Il punto di vista di un avvocato

 

 

Nel nostro Paese l’idea della pena è quella della mortificazione del corpo

Battiamoci per una nuova legge sugli affetti, ma é necessario anche ampliare la possibilità di concessione dei permessi

 

di Annamaria Alborghetti, avvocato

 

Il mio intervento vuole essere un po’ provocatorio. Da molti anni si discute della questione dell’ “affettività in carcere”. Ovviamente affettività intesa in senso complessivo, comprendente, cioè,

quella parte rilevantissima, fondamentale per ogni essere umano, che é la sessualità. Si tratta di diritti fondamentali che, come tali, non possono essere compressi dallo stato di detenzione. Assumono, in proposito, rilievo gli artt. 2, 3, 27 e 32 della Carta Costituzionale, ma perfino, come sostiene Andrea Pugiotto, gli art. 25 e 13. Si invocano, altresì, le Regole penitenziarie europee, che impongono modalità di visita che consentano “relazioni familiari il più possibile normali”.

Ciò significa che devono cercare di riprodurre la normalità dei rapporti interpersonali all’interno di una famiglia, intesi nella loro globalità. Tuttavia vorrei ricordare come l’eccezione di incostituzionalità sollevata dal Magistrato di Sorveglianza di Firenze in riferimento ai colloqui con controllo visivo per violazione degli artt. 2, 3, 27, 29, 31 e 32 Cost. è stata però dichiarata inammissibile, anche se la Corte non ha mancato di sottolineare come l’ordinanza di rimessione “evoca, in effetti, una esigenza reale e fortemente avvertita, quale quella di permettere alle persone sottoposte a restrizione della libertà personale di continuare ad avere relazioni affettive intime, anche a carattere sessuale”.

Si é sostenuto in più occasioni che una delle ragioni dell’arretratezza del nostro sistema, rispetto ad altri Paesi, che potremmo definire “Paesi avanzati”, come Olanda, Norvegia, Danimarca, è il fatto che noi dobbiamo fare i conti con la forte presenza sul nostro territorio e, quindi, nelle carceri, della criminalità organizzata che in qualche modo ha condizionato le scelte del legislatore. Non ritengo che sia così e ne spiego la ragione. Ho avuto occasione lo scorso mese di ottobre di visitare due istituti penitenziari del complesso penitenziario di Salvador de Bahia in Brasile.

Nella sola città di Bahia vi sono sette penitenziari per un totale di oltre 11.000 detenuti. Ho avuto modo di visitarne due, Lemos Brito e La Cadeia Publica de Salvador. Lemos Brito è tristemente noto, luogo di indicibili violenze. Oggi la situazione è un po’ migliorata, sia perché è cambiata la situazione politica del Paese, ma anche grazie agli ultimi Direttori di quel carcere, persone in gamba, illuminate, che hanno determinato un certo cambiamento. Resta comunque un posto orrendo, un luogo di detenzione fatiscente, vecchio, con una popolazione carceraria che riflette esattamente il luogo in cui quel carcere è collocato, cioè in cima alla collina dove si sfaldano brulicanti le favelas il cui squallore é mitigato solo dalla rigogliosa vegetazione tropicale. La maggioranza dei detenuti è poverissima, anzi la maggior parte di loro é analfabeta. I rapporti di forza sono pesantissimi e i più poveri sono totalmente sottomessi ai grossi trafficanti di droga. La rivalità tra bande é fortissima. Però c’è una zona franca, e questa zona franca sono gli affetti.

Nel vecchio carcere non ci sono le sale colloquio, non esistono, però c’è un grande spazio per la socialità dove si trovano i detenuti, e lì possono ricevere i famigliari. Intorno a questo grande cortile vi sono le celle. Lo spazio, piccolissimo, é per un detenuto ma ci stanno in due. Non c’é acqua corrente e vengono utilizzati dei bidoni che vengono riempiti nel cortile. La cosa che più mi ha colpito é che, pur nel loro squallore e fatiscenza, sono in ordine e pulite, visto che non si sente assolutamente cattivo odore. I detenuti rimangono fuori dalle celle tutto il giorno, escono la mattina alle 07:00 e rientrano alle 17:00, praticamente durante tutte le ore di luce, potremmo definirla una sorveglianza dinamica. E quando arrivano i famigliari i colloqui avvengono nel cortile e i detenuti possono appartarsi con il loro partner nella cella , e la cosa incredibile è che c’è un rispetto totale in questa situazione, è una zona franca. Anche tra le bande rivali che esistono dentro quel carcere nessuno oserebbe mai attaccare o fare qualche cosa durante quei momenti, nel corso di quelle visite.

L’alto carcere che ho visitato è La Cadeia Publica, costruito 4 anni fa con una concezione più moderna, molto simile ad un nostro Istituto. Entrando ho notato subito che la sala colloquio aveva il vetro divisorio, ma poi ho capito che quella sala c’è ma non viene usata, perché le visite ed i colloqui con i famigliari si fanno nella zona di socialità. È un cortile molto ampio, con un grande porticato intorno, da una parte un piccolo spazio per la pallavolo. Sotto il portico sono seduti o sdraiati i detenuti con le loro famiglie, mangiano, giocano con i bambini, si abbracciano. E poi ci sono le stanze dell’intimità, con un accesso riservato, sempre per salvaguardare questa intimità.

Certamente non è l’appartamento che troviamo nelle carceri in Paesi come l’Olanda o la Danimarca. È semplicemente una cella migliore, più grande, con un letto matrimoniale, però esiste, nessuno si scandalizza e questo è il luogo dove le coppie possono appartarsi.

Dicevo all’inizio che il mio intervento voleva essere un po’ una provocazione, perché noi facciamo riferimento a Paesi più avanzati del nostro sotto il profilo della tutela dei diritti, a Paesi dove sicuramente il numero dei detenuti è più basso. Però qui non siamo in Svezia, eppure in un contesto difficile, violento, fatiscente, l’affettività, la sessualità trovano uno spazio di garanzia. Allora il problema forse è un altro, ed è l’idea della pena, che, nonostante la Carta Costituzionale, nonostante il nostro bellissimo Ordinamento Penitenziario, nonostante le menti illuminate che tentano dei cambiamenti, nel nostro Paese l’idea della pena è e rimane quella della segregazione, della mortificazione del corpo, della penitenza,  e quindi in questa mortificazione c’è, deve esserci, anche la privazione della sessualità.

Vorrei aggiungere un’ultima considerazione. È importantissimo portare avanti una proposta di legge, è importantissima questa proposta di legge sull’affettività, sulla sessualità. Vediamole però come ipotesi residuali e cerchiamo di batterci per ampliare i permessi premio, per eliminare ancora quella parte della legge cosiddetta ex Cirielli, che prevede tempi più lunghi per l’accesso ai permessi. È stata eliminata una parte dell’ex Cirielli ed è rimasta proprio quella che prevede tempi lunghissimi per i recidivi per accedere ai benefici. E poi c’è il problema anche del 4 Bis, dei reati ostativi. Allora modifichiamo e ampliamo il discorso sui permessi di necessità dell’articolo 30 secondo comma.

Vorrei per finire lanciare un messaggio ai magistrati di sorveglianza, perché non è accettabile un’interpretazione così rigida, come quella che leggiamo nei provvedimenti di rigetto, sul secondo comma dell’articolo 30, cioè a proposito degli eventi famigliari di particolare gravità, dove per “grave” viene inteso soltanto qualche cosa di luttuoso, e non eventi famigliari “normali” come può essere, appunto, un fatto attinente alla sfera affettiva, ad esempio voler fare un figlio. Il significato stesso della parola “gravità” è riferito a “ciò che è serio ed importante” e, in quanto tale, può essere anche preoccupante, ma non deve esserlo per forza. Privilegiando l’aspetto della “serietà” dell’evento ne consegue che molti fatti costituiscono tappe e momenti fondamentali nella vita di una persona e, quindi, hanno una loro “gravità”. E tale é sicuramente la vita di relazione, affettiva e sessuale, con il proprio partner.