Prospettiva: lavoro

 

Tutto quello che vorreste sapere sul lavoro in carcere

 

A farci un bilancio dello stato delle cose oggi è Sebastiano Ardita, Direttore dell’Ufficio Centrale Detenuti e Trattamento del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria

 

Intervista a cura di Nicola Sansonna

 

Come si sta muovendo il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria sul fronte del lavoro per i detenuti? Sebastiano Ardita, Direttore dell’Ufficio Centrale Detenuti e Trattamento, ha risposto alle nostre domande, fornendoci un quadro chiaro ed aggiornato di questo delicato settore.

 

Ci può parlare di come è organizzata la Direzione Generale dei Detenuti e del Trattamento e di chi si occupa in particolare delle questioni riguardanti il lavoro?

Vorrei, in primo luogo, complimentarmi per l’impegno da voi profuso nella redazione dì questo giornale che ricevo con piacere e leggo con molta attenzione. Devo dire che tanto i contenuti, quanto le forme che utilizzate per divulgarli, sono la migliore dimostrazione del fatto che in carcere i percorsi di trattamento sono possibili, ed esistono moltissimi detenuti con intelligenze, volontà e buone intenzioni che devono essere messe a frutto.

 

La Direzione Generale dei Detenuti e del Trattamento è articolata in quattro Uffici con le seguenti funzioni, così come previsto dal D.M. 22.01.2002:

Ufficio I (Gestione dei detenuti comuni e degli internati)

Ufficio II (Gestione dei detenuti a maggior indice di sicurezza e di particolare tipologia)

Ufficio III (Servizio sanitario)

Ufficio IV (Osservazione e trattamento intramurale).

Le competenze in materia di lavoro sono di pertinenza dell’Ufficio IV al cui interno è stata istituita la Sezione IV "Lavoro" cui è preposto un funzionario direttivo.

 

Quanti sono i detenuti che lavorano ed orientativamente in che mansioni sono impiegati?

Rispetto al 31.12.2000, quando il numero complessivo dei detenuti impegnati in attività lavorativa era pari a 12.805 unità, l’impegno in questo settore ha consentito di ottenere un consistente incremento di occupati, che alla data del 30.6.2002 sono cresciuti sino al numero di 14.348 lavoratori. Va precisato che all’interno degli istituti molti detenuti vengono impiegati in attività domestiche, con compiti di pulizia degli ambienti e di cucina, e come manodopera nelle ristrutturazioni interne. Ma all’interno del dato complessivo l’aspetto più rilevante riguarda i detenuti non dipendenti dell’amministrazione penitenziaria, ossia coloro i quali svolgono un lavoro "vero", parificato a quello che si svolge all’esterno, e che è propedeutico rispetto al reinserimento nella società dopo la espiazione della pena. Ebbene, il numero dei detenuti che svolgono lavoro subordinato per conto di ditte estranee rispetto al DAP è passato nello stesso periodo di riferimento da 1684 a 2211 unità, con un incremento percentuale di oltre il 30%.

 

La legge Smuraglia, che consente sgravi fiscali alle cooperative ed aziende che gestiscono attività lavorative in carcere, ha dato dei frutti?

Il risultato che dicevo prima è vieppiù importante se si considera che è stato ottenuto senza avvantaggiarsi pienamente degli effetti della legge n° 193/2000 - appunto la cosiddetta legge Smuraglia - la cui effettiva applicazione si è potuta avere solo a partire dal mese di settembre 2002, a seguito dell’entrata in vigore dei decreti interministeriali di attuazione che hanno fissato termini e criteri per i rimborsi fiscali e previdenziali delle società che offrono lavoro a chi è ristretto in carcere. La Direzione Generale dei Detenuti, peraltro, ha svolto una determinante azione dì stimolo verso gli altri dicasteri per la emanazione dei decreti di attuazione, senza i quali la legge, per oltre un biennio, era rimasta lettera morta.

Ci attendiamo perciò ulteriori miglioramenti nel trend di crescita del lavoro dei detenuti, come conseguenza dei benefici della legge e della prossima stipula di convenzioni e protocolli di intesa con importanti gruppi industriali, rispetto a cui siamo attivamente impegnati. Personalmente ho puntato moltissimo sul trattamento dei detenuti, ed in particolare sul lavoro e sulla formazione, perché ritengo che senza di essi non si possa garantire né civiltà, né umanità alla esecuzione della pena, così come impone il nostro dettato costituzionale.

Il nostro obiettivo finale non può che essere uno: creare lavoro per ogni detenuto che abbia desiderio di svolgerlo. La sua concreta attuabilità dipenderà, oltre che dal nostro impegno, anche dalla entità dei fondi che ogni anno il governo stanzierà per la legge Smuraglia.

È ancora prematuro per verificare quanto effettivamente la legge Smuraglia stia incidendo sul rilancio delle attività lavorative all’interno degli istituti penitenziari o sui livelli di occupazione dei detenuti. L’Ufficio IV di questa Direzione Generale ha appena terminato un primo screening sul numero di imprese e cooperative che hanno assunto detenuti in articolo 21 o che hanno gestito lavorazioni all’interno degli istituti penitenziari nel periodo luglio 2000 - luglio 2002 ed i dati sono in fase di elaborazione. Nei primi mesi di quest’anno probabilmente si sarà in grado di dare una prima valutazione sul reale impatto della legge, sul numero dei detenuti lavoratori e sul numero di imprese e cooperative presenti all’interno degli istituti penitenziari.

Peraltro il lavoro svolto sinora da detenuti alle dipendenze di terzi è risultato sempre di elevata qualità, a dispetto di quanto possano pensare gli scettici. Recentemente, andando a visitare la realtà di Milano Opera, dove alcuni detenuti lavorano con personal computers archiviando dati informatici, mi è stato riferito che le ditte committenti dei lavori di informatizzazione sono molto soddisfatte: perché, da quando questo lavoro lo compiono i detenuti, i margini di errore sono bassissimi, mentre in passato, quando operavano i normali impiegati, venivano riscontrati moltissimi errori! Quindi fatevi coraggio, perché i vostri "colleghi" lavorando bene, vi hanno fatto una ottima propaganda…!

Si parlava in fase di studio della legge Smuraglia del fatto che i Direttori degli Istituti ed il loro staff avrebbero potuto agire sul mercato per cercare commesse e firmare contratti di lavoro. Quanto è realistico questo, ed in che misura si sta concretamente realizzando?

Su questo punto l’Amministrazione penitenziaria, sia a livello centrale, tramite gli uffici del Dipartimento, sia a livello periferico tramite i Provveditorati Regionali e i Direttori degli Istituti, è costantemente impegnata a promuovere accordi per concedere la gestione delle lavorazioni a terzi mediante la stipula dì apposite convenzioni, nelle quali vengono regolati per via pattizia i rispettivi obblighi. In questo modo viene garantita ai detenuti l’acquisizione di una professionalità adeguata ed un’ottica del lavoro più vicina a quella della realtà esterna, con la quale dovranno confrontarsi da liberi. A tal fine questa amministrazione anche per rendere competitive le proprie attività produttive, ha programmato e sta attuando un riammodernamento e un rilancio su larga scala delle lavorazioni industriali presenti all’interno degli istituti penitenziari adeguandole alle attuali esigenze del mercato. Inoltre, si sta creando la trasformazione, secondo logiche imprenditoriali, dei cicli produttivi.

 

Pensa che i fondi a disposizione siano sufficienti per portare avanti progetti validi, tenuto conto anche dell’elevato numero dei detenuti?

I fondi sul capitolo di spesa 1765, che attiene alle spese per l’organizzazione e io svolgimento, negli istituti penitenziari, di tutte le attività inerenti l’azione rieducativa sono fortemente insufficienti al punto che questa Amministrazione da anni non riesce a far fronte neppure al pagamento dei premi di rendimento scolastico e dei sussidi con conseguenti notevoli lamentele da parte della popolazione detenuta.

 

Ci sono novità inerenti alle attività lavorative nelle carceri italiane?

Grazie alla legge Smuraglia e alla politica di rilancio delle lavorazioni da parte del Dipartimento (non bisogna dimenticare che uno degli obiettivi prioritari dell’azione del DAP è proprio il rilancio del lavoro all’interno degli istituti penitenziari) c’è un certo fermento da parte del mondo imprenditoriale e cooperativistico. Si prevede, anche se non in tempi brevissimi, una decisa inversione di tendenza rispetto alla situazione di staticità e di progressivo impoverimento e abbandono delle lavorazioni riscontrata negli ultimi anni.

L’obiettivo che si intende perseguire, per la massima efficienza delle Lavorazioni e per l’attribuzione delle giuste competenze professionali ai detenuti, è quello della "privatizzazione" del lavoro in carcere.

 

Quando un detenuto esce dal carcere, in cosa dovrebbe consistere l’eventuale sostegno o intervento sociale per evitare la piaga della "recidiva", che purtroppo supera il 60%? Ci sono iniziative interessanti sul territorio (abbiamo, per esempio, sentito parlare di uno sportello a Reggio Calabria, che ci sembra molto innovativo)?

L ‘intervento sociale ed il sostegno in favore di coloro che escono dal carcere sono attualmente all’attenzione della Direzione Generale dell’Esecuzione Penale Esterna, recentemente istituita, la quale sta predisponendo una serie di iniziative in materia. Una di queste, che sottolineano in concreto l’impegno dell’Amministrazione, è la recente inaugurazione (10 ottobre 2002) dello sportello informativo presso il CSSA di Reggio Calabria, a risultato dell’incontro tra il CSSA e il Comune, i quali, attraverso un protocollo d’intesa hanno concordato di avviare forme di collaborazione finalizzate all’inserimento lavorativo e sociale dei condannati, all’assistenza alle famiglie ed ai dimessi dal carcere.

 

Quali sono le sue opinioni in generale sul trattamento, considerando l’attuale carenza di personale, educatori in primo luogo?

Nell’ambito della gestione complessiva dei soggetti sottoposti ad esecuzione della pena il trattamento rieducativo rappresenta uno dei compiti istituzionali cui questa Direzione Generale è preposta. Il lavoro rappresenta il cardine del modello trattamentale che questa Amministrazione intende realizzare, utilizzando tutti gli strumenti normativi cui si accennava sopra, per garantire un’adeguata offerta di opportunità lavorative, sia per migliorare la qualità della vita detentiva che per offrire concrete possibilità di reinserimento al termine della pena.

La carenza di personale dell’Area educativa è una problematica che investe tutto il territorio nazionale, pur con notevoli differenze tra le varie realtà geografiche, e che naturalmente influenza la qualità sia dell’offerta trattamentale nel suo complesso che delle attività di osservazione.

Questa situazione non consente, a volte, di assicurare la continuità degli interventi trattamentali, provoca il rallentamento delle attività di osservazione e, di conseguenza, rende problematico l’instaurarsi di una proficua collaborazione con la Magistratura di Sorveglianza. Nelle realtà in cui il problema dell’organico è particolarmente pressante, l’unica soluzione, allo stato, appare l’invio di personale educativo in missione, pur nella consapevolezza che tali provvedimenti rappresentano soluzioni provvisorie e che non garantiscono quella conoscenza del contesto e dei singoli soggetti necessaria per una corretta azione trattamentale.

 

Ci sono delle iniziative che lei vorrebbe evidenziare nell’attuale situazione degli istituti di pena, per quel che riguarda le attività lavorative?

Al fine di incrementare le opportunità lavorative per i ristretti, iniziative di notevole interesse sono già in atto ed altre sono in programma:

Nell’ambito dell’accordo quadro tra il Ministero della Giustizia e il Ministero dell’Ambiente, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha elaborato un programma che prevede l’installazione di pannelli solari presso alcuni istituti penitenziari. L’installazione e, in alcuni casi, la produzione stessa, in loco, dei pannelli solari, è curata da detenuti presenti negli istituti coinvolti, appositamente formati, seguiti dai tecnici delle imprese specializzate.

Presso la C.C. di Torino Le Vallette, è stato avviato un Laboratorio informatico per la gestione documentale dei dati su contratto RAI. L’attività è attualmente in fase di espansione grazie al protocollo d’intesa che questo Dipartimento ha stipulato con Getronics S.p.a., la società che ha avuto l’appalto dalla RAI e che fornisce i supporti tecnici e formativi.

Con il Comune di Prato sono stati stipulati accordi che hanno permesso all’interno dell’istituto attività di telelavoro per l’informatizzazione della toponomastica cittadina e attività di raccolta differenziata dei rifiuti.

Presso la Casa di Reclusione di Porto Azzurro è in atto la produzione di testi per ipovedenti e sono in programma visite guidate all’Antica Fortezza Spagnola. Ambedue le iniziative sono gestite da una cooperativa esterna che per queste attività si avvale della collaborazione di detenuti dell’istituto.

È già stata firmata la convenzione e sta per partire il laboratorio per la costruzione di barche in vetroresina presso l’istituto di Palermo Pagliarelli.

Presso l’istituto di Larino è stato creato un laboratorio di pasticceria con fornitura dei propri prodotti all’esterno.

La provincia di Pesaro ha istituito un servizio che si preoccupa di acquisire le richieste di manodopera da parte delle imprese locali per smistarle agli istituti del proprio distretto.

È in via di definizione un Protocollo d’intesa con il Comune di Roma finalizzato a migliorare le prospettive di reinserimento lavorativo per le persone in esecuzione penale interna ed esterna.

È possibile "esportare" l’esperienza della Agenzia di Solidarietà per il Lavoro di Milano in altre città e in altre carceri? Ne abbiamo parlato con Licia Roselli, direttrice di Age.SoL, che è stata ospite nella nostra redazione

 

Vorremmo prima di tutto sapere come funziona a Milano Age.SoL, come operano gli sportelli di informazione, come sono stati impiegati i detenuti "sportellisti" all’interno del carcere.

Siamo nati nel 1998 su iniziativa di un gruppo di detenuti di San Vittore, quindi se abbiamo un "di più" rispetto ad altre esperienze è che la nostra non è stata calata dall’alto, ma è partita dalle esigenze dei protagonisti stessi, che si sono resi attori in prima persona, così da far in modo che questa struttura esistesse; poi ci abbiamo messo circa un anno per farla partire, per coinvolgere tutti. A San Vittore però si erano già formati, sin dal 1993, gruppi di detenuti che avevano attivato risorse e azioni sul tema lavoro: un questionario sulla formazione ricevuta, le attività lavorative svolte, le attese per il dopo carcere, elaborato e distribuito con la partecipazione stessa della popolazione carceraria, era stato compilato da ben 1041 detenuti su 2434 presenti a quella data (1995) a San Vittore, dandoci così un quadro chiaro e preciso della realtà nella quale andavamo a operare.

Il passo successivo a quel punto era cercare di coinvolgere non solo le cooperative e il volontariato, che in ogni modo erano già disponibili, ma anche le associazioni imprenditoriali e sindacali. A distanza di quattro anni, possiamo dire di averle coinvolte, ma non pienamente. Sulla carta questo è ancora un passo difficile da fare, qualcuno è un po’ più sensibile, altri meno, ma continuiamo a lavorarci e a sperare che anche loro vogliano svolgere un ruolo attivo.

Nel 1999 abbiamo realizzato Il Progetto Sportelli, anche nelle carceri di Opera e Monza, un’idea che mi è venuta dall’esperienza che avevo avuto con il Progetto Ekotonos a San Vittore, dove dal 1993 abbiamo sportelli di consulenza su vari argomenti, ma mancava lo "sportello lavoro".

Per gli Sportelli abbiamo avuto un primo finanziamento dalla Provincia di Milano, perché nel frattempo era entrata in vigore la legge Bassanini, che passava tutte le competenze del collocamento dal Ministero del Lavoro alla Provincia. In parallelo abbiamo organizzato un corso di formazione per detenuti sportellisti, "Meglio Fuori", perché avevamo pensato nella gestione a questa duplice figura, l’operatore "esterno" e i detenuti sportellisti interni. Ai detenuti sono stati affidati compiti chiari, precisi e ben delimitati, per evitare che un detenuto possa avere un ruolo preminente, "di potere", sugli altri, e in una struttura in cui ci sono già gerarchie di vario genere non era certo quello che volevamo dare noi. I detenuti sportellisti avevano il compito di comunicare informazioni, raccogliere le fatidiche domandine, organizzare le richieste provenienti dal carcere. Abbiamo realizzato questo corso in contemporanea su tutte e tre le carceri milanesi, e abbiamo selezionato circa una quindicina di persone per ogni istituto, sapendo poi che gli sportellisti veri e propri sarebbero stati due per carcere e non di più.

Si pensava comunque di fornire loro competenze utili, spendibili nel mondo del lavoro. Il corso durava 400 ore ed era strutturato come quelli dei Centri Lavoro della Provincia di Milano, con in più una parte dedicata al tema penitenziario. Si parlava di legislazione del lavoro, legislazione penitenziaria, c’erano lezioni d’informatica, sulla comunicazione, sulla relazione e l’ascolto ecc.

Poi hanno fatto uno stage in affiancamento agli operatori esterni e sono stati inseriti nello staff fino a giugno dell’anno scorso nelle varie carceri, assunti e pagati, anche se per poche ore alla settimana. Ora la maggioranza è uscita in misura alternativa o a fine pena, abbiamo ancora un detenuto in regime di articolo 21, per la gestione della segreteria del Progetto Orfeo attualmente in corso.

 

Fra le questioni affrontate dagli sportelli, c’è anche l’iscrizione al collocamento?

Da poco tempo è cambiata tutta la normativa e le procedure del cosiddetto "collocamento". Fino ad ora, si pubblicizzava il fatto che i detenuti potevano iscriversi al collocamento in carcere, o mantenere l’iscrizione, anche chi era addetto ai "lavori interni domestici". Di solito era l’ufficio matricola ad avviare le pratiche, ma ogni carcere si organizzava con proprie modalità. Ora c’è un decreto legislativo che afferma che non ci saranno più le liste di collocamento, rimane solo quella dei disabili e dei lavoratori dello spettacolo. Però questa legge demanda tutto a leggi regionali, quindi siamo bloccati finché le regioni non legifereranno.

C’è la legge 223, che afferma che per i disoccupati di lunga durata, in altre parole iscritti al collocamento da più di due anni, il datore di lavoro ha diritto agli sgravi fiscali, ma con questo nuovo decreto dobbiamo capire come si recupera l’anzianità di disoccupazione.

 

Questo può essere un tema importante per il convegno sul lavoro che stiamo organizzando. Per quanto riguarda invece i vostri progetti, a che cosa state lavorando ora?

Adesso stiamo gestendo un Progetto Multimisura con i fondi dell’Unione Europea e non siamo più da soli, abbiamo formato una Associazione Temporanea di Scopo con altri 5 consorzi e con la Provincia di Milano, quindi gestiamo gli sportelli per l’orientamento e l’inserimento al lavoro con la Provincia, che non è più uno sponsor esterno ma è parte attiva nel progetto.

I progetti Multimisura, molto in sintesi, si occupano di sperimentare nuove strumentazioni per portare al lavoro categorie svantaggiate. A Milano e in Lombardia ne hanno progettati tanti, il nostro è stato l’unico rivolto a una sola tipologia, e alla Regione Lombardia è piaciuto, tant’è vero che forse darà indicazioni nel prossimo bando (che dovrebbe uscire in primavera), di preferenza proprio a quelli che presenteranno progetti mirati su una categoria precisa.

 

Quali sono le finalità di questa Associazione Temporanea di Scopo?

Ci siamo messi insieme perché come Age.SoL abbiamo fatto la scelta di privilegiare il lavoro di rete e di mantenere una struttura operativa leggera. Inoltre l’utenza detenuta ha raggiunto livelli quantitativi molto alti, circa 4000/4500 persone ristrette, pertanto i progetti integrati necessitano di numerosi professionisti con esperienze diverse, infatti adesso operiamo con quasi una ventina di operatori a tempo parziale, tra orientatori nelle carceri, quelli che sensibilizzano le imprese, quelli che fanno i tutor: siamo diventati veramente tanti. Abbiamo creato l’A.T.S. con altri Consorzi che facevano già inserimenti lavorativi, quindi potevano contare su operatori già formati, e siamo così riusciti a rendere veramente concreto il concetto di rete, tra l’altro anche con i funzionari della Provincia, perché da quest’anno la Provincia ha in carico anche la formazione professionale, e quindi tutto l’orientamento alla formazione è rientrato dentro questo progetto per l’inserimento lavorativo.

Si comincia con l’orientare i detenuti verso la formazione, li si indirizza in percorsi formativi, e in sequenza o in parallelo li orientiamo al lavoro, e dove è possibile li portiamo fuori per colloqui di lavoro e poi li seguiamo nelle misure alternative oppure a fine pena.

 

Quanti detenuti avete collocato complessivamente?

Nel periodo in cui abbiamo fatto la sperimentazione, tra il 1999 e il 2000 come Age.SoL, abbiamo collocato 117 persone e ne abbiamo prese in carico 651.

In seguito con il Progetto "Cercare lavoro" in A.T.S., dal 2001 al 2002, ne abbiamo sistemati in un anno nelle lavorazioni interne 112, 72 esterni e in più abbiamo 37 persone con già la lettera d’assunzione in tasca, però siamo in attesa che il magistrato firmi il provvedimento.

 

Ora vorremmo affrontare un altro tema, quello dei tutor. La funzione del tutor qual è? È una garanzia per l’azienda o è una tutela per il detenuto? Il fatto è che, se un detenuto esce dall’esperienza della galera dopo una lunga detenzione, è pesante per lui avere ancora gli occhi addosso di qualcuno che lo controlla costantemente.

 

La funzione del tutor è quella di accompagnamento a tutto tondo. Il tutor agisce su due fronti, quello aziendale e quello verso il detenuto, su tutte le problematiche che insorgono nei due versanti per facilitare al meglio l’inserimento. Perché, a parte le cooperative che possono conoscere bene la situazione dei detenuti, le aziende invece non sanno prendersi in carico uno che ha orari rigidissimi, regole imposte, controlli della polizia, e hanno bisogno di essere aiutate ad occuparsi di tutte queste pratiche. E il detenuto ha tempi e modalità diverse di adattamento al posto di lavoro.

Noi abbiamo nel progetto parecchie ore di tutoraggio, per 85 adulti detenuti e 12 minori, la durata varia da persona a persona; il tutor per esempio si presenta al lavoro, contatta l’imprenditore e il lavoratore, verifica l’andamento del percorso e agisce per rimuovere qualsiasi ostacolo o impedimento, sia l’uno che l’altro possono contattare il tutor per qualsiasi cosa, per informazioni o per problemi. Un piccolissimo esempio, che ci è capitato recentemente, è di una persona che si trovava in carcere da diversi anni, e se non ci fosse stato il tutor ad accompagnarlo sul posto di lavoro si sarebbe perso; non sapeva che mezzi pubblici prendere, gli euro non li aveva mai visti, era totalmente disorientato, anche ad affrontare cose che sembrano banali!

 

Che cosa fate per allargare l’area di chi ha disponibilità a dare lavoro ai detenuti oltre le cooperative sociali, che sono importanti ma non riescono a far fronte a tutte le domande che arrivano dal carcere?

Potrei dire che le abbiamo provate davvero tutte. Abbiamo degli operatori che chiamiamo "operatori di sensibilizzazione delle aziende" e fanno solo quello.

Comunque qualche azienda siamo riusciti a coinvolgerla, ma il fatto è che noi a Milano abbiamo un mercato del lavoro molto variegato e particolare, le aziende hanno bisogno di figure molto professionali, ad esempio vogliono i saldatori, se tu ne hai uno disponibile lo prendono subito, anche se detenuto per grave reato; ma i nostri utenti spesso sono abbastanza anziani e non hanno professionalità specifiche, perché in carcere hanno fatto solo dei corsi generici, quindi bisogna prima di tutto indirizzare diversamente la formazione professionale. Infatti, quest’anno, per esempio, partiamo con un corso a Bollate per dare il patentino di conduttore d’impianti a vapore, che al momento sono richiesti, e poi se possibile tenteremo anche un corso per saldatori.

 

La vostra esperienza di Age.SoL per promuovere il lavoro ai detenuti è unica in Italia, voi pensate che sia "esportabile"? E come siete riusciti in concreto a far lavorare assieme le cooperative, le associazioni, gli enti locali?

Questa iniziativa è senz’altro mutuabile ma non esportabile così come è a Milano. Prima di implementare un’attività del genere si deve fare una mappa del territorio, e vedere le risorse che sono presenti e da lì partire a progettare lo strumento operativo.

Ormai è condiviso il concetto di fare rete, a Milano molti soggetti che si occupano di carcere hanno capitalizzato questo "guadagno", nella consapevolezza che quando prendi in carico un detenuto ti presenta problemi di diverso tipo, noi ci occupiamo del lavoro, poi c’è chi si occupa della casa, chi si occupa dell’accompagnamento ai servizi, chi delle questioni legate alla tossicodipendenza, sono tutti nodi della rete, dei quali dove non esistono si sente (e di molto) la mancanza e cala l’efficacia dell’intervento di tutti.

Certo per arrivare a questa consapevolezza collettiva ci abbiamo messo tanti anni, abbiamo creato già nel 1994 il Comitato Carcere, Lavoro e Territorio di Milano (denominato Osservatorio), all’inizio eravamo un po’ diffidenti, ma se ti frequenti costantemente e capisci che serve a tutti, poi si riesce a far lavorare insieme le realtà più diverse. Nella prima fase di aggregazione "tirare" il coordinamento di Milano è stato come tirare un carro senza ruote, ci sono stati dei momenti di cadute verticali di partecipazione, in cui ci trovavamo in 3 e sinceramente volevo mollare! Ora lo spazio non ci basta più, quando ci riuniamo dobbiamo prendere una sala del Comune, anche a Palazzo Marino, perché finalmente tutti hanno capito che è giusto esserci, grazie anche al fatto che il Comune è diventato parte attiva dell’Osservatorio e funge da luogo di raccordo e di coordinamento.

 

Un’agenzia come la vostra opera anche"da garante", per esempio verso i magistrati di sorveglianza, sulle ditte che offrono posti di lavoro?

Noi non abbiamo mai avuto contatti ufficiali con la Magistratura di Sorveglianza, però ora ci siamo accorti che le proposte di misure alternative presentate dal nostro servizio vengono accolte "favorevolmente", ci siamo guadagnati una fama di serietà "sul campo" lavorando in tutti questi anni con precisione e costanza, proponendo cooperative e imprese che si sono sempre dimostrate "sane", e questa è una garanzia di fatto. Su questo, siamo stati molto rigidi, ci sono capitati casi di detenuti che si presentavano allo sportello già con il posto di lavoro, magari da un amico o da un parente, abbiamo sempre risposto di no, che non facevamo da "copertura", perché i posti di lavoro li cerchiamo e li verifichiamo noi, ma se questo amico o parente è disposto a dar lavoro a detenuti, possiamo fare un sopralluogo e valutare la serietà dell’azienda e la concretezza della proposta lavorativa. Infatti i nostri "operatori aziende" non solo cercano di sensibilizzare gli imprenditori verso la loro funzione sociale e non solo economica, ma vanno anche nelle aziende e verificano che ci siano le necessarie garanzie, prima di accettare eventuali offerte di lavoro.

 

Concludiamo questa intervista con una frase di Licia Roselli, che spiega nel modo più efficace perché dare lavoro ai detenuti conviene a tutti: "Un detenuto o ex detenuto, che riesca, grazie al lavoro, a stabilizzare la propria vita in circuiti di legalità, non costituisce più motivo di allarme sociale, quindi… lavorare vale la pena.

Sbobinare le registrazioni dei consigli comunali e provinciali. Un lavoro di pazienza e precisione che a Pisa affidano ai detenuti

 

A cura di Marino Occhipinti

 

La Don Bosco è una Cooperativa che si prefigge di contrastare i fenomeni di emarginazione dei detenuti, favorendone l’inserimento nelle attività delle comunità locali e contribuendo a svilupparne l’autogestione e la solidarietà.

In un recente incontro pubblico, il presidente della Cooperativa, Benedetto Benedetti, ha ricordato che "l’impegno è quello di restituire libertà ai detenuti, non soltanto quella di tempo e spazio, ma soprattutto quella interiore, che consente ai reclusi di rientrare a far parte della società".

Di questo ed altro abbiamo parlato con Giorgio Vecchiani, che della Don Bosco è il direttore.

 

Ci racconta quando è nata la Cooperativa, per volontà di chi e con quali scopi?

La Cooperativa è nata qui a Pisa il 22 dicembre 1997, quindi oltre 5 anni fa, grazie alla volontà di alcune associazioni di volontariato e di singole persone che sono sempre state vicine ai problemi degli ospiti della Casa Circondariale. Ispirandoci all’articolo 27 della nostra carta costituzionale, ed ai principi della solidarietà, abbiamo consentito a persone in detenzione o in affidamento di conseguire una qualificazione professionale e culturale adeguata, permettendo un proficuo reinserimento non solo nel lavoro, ma anche nella società esterna e nell’ambito familiare.

 

Quante persone cosiddette svantaggiate, mi riferisco in particolare a detenuti ed ex detenuti, lavorano alle vostre dipendenze?

Attualmente nella Cooperativa lavorano 14 fra detenuti (semiliberi ed ammessi al lavoro all’esterno con l’articolo 21), affidati ai Servizi sociali ed ex detenuti, e di questi 2 sono le donne e 3 gli extracomunitari.

 

In quali settori occupazionali sono incentrate le vostre attività? Sono solamente esterne al carcere oppure anche interne?

Al momento la Cooperativa opera, per quanto concerne il lavoro, esclusivamente fuori dall’ambito carcerario, attraverso la convenzione con l’ospedale di Pisa per la manutenzione del verde e la convenzione con l’Amministrazione provinciale di Pisa e i Comuni di Calcinaia e San Giuliano per gli sbobinamenti dei consigli provinciali e comunali: si tratta di un qualificatissimo lavoro di stenotipia, tanto che questo viene svolto anche in diretta. Abbiamo poi rapporti di lavoro anche con altri Comuni, come Vecchiano e Cascina, oltre che con privati, ed i detenuti svolgono lavori di giardinaggio, coltivazioni di piante, manutenzioni. Con il contributo del Comune di Pisa curiamo anche la manutenzione dei Giardini Solarino, situati proprio davanti alla Casa Circondariale, dove grazie al lavoro della Cooperativa fu, a suo tempo, inaugurato un monumento che interpreta il dramma di coloro che si trovano all’interno del carcere, ma anche la speranza del ritorno ad una vita civile.

 

Torniamo per un attimo allo sbobinamento dei consigli, attività abbastanza atipica per dei detenuti: sono stati effettuati corsi di formazione per coloro che svolgono questo genere di lavoro? E quali sono i criteri retributivi che applicate?

Naturalmente la sbobinatura delle cassette e la stenotipia in diretta sono state precedute da un corso della durata di sei mesi, il tempo necessario ad acquisire le conoscenze informatiche per l’utilizzo delle macchine. I criteri retributivi per questa mansione sono regolati dal contratto di collaborazione coordinata e continuativa, mentre per quanto riguarda la convenzione stipulata con l’ospedale di Pisa ci si attiene al contratto del C.C.N.L. per il Personale Dipendente da Imprese Esercenti Servizi di Pulizia e Servizi Integrati/Multiservizi.

 

Come sono i rapporti con gli Enti locali, riuscite a collaborare ed a lavorare assieme?

Sì, tanto che proprio recentemente il Comune di Pisa ci ha concesso un appezzamento di terreno situato in località Ospedaletto, all’interno del quale vi sono alcuni ruderi colonici, ed è nostra intenzione cercare di ristrutturarne almeno uno di 120 mq, oltre alla possibilità di far diventare agibili 4 stanze del fabbricato più grande. Se riuscissimo a portare a compimento questi lavori, potremmo permetterci di realizzare la "Fattoria Don Bosco", che ci consentirebbe di avviare al lavoro molti altri detenuti e di accogliere anche quei familiari che non hanno altra soluzione. Poi abbiamo ricevuto un generoso contributo dalla Cassa di Risparmio di Pisa, con il quale abbiamo acquistato un prefabbricato in legno di 35 mq e abbiamo ristrutturato un locale ora adibito a magazzino. Non solo, perché il contributo ci ha permesso l’installazione di due serre nelle quali sono stati messi a dimora semi per un vivaio di piante di alto fusto. A questo punto è giusto sottolineare che la qualifica professionale dei nostri lavoratori si deve sia ai corsi finanziati dal Centro di Ricerche e Documentazioni di Roma, sia alle borse lavoro concesse dal Centro Servizi Sociali Adulti di Pisa, e speriamo che tutto il nostro lavoro possa continuare ed anzi ampliarsi grazie ai progetti che abbiamo presentato alla Regione Toscana e anche attuando la legge Smuraglia, che prevede incentivi a favore di chi assume detenuti. Questa è una buona opportunità per dare lavoro a chi si trova nelle carceri, anche se i benefici previsti da questa normativa potranno vedersi a lungo termine e non nell’immediato.

 

Ci traccia il bilancio della Cooperativa don Bosco dopo i primi 5 anni?

Dal 1997 ad oggi, nella Cooperativa hanno lavorato 42 soggetti svantaggiati, dei quali solo 3 sono rientrati in carcere per non aver rispettato le regole. Ben al di sotto del 10%, che è una percentuale bassissima se si considera che la recidiva si attesta mediamente attorno al 70%.

 

Quindi, alla luce della vostra esperienza, le considerazioni sul lavoro non possono che essere positive…

 

Le considerazioni sono più che positive, almeno per i risultati che abbiamo avuto da noi. Però per ottenere buoni risultati non è sufficiente soltanto il lavoro, ma è importante che il detenuto o l’ex detenuto sia seguito, per quanto possibile, anche fuori dal lavoro e quando il rapporto con la Cooperativa viene a terminare, altrimenti si sente abbandonato e tutto quello che si è fatto a monte rischia di andare in fumo. In pratica, se vogliamo che le persone che hanno commesso reati ritornino con successo nella società, una volta scontata la pena, è necessario che sia nel lavoro che nei rapporti umani vi sia pari dignità, e non si dimentichi mai che anche loro sono cittadini, che hanno sì commesso errori, ma che se ne sono resi conto, hanno pagato e hanno diritto a essere riammessi nel mondo civile.

Canicattì, Taranto, Imperia. Tre Comuni impegnati sul "fronte" del lavoro ai detenuti

 

Le interviste sono a cura di Marino Occhipinti

 

Canicattì, dove alcuni minori che hanno avuto problemi con la giustizia lavorano negli uffici del Comune. Intervista al dottor Antonio Cani, Assessore ai Servizi sociali del Comune di Canicattì

 

Assessore, ci parla del progetto che prevede l’avvio al lavoro di alcuni minori che hanno avuto problemi con la giustizia?

Partendo dalla considerazione che il ruolo dei Comuni nella logica del Welfare di Comunità ci impone una nuova modalità nell’approccio alle problematiche del disagio giovanile, abbiamo ritenuto che se ci si vuole fare carico di adolescenti (ma non solo) che hanno problemi con la giustizia, è necessario lavorare sulla prevenzione del disagio e trovare strategie in cui è coinvolto l’intero contesto socio-familiare. Abbiamo voluto chiamare il progetto "Obiettivo lavoro per l’inclusione dei giovani a rischio devianza" appunto perché riteniamo fortemente che l’inserimento lavorativo sia un primo passo per contrastare l’esclusione sociale. I quattro inserimenti lavorativi sono stati infatti realizzati in rete con il Tribunale per i minorenni quale misura alternativa al carcere.

 

Materialmente, che lavori svolgono i ragazzi?

Come dicevo abbiamo realizzato sino ad ora quattro inserimenti lavorativi tutti in uffici del Comune. I primi due ragazzi sono stati destinati all’ufficio manutenzione: uno ha svolto attività di idraulico, l’altro ha fatto l’imbianchino. Dei due attualmente in corso uno sta svolgendo il lavoro di idraulico, l’altra è stata destinata all’assistenza dei bambini disabili nelle scuole.

 

Quali sono stati i vostri interlocutori in quest’iniziativa e che genere di supporto avete ricevuto dagli altri enti locali?

Per realizzare questi inserimenti, abbiamo coinvolto il Servizio sociale del Tribunale per i minorenni di Palermo, che ha colto immediatamente la nostra iniziativa con un valido e professionale supporto. Inoltre abbiamo raccolto la collaborazione dell’ARCI che ha offerto luoghi e opportunità di confronto sociale. Il progetto ha avuto un suo valore perché ha utilizzato, quale metodologia, la logica del lavoro di rete.

 

Ci dà la chiave di lettura di questo progetto? Può essere visto come un metodo per riavvicinare alla società coloro che hanno sbagliato, per farli sentire partecipi alla vita attiva e non solamente degli esclusi?

La chiave di lettura del progetto è la promozione di una modalità di rapporto con la realtà sociale positiva e costruttiva. Attraverso l’impegno lavorativo, infatti, si ritiene sia possibile, per il giovane destinatario, la rivisitazione e la riorganizzazione della struttura e dei contenuti dei suoi rapporti con i propri familiari, gli amici e la comunità locale. L’impegno quotidiano, la nuova percezione di se stesso e degli altri, il feedback originato dai nuovi rapporti, si ritiene possano procurare ai ragazzi una opportunità di riabilitazione sociale volta a superare quei pregiudizi diffusi verso quanti hanno avuto a che fare, nel proprio passato, con misure restrittive della libertà. Inoltre lavorare sulla prevenzione del disagio sociale, ritengo possa avere come effetto diretto quello di togliere manodopera alla delinquenza comune e alla mafia.

 

È la prima iniziativa del genere che come Comune avete attuato, oppure vi siete già impegnati in questo settore? Ritenete che il vostro impegno abbia un valore in termini di reinserimento sociale?

È la prima esperienza del Comune di Canicattì in questo senso. Abbiamo comunque lavorato perché l’esperienza possa essere proseguita, ed è stato ammesso al finanziamento, dal POR (Programma Operativo Regionale) Sicilia, un progetto presentato insieme all’ARCI per l’inserimento lavorativo di soggetti socialmente svantaggiati. È il progetto "Pole Position", destinato a 160 persone di 4 comuni diversi, ed un buon numero di destinatari saranno appunto ex detenuti o persone in affidamento in prova ai Servizi sociali. Ritengo possa essere un concreto impegno se si vuole avviare una seria politica di prevenzione primaria e secondaria del disagio nel senso più ampio del termine.

 

Quindi una scelta che potremmo definire politica e sociale, con la quale offrire opportunità sia ai giovani sia agli adulti che si trovano in condizioni di disagio?

Naturalmente. La scelta politica di questa amministrazione comunale, e di questo Assessorato alle Politiche sociali, è quella di continuare l’esperienza sia con i giovani ma anche con gli adulti. In questo senso abbiamo già avviato un protocollo d’intesa con il CSSA del Carcere di Agrigento e abbiamo coinvolto strutture sia di organizzazione sia di imprenditori locali per l’avvio a reinserimenti socio-lavorativi di adulti.

 

Possiamo considerare il vostro impegno come una sfida che cerca di portare anche ad un cambiamento "culturale", sia delle persone "svantaggiate" che della comunità?

Certo, ma purtroppo siamo solo all’inizio di un percorso che mi auguro possa portare ad una piena inclusione sociale e lavorativa delle persone che hanno avuto problemi con la giustizia. Quindi, per il momento, non posso registrare un radicale cambiamento culturale relativamente all’accoglienza e all’inclusione, ma è la sfida che ci poniamo: una scelta politica dell’ente Comune che coinvolga tutti per un percorso di crescita culturale dell’intera comunità.

Taranto, dove i detenuti si occupano della bonifica dei siti pubblici di balneazione

 

Intervista al dottor Fabio Fago, Assessore alle Risorse del Mare del Comune di Taranto

 

Dottor Fago, come si è sviluppato il progetto relativo all’assunzione, seppur a tempo determinato, dei 15 detenuti della Casa Circondariale di Taranto nell’ambito degli interventi di bonifica straordinaria?

L’iniziativa, che è già al secondo anno, è nata nel 2001. L’Assessorato alle Risorse del Mare, che io dirigo, ha programmato un’attività di tutela dei siti pubblici di balneazione attraverso la bonifica straordinaria degli stessi ed un programma di manutenzione durante l’intera stagione estiva. L’attività nel suo complesso è stata affidata per l’esecuzione materiale ad una Società per Azioni, che è la Taranto Servizi Spa, di cui il Comune di Taranto rappresenta il socio di maggioranza, mentre sul piano della programmazione e del controllo tecnico ed amministrativo l’intervento è stato gestito dallo stesso Assessorato alle Risorse del Mare.

Attraverso un accordo tra la Taranto Servizi - quindi il Comune di Taranto - e il Tribunale di Sorveglianza di questa città, nella persona del dottor Augusto Bruschi, si è quindi dato corso ad un programma d’impiego di un significativo numero di ristretti della locale Casa Circondariale ad integrazione del personale stabilmente occupato.

Ho patrocinato l’iniziativa sollecitando peraltro anche le altre realtà del territorio a ripetere l’esperienza, ad impegnarsi in progetti analoghi, perché è certamente necessario il contributo di tutta la realtà esterna al carcere, soprattutto per evitare l’esclusione che vivono quotidianamente i detenuti.

 

C’è una caratteristica in particolare, di questo progetto, della quale va fiero?

Un elemento di particolare distinzione dell’iniziativa consiste nel fatto che, per la prima volta sul territorio, si è proceduto alla regolare assunzione, seppur a tempo determinato, dei ristretti, mentre in precedenza altre iniziative avevano avuto solo finalità formativa e di integrazione nel tessuto sociale dei detenuti. In questa occasione, invece, si è proceduto ad un regolare reclutamento che, nel primo anno, ha interessato almeno 90 persone recluse, che così hanno potuto effettuare una regolare attività lavorativa a rotazione suddivisa in circa 30 giorni ciascuno.

 

Qual è stato il periodo lavorativo e com’è stata curata l’organizzazione tecnica?

Il periodo di interesse è quello che va da giugno a settembre compreso, quindi sostanzialmente la cosiddetta stagione balneare. L’attività si è svolta in piena integrazione con i lavoratori stabili della Società e nel massimo rispetto della privacy e della dignità umana. Gli interessati sono stati prelevati dai mezzi della Taranto Servizi e hanno operato, come tutti gli altri addetti, sotto il controllo operativo dei responsabili della ditta stessa.

 

Con quali mansioni sono stati assunti?

L’attività svolta ha riguardato essenzialmente la pulizia delle spiagge effettuata con metodologia avanzata, ovvero con l’utilizzo di mezzi meccanici, impiego di prodotti specifici, raccolta differenziata dei rifiuti.

 

Con quali criteri, e da chi, sono stati selezionati i detenuti?

Il reclutamento è avvenuto su indicazione del Tribunale di Sorveglianza di Taranto, e sono stati impiegati sia ristretti sia soggetti sottoposti ad arresti domiciliari.

 

Qual è stata indicativamente la loro retribuzione?

L’inquadramento normativo ed economico è quello previsto per i contratti a tempo determinato. Mediamente ciascun addetto ha guadagnato, nel periodo relativo ai 30 giorni lavorati, circa 850 Euro, 1.600.000 delle vecchie lire, che corrispondono alla paga sindacale, oltre ai contributi ed agli assegni familiari.

 

Avete riscontrato problemi, ed eventualmente di quale genere?

Non si sono presentate particolari problematiche, neppure relative allo specifico status dei ristretti. La sua descrizione ci ha fornito un quadro assai positivo.

 

Pensate di riprogrammare la stessa metodologia anche per il futuro?

L’esperienza nel suo complesso, per il 2001 come per il 2002, può ritenersi assolutamente soddisfacente sia per i risultati operativi sia per la soddisfazione degli interessati. Anche per questi motivi è ipotizzabile che l’esperienza prosegua nel tempo.

Imperia, dove i detenuti si occupano di pulire gli argini dei fiumi e di altri interventi sui campi di olivo

 

Intervista al Dottor Alessio Saso, Vice Sindaco di Imperia

 

Dottor Saso, ci spiega come nasce, da parte dell’amministrazione comunale di Imperia, l’impegno a favore delle persone ristrette?

I progetti che mettiamo in atto nascono dalla convinzione personale che questi percorsi siano utili per i ristretti e per la collettività, e dalla conoscenza diretta della realtà carceraria, quale formatore in corsi tenuti nell’Istituto di Imperia.

 

In cosa consistono esattamente i lavori socialmente utili che hanno svolto i ragazzi detenuti?

Hanno effettuato lavori di pulizia degli argini dei fiumi, pulizia delle spiagge, interventi sui campi di olivo, e quest’ultima attività ha preso avvio dopo un idoneo corso di qualificazione sulla coltura delle stesse piante.

 

Avete incontrato parecchie difficoltà di tipo burocratico nel mettere in atto l’iniziativa?

Una volta impostata la prima delibera, no, anche grazie all’ottima collaborazione con i direttori degli Istituti, senza i quali non avremmo potuto fare assolutamente nulla.

 

Quante sono le persone coinvolte?

Complessivamente sono state impegnate tra le 20 e le 25 persone, e non è poco per una realtà relativamente piccola come quella di Imperia.

 

Quali criteri retributivi sono stati applicati?

Circa 250,00 Euro mensili, retribuzione inferiore alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, ma sostenibile dal comma che fornisce anche adeguata formazione.

 

Quali altri enti, siano essi privati o istituzionali, hanno partecipato ed appoggiato il progetto?

Proprio riguardo alla formazione, che riteniamo essenziale, abbiamo coinvolto un Centro formativo, oltre all’Onaoo, l’organizzazione degli assaggiatori di olio, e tra i docenti ci sono state persone estremamente qualificate come l’agronomo Fulvio Balli e Orazio Sappa, altro grande esperto locale.

 

Avete già effettuato altri progetti analoghi, e con quali risultati? Pensate eventualmente di ripeterli in futuro?

Siamo al 4° progetto, andiamo avanti con soddisfazione da parte di tutti e quindi, senza alcun dubbio, ripercorreremo le iniziative ed anzi cercheremo di ampliarle.

 

Come Comune in quale modo intervenite per fornire ai detenuti ed agli ex detenuti il sostegno necessario al reinserimento sociale?

Tra le nostre modalità di intervento, abbiamo forme di sostegno come le borse lavoro ed incentiviamo e sosteniamo una Cooperativa sociale che si occupa appunto del reinserimento sociale. Si tratta della Cooperativa L’Arca, presieduta da don Paolo Pozzoli, che è anche il cappellano della Casa Circondariale, quindi un buon conoscitore delle problematiche connesse al disagio sociale.

 

Quali attività lavorative offre il territorio ligure per chi fruisce delle misure alternative o per chi termina la detenzione?

Esistono settori dove ci sono maggiori difficoltà a reperire manodopera, e mi riferisco ai settori dell’edilizia, dell’agricoltura, della ristorazione, che offrono qualche spazio in più.

 

Di queste esperienze, del fatto di poter "lavorare" con persone ristrette, cosa le è rimasto più impresso e qual è stata la gratificazione più significativa?

La cosa che mi ha più gratificato di queste esperienze è stata la soddisfazione dei detenuti di poter lavorare insieme all’aria aperta, senza marcire inattivi in cella, unitamente all’apprezzamento e alla riconoscenza dei cittadini per degli interventi importanti per il territorio effettuati da persone più affidabili di quanto pensassero.

 

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