Due misure limitate, ma che vanno nella direzione giusta

Sono la detenzione domiciliare “quasi automatica” per l’ultimo anno di pena e la messa alla prova, che il ministro Alfano intende inserire nel Piano carceri. Ne abbiamo parlato con Giuliano Pisapia

 

Intervista a cura di Ristretti Orizzonti

 

Giuliano Pisapia, avvocato, è stato presidente dell’ultima Commissione per la riforma del Codice penale (subito prima, con il governo di centrodestra, c’era stata la commissione presieduta da Carlo Nordio) che, con il governo Prodi, ha elaborato una riforma di quel Codice, datato 1930, che ancora una volta poi la politica non è riuscita a realizzare. Abbiamo chiesto a Pisapia un parere sulle uniche due misure contro il sovraffollamento, proposte dal ministro Alfano, che non vanno nel senso della costruzione di nuove carceri

 

All’interno del Piano carceri del ministro Alfano, c’è l’ipotesi della messa alla prova e della detenzione domiciliare “semiautomatica” per l’ultimo anno di detenzione. Qual è la sua opinione su queste misure?

 

Il progetto del Governo, che prevede poteri straordinari per Franco Ionta, Presidente del D.A.P., e 700 milioni di Euro per l’edilizia penitenziaria (di cui 150 milioni prelevati dalla “Cassa delle Ammende” e quindi tolti da programmi di reinserimento dei detenuti), suscita forti perplessità. Ancora una volta non si vuole prendere atto del fallimento dell’attuale sistema penitenziario e ci si rifiuta di tener conto del fatto che il carcere non solo non contribuisce al reinserimento dei detenuti ma, anzi, fa aumentare la recidiva e quindi il numero dei reati. Lo dimostrano i fatti, l’esperienza, le statistiche: solo se si pone fine all’attuale panpenalismo, se si finisce di pensare di risolvere con il diritto penale anche problemi sociali, se si esce dalla logica per cui le uniche sanzioni penali possono essere quelle pecuniarie o carcerarie, sarà possibile quella indispensabile inversione di rotta - che potrà portare a una giustizia degna di questo nome e a una situazione carceraria degna di un Paese civile - tanto auspicata a parole, e nei convegni, ma quotidianamente tradita nei fatti e in Parlamento.

Detto questo, si deve riconoscere che il progetto governativo prevede anche due misure sulle quali il giudizio non può che essere positivo e che, se approvate, dimostrerebbero una limitata, ma significativa, inversione di tendenza che potrebbe essere di auspicio per la non più procrastinabile riforma dell’attuale sistema penale, in cui ancora sono presenti norme che mal si conciliano con i princìpi costituzionali.

La detenzione domiciliare per chi deve scontare un anno di carcere, anche quale residuo di maggiore pena, porterebbe alla scarcerazione di migliaia di detenuti con le intuibili conseguenze positive per la vivibilità degli istituti penitenziari. Si tratterebbe di detenuti o responsabili di reati cd. bagatellari (e quindi non socialmente pericolosi), o, se responsabili di reati gravi, che già hanno scontato gran parte della pena. La detenzione domiciliare, del resto - non lo si dimentichi - non significa affatto libertà e impunità, ma solo diversa, e meno disumana, modalità di detenzione. Ecco perché dobbiamo fare quanto possibile affinché una norma come questa possa diventare realtà, anche se non si può essere ottimisti. Come previsto da molti, la proposta governativa già trova una dura opposizione, manifestatasi apertamente in Commissione Giustizia della Camera, da parte (tanto per cambiare!) della Lega e dell’Italia dei Valori, che hanno innalzato barricate a dir poco vergognose. Quasi che non fossero, Lega e I.d.V., con la loro politica sulla giustizia, tra i maggiori responsabili dell’attuale situazione di sfascio, che ha portato alla condanna dell’Italia per le condizioni carcerarie ritenute “inumane e degradanti”, anche da organismi internazionali quali il Comitato Europeo contro la Tortura e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

 

È vero che ci sono migliaia di detenuti che potrebbero accedere alla detenzione domiciliare per l’ultimo anno di pena, ma pare che vogliano escludere il 4bis dalla concessione di questa misura. A noi questa sembra un’esclusione pesante…

 

Personalmente sono sempre stato contrario a esclusioni di carattere oggettivo da determinati benefici. Chi commette un reato grave viene condannato a una pena maggiore e, quindi, quando gli rimane un residuo pena di un anno, ha già subito una lunga detenzione. Per quanto riguarda il numero dei possibili beneficiari, basta far riferimento ad alcuni dati: i detenuti con pena inflitta non superiore a 1 anno sono oltre 3.200; quelli che hanno avuto una condanna non superiore a due anni sono circa 4.000; chi ha da scontare una pena residua non superiore a un anno sono oltre 9.800. Numeri che parlano da soli e che dimostrano quanto questa misura possa incidere, anche con le limitazioni che certamente vi saranno, sul numero dei detenuti, che ormai ha ampiamente superato il livello massimo di tollerabilità.

L’altro istituto di cui si sta occupando la Camera dei deputati è quello della “messa alla prova” per imputati adulti. Anche su questa proposta, peraltro già prevista nel progetto di nuovo Codice penale approvato dalla Commissione che ho avuto l’onore di presiedere, il giudizio è decisamente positivo, anche in considerazione dei risultati che si sono avuti in campo minorile e all’estero, ove la messa in prova è presente da anni. Se diventasse legge, inciderebbe positivamente sia sui tempi processuali, limitando l’attuale ingolfamento dei Tribunali e delle Corti d’Appello, sia sulla situazione carceraria. In presenza di reati non gravi, quali quelli che prevedono una pena massima edittale di 3 anni, il giudice, sulla base di un giudizio prognostico favorevole, può sospendere il processo (e i termini di prescrizione) e disporre la “messa alla prova” dell’imputato. Dopo cinque anni, se l’interessato avrà mantenuto buona condotta, ottemperato alle prescrizioni del giudice - che potranno essere specifiche in relazione al reato contestato e alla personalità dell’interessato o potranno consistere in attività socialmente utili e/o finalizzate al risarcimento dei danni – vi sarà una nuova valutazione e, se sarà positiva, il giudice potrà dichiarare estinto il reato. Si eviterà il carcere, che è scuola di crimine e criminalità, per tante persone che, pur avendo sbagliato, non hanno commesso un reato grave e hanno concreta volontà di reinserirsi pienamente nel contesto sociale e lavorativo.

Per questo è importante far comprendere che misure quali quelle di cui si sta discutendo non sono indice di lassismo, perdonismo, indulgenzialismo, ma sono strumenti per contrastare efficacemente il crimine e la criminalità, in quanto determinano una diminuzione della recidiva, creando così le condizioni per una maggiore sicurezza dei cittadini. É fondamentale, però – onde evitare errori del passato – che riforme di questo tipo, se saranno approvate, siano accompagnate da efficaci e reali misure di sostegno e, se necessario, anche di controllo.