Trasferimenti & Deportazioni

 

Non è ora di interrompere la catena dei trasferimenti che annientano le famiglie?

 

di Ornella Favero – Direttore Ristretti Orizzonti

 

Veronica, figlia di Biagio, ha raccontato quanto soffre un bambino a vedere un genitore in una sala colloqui dietro un vetro, senza poterlo toccare, abbracciare, baciare. Biagio Campailla ha riallacciato i rapporti con le figlie proprio qui a Padova, lui arriva da una storia pesante di carcerazione in regime di 41bis, quindi di condizioni terribili in cui si possono incontrare i propri familiari, anzi io credo che i politici dovrebbero avere finalmente il coraggio di non nascondersi dietro alla lotta alla mafia per continuare a difendere il regime del 41 bis, ma di ragionare complessivamente anche su questi aspetti.

Adesso qui nel carcere di Padova pare che venga chiusa la sezione di Alta Sicurezza e si prospettano di nuovo trasferimenti: la prima riflessione da fare allora riguarda le declassificazioni possibili, c’è gente che da anni sta facendo un percorso di assunzione di responsabilità, di cambiamento, di ricostruzione dei rapporti famigliari, non si può riconoscergli questo percorso? Non si può quindi interrompere la catena dei trasferimenti, che assomigliano a delle deportazioni, e affrontare il tema dell’umanizzazione della pena anche per i regimi di Alta Sicurezza?

Tutti noi abbiamo sentito i dirigenti del DAP dire che è stato fatto un errore costruendo mille posti in più nelle carceri in Sardegna, adesso a questo errore non si devono “mettere le pezze” trasferendoci i detenuti che hanno le famiglie qui, che restino chiuse quelle carceri piuttosto che fare una deportazione e portare le persone lontano da tutti e interrompergli un percorso importantissimo.

Io sono contenta che abbiano parlato tante figlie. Nella mia redazione lo sanno, nessuno si può nascondere, le persone si devono assumere la propria responsabilità e lo fanno, lo fanno tutti, non dicono di essere delle brave persone, ammettono di aver fatto dei percorsi di vita, delle scelte a volte veramente, pesantemente sbagliate.

Questo non deve in alcun modo c’entrare con le famiglie ed è giusto che le figlie dicano anche che per loro il padre è la persona più importante, la persona che ha comunque dato loro molto. Anche perché io credo che in questi anni molte persone detenute, pur con tutte le difficoltà e gli ostacoli frapposti da una cattiva legge, abbiano costruito un rapporto profondo con i loro figli. Però attenzione, anche quando dicono di essersi vergognati di raccontare la verità, questi figli hanno ragione, non si sono vergognati dei padri, si sono vergognati delle reazioni dei loro compagni e amici, della società quando una famiglia ha un suo membro incarcerato. In questo Paese purtroppo è quasi inevitabile vergognarsi, perché il peso del giudizio delle persone fuori è veramente insopportabile a volte. Quindi dobbiamo lavorare perché nella società si smetta di giudicare e si cerchi di capire che comunque, al di là delle responsabilità delle persone che sono qui in carcere, i loro figli, le loro famiglie non hanno colpe e non devono essere trattati in questa maniera, e costretti a ricevere telefonate centellinate con il contagocce, i dieci minuti miserabili quando in tanti altri Paesi si telefona ormai liberamente.

 

 

 

 

Solo, perché i trasferimenti da un carcere all’altro dell’Italia ti rendono solo

 

di Giuliano Ventrice – Ristretti Orizzonti

 

Sono un uomo di 38 anni, e mi trovo in carcere da quasi 19 anni. Sono entrato in carcere per la prima volta con una condanna di 27 anni, con l’accusa di concorso in omicidio, armi, rapina e altri reati, e come se non bastasse anche dentro il carcere mi sono ritrovato a dover subire dei processi con l’accusa di oltraggio e lesioni, tanto da essere poi condannato con l’aggravante della recidiva specifica, un’aggravante quest’ultima voluta dalla famosa legge ex Cirielli.

Può sembrare assurdo, ma anche in carcere si può arrivare a tanto ed io arrivai ad un cumulo di condanne a 30 anni. La mia testimonianza di oggi riguarda i trasferimenti da un carcere all’altro per tutta l’Italia intera. Voglio premettere che io sono nato e cresciuto a Torino, lì avevo la residenza, lì avevo gli affetti più cari (mia sorella e i suoi figli).

E per come enuncia l’Ordinamento penitenziario, avrei dovuto scontare la mia carcerazione nella regione del Piemonte, in una casa di reclusione, così da permettere ai famigliari ed al mio avvocato di fiducia di potermi venire a trovare e con i famigliari di poter mantenere quei già fragili rapporti affettivi, consumati, appunto, da una vita trascorsa in modo irregolare.

Le cose sono andate diversamente… inizialmente mi detengono nella regione Piemonte, ma non per molto, infatti vengo poi trasferito in Valle D’Aosta, e poi in Lombardia e poi ancora in Toscana, Sicilia, Campania. Sono stato anche per un anno e mezzo nel carcere della Favignana, posto bellissimo per chi ci va da turista… ma peccato che a noi detenuti ci tenevano in una struttura fatiscente, dichiarata poi inagibile ed infatti è stata chiusa, e situata a sette metri sotto il livello del mare. Favignana, un’isola della provincia di Trapani, più vicina alla Tunisia che al resto dell’Italia, figuratevi dal Piemonte… mia sorella con i suoi figli fin quando sono stato detenuto in Piemonte riusciva, lavoro permettendo, a venire a trovarmi, ma da quando cominciano a trasferirmi per motivi punitivi, lei e suo marito non possono permettersi di seguirmi.

Una volta successe che ero nel carcere di Alessandria, si decidono a venire a farmi un colloquio ma quel giorno che loro vennero io fui trasferito in un altro carcere, e sono dovuti tornarsene a casa senza vedermi, questo per dire che non basta che i famigliari scelgano un giorno dove possano fare il sacrificio di affrontare un viaggio e altro… devono anche essere fortunati che in quel giorno non vieni trasferito come è successo a me. È così che l’affettività se ne va a farsi distruggere dal tempo e dalle incomprensibili decisioni di chi ci trasferisce da un carcere all’altro.

Ma non ci sono solo i famigliari. E gli amici? Vogliamo forse negare che il valore dell’amicizia sia importante?

Come può un’amica, non sentirti non vederti e neppure sperare di poterlo fare in un tempo determinato e ragionevole? Mi hanno fatto girare per tutta l’Italia e se questa era la mia punizione, perché l’hanno fatta patire ai famigliari e alle persone che con me avevano un legame affettivo? Credevo di essere in carcere per scontare la mia pena, invece mi sono ritrovato privato non solo della libertà ma anche degli affetti, torturato ora dopo ora per 19 anni, a pensare chissà quante volte qualcuno ha pianto perché non poteva vedermi o starmi vicino o ancora peggio perché magari aveva bisogno di un mio abbraccio. Ma io ero (ancora oggi non so il perché) in Sicilia o a Napoli o…

Domandiamoci se e quanto possa essere utile alla società mettere in atto questi trasferimenti da una regione all’altra senza un apparente perché.