Adulti codardi

 

di Ornella Favero

 

Scrive Sofia, studentessa del liceo Marchesi di Padova, dopo l’incontro in carcere con la redazione di Ristretti: “Non riesco a capire l’utilità dell’ergastolo ostativo. Non facciamo forse prima a uccidere questi detenuti invece di tenerli lì ad attendere la loro fine? L’ergastolo ostativo è come negare al detenuto di riparare al debito che ha nei confronti della società facendo del bene. Io ritengo che se una persona finisce in carcere perché ha commesso un crimine, possa in un qualche modo redimersi e dare un contributo positivo, e che quindi non sia un caso perso ma che possa ritrovare la strada giusta”.

 

Scrive Cindy, studentessa dell’Istituto Scalcerle, “Poi c’è chi non uscirà mai. Pena: ergastolo ostativo, la cosiddetta “pena di morte viva” perché ti ammazza lasciandoti vivo; la stessa che sta scontando Carmelo. Se a lui e a quelli nelle sue condizioni dici “futuro”, si illuminano gli occhi e percepisci sofferenza. Però con quella parola, dai loro modo di sperare comunque e, al contrario di quello che si crede, cioè che la speranza è una cosa pericolosa, può far impazzire un uomo e specialmente in carcere sembra non esistere, io credo che sia l’unica cosa che li faccia resistere e sopravvivere. L’unica cosa di cui non bisogna privarli perché altrimenti accade proprio che la parte che conta della loro vita, non gli appartiene più, la lasciano a quelle sbarre”.

 

Quando sento tanti adulti, di destra e di sinistra, dire che “i tempi non sono maturi per parlare di abolizione dell’ergastolo” o che “i giovani non capirebbero, le vittime non capirebbero” mi viene una rabbia, una rabbia grande: io non credo che le cose stiano così, o meglio, è vero che il clima non è dei migliori, e se si facesse ora un referendum su questi temi i risultati sarebbero disastrosi, ma so che questo è anche responsabilità della nostra pigrizia di adulti, e ancora una volta noi di Ristretti la prova ce l’abbiamo ogni giorno con le scuole, ma anche nei quartieri, nei paesi, ovunque prendiamo il coraggio e andiamo a parlare di questi temi. Perché le persone sono martellate da una informazione spesso superficiale se non disonesta, e da una politica miserabile nella sua incapacità di affrontare con coraggio questioni delicate come quelle che riguardano le pene e il carcere, ma se informate decentemente, se coinvolte nelle storie di vita, se chiamate in causa con testimonianze forti e oneste da parte dei “cattivi”, sono anche disposte a mettere in crisi le loro certezze. Il volontariato dovrebbe fare della sensibilizzazione della società uno dei suoi principali obiettivi: i volontari dovrebbero essere davvero gli adulti responsabili e informati che si fatica a trovare nella società “libera”, e però non limitarsi a organizzare convegni sul sovraffollamento e sull’ergastolo, immaginando che questo aiuti a cambiare nel nostro Paese la mentalità rispetto al carcere. Bisogna “sporcarsi le mani” davvero, nella consapevolezza che, se a farlo non siamo noi che le galere in qualche modo le conosciamo, chi mai potrebbe provare a rovesciare i luoghi comuni e i pregiudizi sulle pene, che hanno contribuito a produrre tante leggi nefaste, nate proprio con lo scopo di conquistare un elettorato distratto, incattivito e convinto di appartenere per sempre alla categoria dei “buoni”? E un’altra cosa la voglio dire: la nostra conoscenza delle carceri dovrebbe portarci a rivoluzionare la nostra idea di come fare i volontari in galera e a lavorare per un coinvolgimento più forte delle persone detenute proprio in una pratica di volontariato che le costringa a misurarsi con la loro responsabilità. E cosa c’è di più responsabilizzante di dover rispondere alle domande poco tenere degli studenti, magari immaginando di avere di fronte i propri figli?