Editoriale

 

Una società con sempre più sbarre

 

Prendendo spunto dal dibattito sull’opportunità dell’indulto, in corso a livello politico e tra gli operatori della giustizia, l’EURES (Istituto di ricerche economiche e sociali) ha realizzato un’indagine sulla "certezza della pena" nel nostro Paese, dalla quale risulta che, nel decennio 1991-2001, solo il 40 % delle pene comminate si sono poi tradotte in detenzione carceraria. Nello stesso periodo è risultato recidivo il 61 % dei condannati. Le conclusioni tratte sono state che in Italia le pene sono tutt’altro che certe e, quando pure vengono applicate, falliscono l’obiettivo della rieducazione dei condannati. Questa interpretazione, ripresa da vari giornali e da alcune trasmissioni televisive, è servita a rafforzare l’idea della inutilità e pericolosità di un provvedimento di indulto.

Sentendo questi ragionamenti, siamo tentati di dire che, in Italia, i sondaggi di opinione e le indagini statistiche sono usate proprio come armi, per demolire la coscienza civile del paese e per falsare la realtà. Cerchiamo allora di rimettere le cose al loro posto.

 

Esiste la certezza della pena?

Se non consideriamo l’indulto (manca da 13 anni) e la grazia (intervento rarissimo e a carattere individuale) in Italia c’è un solo strumento giuridico che consente di evitare la pena: la sospensione condizionale. Può averla soltanto chi è incensurato, per condanne fino a due anni, e poi riga dritto per un pezzo, altrimenti gli viene revocata. E non tutti gli incensurati la ottengono, gli stranieri quasi mai.

Nella stragrande maggioranza dei casi, quindi, le pene sono certe, cioè vengono scontate per intero. Chi usa i numeri come armi non ha voglia di soffermarsi sui dettagli, naturalmente, ma questi dicono che nelle carceri italiane ci sono 58.000 persone (circa), altre 30.000 circa stanno scontando la pena attraverso una misura alternativa e ben 50.000 sono "in coda": aspettano le decisioni del tribunale, in libertà provvisoria, o in sospensione pena. Magari saranno chiamati a "pagare il loro debito" dopo 10 o 15 anni dal reato, però senza un indulto o un’amnistia nessuno sfuggirà alla condanna. E qui non stiamo parlando di reati gravi, perché la grande maggioranza dei "giudizi sospesi" riguarda persone non eccessivamente compromesse, persone che hanno vita relativamente normale e non danno eccessivo disturbo. Gli altri entrano diretti in carcere e ci rimangono per un bel pezzo… nonostante il sistema dei benefici e delle misure alternative.

Questo sistema serve, sostanzialmente, da moderatore per un regime sanzionatorio molto severo che prevede pene doppie, in media, rispetto ai paesi europei a noi vicini. In pratica, al processo ti infliggono spesso una pena ben più alta di quella che sarebbe ragionevolmente comminabile, calcolando che comunque ne trascorrerai in carcere soltanto una parte.

Ma questo ragionamento è sbagliato per due motivi: il primo è che l’altra parte della condanna dovrai comunque scontarla, sia pure in misura alternativa; il secondo che l’accesso alle alternative è molto selettivo e chi è socialmente, economicamente, culturalmente più debole "rischia" di non avere alcuna chance, e di farsi tutta la sua pena in carcere.

L’indulto serve soprattutto per riequilibrare lo svantaggio di quanti sono esclusi dai benefici e dalle misure alternative, non per cause di legge, ma nei fatti. Tanto più se consideriamo il cosiddetto "indultino", che in sostanza è una misura alternativa alla quale si viene ammessi obbligatoriamente, fatte salve le esclusioni oggettive e soggettive. Cerchiamo allora di ridare alle statistiche il loro giusto valore, spiegando quindi a chi conosce poco la realtà del carcere che l’indulto non genera ulteriore "perdonismo", e può essere invece un’occasione di riscatto per chi non ne ha ancora avute.

 

 

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