Chiude la sezione di Alta Sicurezza di Padova

Una “deportazione” che spezza tante vite, interrompe percorsi, tronca legami famigliari faticosamente ricostruiti

 

I detenuti che hanno passato anni della loro vita in regime di 41 bis e poi di Alta Sicurezza sanno bene che cosa sono i trasferimenti improvvisi che ti distruggono anche quel po’ di vita che ti eri costruito faticosamente in un carcere. Noi eravamo convinti che l’Amministrazione penitenziaria applicasse finalmente la circolare del 2014 “Disposizioni in materia di trasferimenti dei detenuti” riducendo al minimo i trasferimenti, non trincerandosi sempre dietro i motivi di sicurezza per giustificare gli spostamenti di persone detenute da un capo all’altro dell’Italia, senza nessuna preoccupazione per le loro famiglie, costrette a viaggi sfiancanti, costosi, per vedere i loro cari per poco tempo in sale colloqui squallide. Il vocabolario definisce la deportazione come una “pena consistente nella relegazione del condannato in un luogo lontano dalla madrepatria, con privazione dei diritti civili e politici”: ecco, certi trasferimenti  assomigliano tanto a deportazioni, e privano i detenuti di tutto, anche del diritto a preservare i loro affetti.

Quelle che seguono sono le testimonianze di detenuti che, dopo anni passati in carceri di massima sicurezza lontano dalle famiglie, sono arrivati a Padova, dove sono riusciti a ricostruire i legami spezzati e a dare un senso alla loro carcerazione, ma ora pare che chiuderanno davvero la sezione di Alta Sicurezza, e chi vi è rinchiuso verrà trasferito, a Parma, a Sulmona, a Asti, a Opera, in Sardegna, e perderà di nuovo quel po’ di umanità che aveva ritrovato. È desolante che le persone detenute troppo spesso siano trattate come pacchi e spostate senza avere la minima possibilità di decidere qualcosa della loro vita. Come se la perdita della libertà significasse perdere anche la dignità propria di ogni essere umano.

 

 

Trasferimenti che distruggono drammaticamente i legami famigliari

 

di Gaetano Fiandaca

 

Dopo quasi otto anni trascorsi nella Casa di reclusione di Padova, nei prossimi giorni sarò trasferito, poiché la sezione di Alta Sicurezza dove attualmente mi trovo sarà chiusa per motivi a me ignoti, che sicuramente riguardano delle convenienze ministeriali, ma che non rispettano per niente le vite delle persone. Questo trasferimento comporterà un totale azzeramento di quello che è stato il mio percorso in questo istituto, il quale mi ha dato la possibilità di crescere sul piano culturale e ha reso i contatti con i miei familiari molto più umani, cosa che verrà meno se verrò trasferito in altro luogo.

Da quando mi trovo in questo istituto ho sempre usufruito di 6 ore di colloquio e da un paio di anni di altre due telefonate straordinarie, questo mi ha permesso di coltivare meglio i miei rapporti familiari con mia figlia, mia moglie e con i miei anziani genitori. I colloqui si svolgono in una sala accogliente che nasconde il grigiore del carcere. In particolare mi preme segnalare che da circa 3 anni effettuo colloqui esterni con mia figlia nella struttura protetta “Piccoli passi” poiché la bambina manifestava gravi disagi psichici ogni volta che veniva a trovarmi in carcere.

Se andrò via da qui tutto ciò verrà meno e sicuramente andrò in un carcere dove dovrò ripartire da zero, iniziare con 2 telefonate mensili, 4 ore di colloquio e trascorrere le mie giornate chiuso in cella per 20 ore lasciandomi logorare totalmente dall’ozio. Sicuramente quello che mi peserà particolarmente sarà il dovere interrompere i contatti con mia figlia, in quanto temo che in altri posti non troverò la sensibilità e la comprensione che ho trovato qui.

Subire questo è veramente ingiusto dopo 20 anni di carcere, sono questi i motivi per cui cresce la delusione e la diffidenza nei detenuti, ai quali spesso viene spazzato via quello che hanno costruito, anche con sacrifici e ulteriori privazioni.

 Trovo che questi trasferimenti avvengano senza tenere minimamente in considerazione i detenuti come esseri umani, né le famiglie che devono pellegrinare su e giù per l’Italia per andare a trovare il loro caro. E sono proprio queste condizioni di detenzione che spesso causano molti allontanamenti fra i detenuti e le loro famiglie. Forse a quasi 50 anni sono ancora un po’ ingenuo a non capire che queste lunghe distanze hanno proprio il fine di creare una vera e propria rottura con ogni affetto familiare. Ma insieme alla distruzione degli affetti, viene cestinato anche il percorso carcerario che un detenuto per anni svolge con impegno costante, cercando in tutti i modi di partecipare a quelle iniziative culturali e lavorative che sono così importanti per ricostruire la propria vita.

Questi comportamenti delle istituzioni determinano delusione e sfiducia e fanno perdere alle persone la voglia di intraprendere ulteriori percorsi carcerari in altri istituti di destinazione, dove dovrebbero ripartire da zero, magari dopo più di vent’anni di carcere alle spalle, con l’angoscia di sapere che poi questi percorsi saranno quasi sicuramente spazzati via dalla prossima, immotivata deportazione di massa.

Perché di deportazione si tratta, non c’è niente di umano in questi trasferimenti, nessun rispetto, nessuna considerazione per la dignità delle persone.

 

Il mio reinserimento, oggi a rischio di essere devastato

 

Da quando mi hanno detto che chiuderanno la sezione di Alta Sicurezza, ho ripensato alla mia esperienza di studio qui in carcere. Al momento in cui ho lasciato la scuola nel 1983, dopo avere conseguito la licenza media, pensavo che la mia esperienza scolastica si fosse conclusa per sempre.

A 43 anni, a seguito della mia detenzione, ho avuto la possibilità di iscrivermi a ragioneria e devo dire che fin da subito mi sono reso conto di quanto fossero importanti l’istruzione e la cultura e di quanto io ne avessi bisogno. I benefici di ciò sono veramente tanti, sono passato dall’ozio quotidiano, fatto di consuetudini ripetitive, a un’attività completa per accrescermi sul piano culturale.

La scuola per me è stata una notevole apertura sul mondo, mi permette di confrontarmi con gli insegnanti e mi apre tutti quegli spazi, che diversamente sarebbero rimasti invalicabili.

Sull’immediato ho notato solo benefici a livello mentale e interiore, nel futuro spero che possa servirmi nella vita sociale e lavorativa, dico spero poiché il mio ergastolo ostativo non mi consente di avere una certezza, visto che le attuali leggi, a riguardo, dicono che la mia pena finirà con i miei giorni di vita.

Questa esperienza della scuola, che auguro a tutti, in particolar modo a quelle persone che come me vivono una situazione di ristrettezza, consente di poter vivere più serenamente con se stessi i problemi, ma anche di potersi meglio aiutare e difendere nella vita, uscendo dal vuoto in cui si vive quando non si ha una adeguata istruzione. L’ignoranza infatti è una brutta bestia. Spero di continuare in questo percorso, che mi consente un ampliamento totale della visione della vita. Mi affascina molto anche l’aspetto competitivo che automaticamente s’innesca con me stesso, in una attività di studio che non affronto più da adolescente.

Chiaramente, tutti questi buoni propositi oggi non dipendono esclusivamente dalla mia volontà, io sono condizionato dalle possibilità che offrono i posti in cui mi trovo, che non sempre garantiscono una continuità nelle attività didattiche, anzi, a breve chiuderà la sezione di Alta Sicurezza dove attualmente mi trovo, e io sarò deportato per la tredicesima volta chissà dove per motivi che esulano da mie responsabilità, ma che riguardano convenienze e comodità del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, che spesso ci considera e ci tratta come dei pacchi postali da stipare in posti deve occupiamo meno spazio e possibilmente sempre più difficili da raggiungere ai nostri familiari, i quali sono colpevoli di essere ancora molto legati a noi.

Tali iniziative stridono fortemente con il tanto decantato reinserimento dei detenuti, visto che quello che i detenuti costruiscono con molto impegno e sacrificio viene spesso spazzato via da decisioni prive di considerazione per le persone, motivo per cui molti detenuti rimangono scettici e diffidenti verso coloro che in teoria dovrebbero aiutarli ad un reinserimento, ma che di fatto fanno una cosa diversa. Il mio più vivo auspicio è che venga rivista la possibilità di questa imminente “deportazione” di massa, in modo che io, cosi come altri detenuti che in questo istituto da tempo abbiamo intrapreso un percorso didattico e lavorativo, possiamo continuare a crescere sul piano culturale, nella remota speranza che anche per noi possa esserci un futuro.

 

 

 

Sto frequentando l’ultimo anno delle scuole superiori, non voglio interrompere questo percorso

 

di Antonio Papalia

 

Mi chiamo Antonio Papalia, sono nato a Platì (RC) il 26/03/1954 e sono detenuto dal settembre 1992. Sono stato trasferito nella casa di Reclusione di Padova nel giugno del 2009, dopo sei anni di detenzione speciale e otto anni di 41bis, e, da subito, ho intrapreso un percorso di rieducazione frequentando un corso di cultura generale e poi iscrivendomi alla scuola media superiore Einaudi-Gramsci di Padova, dove sto frequentando il 5° anno, cioè l’ultimo, per poter prendere il diploma di ragioneria.

Inoltre sto frequentando la redazione del giornale Ristretti Orizzonti e frequento da quasi 2 anni un gruppo di catechesi. E mi impegno a scrivere libri di favole e poesie partecipando ai vari concorsi che vengono periodicamente promossi sia all’interno che all’esterno delle strutture penitenziarie.

Da quando sono in questo istituto inoltre, ho avuto la possibilità di avere più colloqui con la mia famiglia e ho potuto parlare più spesso per telefono con i miei nipotini rispetto al passato, perché il Direttore di questo carcere, devo dire in modo umano, ha concesso oltre alla telefonata settimanale ordinaria, anche due straordinarie.

Oltre a questo, il Direttore ha concesso dei colloqui “lunghi” per stare più ore con la famiglia permettendo, in queste occasioni, anche di poter pranzare assieme in palestra. Capite quindi che un eventuale trasferimento in un altro istituto mi penalizzerebbe molto, perché non avrei più la possibilità di partecipare alle attività predette. Prego, quindi, che non mi trasferiscano da questo istituto a un altro.

 

 

 

Spezzare il mio destino

 

di Demetrio Sesto Rosmini

 

Sono Demetrio Sesto Rosmini. Vi racconto il mio percorso detentivo iniziato il 4 dicembre 1990 quando sono stato condannato alla pena dell’ergastolo. Dal 1999 al 2002 sono stato sottoposto al 41 bis. Nei vari istituti in cui sono stato ristretto ho studiato e nel carcere di Livorno mi sono diplomato. Dal 15 giugno 2013 sono a Padova, nella sezione AS 1, e qui mi sono iscritto alla Facoltà di Storia dove sto ottenendoottimi risultati.

Oltre a studiare, lavoro nel laboratorio di cucito dove rammendiamo le lenzuola dell’Amministrazione; poi ho partecipato al progetto di volontariato per Telefono azzurro di Padova, per cui abbiamo creato delle bambole di pezza e una coperta di Patchwork donata in beneficenza.

Ho collaborato con l’associazione Passione Patchwork alla realizzazione di 17 coperte e il ricavato è stato donato all’orfanatrofio di Dolo. Il gruppo di lavoro di cui faccio parte ha organizzato, in collaborazione con il carcere di Rebibbia, la mostra “La creatività libera” che ha riscosso un grande interesse nella società esterna. Il mio reinserimento in questo istituto è in pieno svolgimento e un mio trasferimento in questo momento sarebbe come perdere di colpo tutti i miei venticinque anni di carcerazione.

 

 

 

 

Cosa potrà essere il mio trasferimento in Sardegna

 

di Ernesto Cornacchia

 

Mi chiamo Ernesto, sono arrivato nel carcere di Padova nel 2013, dopo 8 anni passati in regime di 41 bis ad Ascoli Piceno, dove la mia carcerazione è stata un calvario per me e per la mia famiglia.

Da quando sono arrivato a Padova abbiamo trovato un po’ di serenità, io e la mia famiglia. Qui frequento la redazione di Ristretti Orizzonti, ma soprattutto ho potuto riallacciare i rapporti con la mia famiglia. Da quando sono qui mi è nato anche un bambino, che ora ha un anno e 2 mesi. Adesso lo vedo tutti i mesi, ma se mi portano in Sardegna non so quando lo potrò rivedere. Il 10 settembre 2014 mi hanno operato a causa di un tumore per cui mi hanno tolto mezzo rene e la milza; ogni sei mesi devo sottopormi a controllo all’ospedale di Padova che mi ha in cura. Se vado via da qui non so cosa mi succederà, spero che mi lascino qui per farmi curare e stare vicino alla mia famiglia.

 

 

Voglio reinserirmi nella onesta società

                                                                                                                                      

di Domenico Vullo

 

Mi chiamo Domenico Vullo e come tanti altri sono detenuto nella sezione Alta Sicurezza della C.R. di Padova. Ho una condanna definitiva a 30 anni di reclusione, sono detenuto da 8 anni, di cui 4 passati al regime di 41bis.

Da due anni mi trovo in questo istituto, e per l’esperienza che ho degli altri istituti di pena, posso dire che il primo obiettivo di questa Direzione è quello di recuperare le persone detenute.

Qui hai la possibilità di telefonare sei volte al mese ai tuoi familiari. Hai la possibilità di stare fuori dalla cella per 11 ore al giorno. Qui frequento il corso scolastico di ragioneria, il catechismo, la palestra, abbiamo la possibilità di tenere in cella il computer. Conoscendo le regole degli altri istituti mi vengono i brividi solo a sentire la parola “trasferimento”.

Sono lontano quasi 2000 Km da casa, essendo siciliano (Gela), faccio colloquio quando la mia famiglia ha la possibilità di venire a trovarmi. Non ho di che lamentarmi di come passo le mie giornate qui a Padova. Cerco e voglio reinserirmi nella onesta società… e che cosa mi vengono a dire? Che la sezione Alta Sicurezza verrà chiusa e i detenuti saranno trasferiti tutti, qualcuno addirittura in Sardegna.

Che delusione! Tutto il mio impegno per tornare ad essere quello che la buona e onesta società richiede, viene annullato con un trasferimento.

 

 

 

Dalla mia esperienza so che la continuità di trattamento è prevista solo teoricamente

 

di Giovanni Donatiello

 

Sono Giovanni Donatiello e sono detenuto sin dal 1986 ininterrottamente. Mi trovo nel circuito A.S.1 da ben quindici anni, durante i quali ho peregrinato per i vari istituti tra cui Livorno, Voghera, Sulmona, Milano-Opera fino ad arrivare circa un anno fa in quel di Padova, dove tuttora sono ristretto.

Nel corso degli anni ho intrapreso un percorso di studi conseguendo il diploma di ragioneria informatica nel carcere di Livorno nell’anno scolastico 2004/05. Ho continuato a studiare iscrivendomi presso l’università di Pisa alla facoltà di Scienze Politiche. Nel frattempo venivo trasferito nel carcere di Sulmona. Per poter sostenere gli esami venivo aggregato, in un primo momento, presso uno degli istituti limitrofi all’università di Pisa, a volte a Sollicciano, Livorno e molto più frequentemente a Prato. In un certo senso mi si garantiva il diritto allo studio.

Dopo un certo periodo di tempo, queste modalità sono state modificate, ovvero le traduzioni per sostenere gli esami dovevano effettuarsi nella stessa giornata. Partivo alle tre del mattino da Sulmona, arrivo a Pisa intorno alle ore 13, tempo di riprendersi dal viaggio – eufemismo – venivo esaminato e si ripartiva per Sulmona dove si rientrava verso le ore 20.00.

Ad un certo punto le traduzioni non sono più state concesse e gli esami li potevo sostenere solo tramite videoconferenza. Con molte difficoltà ho sostenuto un solo esame con queste modalità e sono stato costretto a malincuore ad abbandonare gli studi. Nel periodo di detenzione a Sulmona ho frequentato per un periodo un corso universitario di Operatore Giuridico di Impresa.

Nel 2010 vengo trasferito nella Casa di Reclusione di Milano – Opera, dove tento in tutti i modi di riprendere il percorso di studi con l’Università di Pisa, ma tutto sembra insormontabile, per farla breve, nonostante le mie ripetute lagnanze con gli operatori, in circa tre anni ho potuto avere tre colloqui con il personale preposto a seguire gli studenti universitari. L’unica risposta dopo questo periodo di tempo è stata quella che potevo fare il cambio di sede.

Nel gennaio 2014 vengo trasferito a Padova e già al colloquio di primo ingresso espongo questa mia situazione. Nell’arco di circa tre mesi ho avuto un numero di incontri con professori, tutor universitari e addetti che non ho mai avuto in tutti gli altri istituti messi insieme.

Ora sono iscritto al secondo anno della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Padova. Mi è stato consentito di fare il cambio di sede ed ho ripreso a studiare. Sono previsti una serie di esami, uno di Storia contemporanea, un altro di economia politica e prima della pausa estiva dovrò concordare i periodi per gli esami di Storia delle Dottrine Politiche, Scienze Politiche e Analisi delle Politiche Pubbliche.

Da quando sono giunto in questo istituto ho veramente creduto che finalmente avrei potuto concludere  questo percorso di studi. Inaspettatamente è giunta notizia che tutto il circuito A.S. dovrà essere rimosso e sarò trasferito in un’altra sede e così verranno meno le certezze che avevo acquisito ultimamente.

Oltre a dover interrompere il percorso di studio, saranno limitati anche i contatti telefonici con la famiglia, infatti a Padova, oltre alla prevista telefonata settimanale, sono concesse due telefonate straordinarie mensili. Questo denota da parte della direzione un’attenzione particolare affinché possano essere coltivati i rapporti con la propria famiglia.

Oltre a studiare in questo periodo ho frequentato un corso di diritto privato, un corso di inglese, un corso di yoga e ora sto frequentando, un corso di scrittura e faccio parte di un gruppo di discussione presso la rivista Ristretti Orizzonti.

Sono tutte attività che mi arricchiscono culturalmente e mi impegnano in modo costruttivo. Dalla mia esperienza so che la continuità di trattamento è prevista solo teoricamente. Infatti, ogni qualvolta sono stato trasferito in altro istituto, il trattamento non solo non ha avuto continuità ma spesso è regredito a causa della mancanza totale di attività previste dall’Ordinamento Penitenziario. Ritrovarmi ancora nella condizione di dover stare chiuso per 20 ore al giorno in cella sarebbe veramente una iattura che spero in tutti i modi di poter evitare.

Spero qualcuno si faccia portavoce di queste mie esigenze per un carcere più umano e a dimensione d’uomo come lo è quello di Padova.

 

 

 

Non buttatemi via come la spazzatura

 

di Giovanni Zito

 

Sono Giovanni Zito nato a Catania il 02/12/1969, attualmente ristretto presso l’istituto di Padova.  Sono un ergastolano, ubicato nella sezione AS1, lato A.

Da quando sono in questo istituto, la mia detenzione è cambiata radicalmente perché da subito sono stato inserito presso la redazione di Ristretti Orizzonti, partecipando ai gruppi di discussione e alle varie giornate di studio organizzate dalla redazione. Inoltre frequento il primo anno di ragioneria presso l’Istituto Gramsci e le attività di catechismo, che contribuiscono al mio percorso risocializzante, alla luce del quale vorrei che la mia persona fosse rivalutata.

Se fossi trasferito presso un altro istituto, sicuramente non avrei lo stesso trattamento che ho qui, e vi chiedo allora: cosa dovrei fare della mia vita? Che cosa dovrei fare per scontare questa mia pena di morte?

Sono stanco, sono distrutto, perché sono stato trasferito da un carcere all’altro come un pacco postale, causando disagi enormi alla mia famiglia.

Sono stato all’Asinara, Viterbo, L’Aquila, Novara, Cuneo, Voghera, Carinola, per approdare alla fine in questo istituto dove mi sento rinato e pieno di vitalità. Desidero fortemente rimanere a Padova perché sono sicuro di essere ancora utile non solo alla mia famiglia, ma anche alla società civile.

Non buttate via la mia esistenza, lasciatemi vivere migliorando sempre di più, non lasciate la mia vita vuota, fate di me un uomo nuovo, io sono pronto.

 

 

 

Chiedo che mi venga data la possibilità di terminare gli studi e realizzare i miei progetti

 

di Giuseppe D’Agostino

 

Sono Giuseppe D’Agostino, nato a Laureana di Borrello (RC) il 12/09/67. Mi trovo nell’istituto di

Padova Due Palazzi, sez. A. S. da giugno 2014, proveniente dall’istituto A.S.1 di Biella dove ero arrivato nel 2010. Nei quattro anni in cui ero stato lì avevo iniziato un percorso di rivisitazione personale, rinunciando alle attività ricreative interne per frequentare il liceo artistico istituito nello stesso carcere. Il percorso richiedeva la frequenza delle lezioni e l’impegno per giungere alla maturità alla fine dei cinque anni di studi.

Con la storia dell’arte non avevo mai avuto nessun contatto se non per l’aver ammirato le opere che abbiamo in Italia. Con sacrifici e abnegazione ho incominciato ad apprezzare l’arte e tutto ciò che comporta. Questo però mi è stato precluso alla fine del terzo anno di liceo artistico quando sono stato trasferito senza una motivazione plausibile e senza che venisse tenuto in considerazione il trauma psicologico a cui un detenuto va incontro in questi casi. Quando sono stato trasferito a Padova ho subito lo stesso stress che avevo subito nei trasferimenti precedenti, ritrovandomi senza la cosa su cui avevo fatto progetti e riversato speranze per il mio futuro, avevo perso l’opportunità di terminare gli studi. Mi sono sentito come il primo giorno in cui avevo fatto ingresso in carcere, tutto provvisorio e senza nessuna prospettiva futura. Tutto era crollato, dovevo ricominciare daccapo, riavvolgere il nastro, e cercare di dare un senso a questa nuova realtà carceraria così diversa dalle mie abitudini e lontana dai miei studi.

Mi sono subito attivato anche grazie alle pressioni del Liceo Artistico di Biella attraverso i docenti che si sono prodigati nel trovarmi un liceo artistico qui a Padova, cosa che in poco tempo è avvenuta.

Non poteva concretizzarsi niente senza l’impegno dell’educatrice della mia sezione, la dott.ssa Sattin (è stata lei ad incitarmi a continuare con l’indirizzo artistico), grazie alla quale sto frequentando come uditore la 5° ragioneria per avere il punteggio finale necessario a sostenere gli esami di maturità da privatista, e sono seguito nelle varie materie dai tutor. Ora che incominciavo a trovare nuovamente un certo equilibrio e a ripartire con molte difficoltà, di nuovo mi ritrovo a essere trasferito a seguito della chiusura della sezione A.S.1. Mi ritrovo catapultato all’indietro nel tempo rivivendo il trauma passato per il trasferimento e l’abbandono forzato degli studi. Non credo che sarei nelle condizioni di rifare tutto quello che ho fatto finora, credo che abbandonerei gli studi e il sogno di iscrivermi all’Università.

Sarà vanificata ogni cosa fatta fino adesso, tutte le rinunce, le notti trascorse a studiare, non saranno servite a nulla. Non chiedo nulla di eccezionale se non di avere la possibilità di potermi diplomare dove sono iscritto (Liceo Artistico Pietro Selvatico di Padova) per poi continuare a studiare per conseguire una laurea, così almeno potrò rendere la mia esistenza e la mia presenza in carcere in qualche modo utile per la società, dimostrando che anche se si è reclusi ci si può mettere in discussione, confrontandosi con le realtà esterne e facendo venire fuori quello che di buono permane in ogni essere umano.

La certezza di vedersi mantenere il percorso che un detenuto riesce ad intraprendere è di vitale importanza, lo fa sentire vivo e utile per gli altri e per se stesso. Alle speranze devono seguire fatti concreti, non si possono usare i detenuti come merce di scambio per soddisfare le esigenze dellecarceri sparse attraverso il paese.

Il mio urlo è che mi venga data la possibilità di terminare gli studi e poter realizzare così i miei progetti donando un senso alla mia stessa esistenza.

 

 

 

 

Dopo tanti anni di percorso, va tutto buttato al vento      

 

di Giuseppe Montanti

 

Mi chiamo Giuseppe Montanti, ho 60 anni, 9 li ho passati al 41 Bis, che si è preso tutti i miei sogni, i miei affetti, le mie parole. Sono uscito da questo regime nel 2010 e sono stato trasferito nella Casa di reclusione di Padova dove con tantissima difficoltà gli operatori hanno iniziato a coinvolgermi in alcune attività, oggi partecipo alla sala hobby dove costruiamo delle bambole che vanno donate ai bambini del mondo, si fanno coperte e si rammendano le lenzuola dell’amministrazione. Oggi riesco ad esprimermi un po’ meglio, riesco a vedere un futuro migliore, anche se sono condannato alla pena dell’ergastolo ostativo, ma questo istituto mi apre gli orizzonti e riesce a farmi avere una visione migliore delle istituzioni, contro cui prima avevo solo rabbia e odio, avevo creato un mondo tutto distorto, oggi cerco di vedere la realtà in un modo diverso. Ora riesco a tenere un bel rapporto con la mia famiglia, che vive in Germania, anche perché il direttore di Padova ci dà la possibilità di fare 6 telefonate al mese, 6 ore di colloquio e da poco possiamo accedere a Skype, che per una persona che non fa colloquio e ha i parenti all’estero è un’occasione importante per vedersi, anche se solo in video. Ci sono concessi alcuni colloqui prolungati di domenica, in cui abbiamo potuto mangiare con le nostre famiglie e siamo riusciti a giocare con i nostri nipotini, che abbiamo conosciuto in carcere. Tutto questo ha permesso di diminuire almeno un po’ la condanna per le nostre famiglie. Perché ora tutto questo ci viene tolto? Cosa ci dobbiamo aspettare?

Oggi che ci è detto che la sezione di Alta Sicurezza di Padova verrà chiusa, cosa sarà di tutto il nostropercorso? Cosa sarà per le nostre famiglie? Non ci voglio credere che devo ritornare cattivo e odioso verso le istituzioni, perché devono sempre decidere loro quando farci diventare buoni o cattivi?

È giusto che siamo trattati come merci di scambio?

 

 

 

A che cosa serve diventare “buono”?

 

di Ignazio Bonaccorsi

 

Mi chiamo Ignazio Bonaccorsi, sono in carcere da tantissimi anni, il mio percorso è stato sempre deludente, giravo tantissimi istituti con rabbia, violenza, delusioni, non accettavo mai di sottomettermi alle istituzioni, sono stato sempre un ribelle, credo anche per la cultura del paese da cui provengo, dove per sopravvivere dovevi combattere, dove dovevo rubare per dare da mangiare a me e alla mia famiglia. Io vengo da una famiglia povera, eravamo tanti fratelli, mio padre lavorava con i carretti siciliani, trasportava grano, io da piccolo andavo sempre dietro di lui per poter portare del pane a casa, ho conosciuto tanto freddo, tanto lavoro, tantissima fame, era il periodo dopo la fine della seconda guerra e per i siciliani iniziava la terza guerra, quella per sopravvivere alla fame, purtroppo erano quelli i tempi. La mia vita deraglia, fin da piccolo conosco solo pane e carcere, non conoscevo scuole, non conoscevo una casa calda, il mio posto caldo lo trovavo solo in carcere, quel carcere che non è mai riuscito a darmi una educazione, a farmi capire dove abbia potuto sbagliare.

Oggi avevo trovato una mia stabilità nel carcere di Padova, dove ho iniziato un percorso con le scuole, sono al quinto anno di ragioneria, e sono inserito nel corso di catechesi, che frequento con tantissima passione, riesco a trovare una mia identità, trovo la parola che mi era stata tolta nel regime di 41 bis. Gli operatori hanno fatto tantissima fatica per farmi trovare un senso per andare avanti, oggi ci sono riusciti, ho conosciuto i miei professori che considero una parte della mia famiglia, ho conosciuto dei volontari che hanno capito le mie difficoltà e sono stati bravi ad aiutarmi, oggi ho trovato anche un piccolo lavoro in sezione, con cui riesco a comprarmi qualcosa.

Sempre qui sono riusciti a trovare le medicine giuste per curare certe mie patologie. Ho la possibilità di vedere la mia famiglia tramite Skype, era da anni che non riuscivo più a vederli a causa della distanza, perché mia moglie non può viaggiare a causa delle patologie e dopo tantissimi anni di carcere non ci sono più neanche le possibilità economiche per spostarsi, sono tanti i problemi per un carcerato. Padova aveva risolto certe mie difficoltà, ma questo sogno è durato poco, oggi ci dicono che la sezione di Alta Sicurezza verrà smantellata, saremo trasferiti, inizia di nuovo il mio panico, mi chiedo se ritornerò al passato, ho paura di perdere quel calore familiare che avevo trovato con i professori, i volontari e il resto, non potrò più beneficiare delle telefonate straordinarie, e questo significa perdere la mia famiglia.

Forse era meglio rimanere cattivo, almeno non avrei conosciuto questa umanità che ora perderò, perché una realtà come quella del carcere di Padova non potrò mai ritrovarla.

 

 

 

A Padova hai la possibilità di telefonare sei volte al mese e usare Skype

 

di Letterio Campagna

 

Mi chiamo Letterio Campagna, sono detenuto da cinque anni, di cui due li ho passati in regime di 41bis. Il 31 Ottobre del 2014 mi è stato revocato il 41bis e sono stato trasferito nella C.R. di Padova, dove ho trovato questo carcere adatto al reinserimento di un detenuto che come me ha ancora da scontare molti anni.

Mi trovo in questo istituto da pochi mesi, ma sono bastati per farmi capire che le opportunità che offre la Direzione di questo carcere non si trovano altrove. L’ultimo colloquio che ho fatto è stato il 18 Dicembre 2013, ero a Novara in 41bis, sono venute a trovarmi mia madre, mia sorella e una mia nipote. Non vedo mia moglie da tre anni e otto mesi e i miei figli da due anni e otto mesi. Qui la Direzione, a chi non fa colloqui da almeno tre mesi, dà l’opportunità di usufruire di un video-colloquio attraverso il collegamento Skype, garantendo il collegamento con i propri familiari una volta al mese per la durata di 15 minuti.

Inoltre, qui hai la possibilità di telefonare sei volte al mese. Per uno che si trova nella mia stessa situazione, che non fa colloqui, poter vedere la propria moglie e i propri figli, anche se attraverso un video e solo una volta al mese, e poter sentire la loro voce una volta alla settimana, aiuta a superare questo muro di malinconia, tristezza e ansia.

Io sono attore e regista teatrale, titolare di una compagnia teatrale denominata “Compagnia teatrale

LA FILANDA” di Lillo Campagna, e parlando con l’educatrice, pare ci sarebbe l’occasione di mettere a disposizione la mia esperienza teatrale e iniziare un percorso di teatro con la partecipazione di altri detenuti. Tutto questo, se dovesse avvenire questo trasferimento, sarà solo una delusione.

In un altro istituto carcerario sei rinchiuso nella tua cella 20 ore al giorno, e questo serve solo a fare incattivire una persona. In tutti gli altri istituti hai diritto solo a due telefonate al mese, ci sono sempre difficoltà per i familiari per i colloqui e nessuna opportunità di reinserimento nella società.

Trovarsi dall’oggi al domani in un posto con regole diverse dalla C.R. di Padova, crea soltanto malumore e perdita di fiducia per chi aveva speranza per un reinserimento.

 

 

 

Qui a Padova ho incominciato a pensare, a sognare, e soprattutto a sperare

 

di Giuseppe Zagari

 

Mi chiamo Giuseppe Zagari e da circa cinque anni mi trovo in questo istituto di Padova dove ho intrapreso un percorso molto importante nella redazione di Ristretti Orizzonti, mettendomi in gioco e facendo autocritica del mio poco piacevole passato.

Ora sento dire che la sezione in cui mi trovo sarà chiusa e tutti i detenuti saranno tradotti. Non so, per questo mi domando e vi domando, cosa deve fare un uomo per dimostrare che non è più ciò che è stato un tempo? Che le sue vedute vanno oltre a quelli che sono i limiti che lo caratterizzavano fino a quando non ha finalmente incominciato a vedere un barlume di speranza grazie al percorso citato?

Durante alcuni convegni sono intervenuto dando testimonianza della mia storia umana e giudiziaria, cosa non facile visto l’ambiente in cui mi trovo, ma grazie a Ristretti Orizzonti sono riuscito a esternare ciò che non avrei mai potuto fare se non mi fosse stata data questa possibilità.

Ho incominciato a pensare, a sognare, e soprattutto a sperare, dando a mia volta speranza alla mia famiglia che da ormai ventiquattro anni circa mi segue in questo inferno senza fine.

Il rammarico più grande non è di per sé la fine di questo mio percorso, ma la delusione che darò ancora una volta alla mia famiglia. Certo ciò non dipende da me, ma mi sento comunque responsabile di dare ancora una volta prova dei miei fallimenti.

Non solo io ho creduto che la giustizia possa in qualche modo venire incontro a chi dopo tanti anni di solitudine e pene varie abbia intrapreso una via diversa, ma anche la mia famiglia, viste le possibilità che si sono presentate in questo istituto, ha incominciato ad avere un po’ di pace nel cuore.

Sarebbe un nuovo trauma per i miei cari vedermi catapultato in un altro pozzo senza fondo.

 

 

 

 

Mi ritroverò a stare in cella per 20 ore al giorno ad oziare

 

di Giuseppe Scarlino

 

Mi chiamo Giuseppe Scarlino, sono detenuto nel carcere di Padova da circa sei anni durante i quali ho sempre tenuto un comportamento esemplare partecipando a tutte le attività che sono state proposte in questo istituto.

Nel corso degli anni ho svolto attività lavorativa a turnazione, frequento un corso di cultura generale, ho frequentato un corso di yoga, ho fatto parte del gruppo di discussione di Ristretti Orizzonti, ho frequentato un corso di scrittura.

Tutte attività certamente riportate nella sintesi di osservazione redatta dall’equipe di osservazione e trattamento, conclusa con pareri lusinghieri.

Da circa sette mesi faccio parte del corso di cucito, in cui abbiamo prodotto lavori che sono stati esposti, hanno suscitato interesse per la manifattura, ma hanno anche portato ricavi da destinare in

beneficenza.

Questo mi ha dato una grande gratificazione, oltretutto sto acquisendo competenze nel campo del cucito che potrebbero essermi utili per un reinserimento nel mondo del lavoro.

Ma l’aspetto più importante che vorrei evidenziare riguarda i rapporti con i famigliari. Faccio presente che non posso effettuare colloqui regolari e che quindi devo supplire a questa mancanza con i colloqui telefonici. In questo istituto sono previste oltre alla telefonata settimanale due telefonate straordinarie al mese concesse dalla direzione.

A quanto è dato sapere, in questo istituto non sarà più previsto il circuito A.S. e a breve sarò trasferito in altro istituto, con le conseguenze che tutto verrà vanificato e mi ritroverò a stare in cella per 20 ore al giorno ad oziare. Ci sarà una regressione notevole in quanto in questo istituto si garantisce la vivibilità e la civiltà.

Mi auguro che qualcuno possa intervenire per una soluzione più favorevole.

 

 

 

Ancora una volta condannato

 

di Tommaso Romeo

 

Sono Tommaso Romeo e sono detenuto ininterrottamente dal 27/5/93. Il mio fine pena è 9999. Dal 18/6/2009 mi trovo nella casa di Reclusione di Padova, nella sezione AS1, dove sono arrivato dopo aver trascorso sedici anni di carcere, di cui otto sottoposto al regime del 41 bis. In quei sedici anni non avevo mai incontrato un giudice di sorveglianza, ammetto che allora vedevo tale figura come un nemico, e per quanto riguarda gli educatori e i volontari, non solo non li avevo mai incontrati, ma nemmeno sapevo della loro esistenza. Esco dal regime del 41 bis che avevo perso l’affettività della mia famiglia per colpa di quel maledetto vetro che ai colloqui mi toglieva la possibilità di dare una carezza alle mie figlie. Mia moglie cade nell’inferno della depressione.

Arrivo nel 2009 a Padova con dentro un bel po’ di rabbia, ma subito ho il colloquio con l’educatrice che mi consiglia di iscrivermi all’università e così faccio, anche se avevo grande difficoltà, non riuscivo più a esprimermi dopo il lungo periodo di isolamento del 41 bis, mi ha aiutato molto pure l’incontro con i volontari, quel poco tempo che dialogavo con loro mi aiutava ad avvicinarmi alla società esterna. Anche la possibilità di telefonare una volta a settimana ai miei familiari e poterli riabbracciare ai colloqui mi ha dato molta serenità. Comincio allora ad avere un’altra visione, così mi decido a fare la prima richiesta a conferire con il giudice di sorveglianza, in poco tempo accetto volentieri il reinserimento, tanto che quando mi viene proposto di partecipare al gruppo di discussione di Ristretti Orizzonti e al corso di scrittura accolgo con gioia questa proposta, adesso sono tre anni che frequento queste due attività che mi hanno aiutato ancora di più a riavvicinarmi alla società esterna, sono riuscito a superare gli strascichi lasciatimi dal lungo periodo del 41bis tanto da dare due esami all’università.

Dopo quasi ventitré anni di carcere finalmente sono arrivato a buttare via tutta la mia rabbia e vedo il mio futuro passo dopo passo verso la speranza di uscire da uomo sereno e cambiato, ma invece arriva la notizia di questo trasferimento.

Se accadesse ciò significherebbe perdere, oltre alla speranza, tutto il percorso di reinserimento, e la mia paura più grande è di ritornare indietro di vent’anni pieno di rabbia e senza un futuro.