Il coraggio di parlare di abolizione dell’ergastolo, ma anche del 41 bis

 

di Elton Kalica

 

Sono ritornato a sfogliare le “Memorie dalla casa dei morti” di Dostoevskij e ad un certo punto mi sono soffermato su una riflessione dell’autore, in un certo senso sorpreso, per come il carcere resiste al tempo e ad ogni cambiamento. Scriveva Dostoevskij:

“Certo, i reclusori e il sistema dei lavori coatti non correggono il delinquente; essi lo puniscono soltanto e preservano la società da ulteriori attentati del malfattore alla sua sicurezza. Nel delinquente poi il reclusorio e i lavori forzati più intensi non sviluppano altro che l’odio, la sete dei piaceri proibiti e una terribile spensieratezza. Ma io sono fermamente convinto che il famoso sistema carcerario a celle raggiunge soltanto uno scopo sbagliato, illusorio, esteriore. Esso succhia all’uomo la linfa vitale, gli snerva l’anima, la indebolisce, la sbigottisce, e poi presenta una mummia moralmente rinsecchita, un mezzo pazzo come un modello di correzione e di pentimento. Certo, il delinquente, che è insorto contro la società, la odia e quasi sempre stima sé nel giusto e lei nel torto. Inoltre egli ne ha già ricevuto il castigo e, grazie a ciò, quasi si considera purificato, sdebitato”. Ho pensato a quante volte abbiamo scritto che il carcere odierno non rieduca il detenuto, ma lo fa sentire vittima, e ritrovando ora questo concetto in un libro dell’ottocento, mi rendo conto di quanto sia difficile cambiare le cose, quando si tratta di galera.

Parlare del reato e della punizione è difficile. Anzi, politica e informazione preferiscono estremizzare il male costruendo mostri, perché così è più facile attirare consenso, e forse perché è più facile e basta. Perché non richiede di scavare nei labirinti delle angosce, dei rimorsi, né di pensare ai tormenti e alla solitudine di tanti autori di reato, così magistralmente raccontati dallo stesso Dostoevskij nella figura di Raskol’nikov di Delitto e castigo. In fin dei conti, se l’opinione pubblica si abitua a pensare al castigo del singolo “delinquente”, è facile poi proporre soluzioni “esemplari”, mentre le risposte  diventano più difficili se le persone ragionano sui temi più complessi, che riguardano tutti. Noi di Ristretti abbiamo cercato sempre di trovare degli spiragli per arrivare a far capire ai “cittadini liberi” che non è importante tanto parlare del delitto o della pena in sé, quanto delle storie che portano le persone, a volte con scivolamenti inizialmente quasi impercettibili nell’illegalità, a commettere i reati. Percorrendo la strada delle testimonianze siamo riusciti a far capire che in carcere ci sono le persone e non i reati che camminano. Con questo spirito abbiamo raccontato sulle pagine di Ristretti anche storie pesanti, di uomini che si ritrovano spesso per la prima volta a riflettere su ciò che li ha portati ad uccidere. E abbiamo parlato di pene, che di umano hanno ben poco. Mentre nel panorama politico e istituzionale l’ergastolo rimane ancora un tabù, noi abbiamo sempre detto che in un Paese civile la pena non deve perdere la sua umanità, mai, anche verso chi ha commesso gli atti più mostruosi In questo numero parliamo quindi di pene poco umane, come l’ergastolo “normale”, che normale però non è, e l’ergastolo “ostativo”. Esiste infatti una categoria di persone considerate ancora più irrecuperabili, non rieducabili: sono i condannati per reati di criminalità organizzata. E per chi tra loro si è spinto anche ad uccidere, la pena è dell’ergastolo effettivo, senza possibilità di misure alternative, il cosiddetto ergastolo ostativo. E poi parliamo anche di regimi differenziati, come il 41 bis. Affrontiamo un tema così ostico perché crediamo che sia importante rimettere in discussione le pene che ammazzano la speranza. Una discussione che potrebbe aiutare a riflettere su quello che è oggi il rapporto mafia politica e su come la politica a volte cerca di nascondersi dietro la retorica del carcere duro. Basta pensare alla stabilizzazione del 41 bis, e a come quella classe politica che dieci anni fa rese permanente il 41bis dichiarandosi baluardo della lotta alla mafia, oggi si trova accusata di connivenze e legami con le organizzazioni mafiose proprio nel nord più ricco del Paese. Crediamo quindi che sia importante riaprire il dibattito, anche prendendo posizione chiaramente a favore dell’abolizione dell’ergastolo e di un ridimensionamento dei regimi differenziati: senza la figura del mafioso “tradizionale” su cui puntare il dito, il mafioso dell’alta finanza e dell’alta economia avrebbe più difficoltà a dire “non sono io il vero cattivo”.