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Piccoli omicidi, al di là della cronaca

 

I meccanismi che possono portare un "bravo ragazzo" a compiere delitti orrendi

 

di Graziano Scialpi

 

È un libro strano Piccoli omicidi di Massimo Picozzi, psichiatra, criminologo e, tra le altre cose, consulente dell’Unità per l’analisi del crimine violento della Direzione centrale della polizia criminale. Nella sua carriera è stato chiamato, di volta in volta dal tribunale per i minori o dalla procura, ad accertare la capacità di intendere e di volere e la pericolosità sociale dei giovani autori dei crimini più efferati e clamorosi degli ultimi anni. Eppure chi si aspetta rivelazioni clamorose sulla vicenda di Erika e Omar, sull’assassinio di Chiavenna o sulla storia di Roberto, il sedicenne che uccise con una coltellata la fidanzatina Monica a Sesto San Giovanni, rimarrà deluso.

Poche e misurate prese di posizione, nessuna indiscrezione. Non è questo lo scopo del libro.

In un momento in cui sembra essere scoppiata la moda della trasformazione della realtà in fiction, della banalizzazione di studi scientifici, in una situazione in cui le leggi sulla tutela dei minori, con i volti dei giovani assassini seminascosti dai pixel, che paradossalmente circondano di un alone di mistero i protagonisti della cronaca, trasformandoli in eroi negativi, Picozzi vuole spingere a chiedersi il perché. L’esame dei cinque delitti narrati nel libro, nelle intenzioni dell’autore, dovrebbe suscitare stimoli, suggestioni e interrogativi profondi in quanti, di fronte a questi drammi, si dividono in colpevolisti e innocentisti, in forcaioli e perdonisti come se si trattasse di un evento sportivo.

In un solo caso Picozzi prende una posizione e rivela un particolare sfuggito alla grancassa mediatica: quello di Erika De Nardo. La ragazza, secondo l’autore del libro, soffre di un grave disturbo della personalità e la condanna a sedici anni di reclusione non è professionalmente condivisa. Secondo Picozzi la giovane avrebbe dovuto essere affidata a una struttura riabilitativa, non al carcere. Perché, ferma restando la necessità di una punizione, questa deve essere compresa per avere un significato. L’unica certezza è che un giorno Erika tornerà libera, quanto sarà consapevole dei suoi atti perché è stata curata è tutto da dimostrare. A sostegno della sua tesi, l’autore rivela che, mentre le televisioni erano impegnate a sbandierare la presunta storia d’amore tra Erika e un ragazzotto veneto, le affermazioni di odio nei confronti di Omar erano fasulle. Ancora a mesi dalla condanna, Erika credeva di poter ricostruire la coppia e che l’amore con Omar non era finito: uno dei segni più evidenti della patologia della coppia.

Ogni caso viene raccontato asetticamente, usando fonti giornalistiche. Ma ogni caso viene utilizzato per fare luce sui meccanismi che possono portare un bravo ragazzo a compiere delitti orrendi. Illuminante è la spiegazione sulle dinamiche relazionali di gruppo che possono fungere da catalizzatore esplosivo per malattie mentali non invalidanti, soprattutto quando la personalità del giovane è fragile e il suo bagaglio emotivo povero. Un altro atteggiamento attaccato da Picozzi è quello che liquida la malattia mentale come un comodo alibi che consente di sfuggire alla giusta punizione. La malattia mentale è di per sé una punizione, una condanna. Ma, a differenza di quelle comminate dai tribunali, è una condanna che non ha un termine e dalla quale difficilmente si può guarire. Il malato mentale le sbarre le ha dentro e non può evadere. Altro punto interessante è la difficoltà che gli stessi specialisti incontrano nel distinguere tra i sintomi di un disturbo della personalità e le manifestazioni di una crisi adolescenziale. Per cui la risposta alle domande Era possibile accorgersene prima? Si poteva fare qualcosa? non può che essere negativa.

Il monito del libro è semplice: attenzione, il processo penale minorile italiano è modernissimo e, anche se presenta difetti ed è perfettibile, non deve essere cancellato sull’onda di un’opinione pubblica superficialmente informata. La strada maestra deve essere non quella della punizione, ma quella della comprensione del disagio e, per quanto possibile, della prevenzione delle sue conseguenze più tragiche.

È possibile pensare a una maggior collaborazione tra il carcere minorile e il mondo del volontariato? A Treviso, il Centro di Servizio per il Volontariato ci sta provando

 

Intervista a cura di Marino Occhipinti

 

Per facilitare i percorsi di recupero, per reinserire meglio i ragazzi, a Treviso è stato siglato un protocollo d’intesa tra il Centro di Servizio per il Volontariato e la direzione dell’Istituto Penale per i Minori, anche con lo scopo di sensibilizzare la cittadinanza e quindi avvicinare sempre di più il territorio, la società esterna, ai bisogni dei giovani, che sono complessi ed articolati e richiedono di mettere in campo tutte le risorse possibili.

Con Alfio Bolzonello, che del Centro di Servizio per il Volontariato della provincia di Treviso è il presidente, abbiamo approfondito questo argomento.

 

Ci spiega prima di tutto com’è strutturato il Centro di Servizio per il Volontariato della provincia di Treviso e com’è nato?

Il Centro di Servizio per il Volontariato della provincia di Treviso, così come gli altri analoghi Centri operanti in Italia, trova regolamentazione nell’art. 15 della legge 266/91 – legge quadro sul volontariato che obbliga le Fondazioni bancarie a versare 1/15° dell’utile annuo ai Fondi Speciali per il volontariato istituiti in ogni regione. Tali fondi servono, sempre per normativa di legge, ad avviare e gestire i Centri di Servizio a disposizione delle organizzazioni di volontariato, gestiti dalle stesse, con la funzione di sostenerne e qualificarne l’attività.

 

Quanti Centri ci sono in Veneto, che genere di attività svolgete e con quali finalità?

In Veneto, dalla primavera del 1997, sono stati avviati 7 centri, uno per ogni provincia. Le maggiori attività svolte sono quelle dell’assistenza amministrativa, fiscale, giuridica e legale, l’organizzazione di corsi di formazione per volontari e dirigenti di associazioni, la promozione di iniziative che coinvolgano più associazioni e che mettano in rete le risorse disponibili sul territorio. Un’importante parte di attività che vede impegnati i Centri del Veneto è il sostegno progettuale ed economico ad iniziative (progetti) promossi dalle associazioni di volontariato singolarmente o, meglio ancora, assieme.

Oltre a quanto sommariamente descritto, il Centro di Treviso ha avviato da tre anni il Laboratorio Scuola Volontariato, per promuovere la cultura della giustizia e della solidarietà e per proporre il tempo libero come tempo solidale nelle scuole e, più recentemente, ha avviato lo Sportello giustizia.

 

In cosa consiste, di cosa si occupa questo Sportello giustizia?

Gli obiettivi dello Sportello giustizia possono così essere riassunti:

1. Fare sinergia tra associazioni, gruppi, volontari che in qualche modo operano all’interno dell’Istituto penitenziario e del Penale per Minori presenti a Treviso.

2. Fare cultura, ovviamente non solo nel e tra il volontariato, sui problemi della giustizia, della realtà carceraria, delle condizioni di vita dei reclusi, delle necessità legate al reinserimento degli ex detenuti, etc.

Nell’avviare tale iniziativa ci siamo rapportati e ci confrontiamo periodicamente con il Centro Francescano di Ascolto di Rovigo, nella persona di Livio Ferrari.

 

Promuovere interventi per lo sviluppo di una sensibilità civica

 

Sappiamo che avete stipulato un protocollo d’intesa con la direzione dell’Istituto Penale per Minori della vostra città: ce lo vuole riassumere?

Il protocollo sottoscritto con il direttore dell’Istituto Penale per Minori chiude la fase sperimentale dell’attività avviata nel corso del 2001, che ha visto impegnate alcune associazioni di volontariato in iniziative culturali e ricreative all’interno della struttura e in servizi soprattutto di interpretariato e traduzione.

Superata la fase sperimentale con il protocollo l’I.P.M. di Treviso e il C.S.V. si impegnano a:

- scambiarsi una reciproca informazione riguardo ad atti, indirizzi, dati e a far conoscere e promuovere le rispettive programmazioni annuali delle attività a livello provinciale e nel Comune di Treviso;

- promuovere interventi con la comunità locale, per lo sviluppo di una sensibilità civica verso le diverse forme di disagio minorile;

- facilitare l’attività svolta dal volontariato all’interno dell’Istituto Penale e, in collaborazione con i Servizi sociali del territorio e del Dipartimento di Giustizia Minorile, a collaborare nei progetti finalizzati al reinserimento lavorativo e sociale dei minori e dei giovani adulti sottoposti a provvedimenti penali;

- promuovere e agevolare programmi e progetti proposti dal volontariato in proprio o di concerto con altre risorse locali;

- predisporre progetti, prevedere una gestione integrata e continuativa fra le parti firmatarie del protocollo, nonché una verifica congiunta;

- programmare percorsi formativi congiunti per gli operatori e i volontari coinvolti nelle iniziative in ambito locale di studi e ricerche sul disagio minorile;

- diffondere il protocollo d’intesa.

 

I volontari aderenti al C.S.V. seguono percorsi formativi, prima di accedere alle strutture detentive?

Ovviamente, ci sembra assolutamente necessario, infatti per i volontari che operano nell’Istituto Penale un corso di formazione si è tenuto a novembre 2002, ed analoga iniziativa è prevista per il 2003, e poi cerchiamo sempre di mettere assieme le disponibilità e le competenze di tutte le realtà associative disponibili.

 

C’è la necessità di riuscire a dire qualcosa di costruttivo sul carcere

 

Di cosa ci sarebbe bisogno, secondo la sua opinione, per cercare di migliorare e favorire il reinserimento, affinché gli ex detenuti non siano, di fatto, persone sempre più escluse dal contesto sociale?

C’è la necessità di riuscire a dire qualcosa di costruttivo sul carcere e sulla realtà carceraria, di restituire, come dice don Luigi Ciotti, a chi ha sbagliato le sue responsabilità e, allo stesso tempo, costruire le condizioni affinché chi è entrato nell’illegalità possa realmente uscirne. È assolutamente necessario attribuire un senso diverso alla pena, rivolto al cambiamento e capace di promuovere le persone anziché schiacciarle.

Discorsi che non sono facili da far comprendere, considerato anche il clima culturale dominante, ma proprio per questo ritengo che il volontariato possa e debba operare con sempre maggiori strumenti e convinzioni.

 

E per quanto riguarda la carenza di risorse, economiche ed umane, come può contribuire, e in quale maniera, il volontariato?

Penso che la risposta più efficace vada trovata nella capacità che possono (devono) avere tutte le realtà in qualche modo impegnate, operatori, volontariato, enti, nel fare rete. Nel mettere assieme le risorse (quelle economiche stanno diminuendo, ma quelle umane, esperienziali, quelle della volontà possono crescere) e le capacità per realizzare progetti comuni e per raggiungere, assieme, nuovi traguardi.

 

Centro di Servizio per il Volontariato

della provincia di Treviso

Via Roma, 2 - 31100 Treviso

Sono esattamente 801 giorni che sto rinchiusa qui!

 

Due anni, tre mesi e dieci giorni, un botto di ore e una cifra incredibile di minuti, per non parlare dei secondi! Poco? Tanto? Bah: forse semplicemente troppo!

In copertina si legge un necrologio per il grave lutto per la perdita "del caro Garçon", ma Garçon in realtà è più vivo che mai: è il giornale dei ragazzi dell’Istituto Penale Minorile di Casal del Marmo, in crisi per mancanza di finanziamenti, ma certo non di idee. Accogliamo allora l’appello dei giovanissimi redattori e degli operatori, che ci chiedono di dar loro una mano. E lo meritano davvero, un aiuto, perché sono una straordinaria finestra aperta su un mondo complesso, quello dei giovani in difficoltà. Per crederci, basta leggere le testimonianze di Veronica, tratte dall’ultimo numero.

 

Chi sono? Chi siete? Il buio fuori non mi permette di riconoscervi, il buio dentro non mi lascia capire chi sono io. Dicono che mi chiamo Veronica, ho 19 anni e, a parte qualche problema, diagnosticato da un paio di psichiatri, beh, a parte questo sono nella norma! C’è chi dice che sono buona, chi dice che sono cattiva... ma io questa sera vi dico che sono solo aria, aria che passa sopra a tutto, sono aria di montagna, a volte lieve e piacevole e poi d’un tratto forte, spietata e assolutamente distruttiva.

Potrei anche dirvi che sono solo fuoco, caldo e accogliente e improvvisamente immenso e devastante. Forse sono solo un sogno che spera di non essere più tramutato in incubo. Domani mattina forse sarò un fiore, una pozzanghera, chi può dirlo? La cosa assolutamente certa è che non permetterò mai più, per nessun motivo al mondo, che qualche estraneo entri nei miei segreti e decida quello che sono. È assolutamente impossibile riuscire a capire una persona mettendosi a spiarla da dietro un vetro!

lo forse non conosco molte cose di me, ma voglio essere libera di decidere quando capirle e soprattutto libera di decidere se e da chi farmi aiutare! Per ora so solo che sono Veronica, ho 19 anni e vorrei tanto essere solo aria per scappare via... happy freedom.

 

Discorso ai fantasmi

 

Salute, sono ancora qui in questa stracavolo di palazzina, in questa stramaledetta cella, e vi dico che sto cappottando dal sonno! E voi che cavolo leggete? Non vi hanno insegnato a farvi una bella pila di cavoli vostri? Dai scherzo, sto più skleratica del solito questa sera, sopportatevi i miei pacchi e se non vi va, cambiate pagina, di sicuro non mi metterò a piangere.

Visto che non ho niente da fare vi farò un elenco delle mie cose preferite. Non ho voglia di dividerle quindi troverete persone, canzoni, posti, profumi, tutti mischiati, se vi sta bene ok, se no ciao!

Nicola, perché è troppo il mio angelo custode - Stand by me - Polly, perché mi fa venire i brividi ogni volta che la sento - Il profumo della pioggia - Plinky, perché è tutto peloso - The end, perché sì - Il profumo dei mandarini perché mi sa di Natale - La mia casa di montagna perché lì c’è tutta la mia vita - Il cimitero del mio Paese, perché lì ci sono le due stelle più belle - La neve - L’odore della vernice - Paolo, perché mi ha insegnato a tirare fuori l’orgoglio - Le candele, perché anche a mio zio piacevano - Il vento dritto in faccia - L’acqua

Ci sarebbe pure un’altra cosa ma se la scrivo iniziano a tirarmi delle storie allucinanti quindi faccio finta di niente. E poi non ho più voglia di scrivere perché ho scritto una schifezza… voglio farmi una doccia calda e soprattutto vorrei poterci stare sotto almeno mezz’ora (qua è un miracolo se riesci ad avere acqua tiepida per 5 minuti), e voglio una coperta, non ‘sti cartoni, e adesso mi fermo perché l’elenco è troppo lungo!

So che "voglio" non si dice, però cavolo fa freddo! Se almeno potessi avere un po’ di vodka, … ah! ah! Alla mia educatrice si saranno drizzati i capelli, dai che scherzo! Mi sa che vi saluto perché è proprio brutto ‘sto bao di articolo! Happy freedom.

 

Vortice di idee, pensieri e parole

 

Tic! Tac! Tic! Tac... Estate, autunno, inverno, primavera, si avvicinano i vent’anni. La porta si è chiusa quando ne avevo quasi 17, e aspettando che si riapra resto qui e faccio finta di vivere! No, non è vero faccio molto di più ma siccome in questo periodo sto un po’ grigia e mi fa tutto schifo non riesco ad essere molto obiettiva.

La nicotina entra, mi annerisce un po’ i polmoni e poi esce, leggera... Come se non fosse successo niente.

Tic! Tac! Tic! Tac... Estate, autunno, inverno, primavera, le ore che si bloccano, quel maledetto calendario che non cambia mai pagina, e mentre fuori tutto corre, qua il tempo si è fermato sempre a un giorno!

 

(…) È mercoledì sera, sul muro davanti a me ci sono le foto di Hicham, un ragazzo che stava qui. Guardandole mi viene in mente come stavo i primi tempi. Stavo male, certo, però allo stesso tempo stavo meglio, c’erano le persone da conoscere, il posto da capire, e c ‘era la voglia di raccogliere tutti i pezzettini di me. Adesso, invece, c’è solo bisogno di andare lontano dalle persone, che ormai sono sempre le stesse, voglia di correre oltre le mura, via da qui e via da me, perché più vado avanti e meno mi sopporto, e tutti quei pezzettini che riattacco si scollano in continuazione. Questa sera mi sopporto anche meno del solito. C’è qualcosa dentro di me che proprio non mi va giù, a volte mi capita di avere un bisogno incredibile di vedere la mia immagine riflessa allo specchio, così, solo per controllare se sono ancora io, e in questo modo riesco a non sentire più quella cosa dentro. È un po’ come quando si è ubriachi e guardandosi allo specchio ci si vede mezzi deformati, ecco dentro io ho qualcosa di simile, una Veronica deforme, che proprio non va d’accordo con quella che so di essere. Uffa! Mi sono inoltrata in una roba troppo complicata e rileggendo mi sono accorta che non è proprio così che volevo dire certe cose, vabbè, prendetele per buone, in fondo se le ho scritte un briciolo di verità ci sarà! Mi raccomando non combinate troppi danni, fatevi una bella dormita e vivetevi ogni giorno con la consapevolezza che domani potreste essere solo polvere... Che poi non è tanto brutto visto che anche le stelle sono fatte di polvere!

 

La Fuga

 

(…) Ci sono un sacco di modi per fuggire: col pensiero, con le droghe, con l’alcool o, a volte, commettendo un reato, e ci sono anche molte cose dalle quali si può fuggire, si può scappare da una famiglia troppo finta, da uno squallido Paese, dalle vecchiette che spiano dalle finestre, dai problemi che non si vogliono affrontare, ed è facile, basta chiudere il cuore in un cassetto e imparare ad andare avanti a testa alta senza badare troppo a chi ci sta intorno.

So che è una brutta cosa da dire ma se veramente si vuole fuggire non si può star troppo a pensare e poi purtroppo, per noi esseri feriti bisogna imparare a ferire. Questa è una cosa che ho appreso un sacco di tempo fa!

Ho imparato anche che c’è una cosa da cui non si può proprio fuggire: la Coscienza, e credetemi è il peggior Giudice che esista. lo, con la mia, litigo, più o meno, tutti i giorni, ma niente, lei continua a parlare, parlare... Se qualcuna sa come si fa a scappare da questa roba che ci accompagna sempre spero che me lo faccia sapere perché io sto proprio al limite!!

Anche questa volta sono arrivata al "lieto fine". "Lieto" perché mi sono proprio stufata di rileggere quello che scrivo e accorgermi di essere sempre più scollegata. Finisco qui perché se vado avanti mi rinchiudo da sola in una camicia di forza! Buona notte e happy freedom a tutti! E ricordatevi che l’importante è non farsi schiacciare mai.

 

Depressione

 

Sono proprio depressa. Questa cavolo di palazzina mi sta troppo stretta, oggi più che mai! È venerdì, sono esattamente 801 giorni che sto rinchiusa qui! Due anni, tre mesi e dieci giorni, un botto di ore e una cifra incredibile di minuti, per non parlare dei secondi! Poco? Tanto? Bah: forse semplicemente troppo!

Qui ho visto ragazze piangere per settimane... Vabbè, meglio cambiare argomento. Sono nella "mia" Cellina e sto per accendermi l’ennesima sigaretta, non so che cavolo scrivere ma siccome le alternative non sono molte scriverò ancora... Non so bene cosa comunque... meglio di niente! Se può interessare a qualcuno, in questo momento sto ascoltando "Little by little" degli OASIS, Malina sta litigando con lo stereo e basta, le altre non so cosa fanno perché non le vedo. Sta musica non mi piace però mi costa fatica alzarmi e cambiare canale, voglio un telecomando! A parte che oggi mi stanco solo a respirare! Help! Voglio andare a farmi un giro a Milano, voglio le paranoie della mia cosa (cugina), voglio il Luchino, il China, il Cippo, il Dema, il Niko, il Bonji, il Guido, il Figo, la Monza, la Nonora, l’Annina, il Clara, il Sascha e il Rasche, tutta la gente della Boggia, le ... ... ... sotto la banca, le attaccate con la Debba, l’autostop con la mia sore a Madesimo, al freddo e al gelo! Chiedo troppo? Mi sa proprio di sì! Ma giura che non passa mai? Durano cinquanta ore ‘ste giornate! Sono le 16:55 aiuuuuuuuto! (…)

 

Lettera Per Lei

 

"Non può piovere per sempre", lo sappiamo tutte e due ma è in sere come queste, che i temporali sembrano eterni, e di sere come questa, nell’ultimo periodo ce ne sono troppe. Ci vorrebbe l’arca di Noè per raccogliere ogni animale bagnato e stanco, ci vorrebbe almeno un raggio di sole per scaldarti le ossa. "Non può piovere per sempre". Quante volte ce lo siamo dette io e te, ma è davvero così? Sono vere le parole che ci lanciamo come se fossero palloncini? Io so solo che il mio ombrello si è bucato e l’acqua adesso mi cade sulla testa, e niente riesce più ad asciugarmi. "Non può piovere per sempre". Sono due anni che ce lo ripetiamo come un’assurda filastrocca, sembra una favoletta per bambini, ma io e te bambine non lo siamo più da troppo tempo. In queste sere, però, è bello far finta di credere a quelle favole e pensare che veramente i temporali finiscono e che il Principe Azzurro arriva e ti salva. "Non può piovere per sempre". Dimmelo che è così, caz… dimmi che, se ci affogo in quest’alluvione, troverò la tua mano che mi tirerà fuori e mi farà respirare. Milena, "Non può piovere per sempre". Crediamoci ancora per un po’ e poi cambieremo filastrocca, ma non ti preoccupare: un’illusione e una speranza per andare avanti la troveremo sempre! E, solo per te tutto questo, per te che sai quello che è stato, quello che è, e hai paura di quello che sarà! Milena, lo sai che tanto io ci sono e ogni volta che vorrai sarò pronta a dirti che "Non può piovere per sempre" e insieme a te ci spererò, perché "la speranza è l’ultima a morire".

Buona notte d’acqua, amica mia, spero che almeno non sia pioggia, ma solo lieve rugiada che al mattino risplenderà.

Quando attorno a te ci sono solo muri e tu hai 16 o 17 anni anche il semplice divertirsi un po’ è importantissimo. Storia di un laboratorio di videoteatro al Minorile di Treviso

 

A cura di Graziano Scialpi

 

Tante difficoltà, ma anche tempo di progetti all’istituto penale minorile di Treviso dove, nei mesi scorsi, si è tenuto il primo laboratorio di Videoteatro.

Un’iniziativa che si è rivelata un’interessante esperienza non solo per i ragazzi che hanno partecipato, ma anche per gli operatori del carcere e per gli stessi organizzatori-insegnanti.

 

Valentina Paronetto, attrice, regista ed educatrice nel campo del teatro e dell’animazione, e Nicola Mattarollo, regista e operatore nel campo della formazione audiovisiva. Il corso-laboratorio ha avuto la durata di circa sei mesi ed è stato suddiviso in tre moduli, a ognuno dei quali ha partecipato un gruppo di cinque-sei ragazzi. I giovani ospiti dell’IPM si sono dovuti confrontare con l’apprendimento del linguaggio corporeo e vocale, hanno lavorato sulla consapevolezza del movimento e quindi hanno sperimentato l’uso e le tecniche di ripresa audiovisiva e del montaggio, fino alla produzione di "microfilm" nei quali i ragazzi hanno messo in scena loro stessi e le loro storie in una sorta di psicodrammi che hanno suscitato l’interesse anche degli psicologi dell’istituto. Altro aspetto importante, sembra che questi ragazzi "difficili", lavorando in gruppo, abbiano imparato ad autodisciplinarsi, vivendo l’esperienza della disciplina non come un’imposizione, ma come una regola autoprodotta in cui il gruppo si riconosce e grazie alla quale riesce a funzionare e a lavorare. Può sembrare una cosa facile, eppure questa consapevolezza è uno dei mattoni fondamentali sui quali si basano le società civili e democratiche. In ogni caso questa prima esperienza ha offerto spunti di riflessione e insegnamenti interessanti, che verranno messi a frutto nel prossimo corso, che inizierà a maggio. Ce ne parlano Valentina Paronetto e Nicola Mattarollo.

 

Senza cadere in facili psicologismi, spesso gli adolescenti alla ricerca di una propria identità iniziano a "recitare dei ruoli", che di norma vengono determinati dall’ambiente in cui si trovano a crescere. Il problema è quando scatta il meccanismo di identificazione con il ruolo che il giovane ha scelto di recitare. Ritenete che in un carcere minorile il teatro possa aiutare il ragazzo detenuto a comprendere che il ruolo che ha scelto o si è ritrovato a impersonare nella vita è appunto solo un ruolo e che è possibile cambiarlo?

Purtroppo il tempo che noi trascorriamo con ciascun ragazzo non è assolutamente sufficiente a valutare se il teatro possa o meno incidere sulla consapevolezza del ruolo che un ragazzo ha scelto per la sua vita. Quello che sicuramente come operatori abbiamo notato è la naturalezza con la quale i ragazzi affrontano anche temi che a noi possono sembrare imbarazzanti o pericolosi. Per spiegarmi meglio vi dico che spesso nelle loro improvvisazioni simulavano i loro reati, i processi sostenuti e la convinzione che per quanto possa essere sbagliata la loro scelta è spesso l’unica che gli permette di vivere come degli adolescenti europei. Parlo naturalmente di extracomunitari, di fatto sono loro i ragazzi con i quali abbiamo lavorato. Speriamo in ogni caso un giorno di poter rispondere a questa domanda, per il momento possiamo dire che non abbiamo gli strumenti per farlo.

 

Abbiamo notato che, rispetto al vostro progetto iniziale, in seguito al confronto con i ragazzi vi siete resi conto della necessità di cambiare i tipi di approccio che vi eravate prefissati in quanto non riuscivano a coinvolgerli come vi aspettavate. Pensate che questa elasticità, questa prontezza a cambiare nell’approccio con i giovani in difficoltà sia specifica di esperienze come la vostra, oppure ritenete che dovrebbe essere un elemento caratterizzante di tutta l’attività trattamentale?

Noi riteniamo che programmare un percorso di qualsivoglia tipo, rendersi conto che non funziona e cambiarlo in corso d’opera debba essere caratteristica comune a tutti gli interventi che si svolgono all’interno di un IPM (e non solo!), questo perché non siamo di fronte a dei ragazzi che scelgono di fare un’attività piuttosto che un’altra, spesso le possibilità sono talmente ridotte che sono costretti a seguire determinati percorsi. Se poi questi percorsi non cercano di adattarsi a quelle che sono le loro esigenze e le loro voglie, noi avremmo perso in partenza e loro con molta facilità torneranno nelle loro camere a guardarsi la televisione, magari fingendosi malati o altro. Cercare di capire dove poteva concentrarsi il loro interesse è stato il nostro primo obiettivo.

 

Cosa avete imparato da questa esperienza? Pensate di ripeterla?

È già prevista la ripresa di questa attività verso maggio. Cosa abbiamo imparato? Molto. Abbiamo imparato che i ragazzi non hanno nessuna voglia di parlare di loro stessi, se non, come dicevamo sopra, dei loro reati o comunque della loro vita legata al carcere, tutto quello che c’è stato prima, luoghi, affetti, voglie, speranze non ci è dato sapere, lo custodiscono con molta gelosia e riservatezza. Quindi il nostro lavoro si è dovuto basare, contrariamente a quello che il teatro suggerisce, sulla superficie senza poter minimamente affrontare un qualsivoglia tentativo di introspezione.

Abbiamo imparato che percorsi troppo lunghi sono fallimentari, meglio proposte brevi e tangibili, quali ad esempio la realizzazione di video musicali, piuttosto che brevissimi cortometraggi.

Abbiamo imparato a dialogare senza usare la parola (non sempre i ragazzi capivano l’italiano) e a fare "di difficoltà virtù" sfruttando questa reciproca difficoltà.

Abbiamo imparato a gestire nazionalità diverse che non hanno molto in comune se non il fatto di trovarsi tutte obbligatoriamente rinchiuse. Abbiamo imparato a gestire, in parte, il nostro pregiudizio (non sempre i reati commessi dai ragazzi erano facilmente elaborabili).

E molto altro, non sempre facile da tradurre in parole.

 

Cosa hanno imparato i ragazzi? Arrivati alla fine del corso, qualcuno di loro ha mostrato evidenti segni di cambiamenti nell’atteggiamento?

Anche a questa domanda non è così semplice rispondere, sempre a causa dei tempi ristretti di cui abbiamo disposto. In tutta sincerità non ce la sentiamo di dire che ci sono stati dei cambiamenti di atteggiamento, siamo certi però che qualcuno di loro, e potremmo dire la maggioranza, si è probabilmente stupito della propria capacità di giocare con se stesso, con il teatro e con il video. Più di uno ha espresso la volontà di continuare anche in comunità, qualcuno ci ha anche chiesto dei testi da leggere (e assicuriamo che non è poco visto che si trattava quasi sempre di ragazzi arabi). Crediamo si possa parlare di un buon risultato. Forse il commento più significativo che abbiamo colto arriva da un ragazzo Rom: "Prima pensavo che fare teatro fosse noioso, ora mi diverto molto". Personalmente crediamo che il semplice divertirsi sia importantissimo quando attorno a te ci sono solo muri e tu hai 16 o 17 anni.

 

Alcuni dei video sono stati utilizzati dagli psicologi dell’istituto per approfondire le loro conoscenze sui ragazzi. Come è stata la collaborazione con gli operatori del carcere, educatori, psicologi etc.? Il video come strumento di analisi è stato utile solo per gli psicologi oppure è servito anche ai ragazzi?

La collaborazione con gli educatori è stata fantastica. Onestamente pensiamo che l’IPM di Treviso disponga di uno staff di tutto rispetto. Gli educatori non solo partecipavano ai nostri incontri, ma venivano personalmente coinvolti nell’attività senza mai tirarsi indietro, anzi collaborando se magari qualche ragazzo aveva la luna storta o poca voglia di fare. Anche con qualche agente ci siamo divertiti a giocare o quanto meno sono stati soggetti "positivamente passivi" della nostra attività

Sono poi innegabili le possibilità di analisi che l’utilizzo del video offre anche ai ragazzi. Attraverso le registrazioni hanno la possibilità di capire come si muovono, come parlano, quanto gesticolano, come si relazionano con gli altri, con gli educatori, con i mediatori, con gli oggetti. Riescono quindi a capire qualcosa di più della loro personalità e capacità di relazione. Come ultima considerazione, quello che ci viene in mente in questo momento è forse l’emozione che abbiamo provato rivedendo alcune registrazioni fatte, in particolare ce n’è una mentre i ragazzi in una piccolissima aula sono seduti attorno ad un tavolo e ognuno di loro (4 per la precisione) è concentratissimo a studiare un piccolo copione che poi dovranno riprodurre. È un piccolo pezzo comico, nessuno di loro è italiano, qualcuno sa a malapena leggere eppure la concentrazione è elevatissima ed anche il nostro orgoglio per essere arrivati a questo. È successo una volta sola, ma è stato sufficiente!

 

 

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