minori, presidente dell’Associazione Italiana dei Giudici per i Minorenni nel 1988, 1990 e 1996, assegnataria nel 1995 del Prix Femmes d’Europe, conferitole dal Parlamento Europeo per il suo impegno in campo minorile, e attualmente Presidente della Commissione per le adozioni internazionali.

In un momento in cui sembra prevalere il pensiero primitivo della giustizia di piazza (o meglio: di platea) che rispolvera la legge del taglione come unica risposta a una realtà creata dai filtri emotivi e sensazionalistici dei mezzi di informazione, il suo ultimo saggio, Ragazzi senza, rappresenta la voce della ragione, il pensiero scientifico basato non su teorie aprioristiche, ma sulla storia di settant’anni di pratica, di tentativi, di errori e di successi nel trattamento di minori deviati. Trascurando le eccezioni, che tanto piacciono ai telegiornali, e occupandosi della norma, Melita Cavallo esamina i percorsi che portano i ragazzini italiani dal disagio alla devianza e infine alla delinquenza. Ed è facile comprendere come i giovani criminali si configurano soprattutto come ragazzi senza, senza punti di riferimento, senza famiglie che li sostengano e li guidino, senza contesti sociali che gli inculchino i giusti valori, senza modelli positivi da seguire. La risposta più forte e intelligente in questo senso è solo la prevenzione. Una prevenzione alla quale deve collaborare l’intera società, con in prima fila gli enti locali che dovrebbero adoperarsi per individuare i serbatoi di disagio e devianza e offrire, se non SOLUZIONI, perlomeno alternative, quali asili e scuole a tempo prolungato, luoghi di socializzazione per i giovani e sostegno alle famiglie più disagiate e a rischio.

E quando ci si trova di fronte al comportamento criminale? L’errore in cui è più facile cadere è la risposta viscerale e vendicativa. L’obiettivo che non si deve mai perdere d’occhio è che il giovane deve essere recuperato. In questo senso la pena detentiva deve essere residuale, deve essere l’ultima ratio e va usata quando non se ne può fare a meno. Molto più efficaci, e previste da diversi ordinamenti europei oltre che da quelli americani, sono le pene configurate non come detenzione, ma come "obblighi a fare" correlati con le violazioni commesse. Un ragazzo ha guidato senza patente, causando lesioni a un passante? È molto più utile obbligarlo ad aiutare gli addetti alla manutenzione stradale, piuttosto che rinchiuderlo con ragazzi che hanno compiuto reati ben più gravi e che sono più "adusi" a delinquere. Le risposte devono essere modulabili. La rigidità nella giustizia minorile non paga. Ogni caso deve essere valutato singolarmente per poter individuare la "parte buona" presente in ogni ragazzo su cui far leva per smuoverlo e spingerlo a cambiare strada. Utopia? No, sono troppo numerosi i casi in cui questa strategia ha avuto successo.

 

Le pene per i minorenni sono davvero troppo lievi?

 

Le pene previste sono troppo lievi? Melita Cavallo sfata anche questo falso mito, esortando a fare solo un piccolo ragionamento: oggi si accetta che i nostri figli vengano educati e puniti come avveniva negli anni trenta? Si accetta che, per esempio, il maestro elementare possa usare a suo piacere la bacchetta sugli alunni distratti? La risposta è scontata: un simile maestro di vecchio stampo si vedrebbe immediatamente sommergere dalle denunce. Eppure il codice penale (unico per adulti e minori) è rimasto quasi inalterato. Di conseguenza il ragazzo del 2000 viene punito come il ragazzo degli anni trenta, con le stesse pene previste per l’adulto (anche questo, aggiungiamo, tuttora sottoposto a un codice dell’era fascista) anche se "benevolmente" diminuite nella durata.

Ma sarebbe troppo lungo e complesso esaminare l’intero libro che analizza situazioni, contesti sociali e l’evoluzione delle risposte nei settant’anni di storia del Tribunale per i minori. Farebbero bene a leggerlo quanti, senza alcuna seria informazione sull’argomento, vanno propugnando lo smantellamento di un sistema che si è costruito e perfezionato nel tempo, per sostituirlo con un rozzo sistema retributivo. La "tranquillità sociale" si persegue e si raggiunge con politiche di equa distribuzione delle possibilità di lavoro e di crescita, con il risanamento delle sacche di grave disagio, non certo con soluzioni miracolistiche buone tuttalpiù per la propaganda elettorale e fondate prevalentemente su una pesante manipolazione dell’opinione pubblica.

 

Graziano Scialpi 

Poca retorica molta realtà

 

Le sceneggiature scritte dai ragazzi degli Istituti Penali Minorili

 

Sono piuttosto rari i concorsi per sceneggiature rispetto a quelli per romanzi, racconti o poesie ed il motivo è facilmente intuibile: se non diventa un film, una sceneggiatura è, per quanto lodata e premiata, un’opera incompleta. Per scrivere un libro basta un computer, per pubblicarlo qualche migliaio di euro; per realizzare un film, magari "corto" e senza pretese, occorrono attrezzature e persone che le sappiano usare, budget siderali per il carcere, impraticabili, poi, se si parla di girare in pellicola.

L’avvento di telecamere digitali ad alta definizione e di programmi di montaggio video relativamente a buon mercato sta comunque aprendo la strada a chi vuole sperimentare queste forme di espressione. Così abbiamo fatto noi del TG2 Palazzi con "L’importanza di chiamarsi Totò", un film che ci siamo "buttati a girare" quando l’unica telecamera in nostro possesso non era impegnata con le riprese per il TG, senza sapere come sarebbe andata a finire. E infatti ancora non sappiamo come andrà a finire (mancano un paio di scene, montaggio e musiche), perché un film è fatto di tante cose, attori, costumi, location ed in carcere tutto è più precario, soprattutto il materiale umano: c’è chi esce prima del previsto, chi evade (è accaduto,) chi ingrassa o dimagrisce troppo e allora è tutto da rifare.

Benché consapevole di certi rischi, Stefania Guiotto, dell’Associazione Il Soffio Onlus AICS di Treviso, ha "osato" promuovere il 1° Concorso Nazionale per gli Istituti Penali Minorili italiani: "Una sceneggiatura per la realizzazione di prodotti multimediali", con il patrocinio della Regione Veneto, della Provincia di Treviso e del Dipartimento per la Giustizia minorile, un progetto che prevede non solo la realizzazione di cortometraggi dalle sceneggiature vincenti, ma da tutte quelle partecipanti.

Ho fatto parte della giuria (assieme a Franco Acinapura del Dipartimento Giustizia Minorile, Antonio Turco responsabile Nazionale delle Politiche Sociali dell’AICS e Chiara Marazzi dell’Università Cattolica di Milano) e devo dire che delle quattordici sceneggiature partecipanti (almeno di quelle più autentiche, dove cioè non si avvertivano condizionamenti o aiuti di adulti) mi hanno colpito la poca retorica e la molta realtà, la scarsa presenza di quel misto di vittimismo e buone intenzioni che spesso caratterizza la scrittura carceraria (chissà se merito della giovane età degli scrittori, oppure delle regole della sceneggiatura che comportano obblighi di sintesi e leggerezza).

Ha vinto il concorso "Ricordi di un ragazzo di 16 anni", scritta dal gruppo di lavoro del Ferrante Aporti: è la storia tragica (ma con dialoghi brevi e ironici) di due fratelli albanesi con ideali di vita opposti ed una ragazza in comune. Secondo e terzo classificati "Un amore alla finestra" e "Che ora è", rispettivamente di gruppi di lavoro degli Istituti Beccaria di Milano e di Airola.

Le sceneggiature sono state premiate a Bellaria il 12 aprile scorso in occasione della Prima Convention Nazionale sulla Media Education, anche se dei loro autori era presente solo un ragazzo dell’Istituto di Airola in permesso premio.

Attualmente i cortometraggi sono in fase di preparazione: i ragazzi, con l’aiuto degli animatori e di operatori volontari, si occuperanno di regia e riprese, reciteranno (evitando, con vari accorgimenti, di essere riconoscibili, perché così vuole la legge della privacy sui minori), realizzeranno scenografie, costumi, trucco…

Il "girato" verrà poi inviato al TG2 PALAZZI per il montaggio a cui lavoreranno sei detenuti nei mesi di luglio e agosto: è prevista infatti una rassegna conclusiva a Roma in autunno.

L’Associazione Il Soffio ci ha chiesto di dare indicazioni per la realizzazione: l’ideale sarebbe stato che tutti i cortometraggi fossero realizzati con telecamere digitali su sopporti minidv, ma tenendo conto delle attrezzature, spesso messe a disposizione da volontari, abbiamo deciso di accettare anche prodotti realizzati in altri formati: è chiaro che lo spirito dell’iniziativa non è privilegiare la tecnica, quanto contenuti, creatività ed anche inventiva.

Un posto come il carcere può essere una palestra ideale per produttori indipendenti: per il nostro "corto" abbiamo utilizzato impalcature dei lavori in corso per riprese dall’alto, il carrello del vitto per le carrellate, vecchi monitor per ricostruire una sala regia… sappiamo che i ragazzi coinvolti troveranno le soluzioni più inaspettate.

Un solo Istituto ha rinunciato, quello dell’Aquila: il film, basato sui ricordi di un ragazzo tunisino, si svolgeva interamente a bordo di un canotto nel mezzo del Mediterraneo. Una bella storia, davvero un peccato rinunciare a girarla. E forse non è detta ancora l’ultima parola…

 

Medi@tando, prima Convention Nazionale sulla Media Education, si deve all’iniziativa di Zaffira, centro territoriale per l’educazione ai mass media nato dalla collaborazione di cinque comuni della provincia di Rimini (Bellaria, Igea Marina, Santarcangelo, Verucchio, Poggio Berni e Torriana) con la finalità di realizzare laboratori di Media Education in ambienti scolastici ed extrascolastici.

Al convegno, tenutosi l’11,12 e 13 aprile scorso a Bellaria, si sono potute confrontare esperienze europee (erano presenti Jacques Gonnet, direttore del Centre de liaison de l’enseignement et de moyens d’infomation della Sorbona e Cary Bazalgette, direttore dei progetti educativi del British Film Insitute) e, tra i vari workshop, ha trovato posto uno dedicato a Carceri e Media Education, condotto da Stefania Guiotto Un’altra occasione per parlare delle nostre esperienze, ma anche per scoprirne di altre, interessanti, a dir la verità, più che per contenuti o meriti artistici, per certi "dettagli" in cui ci piace cogliere spunti nuovi e sommessi segnali di piccoli, ma non irrilevanti cambiamenti, come un video realizzato a Rebibbia Nuovo Complesso da un gruppo di volontariato e "fotografato" da un ispettore di Polizia penitenziaria.O come un documentario realizzato da un regista italiano, Davide Tosco, in un Istituto Minorile del Sudafrica, che racconta i preparativi per la costruzione di una stazione radio interna: l’insegnante di sceneggiatura è un ex ospite del carcere divenuto poi un affermato scrittore.

A conclusione del convegno è stata presentata la bozza della Carta di Bellaria, "nata con l’intento di esercitare una pressione su chi può incidere attraverso atti formali (leggi) e sostanziali (appoggi, finanziamenti, promozione dei media-educator) sullo sviluppo della media education in Italia".

Inviata ad associazioni ed agenzie presenti al convegno per eventuali integrazioni, la carta si propone di favorire la nascita, la crescita e il consolidamento di un movimento italiano della Media Education, superando "la fase della sperimentazione, spesso intelligente e ricca di spunti educativi, ma sporadica e segnata dalla discontinuità e dalla mancanza di integrazione degli interventi".

Numerose le proposte: dalla professionalizzazione del media educator, alla costituzione di un Archivio Nazionale delle Esperienze dei Media Education, alla promozione di iniziative specifiche da parte dei vari Ministeri competenti per il sostegno e recupero della persona in situazione di disagio.

 

Antonella Barone

 

 

 

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